venerdì 30 dicembre 2016

Schiera di parte.

            

Mio padre sul cantiere è sempre inflessibile. Io al contrario non faccio mai il duro con nessuno: sul lavoro ci vado quando posso, ed in genere mi faccio vedere giusto per controllare che tutto proceda secondo il progetto generale, e che le norme di massima siano rispettate dagli operai e dai vari subappaltatori. Lui no; lui si fa vedere spuntando fuori all’improvviso, ed è come se buttasse tonnellate d'acqua su tutto quanto, fino a riempire la grande vasca, per cui chi sa nuotare, oppure si arrangia in qualche modo, riesce alla fine a mantenersi a galla, ma tutti gli altri inevitabilmente precipitano sul fondo, con la pancia gonfia e gli occhi sgranati dal terrore.
Ho sempre paura quando sto con lui; paura che se la prenda anche con me in quelle occasioni, magari per come ho trattato alcune cose, o come ho gestito certe lavorazioni, o per come mi riferisco direttamente ai lavoranti; così quando c’è mio padre da queste parti, se posso io resto in ufficio, oppure me ne vado in giro per conto mio con qualche scusa generalmente più che plausibile. Perciò, quando gli operai mi vedono arrivare sono sempre un po’ rilassati: sanno che non sto arrivando insieme con mio padre, e quindi mi salutano, alzano la mano come per un gesto di pace, sorridono, mi trattano con confidenza. Non mi piace, potrei anche innervosirmi per questo, anche se poi non lo faccio, perché vorrei essere preso maggiormente in considerazione, anche se alla fine penso non si può avere proprio tutto, ed è così che poco per volta lascio correre, e se nessuno ha timore dei miei modi, alla fine vorrà dire che non ha poi molta importanza.
Poi un caposquadra mi ferma: ingegnere, mi dice, i ferraioli nelle armature di questi pilastri hanno tirato un po' via, ma tanto nel pomeriggio si faranno le gettate e così non si vedrà più un bel niente e tutto sarà a posto. Sorride, io sorrido a mia volta, mi viene subito la voglia prepotente che tutto sia finito, prima che arrivi mio padre, e che io possa andarmene da lì senza vederlo, perciò annuisco, mi fido di questo caposquadra, andrà tutto bene, sono sicuro non ci saranno dei problemi. Oggi mio padre penso non venga, gli dico, ma subito mi pento di avere detto cosi: si può fare quasi come si vuole, riprendo con ironia, ma oramai mi rendo conto di aver detto qualcosa di profondamente sbagliato. Difatti quello mi guarda con serietà, ma poi prende le mie parole proprio sul serio, perciò ride come senza motivo, e mi tocca anche il braccio, a dimostrazione che basta un gesto e una consapevolezza per sentirsi esattamente dalla stessa parte.
Vorrei non essermi fatto vedere sul cantiere, vorrei adesso avere l'autorità per controllare minuziosamente tutte le armature, vorrei che tutto scorresse come sull'olio, senza dare alcun problema, e forse alla fine mi piacerebbe anche che mio padre fosse qui, a preoccuparsi lui di tutte queste cose. Mi volto, mi pare di non aver compreso qualcosa, ma gli operai invece hanno capito perfettamente che oggi lui non verrà sul cantiere, e battono la fiacca, si muovono lentamente, fanno il minimo di ciò che dovrebbero combinare. Mi assento un minuto, giro sul retro, e poi alla fine telefono a mio padre. Quando arriva io me ne sto andando, gli operai mi guardano da lontano. Forse mi reputano un traditore, uno che fa il doppio gioco, e questo sinceramente mi dispiace. Però non potrei essere quello che sono, se non fossi parte di una squadra schierata.


Bruno Magnolfi

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