martedì 26 dicembre 2017

Semplice attrazione.



Certi giorni vorrei perfino non avere mai iniziato a lavorare in questa carrozzeria. I clienti mi conoscono, si fidano di me, restano sempre contenti delle loro automobili riparate e riportate a nuovo. I ragazzi che si occupano delle automobile insieme a me, come pure anche il nostro stesso titolare ormai anziano, tutti quanti dimostrano di volermi bene, e poi si fidano della mia esperienza, spesso lasciano che porti avanti i lavori in modo completamente autonomo, senza intralciarmi mai. Ma dietro quella porta ogni mattina c’è sempre lei, la nostra ragioniera, che da forse troppo tempo cattura ogni mia attenzione, tanto che devo concentrarmi al massimo su quello che sto facendo con le mani per evitare di lasciarmi prendere dalla voglia di tornare a guardarla altre quel vetro che mi separa dal suo ufficio.  
Le macchine mi piacciono, ho partecipato anche a qualche gara amatoriale come navigatore insieme ad un amico, e mi elettrizzo sempre quando sento un motore che pulsa a pieni giri, però comincio ad avere qualche anno di troppo per fare ancora il ragazzetto dietro a queste cose, così sorrido quando qualcuno me ne parla, poi abbasso lo sguardo lasciando intendere che ci sono anche altre cose che hanno una certa importanza tra le mie passioni.
Anna lascia trasparire intorno a sé una dolcezza infinita, procurandomi delle sensazioni che non avrei creduto mai possibili, semplicemente attraverso il suo semplice sguardo. Certe volte mentre le passo davanti lei sorride, come per stemprare quei turbamenti che probabilmente immagina in me mentre la sto osservando. Poi tutto riprende il suo corso, perché non potrebbe essere in alcun altro modo: lei è sposata ed ha anche un figlio grande, non ci potrà mai essere tra noi alcun contatto reale, se non questa simpatia, questo volersi bene a distanza, separati indefinitamente dal vetro sporco di un’officina come quella dove lavoriamo.   
Anna, le chiedo a volte quando vado da lei dentro l’ufficio: ho bisogno del libretto di circolazione di quella certa macchina; e lei mi guarda, sorride: certo Andrea, risponde, poi prende subito gli incartamenti delle auto in riparazione, e mi allunga quanto desidero controllare. Non le dico niente, non faccio neanche un apprezzamento su quanto lei mi sembri cortese o come elegantemente sia vestita, o magari per i suoi capelli così ben sistemati oppure altro; mi limito a prendere le mie cose, abbassare lo sguardo timidamente ed uscire subito da quell’ufficio, come se potesse girarmi la testa se rimanessi troppo a lungo insieme a lei. Lei lo sa cosa forse vorrei dirle, e non incoraggia mai nulla nei miei comportamenti, si limita a guardarmi, a sorridere in quel suo modo leggero, come se il peso di tutto fosse equamente distribuito tra noi due.
Inizialmente mi facevo trovare quasi sempre sull’entrata dell’officina nel momento in cui terminava il suo orario di lavoro e andava via, giusto per darle un saluto più profondo, qualcosa che di lei mi rimanesse addosso almeno fino alla giornata successiva; ma poi ho smesso, non ha significato farsi del male in questo modo, ho riflettuto. C’è qualcosa che ci attrae, indubbiamente, ho pensato fino a convincermi; ma nient’altro ci potrà essere mai.


Bruno Magnolfi

giovedì 14 dicembre 2017

Impersonale.

      
Ho cercato di conservare tutta la lucidità che mi serve. Adesso però non mi è facile decidere le scelte giuste da compiere. Sembra quasi un percorso obbligato quello che a volte mi si para davanti, rispetto al quale adesso devo per forza imporre d’improvviso una deviazione, un brusco cambiamento, qualcosa che voglio affrontare e sostenere con tutta la determinazione di cui assolutamente ci sarà largo bisogno. Cammino per strada e le persone che vedo sembrano venirmi incontro mentre stanno semplicemente pensando ai fatti propri. Siamo tutti persone qualsiasi, senza grandi distinzioni, e ci muoviamo all’interno di un piccolo spazio che ci conserva così come siamo, come fossimo praticamente dei prigionieri. Forse la gabbia sono i nostri stessi comportamenti, le nostre ordinarie abitudini, le stesse esatte maniere che utilizziamo ogni giorno per affrontare la quotidianità. Ma è certo che non siamo nessuno per aspirare alla forza necessaria con cui ribellarci a tutto ciò che non vogliamo accettare. Possiamo imporci una strada diversa, d’accordo, ma sarà una immane fatica perseguire degli obiettivi che noi stessi riteniamo così poco comuni.
La casa dove abito rimane vicina, semplicemente in fondo a questi miei passi cadenzati, e forse alla fine riveste, con le sue mura che delimitano tutte le stanze, soltanto un insieme di normali abitudini. Mangiare, dormire, lavarsi, vestirsi, comportamenti abituali che certe volte ci sembrano così essenziali ed importanti da farci perdere di vista qualsiasi altra cosa. Se potessimo guardare tutto quanto con un certo distacco forse si riuscirebbe ad essere i primi a ridere di noi stessi. Inevitabilmente qualcosa non va in tutto questo, ed ecco che ci ritroviamo a cercare qualcosa per noi inafferrabile, come se per un miracolo o un colpo di fortuna si potesse variare il corso completo di tutte le cose che ci hanno reso completamente insoddisfatti.
Le scale di questo condominio portano al mio appartamento. Le potrei salire con calma, lentamente, come se non sentissi effettivamente la voglia di raggiungere la mia famiglia; oppure potrei farlo velocemente, con rapidità, come se una furia improvvisa mi desse la necessità di muovermi in fretta, magari per sentirmi meglio, decisamente a posto coi miei doveri nei confronti di tutti. Già, perché alla fine la sofferenza che avverto in certe giornate è anche derivazione diretta da ciò che la mia stessa morale ha definito una volta per tutte, dandomi un metro di giudizio preciso per ogni mio comportamento, specialmente nei confronti proprio di questa famiglia di appartenenza. Così mi sento male se solo cerco di comportarmi in maniera diversa da ciò che è dettato da questi principi, anche se in fondo non provo alcuna soddisfazione nell’amalgama casalingo in cui ogni giorno ritrovo i miei gesti e i miei comportamenti.
La via di fuga è lontana, difficile, dolorosa oltremodo, e per questo motivo non viene alimentata dentro di me la considerazione per questa scelta che forse potrei anche fare. Comunque alla fine credo ci si possa limitare giusto a qualche svolazzo con i propri pensieri, perché ad osservare ogni tanto qualcosa che sembra essere quasi un mondo diverso, ed accettare poi passivamente la realtà più concreta, la verità di ogni fatto, l’oggettività più evidente, sembra un trancio di vita che ci torna normale, esattamente come la scelta del male minore.


Bruno Magnolfi 

venerdì 8 dicembre 2017

Differenti stati d'animo.

            

Stasera non mi sento di stare con gli altri, anche se ho accettato questa pizza con tutti i ragazzi della carrozzeria. È il giorno del mio compleanno, loro vogliono soltanto festeggiarmi, una scusa come un’altra per ritrovarci lontano dal solito luogo di lavoro, e lo capisco che mi vogliono bene, che fanno il tifo per il loro collega, ma per me in fondo è soltanto un giorno qualunque. Quasi tutti si sono portati le rispettive ragazze e insieme a loro ridono, giocano e vanno avanti a tavola nello scambiarsi delle battute spiritose: il lavoro di domani visto da qui sembra davvero lontano, adesso che tutti abbiamo indossato gli abiti migliori al posto delle solite tute mezze macchiate coi colori delle automobili che riverniciamo ogni giorno, ma forse osservando bene questi miei colleghi uno per uno si potrebbe già individuare qualche piccola minuta crosta di tinta rimasta ancora da qualche parte sopra una mano, forse su un braccio, o magari proprio sotto alle unghie.
Mi sono spostato nel bagno del locale dove poco fa ci siamo seduti per questa cena di festa, ma soltanto per prendere un attimo di respiro, per sciacquarmi la faccia dopo tutta quella birra che mi hanno già fatto buttare giù, e forse per riflettere un momento le cose per conto mio. Non riesco a togliermi quella donna dalla testa, questo è il punto, e nonostante niente ci avvicini, a me pare la persona più dolce che io abbia mai incontrato. Andrea, mi urla dopo cinque minuti uno dei ragazzi di là dalla porta chiusa; è arrivata la signora Anna a portarti un regalo. Sta scherzando, è evidente, fanno così in perfetto accordo soltanto per convincermi ad uscire e a stare con loro. Tutti hanno notato il mio debole per lei, per la ragioniera della carrozzeria, ed io li lascio fare, tanto non potrei certo cambiare le cose.
Poi esco dal mio rifugio, sorrido quando mi invitano a sedermi di nuovo in mezzo a loro. Mi hanno anche preparato un piccolo regalo, una sciocchezza per ridere, però stamani lei è venuta da me in un momento in cui ero da solo in un angolo della carrozzeria, probabilmente aveva già notato sui miei documenti di lavoro la mia data di nascita, mi ha fermato e sottovoce mi ha detto soltanto: buon compleanno, dandomi appena un’occhiata veloce; poi è tornata nel suo ufficio. Ed è stato questo il più bel regalo di tutti, semplice, diretto, senza alcuna imperfezione. Lo sa perfettamente anche lei che è tutto assurdo quello che stiamo pensando, però è dolce farlo, e non c’è niente di male nel darci l’un l’altra un’occhiata di riguardo ogni tanto.
I ragazzi ridono, mi prendono in giro, dicono che sono già vecchio e che spasimo per una donna che è anche più vecchia di me; ma a me non importa, so che le cose in questo momento vanno in questa maniera: non ho scelte da fare, non devo prendere decisioni importanti, devo soltanto lasciare che le cose vadano avanti per conto proprio, perché l’unica esigenza che sento dentro di me è quella di continuare ad essere onesto con tutti, e soprattutto con lei, nei riguardi della sua vita, rispettando al massimo la sue cose, il suo lavoro, la sua famiglia, e anche gli stati d’animo suoi che in questo momento immagino almeno un po’ attorcigliati.

Bruno Magnolfi


lunedì 4 dicembre 2017

Magari diverso.

            

Ho voglia di piangere, se solo penso alla confusione che mi passa per la testa. I miei disegni non sono più sufficienti a darmi la spinta per andare oltre alle sciocchezze che mi capitano ogni giorno. Ho provato persino a tratteggiare con del carboncino sopra ad un foglio la mia espressione che immagino molto contrita anche se non mi guardo mai allo specchio, ma il risultato comunque non mi è parso per niente adeguato a questo mio stato d’animo effettivo. Vorrei semplicemente come sbattere gli occhi per una volta, e in un attimo così ritrovare intorno a me soltanto calma e comprensione, al posto di quegli scatti nervosi che ognuno tra coloro da cui sono circondato sembra avere sempre con sé, assieme a questa assurda necessità diffusa di essere contro, di tiranneggiare chiunque di loro abbia vicino, di mostrarsi proprio come sembrano molti, se non ormai quasi tutti, duri e insensibili, convinti che soltanto le loro idee ed i loro atteggiamenti possono essere degni di esistenza.
Non mi importa di niente, alla fine; non so perché le cose girino così, però so che ci devo fare i conti, e che devo assolutamente convincermi di come tutto funzioni proprio in questo modo, tanto che l’essere sociali pare significhi per chiunque io noti accanto a me, qualcosa di diverso da ogni altro. Non so a chi riferirmi: certamente non al Neri che si è mostrato anche troppo carino e disponibile nei miei confronti, e che non voglio in nessun caso coinvolgere ulteriormente dentro ai miei problemi. Non alla mia famiglia, che già si dibatte tra silenzi e incomprensioni. Così penso che forse alla mia età ci sono delle cose e dei segnali, pur di difficile interpretazione, che vanno comunque affrontati e compresi in perfetta solitudine, assommandone tutto il carico che hanno, sia per complessità che per spiacevolezza, direttamente sopra di me.
Non so capire se io tenda veramente verso i ragazzi, così come dice qualcuno tra i miei compagni più superficiali, ma in ogni caso nelle ragazze non ho mai trovato fino adesso niente di particolarmente interessante. Anche disegnarle, per quanto qualche volta abbia già provato, mi risulta sempre un po’ difficile, come se non comprendessi adeguatamente lo spirito che anima almeno quelle che conosco. Loro da me si sono sempre tenute un po’ a distanza, ed io di controparte non le ho mai cercate. Forse sta proprio dentro questo atteggiamento il cardine intorno al quale ruota tutto quanto: dovrei spingermi in avanti probabilmente, scavare di più dentro la coscienza delle cose che in questo momento mi pare di non comprendere per niente.   
Mentre penso resto seduto, fermo, quasi immobile in questa classe di liceo: sono come gli altri, rifletto dentro al mio banco, come tutti coloro che si trovano qua dentro; forse devo soltanto mutuare gli atteggiamenti che vedo intorno a me e cercare semplicemente di replicarli, come un qualsiasi automa, come probabilmente fanno con tranquillità tutti coloro che non vogliono in nessun modo sentirsi troppo diversi. Diversi, si, esattamente come con ogni probabilità appaio io agli altri in questo difficile momento, anche se sarò proprio io d’ora in avanti a dover soffocare dentro di me tutto quanto ciò che mi porta verso qualcosa che forse non vorrei.


Bruno Magnolfi

sabato 2 dicembre 2017

Nel mezzo.


Ci sono momenti in cui tutto mi appare ancora perfettamente sotto controllo. Ed altri in cui le cose paiono continuamente sfuggirmi di mano. Il mio sonno, quando cerco di riposare, da un po’ di tempo si è fatto leggero, inconsistente, e quando gli altri mi parlano anche di argomenti di un certo rilievo mi torna difficile prestare loro l’attenzione che sarebbe necessaria. In ufficio perciò cerco di sbrigare le cose meno impegnative, nella paura continua di sbagliare un dettaglio importante o di dimenticarmi qualcosa del tutto, non prestando la giusta attenzione a certe faccende fondamentali. Vedo il Torrini passare nel corridoio: evita in questi casi di incrociare il mio sguardo, forse non desidera neppure ricordarmi continuamente il mio debito con lui, ma in questo modo è anche peggio, sembra quasi che qua dentro potremmo essere tutti amici quando invece è assolutamente vero il contrario. In ogni caso non dovremmo assolutamente lasciare spazio ai sospetti che ha su di noi il capufficio, per questo ci evitiamo, per scansare proprio certe sue occhiate. Mi attendo peraltro che da un attimo all’altro lui piombi sulla mia scrivania a chiedere spiegazioni su qualche pratica tra quelle più urgenti, la guardi, la scartabelli con attenzione, e ci scopra così degli errori, qualche mancanza, delle magagne magari anche gravi.
Dopo che il Torrini mi ha riferito che il capo ci tiene d’occhio oramai mi aspetto di tutto, anche che trovi qualche maniera per mettermi in forte difficoltà, forse anche per portarmi fino al punto di chiedere un trasferimento. Mi piacerebbe tanto poter dare una pedata a tutto quanto e ricominciare le cose dall’inizio, purtroppo devo tenere duro e resistere, non c’è altro da fare. Il mio compagno di stanza, al contrario di quasi tutti gli impiegati di questo piano, è uno che si fa i fatti propri, non si accorge mai di un bel niente, e giusto ogni tanto scambia qualche parola con me, però sempre su argomenti riguardanti il nostro lavoro, tant’è vero che so pochissimo di lui, della sua vita privata e di altre cose del genere. Non che mi interessi qualcosa degli altri, solo che poteva essermi utile un collega più duttile, e magari uno che stava dalla mia parte.
Il Torrini è un codardo, posso stringerlo nel pugno se solo riesco a fargli riflettere che il capo sospetta di lui e del suo bisogno di avere sempre una lista clienti più lunga degli altri, e che mi ha dato dei soldi soltanto per questo motivo. La verità è che tra poco dovrò rendergli il prestito, ed io sono riuscito a metterne assieme soltanto una parte, perché il resto non so proprio dove trovarlo, perciò deve concedermi per forza una dilazione, un po’ di respiro per muovermi meglio tra le mie conoscenze. La cosa più importante di tutte comunque è che il Maghero è già liquidato, quello non ci metterebbe nulla a rovinarti l’esistenza solo per qualche giorno di ritardo sul pagamento, però anche il Torrini potrebbe ricorrere a qualche mezza tacca del giro che magari viene direttamente a casa mia per minacciarmi e pretendere i soldi sull’unghia.
Devo pensare, devo assolutamente trovare il sistema per mettere a tacere il Torrini, e paralizzare ogni sua idea troppo brillante. Devo fargli paura, per forza, fargli capire soltanto con qualche mezza parola che il capo ormai è sulle sue tracce, che ha già messo le mani tra i miei clienti ed ha scoperto qualcosa che lo riguarda. Chissà, forse lo farò veramente.


Bruno Magnolfi

domenica 26 novembre 2017

Svendita di opinioni.



Lo guardo, mentre sta rientrando in casa da fuori e compie nel piccolo ingresso i suoi soliti gesti di sempre, quando mancano ormai appena pochi minuti all’ora di cena, mettendo a fuoco i suoi modi con tutta calma, nella stessa esatta maniera con cui si segue con gli occhi, restando sopra la riva, lo scorrere di un piccolo placido fiume, naturalmente per ciò che riesco a malapena a vedere dallo spiraglio di questa porta rimasta nel pomeriggio quasi sempre socchiusa, preparandomi senza alcuna furia ad alzarmi dalla sedia della mia cameretta per andare a salutarlo come faccio ogni sera, pronto a mantenere comunque davanti a lui la mia solita espressione essenziale. Lo studio, qualche volta ne scruto persino i più minuti gesti che compie, per riuscire a capire magari che cosa dirà, quando forse vorrà dire qualcosa, o quali espressioni vorrà conservare nel suo consueto contegno, in quel rigido personale perenne silenzio leggermente venato in qualche momento da chissà quali pensieri.
Sono curioso di lui, dei suoi atteggiamenti, e mi piace quando la mamma lo saluta per prima andandogli incontro con un leggero sorriso, mentre lui guardandola appare sempre un po’ goffo, quasi mancante delle espressioni più adatte, ricacciandosi immediatamente nelle abitudini più che assodate. Come va, chiede spesso in modo generico, toccandosi le mani che avrà bisogno di lavare energicamente nel bagno tra un attimo, guardandosi attorno, come a cercare qualcosa che prima non c’era, forse una novità che per lui sarebbe più che apprezzabile, magari anche una semplice variante al solito normale andamento che regna per casa. Ecco, è proprio questo il momento in cui, come una chiocciola negli attimi in cui sta proprio iniziando a piovigginare, io lentamente esco fuori dal mio consueto rifugio, apro per bene la porta e però lì mi fermo, soltanto per lasciare che le cose in qualche maniera vadano avanti da sé.
Anna, dice lui qualche volta, questo ragazzo mi sembra sempre più chiuso dentro se stesso, e poi mi guarda, come se avesse parlato di chissà quale scoperta sensazionale. La mamma allora mi viene in soccorso: ma che dici Corrado, gli fa, ha preso un ottimo giudizio anche oggi dall’insegnante di lettere. Perciò gli argomenti più utili per mandare avanti in qualche modo la cena, in questo modo sono già vagamente delineati, e poi non resta che qualche ulteriore preliminare prima di andare a sedersi intorno al solito tavolo.   
La radio ci viene all’improvviso in soccorso come sempre capita in queste serate, e con sommo studio mio padre, piuttosto che ritrovarsi ad espandere le proprie riflessioni nel rispondere a dovere alle domande di Anna che vanno un po’ a curiosare sulla sua giornata lavorativa, commenta con impeto qualche notizia politica o di costume del notiziario, soffermandosi su certi dettagli generici che forse alla fine non interessano quasi per niente almeno noi di questa famiglia. Tutto a posto, finirà poi per dire come sempre Corrado, lasciando che ognuno nella propria testa si formi un’opinione diversa da quella di lui appena svenduta.


Bruno Magnolfi

giovedì 23 novembre 2017

Aiuti collaborativi.

            

Certi giorni sembra sia difficile persino stare fermi e seduti alla solita scrivania, a compilare i modelli e le schede di sempre, mentre sullo schermo ci scorrono davanti agli occhi colonne di nomi che a malapena riusciamo ancora a distinguere, inseriti nel tempo per ordine alfabetico, per tipo di polizza, per scadenza, per forma di pagamento, per puntualità, per abitudini, per inclinazione, e chissà ancora per quanti altri motivi, visto che sul programma restano ancora decine di campi del tutto vuoti, ma che potremmo rendere attivi se solo riuscissimo ad avere delle altre informazioni ancora più personali sui clienti che abbiamo. Sono Torrini, e come ogni giorno inserisco con diligenza quanto sta nel mio dovere di impiegato ordinario, ma in certi casi non so nemmeno dove trovare tutte quelle forze che servono, oppure quel briciolo di entusiasmo che sempre ci vuole per mandare ancora avanti le cose.
Lo stipendio è fermo da vari anni, non si è mai vista nessuna possibilità per fare carriera, e qualsiasi idea migliorativa sul lavoro spiegata da noi che ci occupiamo di certe cose ai nostri dirigenti, viene regolarmente abortita con qualche risata o peggio con un’indifferenza umiliante, salvo ritrovarne più avanti, in mezzo alle cose di sempre, una qualche camuffata variante. Tra gli ufficetti coi vetri ed i lunghi corridoi della nostra sede, sembra che il tempo ogni giorno si prenda quasi una sosta, per poi lasciarci ritrovare regolarmente con i colleghi davanti alle macchinette per il caffè, a ridere spesso con evidenza di qualcosa di sciocco, ma certe volte più velatamente anche di qualcuno che magari sta proprio lì in mezzo a noi, e che sembra il bersaglio di turno perfetto per tutti gli sfoghi che servono.
Non c’è mai stata una vera solidarietà tra gli impiegati in questo settore, salvo mostrarsi del tutto finti trattenendo l’invidia di fatto evidente quando qualcuno di noi va in pensione, oppure al momento in cui facciamo ampio uso delle solite identiche parole di sempre quando a qualcuno arriva un lutto in famiglia. Qualche volta ci guardiamo in cagnesco l’un l’altro, ma anche questo atteggiamento alla fine dura ben poco: troppa fatica stare contro qualcuno, perlopiù è sufficiente limitarsi a qualche battuta sagace quando l’occasione ne fornisce la possibilità, ma altrimenti va bene anche niente. Si lascia scorrere il tempo, misurandolo generalmente con il metro delle varie stagioni che qui si rincorrono, e per il resto naturalmente si tenta sempre di essere più furbi degli altri, ed approfittare immediatamente di qualche situazione favorevole quando raramente questa ha la grazia di presentarsi.
Corrado Renai, il mio collega diretto, riesce ciclicamente ad inguaiarsi in qualcosa, che poi tradotto in concreto vuol dire soltanto per lui bisogno immediato di soldi, piccole cifre generalmente, ma che lo portano a divenire arrendevole e mansueto con tutti i suoi collaboratori almeno in quei momenti, tanto da lasciarsi tranquillamente fregare con dei piccoli prestiti che paga ad un prezzo degno quasi dello strozzinaggio. Non è colpa di nessuno se lui è così, certi incasinamenti sembra proprio che se li vada a cercare, ma in ogni caso è sicuramente una fortuna per il Renai avere alle spalle dei colleghi che in certi casi lo sanno aiutare; ed in certe giornate lo trattano proprio quasi fosse un amico.


Bruno Magnolfi

lunedì 20 novembre 2017

Senza delusioni.

            

Certe volte sono distratta; non so per quale motivo questo succeda, ma in questi casi è come se fossi da sola dentro un’altra stanza, e quindi le cose che magari inevitabilmente possono accadere proprio davanti alla mia persona non mi arrivassero per niente, o al massimo in un modo molto più attenuato di quanto sarebbe prevedibile. La mia giornata scorre quasi sempre in maniera estremamente abituale, lasciandomi soffermare solo su pochi elementi che generalmente la caratterizzano, quelli più importanti ed evidenti: forse sono una persona estremamente semplice, una che probabilmente non vuole mai vedere completamente la realtà con i propri occhi, però in tutti i casi credo che ognuno di noi debba essere sempre sincero con se stesso, e lasciare che gli avvenimenti anche vicini scorrano con la propria normalità.
Penso spesso comunque che tutto vada bene, e che le piccole increspature che a volte si formano sopra ad un mare calmo non indichino necessariamente l’arrivo impellente di una tempesta che qualche pessimista forse ha subito previsto. Mi piace camminare per la strada mentre penso alle mie cose, e non credo ci sia quasi niente di cui per forza ci si debba preoccupare veramente. Sono sicura che tutto sia di per sé già fin troppo complicato e spiacevole per pretendere di intorcinarsi la testa con idee e paure ancora più complesse di quanto tutto il resto sembra spesso costellato. Mio figlio Francesco è l’elemento essenziale rispetto a qualsiasi sforzo mi trovi ad affrontare, ed il suo percorso di crescita, almeno fino ad oggi, assieme anche ai suoi risultati scolastici, mi riempiono di piacere e di grande soddisfazione.
Mia madre quando ero giovane spesso mi diceva: Anna, non fidarti mai degli uomini; ma io adesso non credo fosse un avvertimento valido per qualsiasi donna. Sono tranquilla, le cose mi pare vadano avanti senza grandi intoppi: conservo il mio piccolo lavoretto al mattino che mi permette ogni tanto anche qualche spesa superflua, e di Corrado non mi pare neppure il caso di lamentarmi troppo, anche se il suo tempo appare tutto assorbito dalla sua occupazione in ufficio e dai suoi amici. La mia amica Chiara dice certe volte che forse dovrei sognare di più, cioè puntare più in alto per migliorare davvero la mia quotidianità, ma a me quando ascolto queste sue parole viene semplicemente da sorridere: se tutto si mantiene in questo modo, le dico, io sono contenta, non mi pare proprio di aver bisogno d’altro oltre quello che mi ritrovo già. Non ho pena o grande dispiacere per coloro che continuano perennemente a lamentarsi, ognuno logicamente può comportarsi sempre come gli pare meglio; però credo che certe persone dovrebbero guardare con attenzione e magari anche più a fondo in tutto ciò che già tengono stretto dentro le proprie mani. Forse io non ho grandi aspettative, questo può darsi; però credo che chi ne ha persino troppe finisca prima o dopo per vivere delle grandi delusioni.


Bruno Magnolfi

domenica 12 novembre 2017

Giornate difficili.

     

Non mi interessa niente di quello che possono pensare dei miei comportamenti questi colleghi di lavoro quando parlano nei corridoi davanti alle macchinette del caffè. So che personalmente devo soltanto seguire un percorso ormai più che tracciato dai fatti, e ormai lo faccio, vado avanti senza guardarmi troppo attorno, senza neppure pensare che forse ci potrebbero essere anche delle altre possibilità. Da qualche giorno giro a piedi, prendo soltanto un mezzo pubblico quando esco di casa al mattino per arrivare fino in ufficio, ma poi al ritorno percorro con le scarpe tutti i marciapiedi che mi trovo davanti, e non mi fermo più in nessun locale: risparmio, è chiaro, evito in tutti i modi persino la tentazione di mettere le mani dentro le tasche. Impiego circa un’ora in questo modo per tornarmene fino a casa, ma questo non avrebbe poi molta importanza, se non mi rendessi conto che il lato più triste della faccenda è che immediatamente comprendo come sia ancora troppo presto quando mi trovo a salire le scale di questo palazzo, e che mi sento subito nervoso quando arrivo ad aprire la porta del mio appartamento, avvertendo forte dentro di me la sensazione di non riuscire a sopportare nessuno, tantomeno mia moglie e mio figlio che aspettano il mio ritorno come ogni giorno.
Mi sento solo, distante dalla mia famiglia, come se mancasse sempre di più nelle mie giornate un vero legame con questa casa. Mi cambio d’abito in camera da letto, vado in bagno, prendo tempo fingendo di essere ancora immerso nei miei problemi di lavoro. Anna mi chiama, dice Corrado sorridendo, poi mi fa delle domande leggere, ma io rispondo a monosillabi e in certi casi appena con un grugnito; finirà che non avrò più niente da dire, e la mia scelta finale sarà il silenzio, giusto per troncare ogni possibile dialogo.
Prendo tempo, penso ancora alle mie cose, infine è ora di cena finalmente, non c'è molto di nuovo da mangiare, ma andrà tutto benissimo. Francesco ha sistemato le stoviglie sopra la tavola, c’è del pollo con le verdure che ha preparato la mia Anna, mi siedo, prendo una fetta di pane, mi concentro sul primo boccone che ingurgito, poi sul secondo, infine mi verso del vino dentro il bicchiere. Andiamo avanti quasi di fretta, nessuno di noi sembra abbia qualcosa da dire agli altri due, e il notiziario che esce dalla radio accesa con il volume al minimo parla delle cose di sempre, riempiendo fortunatamente quel vuoto evidente.
Si passa rapidamente alla frutta, quindi al caffè, ed infine abbiamo già terminato, penso con sollievo, anche se la serata sembra però ancora lunga, quasi infinita. Devo uscire, dico come parlando tra me, nessuno ha delle obiezioni, così mi alzo, mi cambio, mi pettino i capelli ed infine indosso il mio giaccone, poi saluto tutti ed esco di casa. Quando sono in strada tiro un profondo respiro di sollievo, non so neppure io il perché, poi prendo lungo il marciapiede senza neppure riflettere verso quale direzione sia meglio andare. Se guardo intorno tutto qua fuori sembra uguale, mi sento vagamente angosciato mentre attraverso la via ad un passaggio pedonale. Infine torno a salire le scale di casa, lo faccio con calma, poi giro la chiave, ognuno sembra immerso completamente nei fatti propri: devo andare a dormire penso, domani sarà un’altra giornata difficile.

Bruno Magnolfi


martedì 7 novembre 2017

Alleati, se non altro.

            

Io resto in classe, come spesso mi accade, seduto dietro al mio banco, anche se sono questi i soli minuti di pausa intermedia delle lezioni in cui possiamo alzarci e girare un po’ per sgranchirci le gambe. Gli altri ragazzi difatti sono quasi tutti nel corridoio per parlare con maggiore scioltezza a voce alta e ridere spesso sguaiatamente, mentre molti di loro sbocconcellano le varie merende che si sono portati da casa. Carlo Pieri, per parlare soltanto del più accanito, mi tormenta ormai da qualche giorno perfino più del solito, per questo cerco di evitarlo con gli scarsi mezzi di cui dispongo. Lui ha sempre bisogno del pubblico intorno a sé prima di dirti qualcosa di sgradevole oppure di ridere in modo cattivo per qualcosa che sei o che stai facendo, così tende a spingermi sempre di più verso il mio isolamento di cui persino gli insegnanti ogni tanto mi chiedono conto, quasi fosse qualcosa di cui non avessi già una piena e precisa consapevolezza.
So perfettamente, al contrario, che in tempi piuttosto brevi devo trovare all’interno della mia classe almeno un alleato per la mia strenua difesa dagli altri; non è soltanto puro egoismo di sopravvivenza il motivo delle mie conclusioni, è anche il fatto che avverto profondamente il bisogno per il benestare completo della stessa aula in cui trascorriamo insieme tantissime ore del giorno, di rendere maggiormente fluida e socializzante la mia figura all’interno del gruppo, considerando il mio innaturale isolamento oramai un problema quasi per tutti.
Ci sono due o tre fra i miei compagni che ogni tanto mi vengono vicino per chiedere qualcosa, spesso giusto per farmi conversare, per ricordarsi come sia la mia voce, ma nessuno di loro mi pare adatto a quello che ho in mente. Poi ci sono quelli che mi ignorano completamente, come se non ci fossi per niente nella stessa stanza con loro, probabilmente per evitare qualsiasi contatto con una personalità che sentono completamente diversa da quella che sanno di avere. Certe volte li guardo, ci sono dei tipi differenti tra questi, con caratteristiche varie, ma uno di loro è il Neri, persona forte seria e scontrosa, tenuto di conto praticamente da tutti.
È lui quello che adesso mi serve, non ho dubbi in proposito, così esco nel corridoio, lo avvicino, gli chiedo se posso parlargli da solo. Lui si apparta leggermente dagli altri, ed io gli chiedo diretto se gli andrebbe qualche volta di fingere di essermi amico. Lui mi guarda con serietà corrucciando la fronte, quindi tira fuori una mano di tasca per spostare lo sguardo su quella. Vedi Francesco, mi fa, a me non piace mai fingere, non è nel mio stile, se è questo che chiedi; però non ho difficoltà a parlare con te, magari sapere davvero chi sei, che cos’hai nella testa, come mai te ne stai sempre da solo.
Lo guardo: va bene, gli dico, non so neppure io come mai sono finito in un ruolo che non sento più come mio, però ormai è così, anche se da un po’ di tempo tutto questo mi pesa. Tu hai la possibilità di tirarmi fuori da guai anche peggiori, visto che anche i nostri prof stanno iniziando a tenermi sott’occhio. Va bene, fa lui, da adesso sei mio amico, mi piace tirare fuori dai guai qualcuno che se lo merita. Mi dà il cinque ridendo di fronte a tutti, mi stringe alla vita considerando che lui è robusto ed io mingherlino: tutti gli altri ci guardano, forse sta davvero cambiando qualcosa.


Bruno Magnolfi

mercoledì 25 ottobre 2017

Debiti variabili.

        

Io sono uno qualsiasi, questo mi sembra evidente. In qualsiasi momento potrei mescolarmi con gli altri, camminare lungo le strade insieme a tutti quanti, e nessuno mai riconoscerebbe in me proprio colui che si è andato stupidamente ad indebitare con certa gente di pochi scrupoli, alcuni piccoli strozzini con poco cervello e delle aspettative esagerate, date solo dai loro comportamenti da sbruffoni. In ufficio durante il lavoro mantengo quasi sempre un basso profilo, mi interesso soltanto delle mie cose, salvo le volte in cui qualcuno dei miei colleghi esagera e mi fa innervosire, ma succede veramente di rado, anche se è quello il momento in cui sbotto davvero, limitandomi però ad alzare appena la voce, e poi basta. Ma questo in effetti non succede oramai da tanto tempo, in quanto ho ben altri problemi ultimamente che assorbono in ogni istante quasi tutti i pensieri che mi passano per la testa.
Arriva da me il solito Torrini per chiedermi qualcosa di un certo incartamento di cui mi sono occupato. Gli sorrido, dico che non deve preoccuparsi, perché naturalmente è tutto a posto, e in ogni caso ci penserò io a controllare di nuovo le cose se proprio ci tiene. Mi guarda con un briciolo di sospetto, ed io gli dico subito che mi piace la sua cravatta, è una fantasia molto bella. Lui si schernisce, sorride, è un regalo, mi fa. Devo chiederti un favore, gli fo invece io. Che genere, fa lui. Un piccolo prestito, gli sparo in faccia guardandolo fisso. Bé, non ho molto, mi fa: quanto sarebbe la cifra. Un ventino, gli dico, riuscendo a non distogliere gli occhi. Lui pensa per qualche secondo: la metà, mi dice subito, non un soldo di più. Va bene, gli fo, sapendo perfettamente che era quella la vera cifra che fin da subito avevo in mente. Sei un vero amico, gli fo, anche se ambedue sappiamo che non è proprio così.
Ci prendo il tre percento ogni mese, mi fa, come sempre. D’accordo, gli dico, un mese sarà sufficiente, al massimo due. Domani? Va bene, mi dice, domani ti porto la busta. Così una volta rimasto da solo mi piego sopra al lavoro che ho da sbrigare: farò il massimo degli straordinari inventando qualcosa per tenere buono il mio capoufficio rifletto, ma presto sarò fuori e anche per bene da questa specie di incubo. La cosa più importante di tutte è che Anna non sappia niente di tutta la storia, e che non abbia neppure un sospetto, e per questo motivo devo farle distogliere l’attenzione dai soldi che entrano e che escono da casa nostra. Il nostro conto in banca è già vuoto, ma sono stato bene attento a non mandarlo in rosso, così non possono arrivare delle comunicazioni o qualche strana richiesta.
Forse sono un disgraziato, un disgraziato qualsiasi, uno che si è fatto fregare come uno stupido, e che adesso deve arrancare chissà quanto tempo per rimettersi in carreggiata. Eppure non faccio niente di male, vivo e lavoro come fanno tutti, ed ho una famiglia, esattamente come gli altri. Probabilmente devo imparare qualcosa, ma non so bene cosa, perché nessuno me lo ha mai spiegato. Non voglio perdere tutto, sono sicuro di poter lottare come un leone per cercare la strada più giusta, ma sono fiducioso, le cose in poco tempo si aggiusteranno penso, e tutto tornerà rapidamente nella maniera come è sempre stata. E poi sarò più tranquillo tra non molto; soddisfatto e contento come non sono mai stato, sia delle mie cose che della mia vita.


Bruno Magnolfi

martedì 17 ottobre 2017

Volo negato.



Oggi mi ha portato un caffè, uno degli operai della carrozzeria. Non lo avevo mai neppure troppo notato tra gli altri ragazzi che lavorano qua dentro, così evidentemente mi sono schernita, già sorpresa com’ero, e subito l’ho ringraziato, naturalmente, anche se era solo una bevanda della macchinetta automatica; quindi con calma mi sono rimessa a svolgere il mio lavoro, oltre i vetri coperti di patina della debole porta che mi separa dall’officina, ed ogni tanto quasi senza volerlo mi sono ritrovata a dare ancora qualche sguardo da quelle parti, forse più per curiosità che per altro. Poi me ne sono andata, a fine mattina, come sempre, visto che il mio lavoro è a tempo parziale, salutando il titolare come ogni giorno ma evitando di farmi vedere andare via dagli operai che parevano totalmente immersi nelle loro occupazioni, come facessi stupidamente qualcosa di cui vergognarmi.
Andrea si chiama; ho cercato di nascosto i suoi dati sul registro dei dipendenti, ed ha soltanto qualche anno meno di me. Mi fa sorridere tutta questa faccenda, forse perché era da tanto tempo che non mi sentivo così. Anna, mi ha richiamato l’anziano titolare mentre ero già sulla porta con la borsa pronta ad andarmene via: mi raccomando per domani, ci sono gli adempimenti del mese. Certo, gli ho detto con un gran sorriso: arrivo presto; e mentre camminavo lungo la strada verso il mio appartamento mi sono sentita bene, come soddisfatta, quasi allegra, forse anche per la bella giornata, ma più probabilmente della leggerezza che improvvisamente ho come provato nelle mie gambe. Non sono neppure passata davanti al negozio della mia amica per salutarla, come faccio quasi sempre, anche se avevo un po’ voglia di raccontarle qualcosa di questo Andrea e delle sue maniere gentili, perché in fondo mi sono detta che devo imparare a tenere almeno qualcosa soltanto per me.
Mi pare che tutto giri meglio quando sono distante da casa, come se le mie cose più vere esistessero soltanto fuori dalle mura domestiche, lontano dalla mia famiglia, anche se questo è un pensiero assurdo e segreto che neppure io potrò mai accettare davvero. Però i piccoli elementi importanti che formano in genere la mia giornata spesso si svolgono fuori dal mio appartamento, ed anche se quello che faccio è tutto proteso verso il mio nucleo familiare, comunque sia mi ritrovo certe volte a desiderare una vita diversa, qualcosa che non sia soffocato soltanto da comportamenti ordinari e dalle normali abitudini.
Forse Andrea ha compreso perfettamente almeno qualcuna delle mie difficoltà: magari mi ha guardato in certe occasioni senza essere visto mentre svolgevo i soliti conteggi sulla calcolatrice, e forse in quei casi il mio sguardo gli è parso un po’ troppo triste, piegato su quotidianità senza sbocchi. Vorrei parlare con lui qualche volta, penso adesso tanto per elencare tutte le possibilità che ancora riesco a mettere insieme, anche se poi realmente è probabile che non lo farò mai. Sono qui, vorrei dirgli, mi piacerebbe tanto avere ancora un caffè, ma le mie ali non riescono più a sostenere il mio corpo per il volo che vorrei tanto spiccare. Arranco forse, cerco di farmi piacere qualcosa che probabilmente non è più di mio gusto, magari soltanto perché non so neppure più riconoscere che cosa sia che mi piaceva davvero fin all’inizio. Poi riprendo gradualmente il corso delle mie attività; come sempre.


Bruno Magnolfi

mercoledì 11 ottobre 2017

Allievo del saggio.

            

All’uscita dalla scuola torno verso casa passando quasi sempre dalla medesima strada. Generalmente non trovo motivo di alcuna fretta, così mi guardo attorno con calma, osservo gli altri nei loro affari e mi immedesimo praticamente in un qualsiasi viaggiatore con indosso lo zaino, mentre a volte mi perdo a contare i miei passi lungo il marciapiede. Non accade niente di particolare dentro di me o intorno a me, niente che comunque rivesta una qualche importanza: le macchine che transitano scivolano lungo la strada, i passanti camminano tutti verso le loro destinazioni. Eppure io mi sento bene ad osservare le piccole cose che incontro, e mi pare in questo modo di imparare sempre qualcosa, forse anche più di quello che mi hanno appena insegnato dentro la scuola. Ma è soltanto quando arrivo in prossimità della palazzina dove abito con i miei genitori che sento un senso di vuoto che mi prende.
Sono più grande di quello che dimostro, mi sento diverso dai miei compagni che continuano fuori e dentro la scuola a giocare come dei bambini, e poi ridono, scherzano, parlano delle cose più stupide, cosa che a me al contrario non capita quasi mai: respiro la mia giornata come cercando di comprenderne il senso, osservo i gesti di tutti cercandone i motivi scatenanti, mi ritrovo a fissare dei particolari per scoprirne le funzioni, tutto perché in fondo nient’altro mi interessa davvero. Ho soltanto sedici anni, lo so bene, ma le mie letture di questi ultimi tempi mi hanno portato già molto lontano, perché fin da subito ho compreso che dentro ai libri migliori ci stava già tanto, quasi tutto ciò che volevo davvero sapere.
Mi fermo prima di giungere al portone che immette al mio condominio, e soffermandomi a cercare qualcosa dentro lo zaino rifletto su quanto anche oggi sono riuscito a mettere a punto. Penso che ognuno debba tentare di essere così come si sente, e non accettare mai alcuna finzione. Incontro un vicino di casa, una persona che vedo da sempre, un uomo anziano che trascorre le giornate nei dintorni della sua abitazione, salutando tutti con gli occhi piccoli e ridenti infossati dentro le rughe, nel mezzo a una faccia piena di storia, mostrando sempre uno spirito che nonostante l’età più che avanzata ancora lo illumina. Mi piace questo vecchio, lo trovo sincero, l’ho già disegnato chissà quante volte senza mai troppo cercarne con il disegno soltanto una banale somiglianza apprezzabile. Mi piace la figura che esprime, la sua presenza, le tante cose di cui forse se avesse più voglia e più fiato potrebbe parlare. Mi piace che sia qui, come a guardia di tutto se stesso, dei suoi anni trascorsi ad accumulare esperienze e ricordi. Sarò come lui, prima o dopo, un saggio che osserva, e che forse proprio per questo comprende davvero le cose.
Infine entro in casa: c’è la mia mamma che aspetta, e forse nel pomeriggio quello che ho visto attraverso il mio punto di vista sarà guida della fedele matita su un foglio di carta: non è importante in se stesso questo mio disegnare, forse non avranno mai troppo valore questi fogli pieni di segni che accumulo: è la mia ricerca il fatto essenziale, il mio tentativo di dare una veste a tutto quello che sento.


Bruno Magnolfi

martedì 3 ottobre 2017

Dimenticare domenica.

            

Qualcosa dovrà pur succedere penso, le cose non possono certo proseguire per sempre in questa maniera. Mi sento nervoso quando rientro a casa la sera, non posso certo fingere di essere in un altro modo. Soprattutto mi disturba ritrovare appena arrivato tutte le cose nella stessa esatta maniera di come le ho lasciate, come se i giorni che si susseguono fossero identici, come se per avere salva la vita si dovesse sempre e solo lasciarla nelle mani di una monotonia spesso del tutto insopportabile. Saluto i miei familiari, tolgo la giacca, vado in bagno, poi indosso vestiti e scarpe più comode, e spargo senza impegno qualche domanda tanto per sapere se ci siano delle piccole novità, anche se infine mi siedo davanti alle notizie della televisione, per cercare ancora un collegamento con la realtà che c’è fuori, pur senza neanche provare un vero interesse, e proseguendo comunque anche in questa maniera ad alleviare la situazione che sto respirando.
Forse tutti quanti viviamo questa medesima situazione penso, probabilmente dobbiamo soltanto assuefarci di più a quanto normalmente ci capita, senza mettere in mezzo un vero contrasto, anche se risulta difficile, anche se è complicato cercare di essere soddisfatti e tranquilli quando le cose non ci piacciono affatto. Naturalmente preferisco non pensare mai a queste cose, e così lascio che il tempo da trascorrere con la mia famiglia sia il più possibile vuoto di cose comuni, anche se sono contento di dare un senso con la mia presenza alle stanze di casa.
Mia moglie è molto pacata, sorride ma senza mai ridere veramente; è gentile, si vede che ci tiene molto alle persone che la circondano, anche se non riesce ad avere un vero scatto di entusiasmo per qualcosa che magari facciamo o che ci proponiamo di fare, così ogni argomento sembra sempre senza spina dorsale, e tutto ciò di cui ho voglia di parlare quando sono in casa diventa un elemento quasi banale, privo di un qualche interesse. Corrado, mi dice con la sua voce tranquilla; tu hai fatto esattamente quello che dovevi fare. Ed anche quando racconto che spesso al lavoro monto di nervi per le uscite stravaganti del mio capoufficio, lei non prende mai una vera posizione, lasciando che tutto rientri in un alveo di normalità.  
Mio figlio si chiama Francesco, e non fa mai altro che guardare verso il basso o da un’altra parte, come se non fosse per nulla interessato a ciò che lo circonda. Gli dico certe volte che le cose importanti sono là fuori, che lui dovrebbe avere più amici, cercare di uscire, inserirsi in qualche compagnia dove fanno davvero qualcosa, ma lui pare non ascoltarmi, e tutto quello che si limita a fare, anche da quanto mi dice mia moglie, è starsene nella sua cameretta a leggere libri, a studiare, o a perdere tempo da solo. Ho anche provato a portarlo con me, ad assistere a qualche partita o in qualche locale per vedere come se la sbriga con gli altri, ma mi sono reso conto che non sembra mai interessato da niente, e che diventa immediatamente come un ingombro che si fa trascinare da una parte a quell’altra senza dire se gli va bene oppure no.
Per questo per me la domenica è il giorno più buio della settimana: un vuoto completo da provare a riempire in qualche modo con qualcosa che normalmente mi sfugge, uno stupido giorno da far passare il più in fretta possibile, facendo anche in maniera in qualsiasi caso di dimenticarlo velocemente, proprio come se non fosse neppure arrivato.


Bruno Magnolfi  

martedì 26 settembre 2017

Definitive certezze.

          
            Certe volte provo una certa tristezza, anche se credo sia piuttosto immotivata, ma trascorrendo tutto il pomeriggio in casa mi sembra facile almeno in qualche caso sentirmi un poco a terra. Così esco quasi sempre in questi casi, e vado in giro nel quartiere, lo faccio proprio per svagarmi, anche se poi naturalmente entro nei soliti negozi che conosco per acquistare le cose che mi servono, così saluto tutti sia nella macelleria di sempre che dall’ortolano e dal panettiere, e in certi casi mi fermo a fare quattro chiacchiere con chi provo maggiore confidenza e che incontro da più tempo. Poi rientro in casa con le buste della spesa, sistemo tutto dentro la dispensa e sui ripiani del nostro frigorifero, ed infine inizio a preparare con calma qualcosa per la cena, nell’attesa che mio marito torni dal lavoro. Lo so che lui non fa mai gli straordinari anche se usa questa come scusa; tira tardi da qualche parte, in qualche bettola, mi immagino, e quando poi rientra il suo alito sa di alcol da lontano, ma io lo lascio fare, come sempre cerco soltanto di lasciarlo tranquillo, di non oppormi troppo ai suoi modi e ai suoi pensieri.
            Certe volte ho avuto paura del suo carattere, di quell’improvviso scattare di nervi, del suo guardarmi storto con gli occhi spiritati, ed alzare la voce in modo assurdo quasi senza averne un buon motivo vero. Ma poi lo lascio perdere, mi piego sulle cose che ci sono da fare nel nostro appartamento, e mi dimentico subito di tutto: mio figlio in fondo cresce bene, i risultati scolastici ci sono, ed anche se spesso sta un po’ troppo per conto proprio, non mi preoccupo per niente; tutto normale, mi ripeto, le cose vanno come devono andare. La mattina usciamo tutti insieme, io vado a sistemare i conti e le fatture di una carrozzeria poco lontano, ma giusto per qualche ora, e dopo basta. Non so cosa mi manchi, forse non sono mai riuscita ad essere in perfetta sintonia con la mia famiglia, ma credo che questo sia solo un piccolo problema. 
Certe volte vorrei essere altrove, perdermi da qualche parte magari dove nessuno mi conosce, e ricominciare da capo, come se tutto quanto sono riuscita ad essere fino a questo momento fosse soltanto l’apprendistato ad una vita vera, magari più libera, piena di sorrisi e di cose soprattutto allegre. Però c'è mio figlio da crescere bene in questo momento, ed anche se in qualche caso non comprendo del tutto quali siano i suoi comportamenti, però sono sicura che sarò sempre con lui, dalla sua parte. Mi piace la mattina andarmene al lavoro, perché mi sento utile, benvoluta, e quelle poche ore che trascorro nel piccolo ufficio della carrozzeria mi passano in un soffio liberandomi la mente dai pensieri più antipatici.
Certe volte poi sono da sola in casa al pomeriggio e sento d’improvviso che sto bene, che sono serena, e che vorrei sempre rimanesse tutto come lo avverto quelle volte. Mi pare di aver sbagliato in qualche occasione, ma i miei errori secondo me non sono mai state cose gravi. La serata da trascorrere in casa senza alcun programma rimane forse la porzione del giorno che mi piace di meno in assoluto. Sembra soltanto una parata di musi lunghi, come se qualcosa non andasse affatto come dovrebbe: entro nella cameretta di mio figlio e lui è lì, con i suoi disegni che non vuol mai farmi vedere, ed io mi sento quasi un’intrusa nella vita di persone che forse non avrebbero neppure bisogno di una come me. Ma subito mi passa: le cose andranno bene penso, non c’è neppure da dubitarne, e tutto andrà al suo posto appena superate queste piccole divergenze che presto ci dimenticheremo in fretta e soprattutto in una maniera che sarà definitiva.


Bruno Magnolfi 

lunedì 18 settembre 2017

Evidenti differenze.



No, io forse non sono normale. O meglio, non mi sento proprio come credo siano gli altri, perlomeno come tutti coloro che in genere incontro per strada quando sono impegnato nel mio solito giro attorno al quartiere. Cammino come sempre, tranquillo, e per cortesia sorrido ogni volta a qualcuno tra quelli che trovo a passeggiare esattamente come me sul marciapiede, anche se nessuno di loro purtroppo si sogna quasi mai di rivolgermi anche una sola parola.
Lei assomiglia ad un attore del cinema, dico oggi a questo tizio che sembra aspetti qualcuno. Mi fa piacere, fa lui, ma non mi occupo di cose del genere. Non importa, dico io, ho detto così tanto per scambiare due chiacchiere, per conoscere la sua voce. Va bene, fa lui, però adesso avrei qualcosa da fare, così mi saluta con un gesto della mano e poi si volta per andarsene, ma io all’improvviso gli chiedo da dietro il suo nome, insomma come si chiami. Aldo, dice subito lui quasi sottovoce, voltandosi appena e proseguendo con noncuranza ad allontanarsi. Resto perplesso, anche il medico che mi segue si chiama così.
Mi volto indietro, forse dovrei cambiare qualcosa in questi miei modi, nella mia maniera di comportarmi con gli altri. Mi fermo davanti ad un negozio e poi decido di entrare. Dopo un attimo un commesso mie chiede se possa aiutarmi, ma io dico che avrei solo intenzione di dare un’occhiata. Da dietro il banco però mi guardano male mentre osservo curioso tra gli scaffali, quasi fossi un ladro o qualcosa del genere, Perciò ad un certo punto sorrido al commesso di prima, e gli dico che purtroppo non ho con me i soldi per acquistare qualcosa, anche se il negozio mi piace, e mi piacciono quasi tutti gli oggetti in vendita qua dentro.
Poi esco prima che qualcuno mi metta alla porta, tanto ho già visto che non mi concedono alcuna possibilità per socializzare con loro, ma quando torno a muovere un passo lungo la strada incontro quasi subito il tizio di prima. Aldo, gli dico subito, e con questo cerco e gli stringo la mano, anche se lui si vede soltanto costretto ad essere gentile con me. Conosco una persona che si chiama come lei, gli dico subito; però non mi sta molto simpatico, ha sempre da rimproverarmi per i miei modi, e poi continua a suggerirmi di fare in un modo o in un altro.
Quello mi osserva, capisce al volo che io sono uno da tenere a distanza, così si mette a guardare qualcosa che adesso tira fuori dalla sua tasca, ed infine torna a guardarmi, per dire alla fine che non ha tempo per me, ma se voglio posso andare a prendere una tazza di caffè nel bar qui di fronte, poi passerà lui a pagare. Non mi interessa, gli dico, volevo solo parlare, ma se non è possibile ne farò a meno. Aldo ci rimane male della mia risposta, forse non voleva essere scortese, alla fine mi mette una mano sopra le spalle e mi dice che certamente io sono un bravo ragazzo, e che a pensarci bene forse lui può anche dedicarmi qualche minuto.
Non importa, gli dico: se le cose devono essere frutto di un qualche ragionamento per trovare la maniera meno dolorosa per compierle, vuol dire che non hanno alcun senso. Lui resta fermo e in silenzio, perplesso, ed io intanto mi allontano con calma. Non assomiglia molto al mio medico, penso. Anzi, loro due sono proprio diversi.


Bruno Magnolfi  

venerdì 25 agosto 2017

Profondo interno.

           

            Sono immobile, non riesco più neppure ad alzarmi da questa panchina. Mi hanno piazzato in un pubblico giardinetto, ma non c’è nessuno qua attorno, proprio nessuno con cui scambiare almeno quattro chiacchiere. Ma in fondo non ha alcuna importanza, ho con me i miei pensieri, e tanto mi basta. Però sono confuso, non riesco a capire dove sia stato l’errore, in quale esatto momento abbia sbagliato la scelta. Mi guardo attorno: ci sarà pure una possibilità nel finale penso, un momento salvifico in cui qualcuno viene a soccorrermi e a riconoscere qualcosa di me, qualcosa che sia risultato almeno positivo, che valga la pena di ricordare.
            Torna la mia badante, dice che non ha trovato nessuno che le vendesse una bottiglietta d’acqua, ma in ogni caso adesso fa troppo caldo ed è quasi l’ora di tornarcene a casa. La guardo per un attimo, poi annuisco ed osservo la fila degli alberi più avanti. Non importa neppure che pensi rifletto, ogni cosa va al proprio posto anche senza di me: tra poco nella mia stanza guarderò le notizie del giorno alla televisione, immaginerò altri mondi, altri scenari lontani il più possibile dai miei poveri disastri, e lascerò come sempre che mi accudiscano, senza tentare alcunché di diverso.
            Ci muoviamo, lentamente, lasciandomi sorreggere, i passi uno avanti a quell’altro, quasi fossero in questo momento la cosa più importante del mondo. Poi ci fermiamo, improvvisamente: c’è qualcosa di cui mi ricordo, devo appuntare su un foglio questo pensiero, così la badante mi aiuta con un pezzo di carta, la matita poi la porto sempre con me. C’è davvero un errore che riconosco, adesso mi è chiaro. Per la fretta, senz’altro, la superficialità, i miei soliti difetti. Avrei dovuto comportarmi in un’altra maniera, essere più diretto, puntare soltanto allo scopo finale. Ho perso del tempo invece, ho creduto forse di poter recuperare qualcosa subito dopo, e invece non è andata così, ma forse già lo sapevo che lo scenario sarebbe cambiato velocemente, e che certe occasioni non si ripresentano mai.
Non è servito neppure pensare che poteva andar meglio la volta successiva, perché poi tutte le volte è diverso, i fatti non si fanno vedere mai nella stessa maniera. C'è stata una buona occasione per cambiare tutte le carte sul tavolo, ecco come va detto, ma quella occasione io l’ho lasciata sfumare, questo adesso è quello che devo appuntare sul foglio. Non c'è da provare rimpianti, anche questo fa parte di me, di questo strano carattere, del mio aver lasciato scorrere in un certo modo le cose, come se forse il giorno successivo a tutto quanto fosse stato il momento più adatto.
La mia badante non sa più cosa pensare di me: un vecchio rompiscatole rancoroso come se ne trova ben pochi, ma non so cosa farci, sono in questa maniera, ci vuole pazienza. Non ce l'ho con nessuno, le cose non sono andate come volevo, ma la colpa è la mia, tutto è dipeso soltanto da me, e riconoscerlo adesso mi pare quasi un sollievo. Cosa importa, vorrei ancora scrivere su questo foglio, se si scava all’interno ogni persona porta con sé un proprio errore, una mancanza grave che il tempo magari ha cercato di cancellare, o che ha reso accettabile. Sono esattamente come gli altri, ecco; da questo punto di vista niente di fondamentalmente diverso.
Siamo arrivati, entriamo, adesso accenderò la televisione per le notizie, la mia badante si eclissa, i miei pensieri restano ancora con me. Eppure lo sbaglio c’è stato, e se penso intensamente a tutto quanto provo ancora un po’ di vergogna, di rabbia, e volontà di riscatto. Non posso annullare questa mia riflessione, tanto vale cerchi di allearmi con lei, di plasmarla fino quasi a farne il pensiero principale da cui ripartire. Già, perché qualsiasi errore prima o dopo si può sempre correggere.


Bruno Magnolfi  

lunedì 7 agosto 2017

Cambio di identità.

           

Sono perfettamente cosciente di ciò che mi viene riferito in questa stanza disadorna; naturalmente ascolto tutto quanto con molta attenzione ed intanto cerco di comprendere quale persona sia proprio quella che sembra aver agito esattamente come se fosse un’altra me stessa pur non essendolo. Abbasso la testa, non guardo nessuno, peraltro sono tutti uomini qua dentro esclusa me, e cerco con attenzione di non fare alcun accenno alle loro accuse, soprattutto evitando ogni espressione troppo esaustiva a margine delle parole che sottolineano tutti i fatti messi in elenco. Si comprenderà penso, prima o dopo, che non sono stata io a compiere quei gesti e quegli atti negativi. Ne sono certa, senza ombra di dubbio, per questo adesso non ho proprio niente da dire a mio discapito.
Non capisco neppure come la mia identità, o meglio quella di una donna che mi assomiglia molto, possa essere entrata in questa storia; mi pare impossibile che qualcuno mi sospetti di comportamenti così aberranti come dicono tutti, quando io non ne ricordo neppure una minima parte, tanto che pur essendo convinta che venga detta la pura verità sui fatti e su ogni vicenda, e che tutto quanto sia veramente accaduto, penso che tutto deve essere stato causato semplicemente da una persona che magari mi assomiglia e basta. Chiudo gli occhi: non è quasi possibile che possa essere accusata davvero di cose di quel genere, e forse per questo, per l’assurdità delle imputazioni che loro riferiscono, mi viene quasi da ridere. Rido difatti, anche sguaiatamente, senza decidere di fermarmi neppure quando mi invitano a farlo, ed i presenti proprio per lo stesso motivo si guardano tra loro, forse si formano così una qualche opinione più leggera nei miei confronti penso, anche se evidentemente almeno per adesso non si fidano affatto delle cose che tento di proporre a mio discapito.
Non sono io, dico alla fine, ed adesso sono loro che si mettono a ridere, visto che queste persone conoscono più cose nei miei confronti di quante almeno a tratti sembra ne sappia addirittura io stessa. Forse c'è qualcuno che ha rubato la mia identità dico, probabilmente c’è una sosia di me che sta mettendomi deliberatamente in questa posizione così difficile. Sembra un incubo, una storia impossibile messa in piedi per farmi quasi credere di essere un’altra. Riprendo a ridere, cosa mi importa, nessuno può farmi niente finché nego ogni addebito ed ogni responsabilità, anche se loro sono dei bravi poliziotti.
Dicono che ormai non ci sono dubbi e che io non possa fare altro che confessare, ma a me a queste parole viene naturale volgere lo sguardo da tutta un’altra parte, e disinteressarmi di ogni cosa. Loro scrivono, qualsiasi parola venga detta, anche quella appena accennata, o magari solo suggerita, e forse anche i miei stessi pensieri vengono tutti scritti dettagliatamente sulla carta. Poi una volta terminata la relazione mi dicono di firmarla, ma io non voglio firmare niente dico ad alta voce, e con questo ribadisco che tutto quanto hanno appena spiegato è semplicemente riferito ad una persona che non sono io, ad un’altra donna insomma. Si grattano la testa, dicono che adesso ricominceranno tutto dall’inizio, così partono a chiedermi il nome, il sesso, la data di nascita, il posto dove abito, ed è in questa maniera che io adesso mi invento di sana pianta un'identità che assolutamente non corrisponde a nessuna delle cose che loro dicono di me, riferendo dei connotati che sono di una qualche persona che nessuno neppure conosce, naturalmente perché frutto soltanto di questa mia fantasia.
Ed improvvisamente cambia tutto. Mi credono adesso, spiegano che  si sono convinti, dicono che a loro dispiace, ma che c'è stato un evidente errore di persona, poi si alzano, mi stringono la mano uno dopo l’altro, lasciano semplicemente che mi allontani, che vada via da lì. Esco quindi da quella stanza maledetta, e mi sento quasi incredula anche  se contenta: non sono mai stata così orgogliosa di me stessa come adesso penso; meglio cambiarsi personalità ogni tanto, rifletto mentre sono già arrivata in strada, almeno quando è possibile.


Bruno Magnolfi

venerdì 21 luglio 2017

Doppio comportamento.

      

            Quando mi metto fermo sulla strada, perfettamente immobile, sono sicuro che la gente non mi vede. Osservo un palo segnaletico, oppure la vetrina di un negozio, e nessuno mi nota, proprio come se non esistessi. Allora chiedo alla prima persona che mi passa proprio accanto: che ore sono, per favore; e quella mi risponde subito, con decisione, come se non aspettasse altro che qualcuno le chiedesse l’ora. Non guardo mai in faccia gli altri, neppure se mi stanno fornendo un’informazione che ho richiesto, e gli altri sembrano proprio accorgersene subito, così non cercano altro che andarsene via al più presto, dirmi ciò di cui ho domandato e dopo basta, ecco che si allontanano da me senza riguardi, velocemente, come fossi un appestato.
            Trascino i miei piedi in mezzo a questa gente, lascio che mi sfiorino, che qualcuno mi dia anche un piccolo strattone magari scusandosi immediatamente con un rapido gesto, e dopo via. Poi, mentre sto qui senza problemi, mi vedo davanti una persona che sembra proprio trascinare i piedi come me ed avere anche un comportamento simile al mio, così la scruto, mi immobilizzo come sempre e quella dopo un attimo si immobilizza esattamente come me, a dieci metri da dove io mi trovo. Vedo subito che chiede l’ora a qualcuno, e infine si muove, tira avanti nella stessa maniera di prima, lasciando che tutti gli altri le passino vicino. Mi incuriosisce tutto quanto, sono quasi sbalordito, così seguo quella persona per un buon tratto di strada, fermandomi ogni volta che si ferma lei e così via, quasi come in balletto sincronizzato.
Poi mi distraggo, non so come capita, forse la stanchezza, probabilmente il bisogno di preoccuparmi d’altro, e ad un tratto quella persona non c'è più, non è più davanti a me dov’era appena un momento prima. Guardo in giro, fermo una donna per chiederle se per caso qualcuno le avesse chiesto l’ora o anche qualche altra cosa del genere, ma sembra proprio di no, nessuno si è mostrato in questo modo, dice che nessuno stava fermo senza fare niente come dico io. Pare impossibile, per la prima volta trovo qualcuno che assolutamente mi assomiglia, una persona con la quale posso avere sicuramente una grande affinità, magari posso scambiare qualche informazione utile ad ambedue, e all’improvviso quella sparisce nel niente, come non ci fosse mai stata. Vado avanti, perlustro tutta la strada, mi fermo anche a guardare attraverso i vetri dentro qualche bottega lì vicino, eppure niente, sembra non ci sia proprio nulla da fare.
Riprendo i miei modi, mi immobilizzo ogni tanto e poi lascio alla gente la possibilità di ignorarmi come sempre; infine osservo i tempi di un semaforo, e guardo anche i cittadini entrare e uscire rapidamente da un palazzo composto da vari uffici pubblici, senza che nulla di tutto ciò riesca minimamente a meravigliarmi. Alla fine mi specchio dentro una vetrina giusto per fare qualche cosa, e mi accorgo subito che la persona è lì, dietro di me, mentre mi guarda e segue fedele ogni mio movimento. Evito di voltarmi e vado avanti lentamente fino alla vetrina dopo, poi torno a fermarmi. Quella persona è ancora dietro di me, esattamente come vorrei al suo posto fare io. Lascio scorrere qualche minuto, osservo tutte le cose che non mi interessano minimamente, ed infine, all’improvviso, inizio a correre in mezzo alla gente che mi guarda male mentre la schivo, fino ad arrivare al primo incrocio stradale. Mi volto subito, quella persona vedo adesso da lontano sta correndo come me, ma è molto più lenta, non può raggiungermi tanto facilmente. Entro in un portone socchiuso e dopo resto lì, ad aspettare che quella persona mi perda, si renda conto finalmente che riesco a sparire molto meglio di lei. Tiro un respiro quando mi passa davanti e se ne va: adesso posso tornare finalmente a fare ciò che voglio.


Bruno Magnolfi

lunedì 26 giugno 2017

Vero contro noia.



Sono stanco di queste giornate tutte simili, di queste apparenti convinzioni sempre identiche, ed anche di me stesso, incapace come mi sento di un salto di qualità sempre cercato ma forse con troppa scarsa convinzione, come una mancanza continua di quell’attimo carico di entusiasmo tale da riuscire ad imprimere ai miei tempi ed alle mie certezze una svolta concreta. Mi sento debole invece, incapace adesso di affrontare le novità che apparentemente più desidero, e così posso soltanto ricadere in ogni istante nella semplice monotonia e nelle abitudini. Questo è quello che penso ogni mattina, anche se subito dopo dimentico del tutto quanto ho riflettuto, e affronto la mia giornata di lavoro come fosse una qualsiasi passeggiata senza meta.
Il mio collega d’ufficio dice sempre che non c’è da preoccuparsi, le cose cambieranno completamente per tutti quanti siamo, senza neppure grande fatica. Gli dico che per me non chiedo molto in fondo, mi basterebbe qualche soddisfazione ogni tanto, senza neppure esagerare. Poi termina l’orario ed io esco come sempre, pronto per la mia camminata fino a casa. Mi fermo casualmente ad osservare la vetrina di un negozio, apprezzo alcuni articoli esposti in modo piacevole alla vista, tanto che ad un tratto decido di entrare dentro l’esercizio. Senza pensarci troppo, come seguendo l’onda emotiva che mi ha assalito in questo attimo preciso, decido di acquistare una balestra di precisione, uno strumento per il tiro al bersaglio estremamente tecnologico e potente, e con lo scatolone sotto ad un braccio me ne torno subito a casa.
Mi sento ricco, esuberante, completo adesso, ed appena solo dentro al mio appartamento apro tutte le confezioni e monto l’arma in ogni suo particolare, fino ad imbracciare la balestra e provare la forza che riesce ad avere contro il legno di un vecchio mobile in fondo al corridoio, che a breve distanza viene così sfondato completamente e senza alcuna fatica. Apro la finestra, mi mimetizzo subito coprendomi con la tenda appesa, e poi inizio a tenere sotto tiro, dopo aver ricaricato il dardo, qualcuno che passeggia lungo il marciapiede.
Non mi importa di niente e di nessuno, penso adesso, posso decidere qualsiasi cosa, mi sento pronto e capace ad affrontare qualsiasi avversità. Posso azzoppare qualcuno, oppure tiragli direttamente in qualche punto vitale, in modo da chiudere una volta per tutte la sua esistenza. Mi sento padrone di ciò che accade intorno a me, ed anche se ancora non ho trovato un motivo vero per fare tutto questo, però sono felice di poter mettere in atto delle conclusioni così estreme.
Poi, sotto un po’ di brezza la tenda si muove, si impiglia nel mio dardo appuntito, così provo un attimo di perplessità, qualche incertezza, e mentre nervosamente provo a togliere la stoffa davanti a questo mirino, parte inavvertitamente la freccia, andandosi a conficcare nel legno solido di un albero del giardinetto qua di fronte. L’ho colpito, penso subito, ho centrato perfettamente quello che volevo, adesso con calma devo soltanto uscire da casa ed andare a recuperare quanto ho scagliato. Ma forse potrei essere scoperto, rifletto, e tutto quanto diverrebbe qualcosa da cui prendere immediatamente le distanze, negando tutto, fino all’estremo. Così lascio perdere, smonto tutto e chiudo la balestra in un armadio: in fondo avrò tutto il tempo che voglio nei prossimi giorni per sentirmi di nuovo una persona vera.


Bruno Magnolfi