giovedì 26 gennaio 2017

Ferrovie statali.



Non è facile dormire ogni notte in questa carrozza abbandonata, in mezzo al vecchio scalo merci della stazione ferroviaria. Tutti vorrebbero poter usufruire di un posto proprio come questo, così devo stare sempre attento a non essere notato, e chiudere con cura ogni sportello dietro di me con la chiave triangolare. Si sentono i treni fischiare poco lontano, ci sono scambi e binari dappertutto, perché è qui dove compongono i convogli, ma si fa presto l'abitudine a tutto; il freddo di questo inverno invece è qualcosa a cui non si ci abitua, e ti attanaglia da vicino, nonostante tutte le coperte che sono riuscito a rimediare. Un giorno o l'altro mi manderanno via da questa cuccia, ne sono sicuro, ma sono disposto a fare un polverone in quel caso, in modo che per qualche via gli amministratori mi assegnino subito un posto in un alloggio.
A me piace stare qui, mi sento bene nonostante tutto. Vorrei avere anche qualcuno insieme a me, con cui parlare qualche volta, e condividere tutte le cose che mi trovo ad affrontare, ma non posso rischiare d’essere tradito. Utilizzo un percorso tra i binari, quando inizia a fare buio, per non far vedere a qualche curioso che vengo proprio qui, anche se sono certo, nonostante i miei stratagemmi, che mi seguiranno un giorno o l’altro, e chissà poi cosa potrà succedere. Quando vado alla mensa, gli altri mi chiedono spesso dove io stenda le mie vecchie ossa quando viene la sera, ma sono sempre riuscito ad essere evasivo, e a non spifferare mai neanche un indizio.
Durante il giorno me ne sto con gli altri, ci sistemiamo in un angolo fuori della mensa, i soliti tre o quattro, e anche se si parla poco stiamo lì, ad immaginare che tutto quanto stia improvvisamente per finire, e che tutto cambi in meglio anche per noi. Qualcuno se la prende con la disorganizzazione, altri con il disinteresse, ma la maggior parte accetta il proprio stato, senza stare a lamentarsene, forse perché sa bene che non serve proprio a nulla. Inutile raccontare a qualcun altro la propria storia, e magari dimostrare che è stata una serie di combinazioni sfortunate a ridurci in questo stato. Sta nelle cose, adesso è proprio toccata a me, tanto vale accettare quanto ci è capitato.
Poi me ne torno lentamente alla carrozza, mi spingo sui binari utilizzando un varco oltre la rete dopo alcune case cantoniere; mi dirigo verso una costruzione di controllo delle ferrovie in mezzo allo spiazzo, poi piego da una parte, e come tornando indietro scivolo via dietro al mio vagone immobile. Sento dei rumori, così mi schiaccio a terra, e aspetto in questa posizione di vedere se c’è qualcuno che sta arrivando proprio qui. Tutto fermo, non c’è nessuno, mi rialzo, e passando dalla zona in ombra sotto ai fanali in alto, raggiungo lo sportello. Apro, ma qualcuno è lì, dietro le mie spalle. Mi danno una spinta, cado a terra, entrano in due o tre prima che io possa dire una sola parola.
Sento che ridono mentre trovano tutte le mie cose, io mi rialzo e penso subito di scappare via da qui, prima che le cose peggiorino per me. Inutile parlare con gente come questa, non ascolterebbero neppure, mi darebbero un colpo sulla testa e via, senza preoccuparsi di nient’altro. Aggiro la carrozza, mi metto al riparo in un punto dove non posso essere visto, il freddo adesso si fa proprio sentire, proprio ora che gustavo già sopra di me la carezza calda del mio angolo sotto le coperte. Infine torno ad avvicinarmi allo sportello, che è rimasto aperto. I tizi sono ancora dentro, hanno una lampada tascabile, scrutano tutte le mie cose e gli scompartimenti, ma io prendo la chiave triangolare, chiudo la portiera e subito la blocco. Poi con tutta calma torno verso la stazione ferroviaria; al primo in divisa che riuscirò a trovare dirò che ci sono delle persone in quel vagone, e che non è bello lasciare che i barboni si approfittino così delle ferrovie statali.


Bruno Magnolfi

lunedì 23 gennaio 2017

Tornaconto personale.

            

Non interessa proprio niente questo cielo e quest'aria fresca, oppure anche il vento, che sia davvero così ghiaccio o meno, e che tutti proseguano a parlare continuamente di assurde novità. Io mi rannicchio nella mia stanzetta, osservo un punto nel niente, generalmente sul piano vuoto del tavolo, e lascio che le giornate trascorrano monotone, senza alcuna scadenza, evitando di pormi qualsiasi traguardo da raggiungere. Sono stanco di tutto quello che continua a succedere, vorrei che da un certo momento in avanti non si parlasse più assolutamente di niente, e che si rispettasse il sacrosanto diritto alla calma, al vuoto, all’assenza di enfasi e di emozioni.
Ho imparato a spengere la luce elettrica appena si fa buio a sufficienza, e ad accostarmi alla finestra per osservare senza essere visto la strada subito di fronte. Le persone passano, si fermano, parlano tra loro, a volte ridono e fanno dei gesti allargando le braccia o indicando qualcosa. Transitano vicino ai miei vetri: se volessi potrei addirittura fermare qualcuno, chiedergli delle cose, ascoltare meglio le voci che adesso avverto a malapena; ma a me non importa niente di tutto questo, mi basta sapere che le persone sono lì, come sempre, a credere che sia ancora possibile scambiarsi opinioni, dialogare di interessi comuni, e sentirsi più ricchi e aggiornati soltanto per avere saputo qualcosa che fino adesso magari hanno soltanto immaginato. 
Non c’è nulla oltre le loro speranze, rifletto, niente che possa davvero assumere il senso di qualcosa che procede, progredisce, che migliora. E’ tutto identico, vorrei dire alla gente, sono soltanto illusioni quelle che continuate a scambiarvi tra di voi, sarà sempre tutto uguale, con un semplice alternarsi di tipologie che provocano la sensazione del movimento, del cambio, della progressione, ma che invece lascia sempre ogni cosa nella stessa maniera, come è sempre stata.
Riaccendo la luce, torno al mio piano del tavolo, liscio, nudo ed insulso, che accoglie comunque il mio sguardo come per lasciarlo riposare. Vedo qualcosa davanti a me, i miei desideri innanzitutto, mentre si fanno logica continuazione di ogni mio pur piccolo sforzo. Sopra al tavolo sono rimaste delle briciole di pane, simbolo di quella quotidianità di cui mi avvolgo per tutto il giorno restando qui seduto. Non mi aspetto niente, naturalmente, se non restare quello che sono il più possibile, fino ai margini estremi.
Qualcuno bussa, apro la porta della mia stanzetta, e scopro che un conoscente che frequentavo parecchio tempo fa, è venuto chissà come fino alla mia tana a farmi visita. Lo lascio entrare, è tanto che non ci vediamo, così lo fo sedere davanti a me, ed alle sue domande gli spiego subito le mie giornate, il mio scorrere del tempo, le sensazioni pur piccole e poco essenziali che provo normalmente. Lui ascolta, forse non mi segue neppure nei miei ragionamenti, infatti si alza, va fino alla finestra, guarda fuori. Dice all’improvviso che non posso pensare sul serio le cose che gli sto dicendo. Mi zittisco, sapevo fin dall’inizio che non dovevo parlargli affatto delle mie teorie. Lui sembra subito quasi alterato, e poco dopo difatti se ne va, lasciando soltanto che io gli apra la porta e scambi con lui un semplice saluto frettoloso.
Torno alla finestra: mi pare che ci sia qualcosa di diverso che si muova adesso tra tutte le persone, come qualcuno che ordisca un complotto, informando poco alla volta tutti gli altri. Non so, chiudo le tendine per neutralizzare quel senso di curiosità che forse mi prende, così torno a sedermi al tavolo, e lascio che il vuoto della mia stanza mi riprenda completamente con sé, e che la calma di sempre torni ad essere regina del mio tempo. Se succederà qualcosa, penso, forse lo saprò per ultimo. In ogni caso potrò sempre dire a mia discolpa che non era per me di alcun interesse.


Bruno Magnolfi

martedì 17 gennaio 2017

Mancanze indiscutibili.

       
Tutto sommato vorrei fare anche io quello che fanno tutti gli altri, perché non mi basta più svegliarmi presto la mattina, organizzare alla svelta tutti i miei pensieri, e infine scegliere con parsimonia le varie attività di cui occuparmi durante la giornata. Vorrei qualcosa in più, sentirmi in mezzo a quella gente a cui forse assomiglio, con cui posso parlare, scambiare delle opinioni senza pretese, quasi comuni, avendo soprattutto piena certezza di essere compreso da tutti loro.
Esco da casa, arrivo fino al supermercato, acquisto velocemente tutto ciò che mi serve e lo infilo in una busta. Poi mi guardo intorno, e mi sento già abbastanza impegnato, assorbito da quei comportamenti anche se in fondo sembrano ordinari e necessari, però anche concreti; così infine torno nel mio appartamento, e mentre sistemo nella dispensa le compere che ho fatto, sento inevitabilmente di avere già perduto una parte almeno di tutto il mio entusiasmo. Quando esco di nuovo, le attività delle persone mi sembrano adesso più estranee ai miei pensieri, e vedo attorno a me la gente camminare sopra ai marciapiedi, ognuno di loro impegnato per i fatti propri, tanto che anche io come tutti cerco di assumere il medesimo comportamento, anche se adesso non mi pare di assomigliare proprio a nessun altro. Entro in un caffè, cerco di attaccare discorso con qualche sfaccendato, tanto per scambiare quattro chiacchiere, ma sembra abbiano tutti molta fretta, esclusa una signora, grande fumatrice, che giustifica il suo recarsi in quel locale soltanto perché fornito delle sue amate sigarette.
Dice, guardando l’orologio, che deve prendere un traghetto per le isole, sembra anche nervosa per questo motivo, anche se non ne capisco appieno la ragione, e così io l'accompagno fino al porto, mentre lei continua tutto il tempo a fumare e a parlarmi della sua famiglia. Io non dico niente, mi limito ad annuire e a cercare di comprendere almeno in parte il suo punto di vista, anche se mi rimane molto distante; infine la lascio, e lei senza troppi saluti sale sulla passerella di una nave che sta già scaldando i suoi motori per partire. Il mare fuori dal molo dicono sia molto agitato, la traversata non sarà uno scherzo, penso, e in ogni caso non mi attira in questo momento quell'acqua fredda e burrascosa, anche se ritengo di dover considerare quella come una vera e propria sfida che prima o dopo ciascuno di noi deve affrontare. Per questo mi informo sugli orari di partenza delle altre navi durante la giornata, ma alla fine me ne disinteresso, torno sui miei passi e mi accosto a un pescatore che sta riparando la sua rete nell’attesa che migliori il tempo.
Torno verso casa, le persone adesso mi sembrano quasi brutali, ognuna piegata attorno alle sue cose: corrono, alzano una mano in segno di dissidio, si lanciano a vicenda urla e imprecazioni quasi per niente, e alla fine nessuno di loro appare un po’ sereno. Entro in un negozio dove vendono del pane, e mi faccio dare una focaccia. Qualcuno mi guarda di traverso, tutti pronti a vedere se ho davvero con me i soldi per pagare, ma io bofonchio qualcosa al loro indirizzo e torno sulla strada. Adesso vorrei che la signora fumatrice fosse ancora qui, con me, che mi spiegasse qualcosa che mi sfugge: soprattutto il motivo per cui a nessuno tra coloro che incontro per la strada gli venga mai in mente di battermi una mano sulla spalla e dirmi che va davvero tutto bene, che le mie maniere sono quelle giuste, e che siamo tutti amici, ci possiamo aiutare, ed è certo come non ci siano assolutamente dei problemi. Mi sento solo, lontano dagli altri, per questo prima o dopo vorrei davvero attraversare il mare: proprio per arrivare a scoprire se da un’altra parte esistono quegli elementi che adesso paiono sfuggirmi, sembrano assenti, e soprattutto in nessun modo fanno parte purtroppo delle mie giornate.

Bruno Magnolfi 


martedì 10 gennaio 2017

Talismano necessario.

            

La prima stanza è completamente vuota. Non che mi attendessi qualcosa di diverso, soltanto immaginare un fatto e dopo trovarne la lineare conferma, è sempre un elemento che mi lascia un po’ perplesso. Ed in effetti, guardando con maggiore attenzione, vedo in un angolo un oggetto, una piccola scatola di latta, senza nulla al suo interno, ma che forse indica in qualche modo quale dovrebbe essere lo spirito di chi sta passeggiando da queste parti. La prendo, mi piace, la adotto come fosse un talismano, e la infilo subito in una tasca; quindi proseguo, anche se non so esattamente cosa dovrei ancora trovare. Un primo pezzo di corridoio mostra una finestra, sul fondo, che sembra dare luce a tutto il resto. A passi calmi arrivo fino lì, guardo per curiosità fuori dai vetri, e mi rendo conto che di fronte a me c’è un altro caseggiato, apparentemente del tutto simile a quello in cui mi trovo, con una finestra proprio dirimpetto, e lì, mentre mi sta guardando fisso dietro alle tende, noto una persona che non ho mai visto prima d'ora.
Rientro, torno lungo il corridoio, mi infilo in una nuova stanza dove è stato accatastato tutto il mobilio che  probabilmente era presente all’interno dell’appartamento, prima dello sfratto definitivo del suo inquilino. Ci sono sedie, tavoli, mobilia di ogni genere, ma da una parte anche delle casse piene di oggetti e di coperte polverose. Immagino per un attimo quelle pareti piene di vita quotidiana, le risate dei bambini, una radio accesa, qualcuno che parla a voce alta dal corridoio, mentre si toglie la giacca rientrando in casa. Torno indietro, c'è un'altra porta, ed un salone luminoso, dal pavimento in marmo. Non la sento mia questa abitazione, anche se è certo che la trovo bella, interessante. Forse è davvero come un foglio bianco su cui scrivere o disegnare ciò che si vuole, però qualcosa pare remarmi contro, anche se non sa capire cosa.
Entro in cucina, è ampia, ci sono in giro ancora alcune attrezzature, così apro un rubinetto dell'acqua quasi per assaporare un segno di vita effettiva, e quella sgorga, forse all'inizio solo leggermente torbida, ma in seguito perfettamente trasparente e limpida. Cerco qualcosa, un elemento che mi faccia capire in quale modo possa essere effettivamente questa l’abitazione che vado cercando, così osservo ogni particolare, memorizzo qualsiasi elemento pur di poco conto che mi aiuti nella decisione. Torna la persona dell’agenzia che poco fa mi aveva fatto entrare, sorride per mestiere, riprende a dire che ci sono una serie di vantaggi in questo immobile, e me li elenca senza che io riesca minimamente ad interromperlo. Gli dico che sono già riuscito a vedere tutto quanto, e che non mi sento troppo convinto, devo riflettere con calma, in fondo cambiare casa non è un’azione che si compie tutti i giorni, così ho bisogno di pensare bene a ciò che sto per fare.
L’uomo dell’agenzia naturalmente mi dà piena ragione, e taglia corto, perciò in un attimo ci ritroviamo sopra al pianerottolo e ci salutiamo, assicurandoci di risentirsi a breve. Mi fermo sulla strada, davanti al portone, e vedo che la persona notata poco prima dalla finestra adesso è qui, e mi sta passando proprio accanto. Si ferma, mi guarda, dice: non lo prenda questo appartamento: ha qualcosa al suo interno che non va, nessuno ci si è mai trovato bene. Lo guardo; grazie, gli dico. Poi, quasi soprappensiero, tiro fuori la scatola di latta, il mio sciocco talismano, la guardo ancora per un attimo, e infine la consegno nelle mani di quest’uomo così bravo da togliermi con due parole una seria preoccupazione. Grazie ancora, dico sottovoce, e vado via.


Bruno Magnolfi