giovedì 9 febbraio 2017

Come un pesce fuori dall'acqua.

            

Forse dovrei smettere di pensare le cose sempre nella stessa maniera. Forse esiste anche il modo di evitare questi soliti luoghi comuni in cui regolarmente mi rifugio: l’uso continuo delle frasi fatte, questo lasciarmi andare a grasse risate superficiali con la gente che conosco da sempre, perdermi dietro delle attività del tutto inutili; tanto più che mi rendo conto perfettamente di quanto queste espressioni di vita non mi aiutino neppure a sentirmi particolarmente sereno. Mi guardo attorno da questa finestra all’ultimo piano del palazzo popolare dove abito da anni, mentre sono in attesa degli altri per la solita partita a carte del pomeriggio. C’è il sole oggi, si sta bene con questa luce, e a me piace osservare la città che si erge qua attorno, anche se mi pesa sempre di più cedere quasi ogni giorno a queste abitudini, parlare con gli altri delle solite cose, resistere alla voglia sempre più forte di lasciar perdere tutti e andarmene da qualche altra parte. 
Preparo il tavolo svogliatamente, le sedie, le carte da gioco, qualcosa da bere che una volta ogni tanto acquistiamo tutti insieme dentro al supermercato. Stando qui forse ci immaginiamo di stare lontani da tutto, e che il tempo ci conceda una pausa, come se rallentasse, senza chiederci niente nel cambio. Invece vorrei smettere con queste sciocchezze, trovare la maniera per guardare quanto mi sta circondando con maggiore serietà, con spirito critico, coltivando l’esigenza di inseguire una metamorfosi interna. Da qualche tempo ritrovarci qua sopra mi pare sempre più il tentativo di sentirsi come dei ricchi annoiati, paghi del loro essere inutili, tanto più che al contrario di loro stiamo qui anche perché non abbiamo neppure i quattrini per andarcene altrove.
Poi arrivano tutti, abitano ai piani inferiori, sono persone che come me hanno poco altro da fare nelle loro giornate, e così ci vediamo nel mio appartamento, come per una normale abitudine. Prima di impegnarci nella solita partita si scambia qualche parola, ci impegniamo a trovare delle nuove battute, anche se in fondo ci diciamo soltanto le solite cose, parliamo in negativo di qualche assente che ben conosciamo, tanto per risultare migliori di tutti, e fingiamo di essere amici, ma è solo perché ci sentiamo soltanto nella medesima situazione. Si danno le carte, iniziamo a giocare, ma dopo un attimo mi alzo, vado in un’altra stanza, mi guardo in uno specchio appeso sopra ad una parete, e decido che adesso è il momento di smettere.
Così torno dagli altri, dico che oggi non me la sento di giocare con loro, non mi pare neanche di sentirmi benissimo, ed è meglio se rimandiamo quella partita, e che magari mi farò vivo io nei giorni seguenti. Perplessi loro si alzano e se ne vanno, in fondo senza chiedermi troppo, come rendendosi conto che qualsiasi periodo della vita prima o dopo trova una sua conclusione. Hanno visto la mia faccia seria, i miei modi scostanti, il mio evidente bisogno di stare da solo, forse per meditare qualcosa che a loro non riuscirei nemmeno a spiegare, e che tutti quanti non sarebbero neanche capaci di comprendere bene.
Attendo qualche minuto, infine indosso la giacca ed esco anche io, forse per andarmene in giro a cercare qualcosa di cui non so ancora nulla. Giro parecchio, mi stanco, infine rientro. Non è tutto uguale, penso guardando di nuovo lo specchio: posso trovare il modo di cambiare le cose, dico tra me; basta che davvero lo voglia.


Bruno Magnolfi

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