Certe volte mi ritrovo ad
ascoltare con curiosità tutti i più piccoli rumori che dal vano scale del
palazzo dove abito giungono fino nel mio piccolo appartamento. Appoggio con
attenzione l’orecchio all’interno della mia porta ben chiusa, e riesco quasi
sempre a distinguere in questo modo i passi di chi scende oppure sta salendo,
riconoscendo spesso dai loro modi alcuni tra tutti i coinquilini che normalmente
incontro lungo le scale. Non che mi interessi particolarmente di sentire il
rumore delle scarpe di quello o di quell’altro, e non sono neppure troppo
curiosa degli orari in cui escono dal proprio appartamento oppure ci rientrano;
soltanto qualche volta mi prende quasi improvvisa la certezza che sia proprio
lui in quel dato momento a camminare sopra al pianerottolo davanti al mio
uscio. Lui è alto, forte, gentile, o almeno così è come me lo immagino sempre,
appena lo sento traversare quel piccolo spazio davanti alla mia porta. Soltanto
qualche volta ho avuto il coraggio di aprire di scatto, fingendo naturalmente
di uscire da casa per un qualche motivo, e così ho riscontrato che era davvero
il mio vicino, riconosciuto proprio dalla sua camminata, anche se oltre ad un
saluto doveroso, non mi sono mai permessa di concedergli alcuna confidenza.
Inizialmente lui mi salutava in
modo piuttosto impersonale, senza guardarmi neanche più di un attimo, ma da
qualche tempo ho notato che mi sorride in maniera più diretta ed amichevole.
Sua moglie al contrario è una persona secondo me del tutto insopportabile: lì
guardo dalla finestra quando certe volte escono insieme, e so per certo che lui
non è contento, così come sono convinta sempre di più che qualcosa stia come
scricchiolando in quel loro rapporto, naturalmente senza che nulla mai trapeli
dalle mie espressioni o dal saluto che dispenso identico a loro due come a
tutti i miei vicini di casa e coinquilini di questo palazzo. Immagino che uno
di questi giorni lui mi fermi proprio in mezzo all'ingresso, e con una scusa
qualsiasi mi guardi con più calma nel fondo degli occhi, forse per sincerarsi di
qualcosa di necessario che forse fino a questo momento gli è apparso persino
troppo sfuggente.
Non è bello, devo essere sincera,
però è il tipo di persona che con niente ti fa perdere la testa, tanto che mi
sento quasi svenire le volte che riesco davvero ad incontrarlo. Non so quasi
niente di lui, non mi sono mai neanche azzardata a chiedere a qualcuno sue
notizie, e poi forse non mi importa neanche niente di sapere dei fatti suoi: mi
basta sentire quei suoi passi ritmati lungo le scale, osservarlo magari dalle
spalle mentre sta scendendo, e immaginare quali pensieri possono scorrere in
quell'attimo dentro la sua testa. Mi piace sapere che lui percorre queste scale
ogni giorno, abitando al piano sopra al mio appartamento, ed ogni volta che mentre
passa semplicemente sfiora la porta della mia casa; magari getta pure
un’occhiata sopra la maniglia, o sulla targhetta con sopra il mio nome, forse
addirittura immaginando che in quel determinato momento io stia proprio tra
queste mie mura, nell’attesa che qualcuno, esattamente come lui, per completare
il mio sogno, venga anche distrattamente per una volta a suonare questo mio
campanello.
Vorrei avere il coraggio di
fermarlo, un giorno di questi, magari mentre lo incontro appunto sopra a questo
pianerottolo. Potrei chiedergli di passare un attimo da me, anche per farsi
vedere, per farmi sentire bene tutta la sua voce, e magari sedersi al mio tavolo,
giusto per parlare di qualcosa, senza alcun impegno, casomai soltanto per
lasciarmi proseguire per un attimo ad osservarlo senza quella timidezza che
provo sempre fuori da qui. Gli stringerei in quel caso soltanto la mano, probabilmente,
assumendo la mia espressione più languida ed assorta, e gli spiegherei velocemente
di non azzardarsi mai più a salutarmi e a sorridere mentre lo incrocio lungo le
nostre scale: potrei morire, gli direi; anche senza avere un altro valido motivo
per farlo.
Bruno Magnolfi
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