giovedì 20 aprile 2017

Tutto fuori dall'uscio.

           

Certe volte mi ritrovo ad ascoltare con curiosità tutti i più piccoli rumori che dal vano scale del palazzo dove abito giungono fino nel mio piccolo appartamento. Appoggio con attenzione l’orecchio all’interno della mia porta ben chiusa, e riesco quasi sempre a distinguere in questo modo i passi di chi scende oppure sta salendo, riconoscendo spesso dai loro modi alcuni tra tutti i coinquilini che normalmente incontro lungo le scale. Non che mi interessi particolarmente di sentire il rumore delle scarpe di quello o di quell’altro, e non sono neppure troppo curiosa degli orari in cui escono dal proprio appartamento oppure ci rientrano; soltanto qualche volta mi prende quasi improvvisa la certezza che sia proprio lui in quel dato momento a camminare sopra al pianerottolo davanti al mio uscio. Lui è alto, forte, gentile, o almeno così è come me lo immagino sempre, appena lo sento traversare quel piccolo spazio davanti alla mia porta. Soltanto qualche volta ho avuto il coraggio di aprire di scatto, fingendo naturalmente di uscire da casa per un qualche motivo, e così ho riscontrato che era davvero il mio vicino, riconosciuto proprio dalla sua camminata, anche se oltre ad un saluto doveroso, non mi sono mai permessa di concedergli alcuna confidenza.
Inizialmente lui mi salutava in modo piuttosto impersonale, senza guardarmi neanche più di un attimo, ma da qualche tempo ho notato che mi sorride in maniera più diretta ed amichevole. Sua moglie al contrario è una persona secondo me del tutto insopportabile: lì guardo dalla finestra quando certe volte escono insieme, e so per certo che lui non è contento, così come sono convinta sempre di più che qualcosa stia come scricchiolando in quel loro rapporto, naturalmente senza che nulla mai trapeli dalle mie espressioni o dal saluto che dispenso identico a loro due come a tutti i miei vicini di casa e coinquilini di questo palazzo. Immagino che uno di questi giorni lui mi fermi proprio in mezzo all'ingresso, e con una scusa qualsiasi mi guardi con più calma nel fondo degli occhi, forse per sincerarsi di qualcosa di necessario che forse fino a questo momento gli è apparso persino troppo sfuggente.
Non è bello, devo essere sincera, però è il tipo di persona che con niente ti fa perdere la testa, tanto che mi sento quasi svenire le volte che riesco davvero ad incontrarlo. Non so quasi niente di lui, non mi sono mai neanche azzardata a chiedere a qualcuno sue notizie, e poi forse non mi importa neanche niente di sapere dei fatti suoi: mi basta sentire quei suoi passi ritmati lungo le scale, osservarlo magari dalle spalle mentre sta scendendo, e immaginare quali pensieri possono scorrere in quell'attimo dentro la sua testa. Mi piace sapere che lui percorre queste scale ogni giorno, abitando al piano sopra al mio appartamento, ed ogni volta che mentre passa semplicemente sfiora la porta della mia casa; magari getta pure un’occhiata sopra la maniglia, o sulla targhetta con sopra il mio nome, forse addirittura immaginando che in quel determinato momento io stia proprio tra queste mie mura, nell’attesa che qualcuno, esattamente come lui, per completare il mio sogno, venga anche distrattamente per una volta a suonare questo mio campanello.
Vorrei avere il coraggio di fermarlo, un giorno di questi, magari mentre lo incontro appunto sopra a questo pianerottolo. Potrei chiedergli di passare un attimo da me, anche per farsi vedere, per farmi sentire bene tutta la sua voce, e magari sedersi al mio tavolo, giusto per parlare di qualcosa, senza alcun impegno, casomai soltanto per lasciarmi proseguire per un attimo ad osservarlo senza quella timidezza che provo sempre fuori da qui. Gli stringerei in quel caso soltanto la mano, probabilmente, assumendo la mia espressione più languida ed assorta, e gli spiegherei velocemente di non azzardarsi mai più a salutarmi e a sorridere mentre lo incrocio lungo le nostre scale: potrei morire, gli direi; anche senza avere un altro valido motivo per farlo.

Bruno Magnolfi


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