mercoledì 31 maggio 2017

Intuito autocritico.

         

Mi facevo vedere solo una volta ogni tanto da quei soliti militanti che si riunivano presso la loro sede, che poi era un semplice appartamento al piano terra con il giardinetto sul retro, tanto che l’ultima volta diverse persone che continuavo a salutare con espressioni compiaciute purtroppo non ricordavano neppure il mio nome. Sorridevo, come sempre in casi del genere, poi magari prendevo qualcosa da bere con una certa indifferenza, e continuavo ad oscillare tra i pochi capannelli che si formavano prima della solita relazione introduttiva all’assemblea.
Non c’è niente di male in tutto questo pensavo, però le mie più forti preoccupazioni non sono mai neppure contemplate nei discorsi che si tengono in queste riunioni. Così durante quell’ultima volta alzai la mano, ricordai a tutti il mio nome mentre mi sollevavo dalla sedia, poi sorridendo, ma non per timidezza, dissi che il mio disagio era dato dal fatto di non riconoscere i miei pensieri in nessuno dei loro argomenti.
Ci sono cose che mi svegliano durante la notte; intuizioni che mi portano estremamente vicino a quanto potrebbe essere auspicato da tutti. C’è una sensibilità nell’aria che pure a me certe volte purtroppo mi sfugge, e allora la cerco addosso a chi trovo attorno, perché so per certo che dentro tutto ciò sta quanto di meglio si possa auspicare per noi. Mi piacerebbe regalarvi un gesto che esprimesse appieno quanto vi dico, nell’attesa coerente che sappiate decifrare alla perfezione ciò che vi è definito. L’analisi delle cose è difficile, ma sono convinto che pur approfondendola per quanto si possa, non ci porterà mai molto in avanti.  
Oggi parlare è una grande responsabilità. Tutte le parole hanno un peso, immaginarsi di usarle soltanto per incensare la propria causa è qualcosa che crea inganno e porta le opinioni fuori da un tragitto minimamente logico. Forse è il silenzio il miglior luogo d’arrivo, l’accettazione incondizionata di un punto di vista talmente autocritico da rendersi neutro, lasciando così le opinioni un semplice retaggio di un’epoca oramai già al tramonto.
Naturalmente nessuno era d’accordo, però tutto questo spostava di molto il pensiero generale, tanto che nessun intervento tra quelli che seguirono il mio, riuscì a non fare i conti con quanto ero riuscito fin qui a sostenere. Terminata la riunione come già mi ero aspettato fui fermato da tutti, in quanto si voleva conoscere fin nel dettaglio quanto ero riuscito a mettere a fuoco, ma io promisi a chiunque che nei giorni seguenti avrei promulgato una circolare in modo da produrre ulteriore chiarezza, e così me ne andai.
Non c'è niente di male rifletto adesso, se invece che spingere sempre in avanti delle opinioni che tentano di aderire a dei presunti fatti concreti, si cerca di misurarsi con le proprie incapacità ad essere sempre propositivi, evitando una buona volta argomenti incoerenti e lungaggini pretestuose. Anche se alla fine, quando ci sarà da schierarsi, prenderò come tutti una posizione precisa.


Bruno Magnolfi

lunedì 29 maggio 2017

Scuse del caso.

            

Sono quasi indifferente a quanto mi circonda. Cammino con gli altri, in mezzo a tutti gli altri, e non mi sento mai completamente da solo, proprio perché sono orgoglioso di me stesso e del mio sentirmi in questa maniera. Incontro un mio conoscente che mi saluta, ed io gli lancio un semplice cenno senza importanza: scusi, mi dice invece quello, ma lei, visto che si è lasciato recentemente intervistare anche da un operatore della televisione locale, non potrebbe pubblicamente evitare di parlare dei soliti problemi che affliggono questo quartiere? Credo proprio che una persona della sua stoffa e del suo carisma riesca ad attrarre anche troppe attenzioni su certe cose del tutto negative. Lo guardo, tengo un’espressione severa, neanche troppo sorpresa, ed infine dico solo che forse si sta semplicemente sbagliando, non sono io la persona che crede, e poi, in quella semplice intervista a cui accennava, parlavo soltanto di me stesso, e di nient’altro. Quello invece mi guarda con maggiore attenzione, dice che non ha alcun dubbio, sono proprio io quello che diceva che va tutto male e che ogni cosa fa schifo, è apparso anche il mio nome in sovrimpressione sul video, e mentre parlavo sembrava volessi scagliarmi un po’ contro tutti. Adesso non ho tempo per ribattere, gli dico con un gesto di disappunto; ma quello insiste, vuole proprio che mi faccia sentire con le persone che contano, e che se è proprio vero quello che dico in questo momento, spieghi loro con esattezza e precisione che non volevo intendere affatto quello che è stato trasmesso.
Ma è proprio così, gli dico con enfasi, non ho mai parlato male di niente e di nessuno, ci deve essere un errore di persona, oppure sono stato fregato da un falso montaggio di uno stupido servizio giornalistico. Quello mi guarda, probabilmente non crede una parola di ciò che sostengo, in ogni caso non trova qualcosa dentro di sé per ribattere con forza ciò che gli dico. Non ho neanche visto il servizio, gli spiego, mi sono soltanto fidato di chi mi ha fatto appena un paio di domande, questo è sicuro, perciò non posso ancora dire niente; e con queste parole me ne vado, passo oltre, senza salutarlo neppure, tanto mi sento irritato.
Adesso mi sembra che tutti quanti coloro che incontro mi guardino con espressioni accigliate, al punto che vorrei quasi fermare tutti questi per strada, dire a voce alta e decisa che non ho affatto detto le cose di cui mi si accusa, ma alla fine l’unica maniera di comportamento che riesco ad avere è quella di allungare il più possibile il passo e rientrare il più velocemente possibile nella mia casa. Appena arrivato prendo immediatamente il telefono e chiamo la redazione televisiva, però mi risponde una ragazza che mi tiene in attesa nonostante le faccia perfettamente comprendere l’importanza che ha quello di cui devo parlare. Cade la linea, richiamo, dico le medesime cose, attendo, alla fine mi passano qualcuno che neppure conosco, così dico con voce alterata che il servizio messo in onda è stato truccato e che io non ho detto niente di ciò che mi è stato affibbiato, ma quello sta calmo, mi dice che deve verificare, poi resta in silenzio. Non c’è niente di male, dice alla fine, ci può anche essere stato un errore, dobbiamo solo sincerarci di tutto; e se è proprio così, vedrà, le invieremo per scritto le scuse del caso.


Bruno Magnolfi

mercoledì 24 maggio 2017

Logiche conseguenze.

           

Non sono affatto quello che sembro, rifletto spesso dentro di me; e di questo ne sono assolutamente cosciente, anche se c'è sempre qualcuno il quale magari lo può probabilmente sospettare, ma che alla fine è facile forse stenti a crederlo veramente. Intorno a me in certe giornate si radunano sempre due o tre conoscenti, persone che conosco da molto tempo, che si divertono già da lontano a chiamarmi ad alta voce, magari giusto poi per fare in mia presenza quattro chiacchiere soltanto tra loro. Mi trovano sempre in questo cortile dove trascorro quasi tutti i pomeriggi; loro si avvicinano, mi dicono qualcosa, mi battono la mano sopra le spalle, ed hanno quasi sempre una gran voglia di scherzare, ed anche se sanno che io non parlo mai con nessuno, mi danno corda con delle domande da furbi, forse perché sorrido sempre a chiunque, e li saluto anche con il mio solito cenno della testa, rimanendo comunque sempre voltato verso l’ingresso principale dello spiazzo, come a mostrare che sono qui soltanto perché sto aspettando qualcuno, un altro conoscente magari, o forse una ragazza, probabilmente quella stessa di cui tutti mi chiedono, ma che io non conosco e non ho ancora mai visto.
Loro credono che a me non interessi un bel niente di quello che capita certe volte da queste parti, degli urli che si sentono giungere dalle finestre dell’ultimo piano ad esempio, che mostrano con chiarezza come vadano le cose in quell’appartamento. Oppure della gamba matta del pensionato che in certi giorni lo fa diventare pazzo dall’uggia e dal dolore nel trascinarla fino qui. Mi dispiace, questo è il punto, anche se in genere non lo lascio vedere a nessuno, e al contrario cerco di mostrare a tutti la mia indifferenza, perché la mia è quasi una personale difesa, un modo come un altro per non rispondere mai ad alcuna domanda mi venga rivolta.
Certo mi piacerebbe avere davvero una ragazza da mostrare a questa gente del vicinato sempre pronta a prendere in giro, e far vedere a tutti che non sono ritardato come molti pensano sia, e che se non parlo è solo per una scelta personale, e non perché usare le parole in certi casi mi risulta piuttosto difficile. Soprattutto vorrei far vedere che anche io ho dei sentimenti, proprio come gli altri, e che se sono uno che se ne sta tutti i pomeriggi in questo cortile è soltanto perché in questo modo i miei familiari stanno tranquilli, dandomi un’occhiata ogni tanto dalla finestra e proseguendo nell’appartamento dove abitiamo ad occuparsi delle loro cose.
Mi piace comunque quando tutti mi salutano, e sono anche contento di dare alle persone che mi conoscono la possibilità di dirmi qualcosa mentre attraversano questo grande cortile condominiale, anche se non vorrei mai che qualcuno si approfittarne di me, della mia facilità nel credere a tutto quello che mi viene raccontato. Perciò a volte penso che uno di questi giorni devo smetterla una buona volta di sorridere sempre a questi miei amici, e magari non fare più ad alcuno neppure il solito cenno di saluto con la testa: mi piacerebbe tanto si accorgessero tutti improvvisamente che oramai sono un uomo, e che non ho più tanta voglia di essere preso in giro da loro, visto che se fino adesso sono sempre stato buono e cortese con coloro che in qualche modo mi hanno cercato, in seguito posso mostrare con grande evidenza che le cose qualche volta riescono persino a cambiare.


Bruno Magnolfi

mercoledì 17 maggio 2017

Oggetti ordinari.

            

Sono disperato. Guardo fuori l’aria fresca di questa stagione che muove leggermente le foglie degli alberi, e tutto mi appare lontano, come se fossero immagini trasmesse in registrata. Mi concentro su dei piccoli oggetti di cui mi sento legittimo proprietario, e torno ad osservare l’orologio, il portafogli, anche questo taccuino per gli appunti. Non c'è niente di buono in quello che faccio, rifletto, se non mandare avanti sostanzialmente per abitudine le attività ordinarie di una persona qualsiasi come sono io.
Telefono ad un amico, ci parlo per un minuto, poi gli chiedo di passare se gli va da casa mia. Lui accetta, e dopo un po’ eccolo qui, nel disordine consueto del mio piccolo appartamento, proprio come volevo. Ma adesso che credevo di poter spiegare accuratamente a lui tutte le mie preoccupazioni non so più che cosa dirgli, e così mi invento qualche battuta di spirito, qualche storiella senza grande significato. Alla fine usciamo, prendo la giacca, si scendono le scale, siamo in strada. Lui dice mentre camminiamo che non devo essere così apprensivo, e lasciare al contrario che le cose scorrano per il proprio verso, smettendo, in misura maggiore o minore, di pensare continuamente a come poterle in qualche modo variare.
Annuisco, probabilmente sarebbe meglio per me comportarmi in questo modo penso; purtroppo ho sempre creduto di poter essere al di sopra di certi particolari, anche se una punta di malessere dato dai miei comportamenti sono cosciente di averla sempre avuta, sin da quando ero un ragazzo. Sorrido, offro un caffè al mio amico, così entriamo in un locale, ci diciamo ancora qualche cosa, poi lui guarda l’orologio e così ci salutiamo in questo modo, ognuno diretto verso i propri interessi. Certe volte vorrei avere la forza di parlare con gli altri senza cercare le parole giuste, sparando quello che mi passa in quel momento per la testa, scomodo o difficile che sia, però con gli anni ho forse imparato ad accettarmi per come sono, e quindi alla fine non devo almeno ricominciare a ripensare tutto, fino dagli inizi.
Torno nel locale e mi siedo ad un tavolo libero; guardo ancora l’orologio, il portafogli, il taccuino per gli appunti. Una donna da sola accanto a me sorride immaginando le mie perplessità, le faccio un gesto di sconforto, lei mi guarda forse con un briciolo di comprensione. Continuo ad appuntare le cose che mi vengono alla mente, poi mi inceppo, strappo il foglio e accartoccio tutto in una tasca. Sono proprio un disperato, dico alla donna, per ritrovarmi a scrivere le cose piuttosto che viverle come fanno tutti. Lei si alza, viene al mio tavolo, si siede, poi dice che trova tutto questo assolutamente naturale: c’è soltanto da accordarsi su quale sia il punto di vista da cui si guarda tutto quanto. Forse, le dico; in ogni caso è probabile che la mia sia soltanto un’inadeguatezza a trovare ogni tanto un briciolo di serenità; e a questo punto tanto vale rassegnarsi. Mi resta comunque l’orologio, il portafogli, ed anche il taccuino.


Bruno Magnolfi

giovedì 11 maggio 2017

Proprio smaccato interesse.

           
Sono il migliore. Anche quando una sottile corrente d’aria mi sfiora, respiro con profondità, ossigeno con calma la mente, lascio che la poca luce pura che si può ancora trovare sparsa qua attorno si concentri in sottili bargigli, e così annullo ogni malessere, neutralizzando perfino quel senso di smarrimento che a volte chiunque può avvertire in modo più o meno palese, e che rende tutte le cose meno precise, più inafferrabili, quasi che perfino le più risolute certezze riescono a perdere in quei momenti la loro esatta collocazione. 
Al caffè mi fanno sempre grandi saluti quando vi giungo, dicono a volte che sono proprio l’elemento che mancava per completare quel quadro, poi ridono, sembra forse a tutti quanti che possa minimamente cedere a quei loro modi che hanno per tentare di divertirsi alle mie spalle, ma certo non li accontento, mantengo il mio atteggiamento austero da persona impegnata e distante, e perciò resto assolutamente in silenzio, lasciandomi servire subito qualcosa dal cameriere. Mi guardano ancora per qualche attimo, sanno perfettamente che non sono fatto della loro medesima stoffa, e infine proprio per questo mi lasciano perdere, capiscono perfettamente che non ci sarà mai alcun seguito a quei loro scherzi.
Certe volte mi intrattengo con un vecchio professore in pensione che mi guarda in silenzio, si siede con calma al mio tavolino, e poi a bassa voce cerca di spiegarmi qualcosa delle sue vecchie esperienze di navigato insegnante. Lo ascolto, in qualche caso senza neppure comprenderlo, sorseggio il mio aperitivo, osservo l’orologio quando i discorsi vanno un po’ per le lunghe. Quindi a un certo punto mi scuso, mi alzo dalla mia sedia, saldo il conto al solerte cameriere, ed infine me ne vado fuori da lì, a camminare da solo per i fatti miei. Ritengo non ci sia alcun motivo per lagnarmi di qualcosa. Così passeggio lungo la strada che porta verso la casa dove io abito, apprezzando la mia capacità di mostrare dei modi gentili, il mio portamento da persona per bene, il mio abbigliamento assolutamente consono a quello che sono.
In certi casi incontro sulla mia via qualche conoscente del vicinato, perciò lo saluto, mi fermo volentieri a scambiare con chiunque trovi qualche parola, e poi sorrido, mi compiaccio di trovare tutti coloro che vedo in una forma perfetta, anche se non sempre questo risulta essere vero. In fondo trovo che tutte le cose se solo vogliamo, riescono a rimanere in perfetto equilibrio, e che non ci sia in ogni caso una grande necessità di urlare e di strapparsi i capelli. Tutto va bene, ed il segreto sta solo nel dosare con accuratezza quei componenti di cui è fatta ogni giornata, soprattutto fidando sul fatto che tutti i problemi possibili riescano a mantenersi assolutamente lontani da me.


Bruno Magnolfi

venerdì 5 maggio 2017

Convergenza.

           

Vado avanti, proprio come mi dicono gli altri, anche se spesso mi sembra di essere al di fuori da tutto. I miei pensieri durante la giornata sono frutto solo di preoccupazioni personali, che molte volte si dimostrano del tutto infondate, ed i miei sogni durante la notte accarezzano in tanti casi la forma dell’incubo. Troppo frequentemente, forse per scelta, mi ritrovo da solo, e costruisco un nemico intorno a me che non sembra apparentemente aggressivo, anche se è sicuramente fornito di odio e di cinismo. Mi lancio in avanti, nel futuro, come mi hanno già consigliato da molto tempo, e quasi non tengo conto del presente che pare sempre sfuggirmi. Cammino attraversando tutta la città, nelle ore previste dal programma dell’istituto, muovendomi sempre ad occhi bassi e con passo svelto, fingendo degli impegni che non ho probabilmente mai avuto, e non chiedo aiuto a nessuno, in modo da non provare dei sentimenti di gratitudine.
Incontro una donna, forse di qualche anno più grande di me, che fuma la sua sigaretta e mi guarda con aria svagata. Dice che attende qualcuno, o qualcosa, mentre se ne sta alla fermata del bus, ma io capisco in un attimo che la sua solitudine fa il paio con la mia. Le dico con gentilezza che si può prendere insieme un caffè senza impegno, tanto per conoscerci meglio, ma lei dice che non è interessata: la sua storia è troppo complessa, mi spiega, per poter trovare ancora una volta la volontà per parlarne. Va bene, le faccio, si può rimanere in silenzio, che poi è anche la maniera più consona alle mie normali abitudini. Lei non dice altro, però mi segue, e così ci sistemiamo in piedi al bancone di un locale proprio lì accanto. 
Forse vorrei sorriderle, ma non ci riesco, e così mostro la mia espressione perennemente corrucciata, guardando con insistenza tutte le espressioni che assume la mia compagna. Dice ad un tratto di chiamarsi Lucia, e a me sta bene quel nome, anche se capisco subito come non sia il suo veramente. Ad un tratto scoppia a ridere, non sa spiegare perché, però è divertita, forse del mio atteggiamento che ho tenuto fino a questo momento, non saprei. Poi fa una smorfia, mi guarda come impaurita, terrorizzata da qualcosa che le passa dentro la testa, e forse vorrebbe mettersi a piangere, anche se si trattiene. Le prendo la mano, le dico che siamo uguali, che non ci sono degli ostacoli tra noi, perché non abbiamo neanche bisogno di spiegarci qualcosa, va bene così, è tutto appianato, sotto controllo, le cose procedono, siamo due che si sono incontrati, come avviene a chiunque, non ci sono problemi.
Si va via dopo il caffè, lei si accende subito una delle sue sigarette, io la guardo e mi pare lo specchio di qualcosa di mio che pare sfuggirmi, ma le tengo la mano, la porto con me, non so neanche dove, forse soltanto a camminare in mezzo a questa città. Lei adesso sembra docile e si lascia guidare verso qualsiasi meta io abbia in mente, cammina al mio fianco, qualche volta mi guarda, ma la sua espressione è ancora una volta di diffidenza, come se conservasse la sua personalità dietro la maschera, pronta a sfoderarla in qualsiasi momento. Le dico che tra non molto dovrò rientrare nel mio istituto, e lei non sembra per nulla meravigliata, come se le batoste che ha preso sicuramente durante tutti i suoi anni, l’avessero già anestetizzata da tempo rispetto a qualsiasi novità negativa. Si ferma, mi saluta con un semplice gesto: lei resta lì, da qualche parte, e forse dentro di sé mi ringrazia, anche se non sente per niente il bisogno di manifestarsi.
Riprendo la mia camminata, chissà come si chiama davvero, mi chiedo; forse ha un nome insignificante, forse quello di una pianta o di un animale, e magari se ne vergogna. Non so niente di lei, rifletto con una certa tristezza; non sono riuscito a sapere niente della sua vita, mi resta soltanto il suo modo particolare di guardarmi: ma va bene così, continuo a dirmi, non c’è bisogno di altro per una conoscenza profonda.


Bruno Magnolfi