mercoledì 17 maggio 2017

Oggetti ordinari.

            

Sono disperato. Guardo fuori l’aria fresca di questa stagione che muove leggermente le foglie degli alberi, e tutto mi appare lontano, come se fossero immagini trasmesse in registrata. Mi concentro su dei piccoli oggetti di cui mi sento legittimo proprietario, e torno ad osservare l’orologio, il portafogli, anche questo taccuino per gli appunti. Non c'è niente di buono in quello che faccio, rifletto, se non mandare avanti sostanzialmente per abitudine le attività ordinarie di una persona qualsiasi come sono io.
Telefono ad un amico, ci parlo per un minuto, poi gli chiedo di passare se gli va da casa mia. Lui accetta, e dopo un po’ eccolo qui, nel disordine consueto del mio piccolo appartamento, proprio come volevo. Ma adesso che credevo di poter spiegare accuratamente a lui tutte le mie preoccupazioni non so più che cosa dirgli, e così mi invento qualche battuta di spirito, qualche storiella senza grande significato. Alla fine usciamo, prendo la giacca, si scendono le scale, siamo in strada. Lui dice mentre camminiamo che non devo essere così apprensivo, e lasciare al contrario che le cose scorrano per il proprio verso, smettendo, in misura maggiore o minore, di pensare continuamente a come poterle in qualche modo variare.
Annuisco, probabilmente sarebbe meglio per me comportarmi in questo modo penso; purtroppo ho sempre creduto di poter essere al di sopra di certi particolari, anche se una punta di malessere dato dai miei comportamenti sono cosciente di averla sempre avuta, sin da quando ero un ragazzo. Sorrido, offro un caffè al mio amico, così entriamo in un locale, ci diciamo ancora qualche cosa, poi lui guarda l’orologio e così ci salutiamo in questo modo, ognuno diretto verso i propri interessi. Certe volte vorrei avere la forza di parlare con gli altri senza cercare le parole giuste, sparando quello che mi passa in quel momento per la testa, scomodo o difficile che sia, però con gli anni ho forse imparato ad accettarmi per come sono, e quindi alla fine non devo almeno ricominciare a ripensare tutto, fino dagli inizi.
Torno nel locale e mi siedo ad un tavolo libero; guardo ancora l’orologio, il portafogli, il taccuino per gli appunti. Una donna da sola accanto a me sorride immaginando le mie perplessità, le faccio un gesto di sconforto, lei mi guarda forse con un briciolo di comprensione. Continuo ad appuntare le cose che mi vengono alla mente, poi mi inceppo, strappo il foglio e accartoccio tutto in una tasca. Sono proprio un disperato, dico alla donna, per ritrovarmi a scrivere le cose piuttosto che viverle come fanno tutti. Lei si alza, viene al mio tavolo, si siede, poi dice che trova tutto questo assolutamente naturale: c’è soltanto da accordarsi su quale sia il punto di vista da cui si guarda tutto quanto. Forse, le dico; in ogni caso è probabile che la mia sia soltanto un’inadeguatezza a trovare ogni tanto un briciolo di serenità; e a questo punto tanto vale rassegnarsi. Mi resta comunque l’orologio, il portafogli, ed anche il taccuino.


Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento