martedì 26 settembre 2017

Definitive certezze.

          
            Certe volte provo una certa tristezza, anche se credo sia piuttosto immotivata, ma trascorrendo tutto il pomeriggio in casa mi sembra facile almeno in qualche caso sentirmi un poco a terra. Così esco quasi sempre in questi casi, e vado in giro nel quartiere, lo faccio proprio per svagarmi, anche se poi naturalmente entro nei soliti negozi che conosco per acquistare le cose che mi servono, così saluto tutti sia nella macelleria di sempre che dall’ortolano e dal panettiere, e in certi casi mi fermo a fare quattro chiacchiere con chi provo maggiore confidenza e che incontro da più tempo. Poi rientro in casa con le buste della spesa, sistemo tutto dentro la dispensa e sui ripiani del nostro frigorifero, ed infine inizio a preparare con calma qualcosa per la cena, nell’attesa che mio marito torni dal lavoro. Lo so che lui non fa mai gli straordinari anche se usa questa come scusa; tira tardi da qualche parte, in qualche bettola, mi immagino, e quando poi rientra il suo alito sa di alcol da lontano, ma io lo lascio fare, come sempre cerco soltanto di lasciarlo tranquillo, di non oppormi troppo ai suoi modi e ai suoi pensieri.
            Certe volte ho avuto paura del suo carattere, di quell’improvviso scattare di nervi, del suo guardarmi storto con gli occhi spiritati, ed alzare la voce in modo assurdo quasi senza averne un buon motivo vero. Ma poi lo lascio perdere, mi piego sulle cose che ci sono da fare nel nostro appartamento, e mi dimentico subito di tutto: mio figlio in fondo cresce bene, i risultati scolastici ci sono, ed anche se spesso sta un po’ troppo per conto proprio, non mi preoccupo per niente; tutto normale, mi ripeto, le cose vanno come devono andare. La mattina usciamo tutti insieme, io vado a sistemare i conti e le fatture di una carrozzeria poco lontano, ma giusto per qualche ora, e dopo basta. Non so cosa mi manchi, forse non sono mai riuscita ad essere in perfetta sintonia con la mia famiglia, ma credo che questo sia solo un piccolo problema. 
Certe volte vorrei essere altrove, perdermi da qualche parte magari dove nessuno mi conosce, e ricominciare da capo, come se tutto quanto sono riuscita ad essere fino a questo momento fosse soltanto l’apprendistato ad una vita vera, magari più libera, piena di sorrisi e di cose soprattutto allegre. Però c'è mio figlio da crescere bene in questo momento, ed anche se in qualche caso non comprendo del tutto quali siano i suoi comportamenti, però sono sicura che sarò sempre con lui, dalla sua parte. Mi piace la mattina andarmene al lavoro, perché mi sento utile, benvoluta, e quelle poche ore che trascorro nel piccolo ufficio della carrozzeria mi passano in un soffio liberandomi la mente dai pensieri più antipatici.
Certe volte poi sono da sola in casa al pomeriggio e sento d’improvviso che sto bene, che sono serena, e che vorrei sempre rimanesse tutto come lo avverto quelle volte. Mi pare di aver sbagliato in qualche occasione, ma i miei errori secondo me non sono mai state cose gravi. La serata da trascorrere in casa senza alcun programma rimane forse la porzione del giorno che mi piace di meno in assoluto. Sembra soltanto una parata di musi lunghi, come se qualcosa non andasse affatto come dovrebbe: entro nella cameretta di mio figlio e lui è lì, con i suoi disegni che non vuol mai farmi vedere, ed io mi sento quasi un’intrusa nella vita di persone che forse non avrebbero neppure bisogno di una come me. Ma subito mi passa: le cose andranno bene penso, non c’è neppure da dubitarne, e tutto andrà al suo posto appena superate queste piccole divergenze che presto ci dimenticheremo in fretta e soprattutto in una maniera che sarà definitiva.


Bruno Magnolfi 

lunedì 18 settembre 2017

Evidenti differenze.



No, io forse non sono normale. O meglio, non mi sento proprio come credo siano gli altri, perlomeno come tutti coloro che in genere incontro per strada quando sono impegnato nel mio solito giro attorno al quartiere. Cammino come sempre, tranquillo, e per cortesia sorrido ogni volta a qualcuno tra quelli che trovo a passeggiare esattamente come me sul marciapiede, anche se nessuno di loro purtroppo si sogna quasi mai di rivolgermi anche una sola parola.
Lei assomiglia ad un attore del cinema, dico oggi a questo tizio che sembra aspetti qualcuno. Mi fa piacere, fa lui, ma non mi occupo di cose del genere. Non importa, dico io, ho detto così tanto per scambiare due chiacchiere, per conoscere la sua voce. Va bene, fa lui, però adesso avrei qualcosa da fare, così mi saluta con un gesto della mano e poi si volta per andarsene, ma io all’improvviso gli chiedo da dietro il suo nome, insomma come si chiami. Aldo, dice subito lui quasi sottovoce, voltandosi appena e proseguendo con noncuranza ad allontanarsi. Resto perplesso, anche il medico che mi segue si chiama così.
Mi volto indietro, forse dovrei cambiare qualcosa in questi miei modi, nella mia maniera di comportarmi con gli altri. Mi fermo davanti ad un negozio e poi decido di entrare. Dopo un attimo un commesso mie chiede se possa aiutarmi, ma io dico che avrei solo intenzione di dare un’occhiata. Da dietro il banco però mi guardano male mentre osservo curioso tra gli scaffali, quasi fossi un ladro o qualcosa del genere, Perciò ad un certo punto sorrido al commesso di prima, e gli dico che purtroppo non ho con me i soldi per acquistare qualcosa, anche se il negozio mi piace, e mi piacciono quasi tutti gli oggetti in vendita qua dentro.
Poi esco prima che qualcuno mi metta alla porta, tanto ho già visto che non mi concedono alcuna possibilità per socializzare con loro, ma quando torno a muovere un passo lungo la strada incontro quasi subito il tizio di prima. Aldo, gli dico subito, e con questo cerco e gli stringo la mano, anche se lui si vede soltanto costretto ad essere gentile con me. Conosco una persona che si chiama come lei, gli dico subito; però non mi sta molto simpatico, ha sempre da rimproverarmi per i miei modi, e poi continua a suggerirmi di fare in un modo o in un altro.
Quello mi osserva, capisce al volo che io sono uno da tenere a distanza, così si mette a guardare qualcosa che adesso tira fuori dalla sua tasca, ed infine torna a guardarmi, per dire alla fine che non ha tempo per me, ma se voglio posso andare a prendere una tazza di caffè nel bar qui di fronte, poi passerà lui a pagare. Non mi interessa, gli dico, volevo solo parlare, ma se non è possibile ne farò a meno. Aldo ci rimane male della mia risposta, forse non voleva essere scortese, alla fine mi mette una mano sopra le spalle e mi dice che certamente io sono un bravo ragazzo, e che a pensarci bene forse lui può anche dedicarmi qualche minuto.
Non importa, gli dico: se le cose devono essere frutto di un qualche ragionamento per trovare la maniera meno dolorosa per compierle, vuol dire che non hanno alcun senso. Lui resta fermo e in silenzio, perplesso, ed io intanto mi allontano con calma. Non assomiglia molto al mio medico, penso. Anzi, loro due sono proprio diversi.


Bruno Magnolfi