martedì 7 novembre 2017

Alleati, se non altro.

            

Io resto in classe, come spesso mi accade, seduto dietro al mio banco, anche se sono questi i soli minuti di pausa intermedia delle lezioni in cui possiamo alzarci e girare un po’ per sgranchirci le gambe. Gli altri ragazzi difatti sono quasi tutti nel corridoio per parlare con maggiore scioltezza a voce alta e ridere spesso sguaiatamente, mentre molti di loro sbocconcellano le varie merende che si sono portati da casa. Carlo Pieri, per parlare soltanto del più accanito, mi tormenta ormai da qualche giorno perfino più del solito, per questo cerco di evitarlo con gli scarsi mezzi di cui dispongo. Lui ha sempre bisogno del pubblico intorno a sé prima di dirti qualcosa di sgradevole oppure di ridere in modo cattivo per qualcosa che sei o che stai facendo, così tende a spingermi sempre di più verso il mio isolamento di cui persino gli insegnanti ogni tanto mi chiedono conto, quasi fosse qualcosa di cui non avessi già una piena e precisa consapevolezza.
So perfettamente, al contrario, che in tempi piuttosto brevi devo trovare all’interno della mia classe almeno un alleato per la mia strenua difesa dagli altri; non è soltanto puro egoismo di sopravvivenza il motivo delle mie conclusioni, è anche il fatto che avverto profondamente il bisogno per il benestare completo della stessa aula in cui trascorriamo insieme tantissime ore del giorno, di rendere maggiormente fluida e socializzante la mia figura all’interno del gruppo, considerando il mio innaturale isolamento oramai un problema quasi per tutti.
Ci sono due o tre fra i miei compagni che ogni tanto mi vengono vicino per chiedere qualcosa, spesso giusto per farmi conversare, per ricordarsi come sia la mia voce, ma nessuno di loro mi pare adatto a quello che ho in mente. Poi ci sono quelli che mi ignorano completamente, come se non ci fossi per niente nella stessa stanza con loro, probabilmente per evitare qualsiasi contatto con una personalità che sentono completamente diversa da quella che sanno di avere. Certe volte li guardo, ci sono dei tipi differenti tra questi, con caratteristiche varie, ma uno di loro è il Neri, persona forte seria e scontrosa, tenuto di conto praticamente da tutti.
È lui quello che adesso mi serve, non ho dubbi in proposito, così esco nel corridoio, lo avvicino, gli chiedo se posso parlargli da solo. Lui si apparta leggermente dagli altri, ed io gli chiedo diretto se gli andrebbe qualche volta di fingere di essermi amico. Lui mi guarda con serietà corrucciando la fronte, quindi tira fuori una mano di tasca per spostare lo sguardo su quella. Vedi Francesco, mi fa, a me non piace mai fingere, non è nel mio stile, se è questo che chiedi; però non ho difficoltà a parlare con te, magari sapere davvero chi sei, che cos’hai nella testa, come mai te ne stai sempre da solo.
Lo guardo: va bene, gli dico, non so neppure io come mai sono finito in un ruolo che non sento più come mio, però ormai è così, anche se da un po’ di tempo tutto questo mi pesa. Tu hai la possibilità di tirarmi fuori da guai anche peggiori, visto che anche i nostri prof stanno iniziando a tenermi sott’occhio. Va bene, fa lui, da adesso sei mio amico, mi piace tirare fuori dai guai qualcuno che se lo merita. Mi dà il cinque ridendo di fronte a tutti, mi stringe alla vita considerando che lui è robusto ed io mingherlino: tutti gli altri ci guardano, forse sta davvero cambiando qualcosa.


Bruno Magnolfi

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