giovedì 27 dicembre 2018

Nulla di me.


          

            Sono confuso ed anche indolenzito, però mi guardo attorno e mi rialzo, seppure con un’estrema lentezza, dopo essere caduto a terra in malo modo, quasi scivolando ma solo per la semplice sorpresa che ho provato, dopo aver perso il contatto con la pavimentazione della piazza, nella ricerca strenua, contemporaneamente, di comprendere che cosa fosse successo per davvero, e soprattutto perché non fossi riuscito ad immaginare, almeno un attimo prima che proprio succedesse, quello che stava sul serio per accadermi, senza alcun preavviso. Lui mi guarda truce, con la stessa espressione di estrema cattiveria che aveva ancora sulla faccia appena un attimo prima, ma a me pare ancora inverosimile che abbia potuto colpirmi così, senza essere stato neppure provocato. Mi sembra tutto assurdo, penso che ricorrere alle mani sia qualcosa assolutamente di ridicolo per chiunque tenti di affidare a questo sciatto comportamento l’unico sistema per rimediare alla propria deficienza di parole per spiegarsi e farsi comprendere. Questo forse gli vorrei dire adesso a voce alta, mostrandogli l’errore, l’insensatezza, la stupidità, però riflessivamente evito di farlo, come per un senso di sopportazione ed anche di tolleranza per quanto già accaduto.
            Lui, dopo un momento, ancora un po’ rigido nelle sue movenze di persona che agisce solamente d’istinto, con ogni evidenza preferisce allontanarsi, come per non avere più niente a che fare con un essere che neppure si ribella ad un comportamento scellerato come il suo, che non replica un bel niente, non accetta neanche di scendere sullo stesso medesimo livello, e forse per questo non merita neppure alcuna azione reiterata. Lo guardo, ma pur osservandolo in ogni suo dettaglio, lo fisso senza trovare in lui un interesse vero. In fondo ho capito perfettamente il messaggio che ha voluto porre in questo modo strambo alla mia attenzione. Tutto così mi pare ancora più ridicolo, ed adesso che ci penso meglio, perfino parlargli mi parrebbe fuor di luogo. Sanguino dal labbro, è il minimo che possa essermi accaduto, così sputo a terra un bolo semplice di schiuma rossa, come a mostrare il succo della mia sofferenza che ingloba in sé anche la sopportazione che tento di mostrare per il suo comportamento stupido, erroneo, privo del senso che generalmente si cerca dalle cose, e che io cerco negli altri soprattutto.
            I ragazzi poco lontani immagino ci guardino ed abbiano già preso posizione entro se stessi, in genere si sta sempre col più forte in questi casi, anche se adesso non mi interessa per niente il loro inutile pensiero, ed io non appaio certo quello che ne esce meglio da questa situazione, anche se mi sento comunque superiore, non fosse altro per essere riuscito almeno in qualche modo a conservare la mia calma, a non aver accettato una sfida da ragazzi sciocchi e senza stile, comportamento che reputo non mi appartenga affatto. Mi rialzo e resto lì, sopra i miei piedi, nell’attesa che sia lui a togliersi di torno, o che comunque dimostri che il suo modo di pensare è di fatto definito soltanto dall’uso delle mani, e da nient’altro. Poi avverto qualcosa di grottesco in tutta la faccenda, così mi volto da una parte, mi asciugo con un fazzoletto, e senza dire niente vado con calma ad infilarmi dentro al bar Soldini, giusto per bere un goccio d’acqua ed andare in bagno a controllare nello specchio cosa sia successo alla mia faccia. Quando torno ad uscire sono tutti ancora lì, nessuno dice niente, ed a me viene persino da sorridere, non per un moto di sfida, quanto per il senso di patetico di tutta la faccenda. Poi me ne vado, non ho niente da fare in quei paraggi.

            Bruno Magnolfi

venerdì 21 dicembre 2018

Fantasie difformi.



Lei osserva attentamente un angolo della parete che ha di fronte. Pare assurdo che questo forte senso di solitudine si faccia sentire proprio adesso, quando sembra non abbia più alcun significato. Il silenzio però è come una coltre densa certe volte, che pare avvolgere in un bozzolo tutta la casa; come il freddo di queste sere invernali, ad esempio, insieme al buio profondo all’intorno, che quasi gli impedisce di manifestarsi degnamente a quei tre o quattro lampioni là di fuori, sul bordo della strada, in questa località probabilmente anche troppo isolata. Passa un'automobile ogni tanto, a ricordare un’esistenza reale là intorno, con un percorso indiscutibile che ha un inizio ed anche una fine, di un viaggiatore che forse nota vagamente, anche se per un solo attimo, quelle case senz’altro abitate da qualcuno, al di fuori dal suo parabrezza - da dentro le finestre s’avverte leggermente il rombo di ogni vettura quasi in ogni stanza -, ma poi basta, tutto passa, rapidamente: un semplice momento, ed è già tutto finito. La campagna aperta ed anche i boschi fitti poco lontano sembrano quasi incombere, come sempre hanno fatto peraltro, anche se adesso sembrano più immobili, cristallizzati ed innocui dentro la notte, come una vecchia fotografia rimasta in un cassetto fino a diventare un qualsiasi oggetto inutile.
Posso alzarmi da questa sedia, pensa lei senza convinzione. Posso trovare qualcosa di cui occuparmi per riempire questa lunga pausa, come ogni volta, perdendomi con facilità in piccole operazioni di manutenzione delle cose, oppure in grandi progetti che perdono di senso e di importanza soltanto con il tempo, che riesce a neutralizzarli lentamente ma con facilità, rendendo tutto quasi indolore. Posso leggere un libro, magari, e perdermi rapidamente nella fantasia di qualcun altro, respirando vicende e descrizioni che forse non sono esattamente quelle mie, ma in parte probabilmente le assomigliano, o che potrebbero addirittura essere state inventate da qualcuno dal pensiero vivace come il mio, e che magari mi è vicino, in qualche modo, che quando sogna, forse, ecco che fa i miei stessi sogni, ripercorrendoli come un sentiero già tracciato. Odio gli altri, a volte, questa è la verità; o almeno tutti coloro nei confronti dei quali posso scagliarmi facilmente con il mio spirito ipercritico, quelli che sento estranei, diversi, lontani, quelli dei quali non conosco niente, e che forse proprio per questo mi fanno paura, rendendo il mio pensiero instabile, senza le sue basi solide. 
Non ho mai sofferto di solitudine, deve esserci un’altra spiegazione. Mia figlia è fuori, rientrerà più tardi, forse sono preoccupata per lei, ed è tutto qua. Oppure, all’improvviso, sento che qualcosa si sta modificando, ed io ho paura delle variazioni, non vorrei dover affrontare qualcosa a cui non sono preparata. Ma come prepararmi, come tentare di accogliere ciò che forse è già dietro quell’angolo, senza sapere prima cosa sia. Meglio guardare ancora questa parete bianca, immaginarla senza spigoli, senza asperità, e disegnarci sopra qualcuna delle mie fantasie, per poi pensare ancora che tutto sarà sempre così, invariabilmente.


Bruno Magnolfi


lunedì 17 dicembre 2018

Intenti insani.


          

            4 dicembre
Sono sospesa. Il lavoro va bene, che c’entra, ho delle buone idee da mettere in campo nei prossimi mesi, ma tutto questo è soltanto la metà dei miei pensieri.
5 dicembre
Vorrei che qualcuno mi indicasse la via migliore per non avvertire costantemente dentro di me questa ansia. Mi sembra di vivere un incubo in cui sentirmi obbligata a muovere il corpo senza toccare assolutamente nessuno, come se tutti gli altri fossero portatori di infezioni fulminanti. Forse ho soltanto bisogno di mettere a punto la mia strategia, e non voglio in nessun modo essere condizionata da chi mi sta attorno.
6 dicembre
Stasera mi sono vista di nuovo con Tommaso. Mi piace stare con lui, sentirlo parlare dei propri studi e dipanare le sue opinioni che mostrano lo spirito curioso da cui è animato. Mi piacerebbe fare qualcosa insieme a Tommaso, andare da qualche parte, forse impegnarmi in un piccolo progetto: magari sperimentare una novità per ambedue, andare da qualche parte, vedere degli spettacoli, qualcosa forse di poco ordinario, in modo da poter scambiare in seguito i propri rispettivi pareri. Non succederà niente di tutto questo, almeno per ora, ne sono certa; però tutto in seguito potrebbe essere possibile; chissà, tanto vale rincorrere dei sogni.
7 dicembre
Mia madre mi ha spiegato con molta calma che non va bene secondo lei che io tiri tardi ogni sera una volta chiuso il negozio di merceria. Qualcuno mi ha visto, ha subito aggiunto. Eri con un ragazzo, ed anche se oramai sei grande, le tue sembrano soltanto delle sciocchezze da ragazzina. Non le ho risposto neppure, non mi va certo di essere trattata in termini puerili. Forse per troppi anni mi sono assopita su un comportamento monotono e privo di qualsiasi novità. Perciò devo cambiare, i tempi sono ormai più che maturi, ed indipendentemente da Tommaso devo trovare la maniera per essere più autonoma, e smettere di occuparmi soltanto delle cose che in qualche modo fanno piacere a mia madre.
8 dicembre
Nonostante sia festa oggi ho trascorso interamente la giornata dentro casa. Non ho quasi rivolto la parola a mia madre, escluso le frasi ordinarie; non mi va di parlarle, mi piace che si renda conto di quanto io sia rapita da tutti i miei pensieri. Ad un tratto durante il pomeriggio ho avuto voglia di uscire, prendere la macchina e farmi un giro senza meta, magari passando dal centro del paese. Avrei potuto incontrare Tommaso, riflettevo, ma la delusione di non vederlo da nessuna parte sarebbe stata troppo forte, perciò ho rinunciato del tutto.
9 dicembre
La giornata di oggi è scivolata via come sempre dentro al negozio, senza novità. So dove abita Tommaso, ho trovato l’indirizzo sull’elenco telefonico, e passando da lì con indifferenza ho visto piazzata fuori dalla sua casa la bicicletta che usa sempre per girare nel paese. Potrei mettere un biglietto piccolissimo da qualche parte in quel manubrio, così che lui possa trovarlo, ben ripiegato, ma senza che faccia troppa mostra di sé a tutti i curiosi che affollano questo centro abitato. Ma non saprei proprio che scriverci, non ho le parole che piazzate sopra un foglietto spieghino in maniera adeguata me stessa, perciò non farò niente neppure di questo, anche se uno di questi giorni se non accade nulla ho deciso che scaraventerò in terra quella stupida bicicletta; così, senza motivo.

Bruno Magnolfi

giovedì 13 dicembre 2018

Conseguenze lampanti.



Certe giornate sono infinite. Affronto le cose come sempre ho fatto in questi ultimi tre anni, ma qualche volta nonostante tenti di comportarmi secondo le più ordinarie consuetudini, tutto questo non sembra bastare. Fingo che le cose vadano sempre per il meglio, specialmente quando intravedo i soliti clienti che vengono allo studio, e forse dal punto di vista lavorativo non devo registrare neppure qualcosa di importante che in questo periodo si sia messo effettivamente di traverso. Ma la giornata di ciascuno di noi tra questi uffici, io penso non sia composta dalle sole mansioni occupazionali che vengono comunque portate avanti: ci sono certamente mille pensieri che aleggiano nell’aria e che pretendono il loro spazio, e poi ci sono altrettante preoccupazioni più o meno importanti che spesso tolgono in qualche caso anche il respiro, soltanto a pensarle.
Forse non nutro sufficiente interesse per il mio lavoro, questo è il mio pensiero segreto; magari non esattamente come qualcuno tra gli altri ragazzi pieni di entusiasmo con i quali portiamo avanti le cose in questa grande stanza ingombra di vecchie scrivanie, però niente di quello che faccio lo lascio mai del tutto al caso: rifletto, preparo gli incartamenti, affronto ogni aspetto che mi si pone davanti con ampia e sufficiente serietà, almeno secondo il mio parere. Qualche volta ho anche pensato che non era proprio la mia aspirazione questo occuparmi dei vari conteggi delle piccole società artigianali che sono presenti in questo nostro diffuso territorio, però penso che qualcuno deve pur farlo, ed in fondo io non ho mai manifestato interessi diversi dopo aver preso il diploma di ragioneria, e forse non l’ho mai fatto neppure prima.
Ho avuto la fortuna di poter entrare in periodo di prova, tramite le amicizie di mio padre, in questo studio dove si mette a punto la consulenza del lavoro, le buste paga per le organizzazioni che hanno dei dipendenti, e gli aspetti più commerciali riguardanti le dichiarazioni dei redditi e tutte le altre cose di questo genere che affliggono piccole ditte, società agricole, negozi e professionisti. Nessuno però mi ha mai spiegato a muso duro che non ero adatto per questo mestiere, tanto che il mio datore di lavoro al contrario si è mostrato piuttosto contento di assumermi come apprendista.
Di fatto non mi lamento, ho sempre qualche soldo dentro le tasche, però ogni giorno non vedo l’ora di uscire da questi uffici e raggiungere gli altri ragazzi sulle panchine disseminate in mezzo alla piazza, scrollarmi di dosso questi obblighi assurdi, e sentirmi finalmente libero, almeno per un’ora, ed assaporare una birra insieme a loro, parlare con tutti delle cose che mi interessano di più, che poi non so neppure io quali possono essere, tanto a me basta che siano totalmente diverse da queste odiose scartoffie. Poi c'è questo passaggio di proprietà del negozio della signora Martini, e la società che sembra formarsi è a favore di una ragazza che conosco di vista, un tipo a posto, forse un po’ riservata, ma che sembra portare avanti bene le cose in quella bottega, tanto che tutti sembra ne parlino in termini positivi, come la persona giusta per quel lavoro, quella che proprio ci voleva.
A me fa piacere, ho visto le carte sopra la mia scrivania, domani sono sicuro dovrò occuparmene, e magari indicare le documentazioni che mancano per mandare avanti la pratica. Con poco potrei complicare le cose, se solo volessi, basterebbe far sparire un foglio o una firma. Non farò niente del genere, è chiaro; ma un giorno di questi dovrò pur comportarmi in maniera stravagante, uscire almeno per un attimo da questa monotonia che non lascia respiro. Mi sento già pronto perfino ad affrontarne tutte le conseguenze.


Bruno Magnolfi 


lunedì 3 dicembre 2018

Così come dev'essere.



Guardo dalla mia finestra la casa delle Carraresi, proprio di fronte alla mia abitazione, dall'altra parte della strada statale, in questa località da sempre chiamata del platano. Mi sembra tutto così particolare quando immagino cosa accada là dentro; intendo il fatto che loro due, queste due donne, si sono sempre dimostrate persino troppo riservate, serie ed anche oltremodo coscienziose in tutto quello che hanno fatto, quasi incapaci, dico io, di qualsiasi leggerezza, forse persino di reggere la spinta ordinaria della quotidianità senza riuscire costantemente a crucciarsene, ed a fare di ogni sciocchezza un elemento da ponderare, da prendere con estrema quanto inutile serietà. È vero che non le ho mai viste litigare tra di loro, eppure sono ugualmente certo che sia sempre mancato un clima realmente disteso tra quelle stanze. Più che una famiglia la loro, a volte mi è parsa la semplice somma algebrica tra due persone.
Io sono soltanto un pensionato che cura l'orto accanto alla propria casa e che si fa generalmente gli affari propri. Eppure provo un certo dispiacere nel rendermi conto che le cose in quella abitazione sembrano restare identiche da un anno a quello seguente, e che nessuna risata forse è mai riuscita a levarsi davvero tra quelle mura domestiche. La vita per noi gente di paese si mostra già piuttosto severa con le sue giornate noiose e normalmente avare di vere e proprie novità. Ma per loro due, queste due donne dall’immagine di persone così irreprensibili, le cose probabilmente potrebbero andare meglio se soltanto volessero.
Il marito di Marisa in fondo, ancor prima di morire, so per certo che le ha lasciate con un bel gruzzolo in banca, e con diverse proprietà sparse da queste parti, ma loro invece di godersi qualcosa di quei soldi e questi averi, sono sempre rimaste lì a bisticciarsi, con le facce tirate e qualche piccola mania per ciascuna, come portare i sacchetti della nettezza nell'area ecologica ogni giorno alla stessa medesima ora. Oppure farsi vedere sempre separatamente, mai insieme, come se uscire insieme fosse in questa zona qualcosa assolutamente da evitare.
Buongiorno, dico certe volte alla ragazza quando esce di casa nello stesso minuto di ogni giorno per mettere in moto l’auto ed andarsene al negozio dove lavora. Lei mi risponde con cortesia ma senza enfasi, come se già nei minuti precedenti avesse avuto qualche piccolo screzio con sua madre; la sua espressione appare quasi tirata, i gesti nervosi, lo sguardo di chi pondera bene cosa dire e soprattutto che fare, senza sprecare niente nei suoi comportamenti. Più tardi esce sua madre in giardino, guarda i suoi fiori, le piante, controlla l’altezza dell’erba, e pare proprio che di null’altro le importi se non di quei vegetali che in certe stagioni peraltro appaiono quasi inerti.
Ero riuscito a notare, nelle settimane addietro, che lei aveva iniziato a frequentare il vicino di fianco alla sua casa, a parlare con lui, ad andare persino a prendere il caffè a casa sua, e mi sono subito chiesto quanto tempo mai sarebbe trascorso fino ad interrompere tutto quanto. Difatti adesso sembra che neppure si conoscano, proprio come avevo immaginato, e lei è tornata ad ignorare chiunque le si muova attorno, proprio come sempre. Forse sono io che vorrei tutti gli altri magari più spensierati ed allegri, ma in ogni caso un giorno di questi attraverserò questa strada proprio per chiedere alle Carraresi il motivo del loro comportamento, e che cosa le porti ad essere in buona sostanza esattamente così come sono.


Bruno Magnolfi



mercoledì 28 novembre 2018

Senza occhiali.


          

          Qualche volta mi ritrovo a camminare sopra ai marciapiedi del mio Borgo, senza pormi davanti neanche una vera e propria meta, semplicemente passeggiando con la testa ingombra come sempre da tutti i miei pensieri, fumando ogni tanto con tutta calma qualche sigaretta, e magari salutando certe volte le persone che più conosco di vista, al momento in cui le incontro lungo la via principale del paese o sulla piazza. Non mi interessa troppo intrattenermi a parlare come qui fanno quasi tutti tra di loro, per me è già sufficiente soffermarmi qualche momento ad un angolo oppure vicino ad un’insegna, magari anche davanti a qualche negozio che mi piace, per esempio, naturalmente senza entrarvi mai a comperare qualche cosa; mi basta accorgermi che gli esercizi funzionano, che sono pieni di gente, e poi rendermi conto che gli abitanti di questa cittadina sono costantemente in giro, e che le cose proseguono come sempre hanno fatto, senza fretta, proseguendo nel loro percorso, giorno dopo giorno.
Ripenso a molte cose durante il mio monotono camminare, ma l'argomento che più mi attira rispetto a tutti gli altri, è il ricordo che trattengo dentro me di questo paese dove mi sono trasferito tanti anni fa, e misurare ancora quelle differenze che si sono accumulate da allora nella sua fisionomia. Molte abitazioni sono andate giù e poi sono state ricostruite, altre invece completamente ristrutturate, e le botteghe che c’erano sono passate spesso di mano modificandosi e trasformandosi completamente. Gli alberi dei giardinetti sono cresciuti, naturalmente, e lungo il viale si è proceduto comunque anche a qualche abbattimento, per evitare guai causati da piante troppo vecchie. Non sono un nostalgico, però ricordo alcune di queste repentine variazioni, e spesso ogni cambiamento mi rammenta qualche cosa o qualcuno per ogni periodo di riferimento. Mi hanno detto qualche tempo addietro che vorrebbero fare una pubblicazione usando le fotografie dei decenni passati, raccolte forse da qualcuno appassionato di cose di questo genere. Ma a me non so se interessa davvero; a me in fondo bastano i ricordi, è sufficiente la memoria fintanto che riesco ad averla.
Certi giorni entro dentro al bar Soldini sulla piazza principale. Anche questo locale è cambiato tante volte, così come sono cambiate le persone che lo gestiscono, e come anche quelle che si sono alternate tante volte nel frequentarlo. Adesso ci sono spesso dei ragazzi che stazionano perennemente qua davanti, e quando fa più freddo entrano dentro al bar e se ne stanno per ore ai tavolini senza fare niente se non bere delle birre e chiacchierare. Ridono, cercano di scherzare, ma alla fine stanno qui soltanto a perdere del tempo. Come me d'altra parte, che continuo a girare qua attorno senza decidermi mai a niente. Non so che cosa mi aspetto da questa cittadina: però è come se avessi di fronte, ogni volta che ne osservo meglio i dettagli, qualcosa che mi appare vivo: quasi un organismo che tende lentamente a modificarsi, ad adattarsi ai tempi ed a quanto va accadendo.
Abito da solo, non ho molto di cui vivere, però mi sento tanto attaccato a questi caseggiati, a queste strade, a questi muri, e forse anche agli abitanti che incontro quasi ogni giorno lungo le vie, anche se mi tengo sempre da loro ad una certa riflettuta distanza. Non è semplice diffidenza la mia, soltanto la ricerca di un parere autonomo, di un’opinione più obiettiva, di un’idea che probabilmente agli altri sfugge, rispetto a quanto probabilmente pensano tutti, scambiandosi i pareri ogni volta che si trovano a parlarne. Non mi sento certo al di sopra di nessuno, soltanto guardo le cose coi miei occhi, e non vorrei mai trovarmi ad indossare degli occhiali che fanno diventare simili le immagini pur nitide e precise che presentano.

Bruno Magnolfi

giovedì 22 novembre 2018

Rientro a casa.



Forse ho sbagliato a dire così a mia madre, ho pensato subito dopo averle spiegato praticamente che lei non avrebbe dovuto più entrare nell’organizzazione delle mie giornate. Probabilmente però affiora dentro di me in certe occasioni quel carattere brusco che credo peraltro di aver ereditato proprio da lei, e che mi è sempre parso orribile in chiunque. Ma è stato come un segnale che le ho voluto lanciare, qualcosa che stesse a significare che oramai sono più che adulta, so camminare perfettamente sopra le mie gambe, non ho più tanto bisogno delle sue opinioni sempre un po’ sprezzanti.
Ho guidato per i tre chilometri fino al Borgo, ed ho parcheggiato la macchina lungo la strada principale, dove la metto quasi sempre, proprio di fronte alla merceria, prima di aprire con calma la serranda del mio negozio ed entrare in mezzo a tutti i silenziosi articoli da cucito e abbigliamento. Anche se oggi siamo chiusi al pubblico vorrei riconsiderare con calma le cose da sostituire nell'arredamento interno, e lo voglio fare ponderando bene ogni scelta, senza avere nessuno intorno ad influenzarmi. Ho riabbassato la serranda da dentro, e poi sono rimasta lì, guardandomi attorno e prendendo degli appunti completati da qualche piccolo schema.
Dopo una mezz’ora stavo poi per chiudere e ritornare verso casa, quando ho sentito qualcuno che mi chiamava debolmente dalla strada.  Ho chiuso allora la porta alle mie spalle, ho fatto scattare la serratura con la mia chiave - non si sa mai -, poi mi sono voltata. C’era Renato lì accanto, fermo, con le mani nelle tasche, la faccia di chi non sa proprio cosa farne della sua giornata. L’ho salutato, lui mi ha fatto una domanda su qualcosa di generico, io mi sono guardata velocemente attorno, come per mostrare una fretta che in realtà non avevo affatto. Non ti sei più fatta vedere, ha detto lui. Sono molto indaffarata come vedi, gli ho risposto. Certe volte bastano anche cinque minuti per mantenere dei contatti, ha detto lui in modo secco. L'ho guardato sorridendo, come fosse una risposta, poi con le chiavi in mano mi sono mossa lentamente in direzione della macchina. Lui mi è scivolato accanto come per accompagnarmi lungo quei pochi metri, ed io allora gli ho detto che forse sarei passata dalla piazza durante la settimana entrante. Lui ha annuito mentre io salivo in auto ed infilavo la chiave nel cruscotto.
Poi senza dire più nulla ho avviato il motore dopo aver chiuso lo sportello, e lui è rimasto lì a guardarmi mentre armeggiavo con il cambio quasi senza decidermi a partire. Non sono tranquilla, ho pensato subito, qualcosa sembra andare storto anche se non vorrei. Gli ho fatto un cenno distensivo con la mano, ma forse il mio nervosismo era ormai evidente. Mi sono allontanata pensando che sia Renato che tutti gli altri ragazzi certamente non mi avevano fatto mai niente di male. Forse adesso però li sentivo lontani, come fossero piccoli, mentre io cercavo di essere già donna. E poi però c’era Tommaso nella mia mente, che probabilmente in questo momento era in casa sua a studiare, a costruirsi un futuro, a guardare avanti a sé, non come loro che continuavano a vivere troppo alla giornata. Poi sono rientrata a casa dalla mia mamma, quasi senza esserne però troppo contenta.

Bruno Magnolfi






martedì 20 novembre 2018

Letture divaganti.



Domenica scorsa mi sono alzata presto, d’altronde come faccio quasi ogni mattina. Ancora in vestaglia ho girato per la casa silenziosa, ho controllato subito che la caldaia del riscaldamento funzionasse ancora a dovere, che il vento durante la notte non avesse strappato come a volte è successo le protezioni alle piante del mio giardino, che la lavastoviglie azionata la sera prima per caso non avesse fatto dei capricci. In mancanza di un uomo in questa casa mi devo fare carico di tutto, è oltremodo evidente. Poi in fretta mi sono vestita, ho ascoltato qualche notizia usuale alla radio, ed infine, considerato che Clara probabilmente stava ancora dormendo dentro la sua camera, con indosso soltanto una giacca di lana pesante e stringendo le braccia per ripararmi un po’ dal freddo, mi sono spinta fuori per un attimo fino quasi alla staccionata di separazione dei nostri giardini, giusto per dare il buongiorno al mio vicino di casa se magari fosse stato lì. Le cose non vanno più tanto bene con lui, ma non vorrei avere tutta la colpa di  questa battuta di arresto tra di noi; il mio vicino, in due o tre occasioni, pur ridendo per togliere in qualche modo importanza alla faccenda, ha sottolineato un carattere forse troppo brusco di alcune mie espressioni, e proprio per questo ho deciso in questi giorni di stare leggermente più alla larga da lui, anche se ne sono piuttosto dispiaciuta. D'altronde gli uomini si sono spesso comportati così nei miei confronti, e dopo un primo periodo di entusiasmo mi hanno sempre cercato qua e là dei difetti da evidenziare.
            Quando poi sono rientrata in casa, mia figlia stava seduta in solitudine al tavolo della cucina, impegnata nella prima colazione. Ci siamo salutate. Mi sembri contenta, le ho detto, forse per ascoltare che cosa mai potrebbe aver risposto. Lei mi ha guardato, ha riflettuto un momento, e poi: nel pomeriggio esco con un amico, mi ha detto, con estrema semplicità. Sono rimasta perplessa, non era mai stata così diretta con me, tanto da farmi dimenticare per un attimo di chiederle chi fosse quell'amico. Si chiama Tommaso, ha detto lei interpretando velocemente i miei desideri, poi si è alzata, ha sistemato il tavolo e le stoviglie, ed è uscita dalla stanza. Non capisco quando abbia trovato il tempo di farsi delle nuove amicizie, mi chiedo, visto quanto sembra costantemente impegnata nel negozio di merceria di cui sta prendendo la gestione, ma la sua età ormai è quella giusta per portarla a guardarsi bene attorno.
            Fino ad oggi non sono mai stata gelosa di lei; non me ne ha mai data l’occasione, è quasi meglio dire, però adesso sento che nella sua voce e nei suoi atteggiamenti c’è qualcosa che fino a poco fa non si mostrava. Non voglio indagare né farle delle domande, lei sa che non fa parte del mio modo di fare, però tutto questo apre uno scenario che non avevo mai considerato, e che improvvisamente mette in discussione molte cose. Poi è ricomparsa nel soggiorno ben vestita e pettinata: esco per un’ora, mi ha detto facendo tintinnare in mano le chiavi della macchina, ed io le ho risposto, senza dare alcuna importanza alla cosa, che l’avrei attesa per il pranzo. Lei è uscita, ed io improvvisamente ho sentito cadere su di me una solitudine che non avevo quasi mai provato, forse neppure quando se n’è andato mio marito. Infine mi sono seduta: devo riflettere, ho detto a voce alta; poi ho preso un libro e mi sono messa a leggere.


            Bruno Magnolfi 



sabato 17 novembre 2018

Adesso o mai.




7 novembre
L'ho visto, l'ho riconosciuto nonostante stesse quasi fermo in una zona male illuminata. Spero che qualche altra volta passi davanti al mio negozio, che si soffermi, mi dica qualcosa, e magari trovi un po’ di tempo anche per me.
8 novembre
Non so neppure dove abita; mi ha detto che studia molto, che non esce quasi mai di casa. Eppure dovremo tornare ad incontrarci ancora, almeno per una fortuita combinazione.
9 novembre
Sono già due volte che allungo la strada quando esco dalla merceria, proprio per transitare nei pressi della piazza dove stazionano sempre i soliti ragazzi. Ma lui non c'era. Già lo sapevo che non li frequentava molto, che non gli piace stare lì con loro a perdere del tempo. Però speravo che aspettasse me, che facesse in modo di incontrarmi, come io vorrei fare con lui.
10 novembre
Eppure devo trovare un sistema per vederlo. Lui eppure sa dove mi trovo durante tutta la giornata lavorativa. Non capisco perché non passi almeno una volta davanti alle vetrine del mio negozio. Uscirei subito per salutarlo, per dirgli qualcosa, fargli un saluto, nient'altro.
11 novembre
Devo togliermelo dalla mente. Mi pare di essermi fissata: continuo a scrutare la strada fuori dai vetri della merceria per vedere se per caso ci fosse il mio Tommaso da qualche parte. Sono forse stata uno sciocca l'altra sera quando l’ho visto poco lontano dal negozio mentre chiudevo. Dovevo andargli incontro, dirgli subito qualcosa, creare una possibilità, piuttosto che attendere tutto questo tempo stupido e inutile.
12 novembre
Stasera, quando uscirò da qui una volta chiuso questo negozio, arriverò a piedi lentamente fino in piazza, sfiorando le panchine davanti al bar Soldini. E’ come l’ultima possibilità che gli concedo. Se non sarà come spero in mezzo a tutti gli altri ragazzi, cercherò d’ora in avanti di non pensare più a lui, di togliermelo dalla mente, e certamente non starò ancora ad aspettarmi di vederlo da un momento all’altro sulla strada davanti alla merceria. Non ci saranno altre occasioni, ho deciso; le cose si concluderanno lì in questa maniera. Magari starà lì, di spalle, chiacchierando con qualcuno, indifferente a tutto, come fosse cosa normale, ed io saluterò in fretta tutti gli altri senza neppure trattenermi molto, fingendo anzi di avere fretta per non lasciare in aria delle cose ancora da definire. Tommaso si offrirà di accompagnarmi, allora, e così ci sarà il tempo di parlare e di darsi un nuovo appuntamento.
            Lo vedo adesso, proprio mentre scrivo su questo mio diario: è qui, davanti alla vetrina; sorride nella mia direzione, aspetta che io chiuda il negozio, e già mi tremano le gambe. Però sono contenta.


Bruno Magnolfi


mercoledì 14 novembre 2018

Estrema semplicità.



Mi piace sapere in partenza se una certa cosa la posso fare oppure no, anche se ovviamente mi rendo conto non sia così facile comprenderlo. Però trovo tutto ancora un po’ più complicato quando si va a sollecitare in qualche modo le opinioni di qualcun altro, perché in genere non collimano mai perfettamente con quelle che io ho messo a punto, magari soltanto per la mia innata abitudine di trascorrere molto tempo - forse anche troppo – in perfetta solitudine, e di non riuscire per mia natura a fare delle scelte che tengono davvero conto degli altri. Così mi limito a girare per strada, ed anche se so già verso dove vorrei andare in alcune serate come questa, in ogni caso mi prendono continuamente dei forti dubbi sul fatto che quanto ho deciso di tentare, per situazioni come quella che ho in mente, sia poi davvero la cosa migliore da farsi. Provo un deciso entusiasmo, ma non vorrei proprio sbagliare, e ritrovarmi magari a sciupare qualcosa rispetto all’ attesa che ho maturato dentro di me, considerato che continuo solo a girare attorno al problema, nella speranza che la soluzione trovata sia davvero quella migliore.
Stasera non ho neppure troppa voglia di farmi vedere in giro da tutti, ed è anche per questo motivo, a parte l'umidità che persiste in queste giornate, che mi sono ficcato questo cappellaccio sopra la testa, immaginando così di essere un po’ meno riconoscibile. Mi piacerebbe forse addirittura zoppicare o caratterizzare la mia camminata in qualche maniera che non è la mia, proprio per lasciare immaginare a chi mi incontra per strada un'altra persona sotto queste vesti, qualcuno che soltanto difficilmente potrei veramente essere io. Ma poi sorrido di tutte queste mie fantasie, e vado avanti con normalità cercando di mantenere la stessa convinzione e la medesima volontà che mi ha portato poco fa ad uscire di casa. 
Non mi va di mettermi troppo vicino al negozio proprio nel momento in cui si sta avvicinando l’ora della chiusura; mi basta rimanere nei dintorni, attendere, piazzarmi in una zona del marciapiede poco lontano che resta scarsamente illuminata dai lampioni già accesi, e lì aspettare il momento maggiormente opportuno per farmi avanti, immaginando poi di lasciarmi riconoscere soltanto accennando un semplice gesto o una parola appena pronunciata. Però potrebbe anche cadere a sproposito questa mia mossa, anche se continuo a ripetermi che qualcosa devo pur fare, e che devo mostrare la mia precisa volontà in qualche maniera. Ci penso ancora un momento, mentre torno indietro lungo la strada: non vorrei che qualcuno già a questo punto mi avesse notato. Così ripercorro ancora una volta il giro completo dell’isolato, sempre tenendo un comportamento da passeggiata solitaria.
Alla fine mi fermo, le vetrine che mi interessano sono ancora illuminate, anche se l’orario di chiusura della merceria è già trascorso, ed adesso Clara dovrebbe venire fuori, non può più tardare molto. Eccola, difatti, però non è sola: c’è una signora con lei, non posso farmi avanti in questo momento, così mi copro come posso sotto al cappello, e voltandomi spero dentro di me di non essere stato riconosciuto. Farò un nuovo tentativo sicuramente domani, o forse tra qualche giorno, penso; ancora non lo so, perché trovare lo stesso coraggio non sarà certo facile. Anche se a me basterebbe soltanto che lei mi dicesse: ciao Tommaso, con estrema semplicità.


Bruno Magnolfi 


lunedì 5 novembre 2018

Conservazione.



28 ottobre
Vorrei fermare questi giorni. Cristallizzare tutto per pensare ad ogni dettaglio con calma, senza questa frenesia che spinge le cose sempre troppo in avanti.
29 ottobre
Ho paura. Non so decidere niente, le novità mi lasciano meravigliata senza comprendere se sono positive oppure no.
30 ottobre
Se pur non sono mai andata troppo d'accordo con mia madre, in ogni caso ho sempre saputo in ogni momento che lei c'è, pur con il suo sguardo tagliente e fermo e con i suoi modi diretti, comunque sempre pronta a darmi il suo parere, talvolta perfino superfluo proprio perché scontato, frutto del suo modo risaputo di guardare a tutte le cose. Adesso lei invece è come se fosse altrove, come se d'improvviso si volesse disinteressare di me, lasciandomi libera dalle sue opinioni, ma allo stesso tempo senza la sponda dura ma rassicurante del suo parere.
31 ottobre
Oggi mi è stato presentato un ragazzo molto più giovane di me, che secondo la signora Martini potrebbe aiutarmi nel lavoro al negozio. Ma a me non è piaciuto, non mi pare proprio sia la persona più adatta per occuparsi di abbigliamento femminile e di merceria. Ho subito avuto l’impressione che la signora Martini dovesse rendere un favore a qualcuno con questa candidatura, ma per me non è neppure un problema di esperienza nel settore: è soltanto questione di avere le qualità adatte ad essere il referente giusto nei confronti di alcune richieste delle nostre clienti. Questo che mi sono trovata di fronte è soltanto un ragazzetto a cui non interessa probabilmente niente di quello che cerchiamo di vendere nella nostra bottega, ed anche se può essere una trovata simpatica quella di mettere un maschio come lui in questo settore, ho paura che alla lunga le cose non andrebbero bene. Ho detto subito cosa ne pensavo alla signora Martini, e lei si è dimostrata comunque comprensiva. Sul momento abbiamo deciso di riprendere a lavorare con noi, se disponibile,  la stessa ragazza che ci aveva dato una mano durante la stagione primaverile. Non sarà il massimo, però con lei sappiamo di non fare delle brutte figure.
3 novembre
Alla signora Martini in fondo sembra non interessi poi molto delle mie scelte. Credo che se da un lato le piacerebbe che io riuscissi a preservare perfettamente la politica aziendale messa in piedi da lei decenni fa, dall'altro sarebbe anche contenta che io dessi una spallata ai suoi modi di tenere in piedi questo negozio. Forse nel dilemma tra una cosa e l’altra, sta pensando bene da adesso di non preoccuparsene affatto, in modo da lasciare a me ogni incombenza, a patto che il negozio naturalmente mantenga lo stesso livello di vendite di questi ultimi anni.


            Bruno Magnolfi 



domenica 4 novembre 2018

Scoperta del nuovo.




Non so perché abbiamo fatto passare tutto questo tempo. Sono talmente sorpreso nel sentirmi così bene stando insieme ad una persona dopo tanti anni di solitudine, che praticamente non ho più neanche memoria dell'ultima volta che mi è accaduta una cosa del genere. Ci mettiamo seduti lì sulla veranda a parlare, e lasciamo lentamente scorrere il tempo per proprio conto, disinteressandoci quasi di tutto il resto. Marisa, le dico; come abbiamo fatto ad abitare così vicini e a non scambiare mai neppure una parola per tutti questi anni. Non lo so, fa lei; però adesso, se soltanto ci penso, non mi interessa più tanto il passato. Fino a questo momento ho vissuto quasi soltanto di quello, ho respirato i ricordi e la nostalgia come non esistesse null'altro, ma devo dire che questo comportamento non mi ha portato a niente di buono. Ora invece voglio guardare al presente, vivere la giornata, e fare quello che mi piace di più. Marisa, le dico ancora, ma è possibile che sia così, che ci succeda davvero, quando non ce lo aspettavamo per nulla. Sorride; penso di sì, mi fa sottovoce. Ma non voglio pensarci su troppo, ho voglia soltanto di sentirti ancora parlare dei tuoi pensieri, delle tue idee, di tutto quello che avresti voluto fare prima o dopo.
Stiamo seduti, certe volte ci sdraiamo persino sopra al mio letto, soltanto per stare lì, a rilassarci, a guardare il soffitto, spiegare ancora qualcosa l’un l’altra, con gli occhi pieni di sogni e di fantasie. In quei momenti non ricordo neppure che cosa sia accaduto davvero in precedenza; osservo lei, specialmente quando non se ne accorge, e mi pare che tutto all'improvviso sia semplice, leggero, senza alcuna necessità di spiegazione. Marisa, cosa ne pensi, le chiedo. E lei, con le sue maniere ormai assodate, mi spiega che all'interno della sua vita difficile, tutto adesso sembra essersi fatto così semplice, lineare, senza necessità di ulteriori decisioni. Non c'è proprio niente da decidere, mi fa, se non qualcosa su cose sciocche: cosa cucinare stasera, se indossare i pantaloni oppure la gonna, fare una doccia nel pomeriggio oppure più tardi.
Siamo anziani, indubbiamente, le dico, ma non ci siamo mai illusi di poter tornare indietro nel tempo, e questo spingerci sempre in avanti ci sta facendo scoprire forse qualcosa di diverso. Che cosa ci importa, diciamo all'unisono, di quello che possa pensare il signor Remo, quello che abita di là dalla strada, quando ci vede ridere in giardino senza neppure riuscire a metterci un freno, allegri come siamo sempre da quando abbiamo deciso che eravamo troppo simili per non stare un po’ insieme. Lui non sa niente, dico io, prosegue ad occuparsi delle cose ordinarie, dei piccoli impegni di tutti i giorni, lo fa come tutti, forse per un’abitudine assodata, o anche per il senso del dovere che a volte dopo una certa età sembra riempirci rapidamente ogni spazio. Lo guardo, certe volte, lo saluto con la cortesia di sempre, e so che ero esattamente come lui fino a pochissimo tempo fa: è stato semplice però cambiare qualcosa, modificare dei piccoli dettagli intorno ai miei giorni. Ma quello che conta più di ogni altra cosa è questo accettare di modificare la mente, di aprire le idee a qualcosa di nuovo; come se tutto sommato ci fosse ancora tantissimo da scoprire e apprezzare.

Bruno Magnolfi

martedì 30 ottobre 2018

Domani, se vuoi.



Non mi interessa, ho ben altre cose sulle quali impegnare la mente, non sono questi gli argomenti a cui ho bisogno di tener dietro adesso. La motocicletta romba veloce sopra l’asfalto, le facciate delle case fuggono via ai lati di queste strade, quasi come se niente di tutto il centro abitato meritasse di stare un attimo in più davanti ai suoi occhi. Non mi riguarda neppure tutta questa cosa che improvvisamente sembra assumere tanta importanza, pensa Renato tra sé: lei è una ragazza come tante, forse una che non riesce neppure a valorizzare davvero chi le si para di fronte; una che probabilmente esce col primo che sa mettere assieme la battuta di spirito maggiormente efficace, senza preoccuparsi di altro. Mi pareva diversa, mi pareva capace di valutare meglio le situazioni, ma forse sbagliavo, a niente è servito cercarla, invitarla ad uscire da quella solitudine in cui pareva ancorata.
Ma tutto questo comunque non ha neppure troppa importanza in questo momento, quello che mi dispiace maggiormente è soltanto la figura che mi ha fatto fare davanti ai miei amici, anche se loro a quest'ora avranno sicuramente già dimenticato ogni cosa. Però mi dispiace davvero, se ci penso ancora un momento. Vorrei avere la possibilità di recuperare la situazione, farmi spiegare proprio da Clara il motivo per cui mi ha lasciato lì, con gli altri ragazzi, senza nemmeno provare a darmi una spiegazione qualsiasi. Non ho più voglia di passare davanti al negozio dove lavora, senz’altro non lo farò più a questo punto, però so dove abita, e aspettando pazientemente l’ora in cui termina il suo orario e se ne torna come ogni sera a casa sua, potrei andarle dietro, o addirittura aspettarla davanti alla sua abitazione.
Potrei farmi trovare proprio là davanti, da solo, con le mani dentro le tasche, e chiederle con semplicità se ha giusto un momento per parlare con me. Certo, potrebbe rispondermi, e forse aggiungere subito con gli occhi bassi che le è dispiaciuto parecchio essersi comportata in quella maniera con me, anche se è riuscita a rendersene conto soltanto più tardi. Non importa, potrei dirle io, avevo capito benissimo che è stato un gesto senza cattiveria, che non ti era passato neppure per la testa di volerti comportare in modo scostante con me. Certo, è più che evidente. Tutto parlandone si chiarisce con facilità, tra persone che si vogliono bene.
Poi penso che potrei passarci subito da casa sua, senza aspettare un attimo in più, fiondarmi lì con la mia motocicletta, e magari attendere sotto a un lampione che tutto si svolga in modo tranquillo, senza neppure un’ombra di risentimento. Basta un momento, tiro le marce lungo le curve e sono lì. Le luci a casa sua sono già tutte accese, forse Clara è arrivata, anche se non vedo la sua auto al parcheggio. Attendo un momento con la moto ancora che romba nel silenzio di quel piccolo gruppo di case, poi arrivano due fari dietro di me, si fermano, è lei, va tutto bene, mi dico, va tutto proprio come pensavo. Ciao, mi dice soltanto appena spento il motore; se attendi me purtroppo adesso non ho proprio tempo. Però ci possiamo vedere alle solite panchine, insieme ai ragazzi, davanti al bar Soldini; anche domani se vuoi.


Bruno Magnolfi   



giovedì 25 ottobre 2018

Percezioni perdute.




Sto bene, continuo a ripetermi. Non ho ulteriormente bisogno di intravedere la mia immagine riflessa nel vetro della finestra per sapere che sono qui, nel mio giardinetto davanti la casa, praticamente come ogni giorno. Cerco di lavorare, di trovarmi delle cose da fare, di occupare le mani per non lasciare alla testa troppo tempo per insistere a pensare. Eppure, nonostante la leggera preoccupazione che provo,  una parte di me continua a volersi sentire contenta, ad apprezzare in qualche modo quanto sta succedendo. È come se la perdita di controllo sulle cose che ho attorno, adesso non mi spaventasse più come faceva un tempo.
Marisa, sento chiamare con voce bassa e calma di là dalla staccionata con cui confina il giardino. Mi volto subito, alzo una mano per salutare, poi mi accosto pacatamente dalla parte dove sta sorridendo dolcemente il mio vicino. Mi chiedevo se ti andasse di prendere un caffè insieme a me, ma vedo che sei troppo impegnata, mi fa. Sono sciocchezze quelle di cui mi sto occupando, gli dico mentre tolgo i guanti da lavoro; anzi, una piccola pausa in questo momento è proprio ciò di cui sento maggiormente bisogno.
Mi piace il mio vicino, mi piace parlare con lui, scambiare i nostri differenti punti di vista, ascoltare le sue parole sempre rassicuranti, che spesso riescono a sminuire di colpo tutte le mie preoccupazioni. Persino quando poi resto in silenzio, una volta terminato di spiegargli qualcosa, o quando lui non ha più niente da dire o da aggiungere, e se ne sta lì soltanto a guardarmi, senza neppure cercare di rompere quella quiete che all’improvviso sembra più forte di qualsiasi altra cosa, non ho mai la sensazione di avere di fronte degli spazi vuoti che dobbiamo sforzarci di colmare al più presto. La sua presenza mi pare già un elemento che sussurra le cose che a me piace ascoltare, come se le parole fossero in qualche modo quasi superflue.
Dai allora, fa lui sorridendo, sto già aspettando il momento di mettermi seduto di fronte a te. Mi sciacquo le mani alla fontanella, mi asciugo al grembiule con naturalezza, mi tocco i capelli con un gesto femminile che fino ad adesso non ha mai fatto parte dei miei comportamenti usuali, poi esco dal cancello senza affrettarmi, per entrare nella sua proprietà. Speravo tanto mi venisse a chiamare come effettivamente lui ha fatto, quasi rispondendo ad un mio richiamo. Mi manca la sua persona quando non sono con lui, e se fino a pochissimo tempo fa mi sarebbe sembrato impossibile quello che mi sta succedendo, adesso poco per volta inizio come a lasciare che le cose vadano avanti per conto proprio.
Ho voglia di fare qualcosa con te, gli dico sincera mentre entro nella sua casa. Non montarti la testa, aggiungo subito, non è niente di strano; è soltanto che vorrei andare in giro con te, visitare qualcosa, sentire il tuo parere su tutto ciò che guardiamo. Anche se la nostra età non è più giovanile, in ogni caso sento forte la possibilità di aiutarci, di aspirare ad una nostra complicità, e ritrovare insieme quegli aspetti da cui siamo stati costantemente circondati in tutto questo tempo, ma che probabilmente da troppo abbiamo oscurato nelle nostre percezioni.

Bruno Magnolfi

sabato 20 ottobre 2018

Partecipazione.

       

            15 ottobre
            Sto trascorrendo oramai tutto il giorno dentro al negozio. La signora Martini resta soltanto un’ora per stare alla cassa o dire buongiorno ai clienti, ma per quello che fa potrebbe anche smettere del tutto di venire in merceria. Si affida a me, completamente. Ho iniziato a prendere appunti sulle richieste che mi esprimono le persone che entrano, le loro aspettative, i loro gusti, le scelte che fanno, e tra qualche tempo inizierò a tirare le somme di tutto quanto. Per quanto riguarda l’apprendista di cui avevamo parlato con la signora Martini, forse ci sarebbe un ragazzino di cui lei mi ha accennato stamani, e che conoscerò probabilmente nei prossimi giorni. 
            16 ottobre
            Mi sono portata a casa tutti i cataloghi degli articoli che sono riuscita a mettere insieme. Altri, scorrendo alcune riviste specializzate, li ho richiesti per posta, e non vedo l’ora di confrontare tutto quello che offre il mercato per rinnovare almeno una parte del nostro campionario. Devo studiare ogni cosa, mettermi ad analizzare i dati con calma, magari lo farò durante le domeniche prossime quando non devo andare al negozio, per cercare di tirare fuori il massimo possibile da quello che offre la produzione. Ho anche iniziato a pensare di modificare qualcosa nell’insegna esterna della merceria, ma ancora non ho delle idee buone. Appena chiuderemo per ferie, comunque, farò ridipingere gli infissi delle vetrine e cambierò la tappezzeria delle vetrine stesse. Anche all’interno credo che vadano rinnovati i camerini di prova e anche qualcosa degli scaffali. Dovrò comperare al più presto possibile dei nuovi manichini, ed anche il bancone avrebbe bisogno di qualcosa di nuovo. Forse è anche troppo, e probabilmente troppo di fretta, però non voglio che vada calando in qualche modo questo mio trascinante entusiasmo.
            17 ottobre
            Da quando abbiamo fissato con la signora Martini la data per la spartizione legale tra me e lei della piccola società del negozio, mia madre pare guardarmi con uno sguardo diverso. Forse questa crescita repentina di sua figlia le sta procurando un cambio di atteggiamento nei miei confronti. In ogni caso per ora niente di sostanziale è avvenuto. Continua a rivolgersi a me con il suo tono brusco, lasciando in aria per il resto dei profondi e lunghi silenzi.
18 ottobre
Stasera ho chiuso il negozio subito dopo l’uscita degli ultimi clienti. Mi sono fermata dai ragazzi delle panchine davanti al bar Soldini, e stavo quasi per andarmene quando è apparso un tipo che non conoscevo. Tommaso si chiama, ed ha detto alcune cose importanti nei riguardi della assemblea che si sarebbe tenuta più tardi nella sala interna del bar. Si parla di futuro, là dentro, e forse non è un argomento sbagliato in un momento come quello attuale. Proprio per questo ho deciso di partecipare anche io, così ho telefonato a mia madre, poi mi sono mangiata un panino da sola dentro allo stesso locale, e quindi mi sono seduta in mezzo alla sala sul retro. Tommaso, senza dare importanza alla cosa, è apparso d’improvviso nella sedia accanto alla mia, e questo mi ha procurato un grande piacere. Ha detto che era contento di trovarmi lì, e che gli sembrava che le nostre idee fossero affini. Forse si, ho detto io, in ogni caso mi sento sempre felice quando finalmente accade qualcosa in questo nostro borgo incantato.

Bruno Magnolfi

            

giovedì 18 ottobre 2018

Autolesionismo.




Sono stufo, dico a voce alta. Qui non c'è mai niente che cambi, ci si comporta perennemente nella stessa maniera di sempre, e si danno le colpe a qualcosa o qualcuno che non è neanche tra noi, qualcuno che da lontano pare ci possa manovrare e che ci vuole esattamente così come siamo. Non è in questo modo che riusciremo ad uscire da questo torpore, proseguo. La colpa è solo nostra se siamo così, ecco quello che penso. Poi spengo la registrazione, esco dalla mia piccola auto e mi dirigo a piedi verso la piazza dove si apre il bar Soldini. Sono pronto per intervenire alla riunione che si terrà questa sera sul tema: - prospettive per il futuro -, nella sala più interna di questo locale. In diversi si sono iscritti a parlare, ma anche io voglio dire la mia, e vorrei tanto riuscire a far comprendere ai presenti tutte le nostre responsabilità.
Seduti sulle panchine ci sono i soliti ragazzi che conosco, così mi avvicino camminando lentamente, come privo di precise intenzioni, e cerco di ascoltare quello che dicono tanto per comprendere meglio il clima che si respira. C’è una ragazza tra loro, quella che lavora al negozio di merceria, e questa forse è l’unica novità che riesco ad annotare. Tutti dicono che bisogna andarsene da questo paese, che qui non c’è niente, ma la ragazza, Clara si chiama, non è per niente d’accordo, anche se esprime sull’argomento giusto un paio di parole sottovoce e poi basta.
Ciao Tommaso, mi dice uno che conosco meglio di altri, mentre mi fermo a due o tre metri dal gruppo. Immagino tu sia qui per la riunione, mi fa. Certo, dico io, come anche voi, credo. Qualcuno ride, uno si alza dalla panchina come per andarsene proprio, tutti mi guardano con espressioni di scherno e di indifferenza. Non vogliono neppure entrare, dice la ragazza senza guardarmi, con il suo tono basso di voce. Eppure stasera si parlerà proprio di voi, di ciò che servirà nel futuro di questa cittadina per darsi almeno una prospettiva.
Sono perplesso, i ragazzi mostrano indifferenza, incredulità, rassegnazione, ma forse è soltanto una posa la loro, una maniera per non prendersi mai delle vere responsabilità, per sputare su tutto fingendo che tutto vada sempre nella stessa maniera, e che sia inutile impegnarsi per una variazione di direzione. Clara non è d’accordo, ma invece di dire con chiarezza le sue ragioni, assume un atteggiamento di tolleranza, come se l’opinione disfattista di alcuni, equivalesse a quella costruttiva di altri.
Lascio i ragazzi ed entro nella saletta del bar; alcuni hanno già preso posto, conosco due o tre persone, mi guardano, mi inviano un saluto. Non voglio candidarmi a sindaco o cercare un posto nella politica. Secondo me, anzi, la politica non c’entra proprio in questa serata: si tratta di noi, di mostrare che ancora possiamo contare, che non dobbiamo arrendersi ad un corso delle cose così disfattista. Possiamo avere ragione del clima così negativo che sembra regnare tra noi cittadini: ma basta con l’autolesionismo, non sarà mai questo a farci ancora sognare.

Bruno Magnolfi     

martedì 16 ottobre 2018

Basta volere.


       

            In certi giorni mi fermo ad osservare, naturalmente senza essere visto, la signora Marisa. Abito nella casa di fianco alla sua, e come tutti coloro che hanno l’abitazione qua attorno, ho un giardino da curare e dove trascorrere un po’ del mio tempo, specialmente quando la stagione è buona e si sta bene fuori ad occuparci delle piante e dei fiori. Lei, quando certe volte la incontro sul marciapiede che costeggia la strada, mi saluta come sempre ha fatto, anche quando era ancora in vita suo marito, senza mutare l’espressione del viso, soltanto marcando bene e in modo netto la parola che pronuncia per ossequiarmi. Non si è mai fermata con me a parlare di qualcosa, salvo i rari casi in cui se ne è presentata una effettiva necessità, neppure quando ci siamo ritrovati uno accanto all’altra presso la staccionata che divide i nostri rispettivi giardini.
            Inizialmente la temevo, credevo fosse una persona estremamente burbera, scostante, capace di montare su tutte le furie per delle semplici sciocchezze. In seguito mi sono reso conto anche osservando i suoi gesti, che non è assolutamente così, e che forse lei con i suoi modi forti cerca soltanto di tenere a bada o di nascondere una timidezza ed una paura mai superata verso tutti gli altri. Per questo mi piace, perché da quando mi sono reso conto del suo carattere effettivo, ho capito che è come siamo quasi tutti: una persona sola, arroccata in se stessa, con la fortuna di avere ancora una figlia grande che abita con lei, ma con la quale non sembra neppure andare molto d’accordo. 
            Così qualche volta mi fermo di nuovo a guardarla e contemporaneamente a cercare il coraggio, che per adesso non ho mai trovato, per dirle con naturalezza che vorrei essere un suo amico, piuttosto che un qualsiasi vicino di casa. Non ci sarebbe niente di male penso, nella mia richiesta. A me basterebbe che la signora Marisa venisse da me qualche volta a prendere un caffè, visitare i nostri rispettivi giardini, o durante qualche mattinata più grigia ritrovarsi per parlare delle nostre vite solitarie, e scambiarsi qualche sensazione, alleggerire in modo semplice i nostri rispettivi pesi da portare, con l’uso sempre efficace delle parole, che riescono talvolta anche ad alleviare il cuore di tutti.  Con lei mi piacerebbe girare qualche volta attraverso la nostra cittadina, farci vedere a passeggio, ed infilarci magari in un locale per passare un’ora ad un tavolino, bevendo qualcosa e mostrando a tutti l’aria rilassata di due vecchi conoscenti.
            Non ci vedrei niente di strano in tutto questo, in fondo è sempre possibile per persone come siamo noi, che hanno raggiunto ormai l’età per essere giudicati degli anziani, sentirsi un po’ solidali, uniti, ed affrontare le amarezze quotidiane con il massimo possibile di leggerezza, o almeno senza la gravità costante della solitudine. Così la guardo, e a volte quando al mattino mi sveglio mi sembra di aver sognato di lei,  di averla avuta qui, insieme a me, e già soltanto questo mi fa sentire meglio, più rilassato. Forse succede anche a lei la medesima cosa, io non lo so, però so per certo che devo farmi avanti uno di questi giorni, e dirle qualcosa di diverso dal solito saluto generico che adoperiamo da sempre tra noi due. In fondo basterebbe trovare la parola giusta, quella che facilmente sa aprire le porte delle persone, ed in questo modo spiegarle magari con un semplice cenno aggiuntivo ed un’espressione sincera e sorridente, che le cose per noi due possono cambiare con rapidità, ed essere migliori di come sembriamo; basterebbe volerlo, credo.

            Bruno Magnolfi

domenica 14 ottobre 2018

Stretto necessario.




Qualcuno dice che al mattino dopo la sveglia si riesca a dare il meglio di se stessi: la mente è più fresca, le idee maggiormente brillanti, c’è più entusiasmo per mandare avanti le cose. Ma io preferisco senz’altro la luce calda del pomeriggio, quando la giornata si è distesa ed oramai ha assunto un suo significato più definito, quando tutte le cose attorno sono più mature per lasciarti decidere che cosa salvare di tutto quello che ti sei ritrovato, e l’opinione che ne può scaturire è di fatto più fluida, più naturale, più vera.
Non mi interesso mai dell’opinione degli altri, generalmente resto ritirato dentro al mio guscio, come direbbero tutti, così se posso evito addirittura di parlare, mi limito ad ascoltare gli altri, e quando qualcuno si riferisce direttamente a me mi limito a sorridergli, perché ritengo che la mia sia un’espressione naturale, che non ha mai fatto male a nessuno. Lavoro con mio padre da diversi anni, agli inizi mi limitavo ad osservare i suoi gesti e a passargli gli attrezzi di cui aveva bisogno. In seguito tutto invece è diventato per me un’abitudine, ed adesso frequentemente non ho neanche bisogno di pensare per portare avanti le attività che affrontiamo. Mio padre mi ha detto tante volte che secondo il suo parere questo non è il mestiere adatto per me, ma io non saprei fare nient’altro, non mi sono mai interessato di altro, e della scuola quando ero ragazzo non me ne è mai importato un bel niente. Aiuto mio padre, lo seguo in tutto, lascio comunque che sia lui a sviluppare le cose, preparare i preventivi, decidere le soluzioni, tenere i rapporti con i clienti. A me basta arrivare in qualche modo all’ora in cui terminiamo, lavarmi le mani, cambiarmi la camicia, dimenticarmi completamente del lavoro e di tutto ciò che comporta, per raggiungere in fretta gli altri ragazzi davanti al bar Soldini.
Mi prendo una birra, mi siedo sopra le assi delle solite panchine, scherzo con i ragazzi cancellando dalla mente tutto quello del giorno che sopporto di meno. Non mi piace quando qualcuno si mette a parlare del nostro futuro, come fosse qualcosa per cui sviluppare già adesso chissà quale strategia. Non c’è futuro penso; soltanto qualcosa che andrà avanti così, senza grandi sussulti, e con il minimo delle preoccupazioni possibili. Mio padre dice che qualche volta dovrei pensare seriamente a farmi una famiglia, ma a me sembrano tutte cose prive di qualsiasi interesse, elementi forse ancorati alla vita delle generazioni passate, che adesso oramai non fanno più sognare nessuno.
Certe volte davanti al bar Soldini si parla delle ragazze, ma non è la stessa cosa: certo, si può andare con loro in qualche locale, farsi una birra insieme e poi magari con una o con l’altra magari può uscirne fuori qualcosa di più impegnativo. Ma il giorno seguente io torno a lavorare con mio padre, e tutto è tranquillo, mia madre mi porta il caffè per svegliarmi, ed il resto mi sembra lontano, forse da lasciar perdere subito, ed anche se qualcuna delle ragazze mi telefona per sapere se può rivedermi, io mi limito a sorridere alla cornetta. Può darsi, dico, ma non ce n’è uno stretto bisogno; le cose possono capitare, ma qualche volta è anche bene evitarle.

Bruno Magnolfi