domenica 27 maggio 2018

Appuntamento difficile.



Devo muovermi, sono già in ritardo. Non capisco neppure come possa essere capitato, forse mi sono trastullato un po’ troppo nella convinzione di avere davanti tutto il tempo di cui avevo voglia, ed invece le lancette dell’orologio sono andate avanti velocemente quasi per conto loro, in un modo del tutto inesorabile, tanto che adesso mi trovo nella situazione imbarazzante di chi non ha più alcuna possibilità neanche di riflettere meglio su quello che mi attende.
Prendo la giacca ed esco di corsa, pur sapendo perfettamente che il mio presunto successo in ciò che ogni giorno mi trovo a dover affrontare è semplicemente determinato dal dettaglio, dalle piccole cose, da quei particolari minimi e sottili per i quali soltanto dedicando loro la giusta attenzione si può ottenere i risultati in qualche modo sperati, lasciando alle spalle la superficialità risultante quasi sempre dalla fretta eccessiva. Forse ho i capelli poco pettinati, la mia camicia non è del colore che avrei voluto indossare, le mie scarpe non sono neppure perfettamente pulite. Però mi rassegno: certe volte le cose non possono essere altro che così.
Sul portone trafelato incontro la mia vicina di pianerottolo mentre sta rientrando, una persona comprensiva e sempre cortese con me, capace di prendermi la posta quando non ci sono, o anche di passarmi qualcosa da mangiare in certe serate in cui il mio frigorifero e la mia dispensa dimostrano di essere vuoti. Mi saluta vistosamente e con una certa determinazione, perciò mi fermo, le dico subito che ho fretta, ma lei inizia col raccontarmi qualcosa di importante dell’amministratore di condominio e delle sue strane trovate, così capisco subito che devo per forza interromperla, anche se in maniera garbata, se voglio occuparmi ancora della mie cose. Le dico che passerò più tardi da lei, ed a quel punto mi potrà raccontare tutto con calma, poi volo alla fermata del bus, che naturalmente transita proprio in quel momento senza di me.
Decido di andare a piedi, perciò attraverso subito la strada in un punto peraltro dove non è permesso, tanto che le auto di passaggio mi strombazzano come per farmela pagare. Sono già in un bagno di sudore per l’agitazione, e mi sento inadeguato sempre di più ad affrontare quanto il mio dovere richiede. Sono sicuro che qualcuno dirà immediatamente che sono in ritardo come è mio solito essere, e le mie scuse non verranno neppure prese in considerazione. Arranco, alla fine arrivo in una piazza e vedo un bus, così ci salgo insieme ad altre mille persone che mi stringono in una morsa incredibile. Non riesco neppure a vedere verso dove si vada, ma alla fine mi rendo conto che la direzione del mezzo pubblico non è quella giusta per me. Impiego due fermate prima di riuscire a scendere da lì, e mi sento sempre più disperato.
Alla fine decido di entrare in un bar per cercare di calmarmi, così mi siedo ad un tavolo libero e mi faccio servire dell’acqua e anche un caffè. Non sto bene, questo è il punto essenziale: non posso andare da alcuna parte, non posso presentarmi a nessuno, devo lasciare che le cose restino così come sono se non voglio riuscire a peggiorarle. Alla fine telefono: non importa, mi dicono all’apparecchio; non c’è affatto bisogno che lei si presenti; così, mi spiegano, può restare tranquillo e beato nella sua casa. Va bene, rispondo, ringrazio il vostro pensiero, magari prenderò nei prossimi giorni un nuovo appuntamento.


Bruno Magnolfi


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