giovedì 27 dicembre 2018

Nulla di me.


          

            Sono confuso ed anche indolenzito, però mi guardo attorno e mi rialzo, seppure con un’estrema lentezza, dopo essere caduto a terra in malo modo, quasi scivolando ma solo per la semplice sorpresa che ho provato, dopo aver perso il contatto con la pavimentazione della piazza, nella ricerca strenua, contemporaneamente, di comprendere che cosa fosse successo per davvero, e soprattutto perché non fossi riuscito ad immaginare, almeno un attimo prima che proprio succedesse, quello che stava sul serio per accadermi, senza alcun preavviso. Lui mi guarda truce, con la stessa espressione di estrema cattiveria che aveva ancora sulla faccia appena un attimo prima, ma a me pare ancora inverosimile che abbia potuto colpirmi così, senza essere stato neppure provocato. Mi sembra tutto assurdo, penso che ricorrere alle mani sia qualcosa assolutamente di ridicolo per chiunque tenti di affidare a questo sciatto comportamento l’unico sistema per rimediare alla propria deficienza di parole per spiegarsi e farsi comprendere. Questo forse gli vorrei dire adesso a voce alta, mostrandogli l’errore, l’insensatezza, la stupidità, però riflessivamente evito di farlo, come per un senso di sopportazione ed anche di tolleranza per quanto già accaduto.
            Lui, dopo un momento, ancora un po’ rigido nelle sue movenze di persona che agisce solamente d’istinto, con ogni evidenza preferisce allontanarsi, come per non avere più niente a che fare con un essere che neppure si ribella ad un comportamento scellerato come il suo, che non replica un bel niente, non accetta neanche di scendere sullo stesso medesimo livello, e forse per questo non merita neppure alcuna azione reiterata. Lo guardo, ma pur osservandolo in ogni suo dettaglio, lo fisso senza trovare in lui un interesse vero. In fondo ho capito perfettamente il messaggio che ha voluto porre in questo modo strambo alla mia attenzione. Tutto così mi pare ancora più ridicolo, ed adesso che ci penso meglio, perfino parlargli mi parrebbe fuor di luogo. Sanguino dal labbro, è il minimo che possa essermi accaduto, così sputo a terra un bolo semplice di schiuma rossa, come a mostrare il succo della mia sofferenza che ingloba in sé anche la sopportazione che tento di mostrare per il suo comportamento stupido, erroneo, privo del senso che generalmente si cerca dalle cose, e che io cerco negli altri soprattutto.
            I ragazzi poco lontani immagino ci guardino ed abbiano già preso posizione entro se stessi, in genere si sta sempre col più forte in questi casi, anche se adesso non mi interessa per niente il loro inutile pensiero, ed io non appaio certo quello che ne esce meglio da questa situazione, anche se mi sento comunque superiore, non fosse altro per essere riuscito almeno in qualche modo a conservare la mia calma, a non aver accettato una sfida da ragazzi sciocchi e senza stile, comportamento che reputo non mi appartenga affatto. Mi rialzo e resto lì, sopra i miei piedi, nell’attesa che sia lui a togliersi di torno, o che comunque dimostri che il suo modo di pensare è di fatto definito soltanto dall’uso delle mani, e da nient’altro. Poi avverto qualcosa di grottesco in tutta la faccenda, così mi volto da una parte, mi asciugo con un fazzoletto, e senza dire niente vado con calma ad infilarmi dentro al bar Soldini, giusto per bere un goccio d’acqua ed andare in bagno a controllare nello specchio cosa sia successo alla mia faccia. Quando torno ad uscire sono tutti ancora lì, nessuno dice niente, ed a me viene persino da sorridere, non per un moto di sfida, quanto per il senso di patetico di tutta la faccenda. Poi me ne vado, non ho niente da fare in quei paraggi.

            Bruno Magnolfi

venerdì 21 dicembre 2018

Fantasie difformi.



Lei osserva attentamente un angolo della parete che ha di fronte. Pare assurdo che questo forte senso di solitudine si faccia sentire proprio adesso, quando sembra non abbia più alcun significato. Il silenzio però è come una coltre densa certe volte, che pare avvolgere in un bozzolo tutta la casa; come il freddo di queste sere invernali, ad esempio, insieme al buio profondo all’intorno, che quasi gli impedisce di manifestarsi degnamente a quei tre o quattro lampioni là di fuori, sul bordo della strada, in questa località probabilmente anche troppo isolata. Passa un'automobile ogni tanto, a ricordare un’esistenza reale là intorno, con un percorso indiscutibile che ha un inizio ed anche una fine, di un viaggiatore che forse nota vagamente, anche se per un solo attimo, quelle case senz’altro abitate da qualcuno, al di fuori dal suo parabrezza - da dentro le finestre s’avverte leggermente il rombo di ogni vettura quasi in ogni stanza -, ma poi basta, tutto passa, rapidamente: un semplice momento, ed è già tutto finito. La campagna aperta ed anche i boschi fitti poco lontano sembrano quasi incombere, come sempre hanno fatto peraltro, anche se adesso sembrano più immobili, cristallizzati ed innocui dentro la notte, come una vecchia fotografia rimasta in un cassetto fino a diventare un qualsiasi oggetto inutile.
Posso alzarmi da questa sedia, pensa lei senza convinzione. Posso trovare qualcosa di cui occuparmi per riempire questa lunga pausa, come ogni volta, perdendomi con facilità in piccole operazioni di manutenzione delle cose, oppure in grandi progetti che perdono di senso e di importanza soltanto con il tempo, che riesce a neutralizzarli lentamente ma con facilità, rendendo tutto quasi indolore. Posso leggere un libro, magari, e perdermi rapidamente nella fantasia di qualcun altro, respirando vicende e descrizioni che forse non sono esattamente quelle mie, ma in parte probabilmente le assomigliano, o che potrebbero addirittura essere state inventate da qualcuno dal pensiero vivace come il mio, e che magari mi è vicino, in qualche modo, che quando sogna, forse, ecco che fa i miei stessi sogni, ripercorrendoli come un sentiero già tracciato. Odio gli altri, a volte, questa è la verità; o almeno tutti coloro nei confronti dei quali posso scagliarmi facilmente con il mio spirito ipercritico, quelli che sento estranei, diversi, lontani, quelli dei quali non conosco niente, e che forse proprio per questo mi fanno paura, rendendo il mio pensiero instabile, senza le sue basi solide. 
Non ho mai sofferto di solitudine, deve esserci un’altra spiegazione. Mia figlia è fuori, rientrerà più tardi, forse sono preoccupata per lei, ed è tutto qua. Oppure, all’improvviso, sento che qualcosa si sta modificando, ed io ho paura delle variazioni, non vorrei dover affrontare qualcosa a cui non sono preparata. Ma come prepararmi, come tentare di accogliere ciò che forse è già dietro quell’angolo, senza sapere prima cosa sia. Meglio guardare ancora questa parete bianca, immaginarla senza spigoli, senza asperità, e disegnarci sopra qualcuna delle mie fantasie, per poi pensare ancora che tutto sarà sempre così, invariabilmente.


Bruno Magnolfi


lunedì 17 dicembre 2018

Intenti insani.


          

            4 dicembre
Sono sospesa. Il lavoro va bene, che c’entra, ho delle buone idee da mettere in campo nei prossimi mesi, ma tutto questo è soltanto la metà dei miei pensieri.
5 dicembre
Vorrei che qualcuno mi indicasse la via migliore per non avvertire costantemente dentro di me questa ansia. Mi sembra di vivere un incubo in cui sentirmi obbligata a muovere il corpo senza toccare assolutamente nessuno, come se tutti gli altri fossero portatori di infezioni fulminanti. Forse ho soltanto bisogno di mettere a punto la mia strategia, e non voglio in nessun modo essere condizionata da chi mi sta attorno.
6 dicembre
Stasera mi sono vista di nuovo con Tommaso. Mi piace stare con lui, sentirlo parlare dei propri studi e dipanare le sue opinioni che mostrano lo spirito curioso da cui è animato. Mi piacerebbe fare qualcosa insieme a Tommaso, andare da qualche parte, forse impegnarmi in un piccolo progetto: magari sperimentare una novità per ambedue, andare da qualche parte, vedere degli spettacoli, qualcosa forse di poco ordinario, in modo da poter scambiare in seguito i propri rispettivi pareri. Non succederà niente di tutto questo, almeno per ora, ne sono certa; però tutto in seguito potrebbe essere possibile; chissà, tanto vale rincorrere dei sogni.
7 dicembre
Mia madre mi ha spiegato con molta calma che non va bene secondo lei che io tiri tardi ogni sera una volta chiuso il negozio di merceria. Qualcuno mi ha visto, ha subito aggiunto. Eri con un ragazzo, ed anche se oramai sei grande, le tue sembrano soltanto delle sciocchezze da ragazzina. Non le ho risposto neppure, non mi va certo di essere trattata in termini puerili. Forse per troppi anni mi sono assopita su un comportamento monotono e privo di qualsiasi novità. Perciò devo cambiare, i tempi sono ormai più che maturi, ed indipendentemente da Tommaso devo trovare la maniera per essere più autonoma, e smettere di occuparmi soltanto delle cose che in qualche modo fanno piacere a mia madre.
8 dicembre
Nonostante sia festa oggi ho trascorso interamente la giornata dentro casa. Non ho quasi rivolto la parola a mia madre, escluso le frasi ordinarie; non mi va di parlarle, mi piace che si renda conto di quanto io sia rapita da tutti i miei pensieri. Ad un tratto durante il pomeriggio ho avuto voglia di uscire, prendere la macchina e farmi un giro senza meta, magari passando dal centro del paese. Avrei potuto incontrare Tommaso, riflettevo, ma la delusione di non vederlo da nessuna parte sarebbe stata troppo forte, perciò ho rinunciato del tutto.
9 dicembre
La giornata di oggi è scivolata via come sempre dentro al negozio, senza novità. So dove abita Tommaso, ho trovato l’indirizzo sull’elenco telefonico, e passando da lì con indifferenza ho visto piazzata fuori dalla sua casa la bicicletta che usa sempre per girare nel paese. Potrei mettere un biglietto piccolissimo da qualche parte in quel manubrio, così che lui possa trovarlo, ben ripiegato, ma senza che faccia troppa mostra di sé a tutti i curiosi che affollano questo centro abitato. Ma non saprei proprio che scriverci, non ho le parole che piazzate sopra un foglietto spieghino in maniera adeguata me stessa, perciò non farò niente neppure di questo, anche se uno di questi giorni se non accade nulla ho deciso che scaraventerò in terra quella stupida bicicletta; così, senza motivo.

Bruno Magnolfi

giovedì 13 dicembre 2018

Conseguenze lampanti.



Certe giornate sono infinite. Affronto le cose come sempre ho fatto in questi ultimi tre anni, ma qualche volta nonostante tenti di comportarmi secondo le più ordinarie consuetudini, tutto questo non sembra bastare. Fingo che le cose vadano sempre per il meglio, specialmente quando intravedo i soliti clienti che vengono allo studio, e forse dal punto di vista lavorativo non devo registrare neppure qualcosa di importante che in questo periodo si sia messo effettivamente di traverso. Ma la giornata di ciascuno di noi tra questi uffici, io penso non sia composta dalle sole mansioni occupazionali che vengono comunque portate avanti: ci sono certamente mille pensieri che aleggiano nell’aria e che pretendono il loro spazio, e poi ci sono altrettante preoccupazioni più o meno importanti che spesso tolgono in qualche caso anche il respiro, soltanto a pensarle.
Forse non nutro sufficiente interesse per il mio lavoro, questo è il mio pensiero segreto; magari non esattamente come qualcuno tra gli altri ragazzi pieni di entusiasmo con i quali portiamo avanti le cose in questa grande stanza ingombra di vecchie scrivanie, però niente di quello che faccio lo lascio mai del tutto al caso: rifletto, preparo gli incartamenti, affronto ogni aspetto che mi si pone davanti con ampia e sufficiente serietà, almeno secondo il mio parere. Qualche volta ho anche pensato che non era proprio la mia aspirazione questo occuparmi dei vari conteggi delle piccole società artigianali che sono presenti in questo nostro diffuso territorio, però penso che qualcuno deve pur farlo, ed in fondo io non ho mai manifestato interessi diversi dopo aver preso il diploma di ragioneria, e forse non l’ho mai fatto neppure prima.
Ho avuto la fortuna di poter entrare in periodo di prova, tramite le amicizie di mio padre, in questo studio dove si mette a punto la consulenza del lavoro, le buste paga per le organizzazioni che hanno dei dipendenti, e gli aspetti più commerciali riguardanti le dichiarazioni dei redditi e tutte le altre cose di questo genere che affliggono piccole ditte, società agricole, negozi e professionisti. Nessuno però mi ha mai spiegato a muso duro che non ero adatto per questo mestiere, tanto che il mio datore di lavoro al contrario si è mostrato piuttosto contento di assumermi come apprendista.
Di fatto non mi lamento, ho sempre qualche soldo dentro le tasche, però ogni giorno non vedo l’ora di uscire da questi uffici e raggiungere gli altri ragazzi sulle panchine disseminate in mezzo alla piazza, scrollarmi di dosso questi obblighi assurdi, e sentirmi finalmente libero, almeno per un’ora, ed assaporare una birra insieme a loro, parlare con tutti delle cose che mi interessano di più, che poi non so neppure io quali possono essere, tanto a me basta che siano totalmente diverse da queste odiose scartoffie. Poi c'è questo passaggio di proprietà del negozio della signora Martini, e la società che sembra formarsi è a favore di una ragazza che conosco di vista, un tipo a posto, forse un po’ riservata, ma che sembra portare avanti bene le cose in quella bottega, tanto che tutti sembra ne parlino in termini positivi, come la persona giusta per quel lavoro, quella che proprio ci voleva.
A me fa piacere, ho visto le carte sopra la mia scrivania, domani sono sicuro dovrò occuparmene, e magari indicare le documentazioni che mancano per mandare avanti la pratica. Con poco potrei complicare le cose, se solo volessi, basterebbe far sparire un foglio o una firma. Non farò niente del genere, è chiaro; ma un giorno di questi dovrò pur comportarmi in maniera stravagante, uscire almeno per un attimo da questa monotonia che non lascia respiro. Mi sento già pronto perfino ad affrontarne tutte le conseguenze.


Bruno Magnolfi 


lunedì 3 dicembre 2018

Così come dev'essere.



Guardo dalla mia finestra la casa delle Carraresi, proprio di fronte alla mia abitazione, dall'altra parte della strada statale, in questa località da sempre chiamata del platano. Mi sembra tutto così particolare quando immagino cosa accada là dentro; intendo il fatto che loro due, queste due donne, si sono sempre dimostrate persino troppo riservate, serie ed anche oltremodo coscienziose in tutto quello che hanno fatto, quasi incapaci, dico io, di qualsiasi leggerezza, forse persino di reggere la spinta ordinaria della quotidianità senza riuscire costantemente a crucciarsene, ed a fare di ogni sciocchezza un elemento da ponderare, da prendere con estrema quanto inutile serietà. È vero che non le ho mai viste litigare tra di loro, eppure sono ugualmente certo che sia sempre mancato un clima realmente disteso tra quelle stanze. Più che una famiglia la loro, a volte mi è parsa la semplice somma algebrica tra due persone.
Io sono soltanto un pensionato che cura l'orto accanto alla propria casa e che si fa generalmente gli affari propri. Eppure provo un certo dispiacere nel rendermi conto che le cose in quella abitazione sembrano restare identiche da un anno a quello seguente, e che nessuna risata forse è mai riuscita a levarsi davvero tra quelle mura domestiche. La vita per noi gente di paese si mostra già piuttosto severa con le sue giornate noiose e normalmente avare di vere e proprie novità. Ma per loro due, queste due donne dall’immagine di persone così irreprensibili, le cose probabilmente potrebbero andare meglio se soltanto volessero.
Il marito di Marisa in fondo, ancor prima di morire, so per certo che le ha lasciate con un bel gruzzolo in banca, e con diverse proprietà sparse da queste parti, ma loro invece di godersi qualcosa di quei soldi e questi averi, sono sempre rimaste lì a bisticciarsi, con le facce tirate e qualche piccola mania per ciascuna, come portare i sacchetti della nettezza nell'area ecologica ogni giorno alla stessa medesima ora. Oppure farsi vedere sempre separatamente, mai insieme, come se uscire insieme fosse in questa zona qualcosa assolutamente da evitare.
Buongiorno, dico certe volte alla ragazza quando esce di casa nello stesso minuto di ogni giorno per mettere in moto l’auto ed andarsene al negozio dove lavora. Lei mi risponde con cortesia ma senza enfasi, come se già nei minuti precedenti avesse avuto qualche piccolo screzio con sua madre; la sua espressione appare quasi tirata, i gesti nervosi, lo sguardo di chi pondera bene cosa dire e soprattutto che fare, senza sprecare niente nei suoi comportamenti. Più tardi esce sua madre in giardino, guarda i suoi fiori, le piante, controlla l’altezza dell’erba, e pare proprio che di null’altro le importi se non di quei vegetali che in certe stagioni peraltro appaiono quasi inerti.
Ero riuscito a notare, nelle settimane addietro, che lei aveva iniziato a frequentare il vicino di fianco alla sua casa, a parlare con lui, ad andare persino a prendere il caffè a casa sua, e mi sono subito chiesto quanto tempo mai sarebbe trascorso fino ad interrompere tutto quanto. Difatti adesso sembra che neppure si conoscano, proprio come avevo immaginato, e lei è tornata ad ignorare chiunque le si muova attorno, proprio come sempre. Forse sono io che vorrei tutti gli altri magari più spensierati ed allegri, ma in ogni caso un giorno di questi attraverserò questa strada proprio per chiedere alle Carraresi il motivo del loro comportamento, e che cosa le porti ad essere in buona sostanza esattamente così come sono.


Bruno Magnolfi