martedì 22 agosto 2023

Fratelli unici.


Il nome di battesimo di nostro padre è Achille, ma lui non si è mai mostrato troppo contento di essersi chiamato così, forse per via del proprio carattere schivo che fa un po' a pugni con un nome anche troppo altisonante come il suo. In ogni caso anche la mamma difficilmente lo chiama in questo modo, scegliendo piuttosto di rivolgersi a lui con i vari sostantivi spesso in uso nelle famiglie, come babbo, amore, papà, tesoro, oppure nei casi più seri chiamandolo simpaticamente per cognome. Quando eravamo piccoli, di domenica mattina, ancora adesso ci ricordiamo facilmente come nei casi in cui la giornata fosse apparsa sufficientemente solatia, lui ci portasse a scorrazzare presso un giardinetto poco lontano da casa, a margine del quale si sedeva tranquillo sopra una panchina, scorreva i titoli di un immancabile quotidiano, per tenerci d’occhio da quella postazione, difficilmente intervenendo nei nostri giochi di bambini. Più avanti, comunque, questa consuetudine naturalmente fu presto persa. Dopo il compimento dei nostri dieci anni, all'incirca, iniziò invece il periodo delle gitarelle festive in macchina con tutta la famiglia. La più entusiasta ed operosa, in quei casi, naturalmente si dimostrava subito nostra madre, che preparava già dal giorno avanti una grossa cesta piena di cose da mangiare, e poi sistemava in una borsa capiente tutto ciò che sarebbe potuto tornare utile per qualsiasi eventualità, compresi dei mantelli cerati in caso di pioggia improvvisa. Si partiva in genere per una meta piuttosto vaga nella mente di nostro papà, un luogo comunque che non fosse distante dalla nostra casa più di qualche decina di chilometri, perché a lui non piaceva guidare troppo a lungo l’utilitaria che avevamo, e così ci si ritrovava immancabilmente, dopo qualche breve sosta casuale in certi paesini isolati, su qualche terreno erboso sotto a qualche albero, a rilassarsi sdraiati sopra una larga coperta e ad inventare qualche gioco semplice.

<<Bambini>>, diceva la mamma tanto per spingerci a fare qualcosa; <<andate a cercare dei fiori, così ne riportiamo a casa un mazzetto tra quelli più belli che riuscirete a trovare>>. Oppure:<<da quella parte deve esserci un ruscello, andate a vedere se è proprio così>>. O anche: <<chi di voi due riesce per primo a toccare quell'albero laggiù, e poi ritornare di corsa fino qui, avrà vinto>>. Che cosa si vincesse, non era chiaro, in ogni caso ci impegnavano molto in queste piccole competizioni, e la differenza d'età non pareva mai né un vero vantaggio, né il contrario, per nessuno dei due. Se comunque avessimo sudato troppo in questi nostri piccoli impegni, avremmo dovuto metterci seduti all’ombra per almeno una mezz’ora, ed in quei casi nostra madre tirava fuori qualche libro di favole che ci leggeva piacevolmente con voce calma, mentre nostro padre come sempre si mostrava del tutto perso dietro ai suoi pensieri. Nel ripensare a quei momenti, il tempo di quelle giornate lontane appare oggi quasi vuoto di tutto, come se quei piccoli passatempi di allora non avessero avuto alcun senso, se non quello di fingere un’armonia familiare che forse neppure c’era, ma che noi bambini avremmo dovuto respirare a pieni polmoni, perché tutto ciò, secondo i nostri genitori, sarebbe stato estremamente utile alla nostra crescita.

Noi fratelli non abbiamo mai sentito loro due alzare la voce per un qualche motivo, ed anche nei nostri confronti non c'è mai stato bisogno di drastici provvedimenti per qualche marachella. Nostra madre in quei casi diceva a bassa voce che quella certa cosa proprio non dovevamo farla, e noi abbassavano lo sguardo, sentendoci già colpevoli di aver fatto pensare qualcosa di brutto alla nostra mamma. Achille, in molti casi, si limitava a sbuffare, senza neppure dirci niente, volgendo contemporaneamente lo sguardo lontano, come se i suoi interessi reali fossero stati in un'altra dimensione, o da altre parti, distanti comunque da dove ci trovavamo. Le prime volte che uscimmo di casa da soli, noi due fratelli, lo facemmo con grande titubanza, cercando di non creare alcuna difficoltà, e seguendo le indicazioni di stare assieme e di aiutarsi l'uno con l'altro. Non ci voleva molto però, una volta per strada, a dividerci ed andarsene ognuno per proprio conto, magari dandoci un appuntamento preciso da rispettare, per ritrovarci insieme più tardi prima di tornarsene a casa. Avevamo tra noi un’età diversa, quindi amici e compagni diversi, dei differenti interessi, ed era impossibile proseguire a stare troppo vicini come avrebbero voluto i nostri genitori. Probabilmente fu proprio in quei momenti che iniziammo a non scambiarci più neanche le opinioni che maturavano ogni giorno dentro alle nostre menti: ognuno aveva già iniziato a portare avanti delle scelte strettamente individuali, ed anche se tutto sommato eravamo ancora degli adolescenti, nessuno dei due faceva troppo conto sull'altro per comprendere meglio ciò che in ogni giorno sempre di più ci trovavamo di fronte, affrontando la realtà di ragazzi quali iniziavamo quasi ad essere, come se fossimo dei figli unici, senza alcun fratello a rendere maggiormente difficili le nostre giornate.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 16 agosto 2023

Finalmente al sicuro.


            Stamani sono uscita per recarmi nel piccolo supermercato vicino casa a fare i soliti acquisti. Prima di entrare ho incontrato la signora Lanzi che conosco da tempo, e così mi sono soffermata per salutarla e porgerle un bel sorriso, anche per vedere se riuscivo ad incoraggiare lei stessa per una volta a sorridermi di conseguenza. Invece, come sempre, è rimasta quasi immobile, e dopo un momento mi ha soltanto detto: <<Buongiorno a lei>>, conservando il suo solito sguardo quasi accigliato, e poi, senza che io le chiedessi nulla, ha iniziato subito a lamentarsi dell’aumento dei prezzi sui generi alimentari. <<Non ci si fa a reggere questo andamento>>, ha continuato. <<Delle persone semplici come noi non riescono a sostenere una crescita dei costi che non sembra abbia mai fine>>. Ho annuito a queste parole, facendomi più seria proprio per dare maggiore importanza a ciò che lei affermava, anche se dentro di me pensavo soltanto che potrebbe essere sufficiente risparmiare, e fare a meno di qualcosa di maggiormente superfluo, senza tanto drammatizzare. <<I nostri governanti sono messi lì per decidere misure importanti per tutti>>, ha subito ripreso questa donna; <<ma prima che a qualsiasi altro individuo, loro devono pensare a coloro che sono economicamente più deboli, la gente comune insomma, quelli proprio come noi>>.  Ho annuito di nuovo, però pensavo che forse sarebbe stato già sufficiente mangiare qualcosa di meno, che magari potrebbe essere positivo anche per la salute. Ma soprattutto riflettevo, ascoltando le sue proteste, che non mi sono mai piaciute troppo le persone che se la prendono con gli altri quando hanno dei guai, così ho aggiunto: <<probabilmente i governanti hanno altri problemi da risolvere in questo momento>>, e la signora Lanzi a questo punto si è bloccata e non ha più detto niente. Così dopo un attimo mi ha salutato mostrando di avviarsi per andarsene, ed io a mia volta ho subito ripreso il mio solito sorriso con il quale mi riferisco sempre ad ogni persona che conosco, e in questo modo sono entrata dentro al negozio.

Non capisco comunque il bisogno della signora Lanzi di mettere me stessa sul suo medesimo piano, ed anche se in ogni caso riconosco almeno in parte le sue proprie ragioni, non mi sembra che questo possa essere l'argomento principale per cui fermarsi a parlare per strada con qualcuno che si conosce soltanto in maniera sommaria. In ogni caso mi sono resa conto anch'io, scorrendo gli scaffali con la merce esposta all'interno del supermercato, che i prezzi dei prodotti in vendita in questi giorni non sono certo molto allettanti. Al bancone del pane e dei salumi mi sono fermata dietro ad un uomo anziano che si stava facendo servire qualche affettato, e quando è stato il mio turno ho salutato subito Giovanni, un negoziante che lavora lì e che conosco da sempre, al quale scherzosamente ho subito chiesto se per caso fosse aumentato anche il prezzo del pane. Lui mi ha sorriso, ha messo a posto qualcosa alle sue spalle, poi mi ha riferito che qualche ritocco dei costi effettivamente ci sarebbe stato negli ultimi tempi, ma sul pane tutto sembrava ancora fermo.

Perciò mi sono fatta mettere in una busta alcune provviste, senza smettere mai di chiedere ogni cosa con cortesia e normale educazione, tanto che alla fine, almeno Giovanni, mi ha fatto un gran bel sorriso augurandomi una buona giornata e porgendo dal banco con un gesto carino il mio sacchetto con gli acquisti. Mi sono avviata verso la cassa, ho preso ancora qualcosa da sopra uno scaffale, poi ho pagato e quindi sono uscita. Fuori dal supermercato c'era ancora la signora Lanzi che adesso stava parlando con qualcuno del medesimo argomento di poco prima, così almeno mi è parso, e per questo motivo ho evitato di guardarla e di passare troppo vicino a lei e a quel gruppetto di persone che la stavano ascoltando, incamminandomi verso casa senza neppure troppo affrettarmi. È stato a quel punto che la signora Lanzi mi ha chiamato, e nel momento esatto in cui mi sono voltata verso di lei, mi ha lanciato un gesto ed un sorriso ironico, sicuramente riferendosi al mio aver toccato con mano, facendo degli acquisti, quegli aumenti dei prezzi di cui lei parlava poco fa.

<<Dobbiamo lamentarci a voce alta>>, ha subito aggiunto; <<altrimenti rischiamo di apparire come pecore che non trovano mai nulla di cui lamentarsi>>. Le ho sorriso di nuovo, ma non mi è parso il caso di dover aggiungere nulla; perciò, ho proseguito per la mia strada, anche se mi sentivo un po’ avvilita dal suo comportamento. Ci sono tante cose ogni giorno di cui rallegrarsi, pensavo. Si può chiudere un occhio, se qualcosa non va esattamente così come vorremmo. Non mi piace fermarmi per strada e fare capannelli di protesta improvvisati. Ognuno ha la propria famiglia all'interno della quale trovare le forme migliori per affrontare le avversità di ogni giorno. Poi mi sono imposta di non pensarci più, ed alla fine sono rientrata nella mia abitazione, finalmente al sicuro.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 7 agosto 2023

Espressione d'affetto.


Ho sempre avuto paura dei cambiamenti, e per questo nel corso dei miei anni ho spesso cercato, per quanto possibile, di evitare di trovarmi di fronte a scelte troppo importanti. Dopo il diploma ho iniziato subito a lavorare nell'amministrazione dell'impresa in cui mi trovo in forza ancora adesso, e dove con ogni probabilità rimarrò fino al mio pensionamento, anche se nei primi anni di lavoro esprimevo un evidente maggiore entusiasmo nella mia attività, soprattutto perché credevo sinceramente di poter fare carriera, e prima o dopo di essere promosso dai miei superiori a dei ranghi di responsabilità. Invece, per una ragione o per l'altra, ho continuato a svolgere sempre le medesime mansioni, e l'unica spinta morale che ho ricevuto, già diversi anni dopo il mio matrimonio, è stata quando una delle mie colleghe della sede ha iniziato a lanciarmi dei larghi sorrisi, tanto che alla fine le ho chiesto se ci potessimo vedere fuori dall'orario di lavoro. I miei figli erano già nati, naturalmente, ed ogni attenzione di mia moglie in ambito familiare era assolutamente riservata a loro, e che per me si profilavano spesso delle fasi di evidente prostrazione, tanto che mi ritrovavo certe volte a svolgere in ufficio delle ore di straordinario, anche se non ce n'era tutta questa necessità. Lei non parlava molto, però con i suoi modi riempiva quel vuoto che avevo iniziato a provare dentro di me. Mia moglie, quando tornavo a casa, sembrava come sempre la donna più felice del mondo, e non si accorgeva di niente, anche se inventavo sempre nuove scuse per incontrarmi con la mia collega. Quando tutto questo infine terminò, considerato che lei si era stufata di incontrarmi di fretta solo una volta o due la settimana, all'improvviso mi sentii quasi alleggerito, come se, per tutto quel tempo in cui era andata avanti la faccenda, il mio impegno fosse quasi stato sorretto soltanto grazie alla sua volontà. Proseguii comunque a farmi avanti ogni volta che c'era la necessità di svolgere in ufficio qualche ora di lavoro straordinario, soprattutto per non tornare mai a casa troppo presto, anche se ultimamente ho preso a frequentare un locale dove mi fermo per qualche birra e per passare il tempo.

In seguito, comunque, le cose sono andate avanti in una maniera che potrei definire normale, con i figli che sono cresciuti anno dopo anno, ed un andamento direi quasi ordinario della vita familiare. Qualche volta ho pensato di allontanarmi da casa, di prendermi almeno delle pause da queste giornate così monotone, ma non ho mai avuto il coraggio di fare comprendere a mia moglie che io non sono del tutto felice. Così poco per volta mi sono abituato a fingere il comportamento di una persona piuttosto soddisfatta, e lei comunque non mi chiede quasi mai nulla sul mio vero stato d'animo. Ho provato ad immaginare che cosa lei possa desiderare da me quando mi trovo tra le mura domestiche, ma non sono riuscito mai ad interpretare del tutto i pensieri di mia moglie in questo senso. Lei sembra sempre accettare con gioia tutto ciò che avviene, anche se io non credo sia sempre possibile, e perciò in qualche caso mi ritrovo a chiederle: <<perché non ce ne andiamo da qualche parte, ad esempio il prossimo fine settimana, anche soltanto per rilassarci un po', per svagarsi, o prendere fiato, soltanto io e te; che cosa ne dici?>>. Ma lei sorride, spiega in due parole che non potrà mai lasciare i figli a casa da soli, dato per scontato che alla loro età non verrebbero di certo insieme ai loro genitori, ma come se non fossero in grado di cavarsela da soli. Forse ha ragione, dietro ai sorrisi che fa quando afferma queste cose, ed io sono portato a fare sempre più spesso ciò che dice lei, senza avanzare quasi mai delle diverse soluzioni. A me pare che i nostri figli dimostrino caratteri ben definiti, e non abbiano certo bisogno dei loro genitori per mandare avanti le cose di cui si interessano, ma per mia moglie restano comunque i suoi cuccioli ancora da servire e da coccolare.

Qualche volta provo invidia per la grande capacità che ha lei di conservare sempre questo atteggiamento appassionato per chi si trova attorno, ma nella maggior parte dei casi mi prende un moto di rabbia che devo sempre cercare di reprimere, fino quasi a provare una vaga depressione quando devo starle accanto per un tempo maggiore del dovuto. In questo senso il fine settimana per me è sempre deleterio, e mi trovo costretto ad inventarmi costantemente qualcosa di cui occuparmi, e che mi trascini fuori da casa, anche se non ne avrei del tutto voglia, proprio per non provare la sensazione di asfissìa che mi provoca il suo costante preoccuparsi di me e soprattutto dei nostri figli. Anche loro mi sembra abbiano iniziato a sbuffare qualche volta di questo sentirsi circondati dal suo attaccamento, ma le difese che ambedue con naturalezza riescono ad elaborare, mi appaiono sempre superiori alla mia scarsa capacità di sfuggire ad ogni sua insistente espressione d’affetto.

 

Bruno Magnolfi