sabato 27 gennaio 2024

Problemi esistenziali.


            Salgo senza fretta le larghe scale di marmo bianco fino al primo piano, dopo aver salutato il portiere che mi ha lanciato anche oggi una smorfia sorridente dalla sua postazione, proprio come fa di solito; quindi, cerco rapidamente, tra le tante cose che tengo dentro alla mia borsa tracolla, la chiave del portone massiccio dell’appartamento dove abito, e poi entro in casa. <<Ciao>>, dico dopo un attimo alla mamma che sta parlando pacatamente con la cameriera, così lei mi guarda velocemente, capisce al volo dalla mia espressione che qualcosa non sta andando come al solito, e mentre mi dirigo verso la mia camera per appoggiare le cose che ho con me, mi raggiunge, giusto dopo qualche attimo. <<Tutto a posto?>>, mi fa, tanto per vedere che cosa intendo risponderle. <<Non proprio>>, dico io appoggiando la mia borsa sul piano dello scrittoio. <<Ci sono delle persone che certe volte riescono a sorprendermi, anche se spesso credo di sapere ormai abbastanza bene quali siano i loro comportamenti abituali>>. Lei mi guarda con curiosità nell’attesa che mi spieghi meglio, ed io aggiungo soltanto che mi delude sempre riscontrare in qualcuno, tra le persone che frequento, dei comportamenti ostili a qualcun altro, chiunque esso sia. La mamma non insiste a chiedermi di più, ed io mi siedo mostrando di non avere voglia al momento di dare ulteriori spiegazioni. Più tardi però la raggiungo nel soggiorno, e mi sistemo in una delle comode poltrone davanti alla larga vetrata luminosa, mentre lei finge di non notare la mia presenza e prosegue con impegno a leggere qualcosa di un volume che sostiene aperto ed appoggiato sulle gambe, sottolineando qua e là qualche riga con un lapis che stringe tra le mani. <<Non riesco proprio a comprendere come, tra due fratelli, sia andata maturando poco per volta un’ostilità che persino a loro stessi a questo punto deve apparire per forza senza senso, ma che adesso non riescono più assolutamente neanche a gestire, tanto da trovare degli aspri contrasti oramai per qualsiasi cosa, divergendo persino per delle sciocchezze su cui normalmente forse potrebbero persino essere sostanzialmente d’accordo. Immagino che forse tutto sia dato dal fatto di dover abitare insieme, e dividere così la stessa stanza, e i pochi spazi a loro disposizione, oppure per un sentimento di avversione naturale trasmesso ai due direttamente dai propri genitori, e che quindi si può dire abbiano covato da sempre dentro loro stessi, anche se la mia è soltanto una supposizione>>.

Mia mamma mi osserva adesso, senza però decidersi a manifestare se sia il caso di impicciarsi o meno delle mie amicizie, anche se con la sua proverbiale capacità intuitiva, credo già abbia facilmente compreso che io stia parlando di Federico e di suo fratello. Difatti dice: <<Tu, Cristina, purtroppo hai fiducia di riuscire molto spesso ad avere una decisa influenza positiva su certe questioni, e soprattutto su certe persone a cui dimostri indubbiamente di voler bene davvero, nonostante certe volte le cose sembrano andare avanti in una maniera differente da come tu le avresti desiderate>>. Annuisco, non è esattamente di questo che desideravo parlare con lei adesso, però sono consapevole che probabilmente mia mamma ha piena ragione, tanto che riconosco quanto in questo modo le mie aspettative molte volte restino del tutto deluse. Non la guardo, e probabilmente mostro un’espressione seria, anche se quasi distante, affine al mio sguardo, così perso nel cercare dentro di me e forse sulla fila di alberi fuori dai vetri dell’appartamento, delle parole capaci di spiegare qualcosa in più. <<Hai ragione>>, dico dopo un po'; <<ci tengo a questo ragazzo, quando sta con me è piacevole, gentile, addirittura premuroso, ma con lui è impossibile parlare di suo fratello e di tutto ciò che lo riguarda, a costo di peggiorare le cose tra di loro, riattivando in un attimo il suo spirito avverso.>>. Mia mamma sbuffa leggermente, chiude il libro conservando le sue dita tra le pagine, poi si alza, mostrando una certa insofferenza nel digerire certe persone che non le piacciono troppo, anche se in questo caso non conosce affatto Federico o suo fratello, e quindi non può avere una reale opinione su di loro, se non data da ciò che le racconto io.

<<Il fatto è che ogni argomento in Federico diviene così uno stratagemma per sottolineare e dimostrare queste grandi differenze, anche se tutto quanto invece appare addirittura ridicolo, tanto le sue parole si dimostrano semplicemente simili a quelle di suo fratello, anche se usate in modo da apparire contrastanti>>. Poi mi alzo, getto uno sguardo fuori, e infine torno verso la mia stanza. Improvvisamente provo imbarazzo: non so cosa pensare, non so cosa decidere. Se in un primo tempo mi pareva insolubile il divario che provavo nei confronti degli atteggiamenti di Federico, adesso, forse soltanto perché lui non è qui con me, ne provo pena, tenerezza, voglia di spiegare sottovoce direttamente alle sue orecchie quello che, secondo me, non va nei suoi comportamenti. Mi piace, penso ancora, non posso fingere qualcosa di diverso, anche se per nessun motivo al mondo vorrei essere mescolata ai suoi problemi esistenziali.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 15 gennaio 2024

Essere diversi.


Sto a letto, ma non riesco a dormire. Il buio della notte circonda tutto quanto, ed io continuo ad avere gli occhi aperti, spalancati, quasi nella ricerca di qualcosa su cui concentrare la mia attenzione. Accanto a me, mia moglie Celeste è una forma indefinita che respira sotto le coperte in modo ritmico e regolare, immersa nel suo sonno incosciente e probabilmente privo di sfumature. A volte non so che cosa io abbia desiderato davvero in tutti questi anni, ma accantono facilmente questo pensiero riflettendo che in ogni caso ho cercato di fare tutto quello che probabilmente ci si attendeva dalla mia persona. La mia famiglia è forse l’unica cosa che sono riuscito davvero a costruire, anche se spesso ho lasciato semplicemente che ogni giorno mi indicasse il passo successivo da compiere durante il giorno seguente, senza mettere mai a fuoco uno scopo vero da perseguire con costanza e con determinazione. Mi rendo conto che forse molte volte sono risultato assente, che mi sono disinteressato di parecchie cose, che ho latitato come marito e come padre, ma la mia personalità in fondo è proprio questa, incapace com’è di concentrarsi su uno scopo, e perciò inefficace nel tentativo di mostrarmi diverso da come effettivamente sono davvero. Osservo delle ombre vaghe sul soffitto della camera, accarezzato com’è dalla debole luce di un lampione della strada che filtra attraverso le tendine della finestra, ed immagino che probabilmente qualcuno, sopra al marciapiede, stia tirando tardi nel raccontare a qualcun altro le proprie esperienze, insomma i tratti salienti del proprio percorso. Io non saprei proprio che dire al posto suo; non ho neppure dei veri amici con cui confidarmi, e non ho neanche delle cose fondamentali da confidare. Il risultato dei miei giorni è soltanto la ricerca del silenzio, il mio mutismo con chiunque, la mancanza di opinioni da scambiare, considerata anche la mia incapacità nello spiegarmi in modo adeguato, e nel dire ad altri qualcosa anche di semplice, soprattutto argomentando su me stesso.

Mi rigiro, nelle ore dedicate al sonno se non riesci a dormire sei spacciato, così cerco in tutti i modi di addormentarmi, ma qualcosa all’interno di me stesso si ribella al riposo, come se la mia coscienza non fosse proprio del tutto a posto e rilassata. Presto i miei figli se ne andranno per la loro strada, rifletto, ed io e Celeste passeremo le serate in casa da soli, senza neppure scambiarci una semplice parola, e in lei sarà ancora più assente quel sorriso che fino a qualche tempo fa è stato in grado almeno di caratterizzare la sua presenza; io osserverò con distacco il suo prossimo e progressivo ripiegarsi su di sé, e forse anche lei mi guarderà con un maggiore distacco, ed io comunque sopporterò la situazione, come sempre. Mancherà qualsiasi entusiasmo in noi e tra di noi, e purtroppo ci dovremo adattare a mandare avanti delle giornate vuote di tutto, probabilmente sempre le medesime, indistinguibili. Non ho soluzioni diverse da questa consapevolezza, e purtroppo tra poco diverrà evidente che non c'è stato alcun impegno, né da parte mia, e neppure da parte di mia moglie, nel dare un senso diverso a queste giornate che scorrono già una simile all’altra, senza soluzione di continuità. L’assenza diverrà sempre di più la caratteristica del nostro tempo, nell’inutilità del suo sgocciolare infinito, imboccato come un’unica possibile strada da percorrere.

Infine, inevitabilmente invecchieremo, senza il desiderio di rendersene neppure troppo conto, e ci accontenteremo se la nostra salute si manterrà accettabile, in modo da farci andare avanti senza troppe lamentele da parte di ciascuno. I nostri figli verranno a farci visita ogni tanto, raccontandoci probabilmente sempre le solite cose, ponendo a noi delle domande semplici, a cui sono sicuro sapremo rispondere senza troppo imbarazzo, ma giusto per farci parlare un po’, e poi basta. I nostri vicini diranno di noi che siamo proprio una bella famiglia, senza che questo spieghi niente, e noi ci limiteremo ad annuire quando dovremo renderci conto, di fronte a qualche conoscente, che i nostri figli effettivamente sono cresciuti molto, forse anche troppo in fretta, senza sapere bene che cosa questo stia a significare. E forse è proprio questo che Celeste sta sognando nel suo sonno profondo, ed io invece, per lo stesso esatto motivo, sono qui immobile senza riuscire ad abbandonarmi al mio riposo. Qualcosa poi si muove sul soffitto della camera da letto: forse un barlume di chiarore che si perde con rapidità, ed io penso che tra poco sarà l’alba, e il nuovo giorno non porterà con sé niente di nuovo, se non il fatto che la mia stanchezza sarà giustificata, e mi farà soffrire tutto il tempo, rendendomi ancora più sfuggente e stralunato di quello che già sono. Ma non importa, penso: ognuno è fatto alla propria maniera, inutile per tutti tentare con impegno o meno di essere diversi.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 4 gennaio 2024

Necessità di unione.


La signora Celeste mi fa pena. Non so cos’altro pensare. Lei vive per la sua famiglia, e la sua famiglia si sta sgretolando. Viene da me e mi fa: <<signora Marcella, sono alcolizzata>>. <<Ma che dice>>, fo io; <<si sieda un momento, si spieghi meglio>>. Così inizia a piangere, e in dieci minuti mi dice tutto. Che ha iniziato a bere per sopportare la situazione. E che adesso la situazione è persino peggiorata, e lei non riesce più a smettere. <<Deve andare da qualcuno che sappia aiutarla>>, fo io. <<Forse, gli alcolisti anonimi>>. Poi penso che la sua vera cura non sia esattamente quella. <<Ne parli con suo marito>>, le dico subito dopo. Lei mi guarda, poi dice: <<lui ha già capito ogni cosa, ma non muove un dito. È questa la cosa peggiore>>. Preparo un caffè, la signora Celeste si schernisce, non vuol dare disturbo. <<Mio marito e miei figli sono degli estranei>>, mi fa. <<In casa non riusciamo più a comunicare tra noi>>. Non so che dirle, la guardo e credo che forse sia soltanto troppo fragile. Troppo sensibile. Che se la prenda troppo per qualsiasi piccolezza. Quando torna nel suo appartamento mi pare sia più sollevata. Almeno per aver confessato a qualcuno che beve. Dovrebbe trovare un interesse a cui dedicarsi, rifletto. Magari un’associazione di volontariato dove sentirsi impegnata. Non lo so, suo marito senz’altro è una persona inerte. E anche i suoi figli non sembrano troppo sereni. Per questo lei dovrebbe trovarsi un interesse fuori da casa. Ma poi non lo so, perché tutte noi siamo soggette a delle pressioni. E non sappiamo mai come regolarci.

Più tardi busso alla porta, <<signora Celeste>>, dico senza alzare la voce, <<le ho riportato il tegame>>. Lei apre. <<Sono da sola>>, mi fa. <<Entri pure, signora Marcella>>. Così ci mettiamo sedute in cucina, e ci guardiamo, ma senza insistenza. <<Non ho ancora deciso nulla>>, mi spiega lei. <<Non c’è fretta>>, faccio io. <<Anzi, certe cose devono decantare per essere più chiare>>. Ci prepariamo un caffè, io vorrei chiederle del suo bere, però mi sembra perfettamente sobria, e questo è già un successo. <<Non tengo più niente in casa>>, fa la signora Celeste intuitiva. <<Così non mi prende la voglia di buttare giù una sorsata ogni tanto>>. Sorrido, mi pare quasi impossibile dover parlare di questo con una vicina di casa talmente a posto come lei. <<Però qualche volta mi fermo in un localino lungo la strada, e mi faccio servire qualcosa>>. Adesso la guardo, con un’espressione che vorrebbe essere quasi di rimprovero. <<Signora Celeste, il problema è dentro di sé, deve mettere un impegno maggiore se vuole uscire dai guai>>. Lei butta giù il suo caffè, appoggia la tazzina sul tavolo, poi fa: <<Oramai mi basta un solo bicchierino, anche meno, per sentirmi subito un’altra>>. Poi si alza, sistema le tazze dentro al lavello. <<Quando ho bevuto sto meglio, è questo il guaio>>. Stiamo ancora qualche minuto sedute, senza parlare, poi io mi alzo, e dico che vado.

Quando poi sono da sola sul pianerottolo, sento dei passi lungo le scale, al piano inferiore. Così mi affaccio leggermente alla ringhiera. È il marito della signora Celeste che sta rientrando. Mi prende la voglia di fermarlo e di dirgli tutto quello che so, ma mi freno, non vorrei peggiorare le cose. Mi trattengo quasi immobile, lisciando le foglie di una pianta che teniamo dentro un vaso. Lui arriva, sembra sorpreso di vedermi, forse si immagina che io sappia già tutto. <<Buonasera>>, mi fa, e nient’altro. <<Come si sente sua moglie>>, chiedo io sfoderando un grande sorriso di circostanza. Lui alza le spalle, pare quasi non sappia che dire, o che non voglia parlare. <<Al solito>>, dice alla fine, tentando di non fermarsi neanche. <<Era preoccupata per il vostro ragazzo minore>>, dico tanto per allungare il discorso. Lui mi guarda come sapendo di recitare una parte, poi fa: <<Però adesso Federico ha deciso di tornarsene a casa>>. Annuisco, mostrando con evidenza che questo lo sapevo di già. <<E lei è rientrato in ufficio>>, dico tanto per fargli capire con chi sta parlando. Lui intanto ha tirato fuori le chiavi, è chiaro, vuole sbarazzarsi di me, ed io lo lascio fare. Per il momento non ho delle vere domande da sottoporgli, ma un giorno o l’altro gli chiederò qualcosa di più.

Lui chiude la porta di casa alle sue spalle, mentre io sono ancora sopra al pianerottolo. Penso che qualsiasi donna di famiglia come me possa trovarsi nelle condizioni della signora Celeste. Però mi fa rabbia la sua incapacità di reagire. Vorrei sentire urlare qualche volta in casa sua, che lei si ribellasse. Invece è solo succube del proprio bisogno di famiglia, dell’amore per tutti in casa sua, della solidarietà che esprime anche per gli sbagli che vi vengono commessi. Non so davvero cosa augurarle. Forse che i suoi familiari ritrovino semplicemente la volontà di stare assieme.

 

Bruno Magnolfi

martedì 2 gennaio 2024

Incomprensioni evidenti.


Non dover dividere con mio fratello, almeno per un periodo, la nostra stanza di sempre, è senz’altro un grande sollievo per me. La sua è sempre stata qua dentro una presenza parecchio invadente, con quella indubbia capacità che mostra ogni volta di stare automaticamente quasi al centro di tutto, in certi casi pur lasciandosi apparentemente confinare in un angolo, magari per studiare o eseguire dei compiti scolastici, ma, ciò nonostante, restando in grado di non apparire mai poco ingombrante, neppure nei momenti in cui si è trovato a trascorrere almeno qualche ora fuori da casa, lasciando i suoi oggetti disseminati da qualsiasi parte. Poter usufruire adesso anche degli spazi normalmente traboccanti delle sue cose, è sicuramente un grande sollievo per me, addirittura quasi una scoperta. Però, adesso che mia madre sta inerte sdraiata dentro al suo letto, ammalata non si sa bene neppure di cosa, e che mio padre sembra un’anima assente che vaga persa tra i propri pensieri, questa casa assume di colpo la capacità di apparire vuota di tutto. Certo è che la scelta di Federico di andarsene da casa, almeno per qualche tempo, come ha sostenuto lui, è sicuramente una mossa piuttosto avventata, data da una personalità che morde il freno per qualsiasi comportamento, e che comunque non è destinata a lasciare molti strascichi nel futuro, pur lasciandogli la possibilità di mostrare una indubbia capacità decisionale, attuabile per ogni cosa ed in qualsiasi momento, magari anche senza ottenere dei buoni risultati perlomeno in considerazione di certe scelte particolari. Che i nostri caratteri siano estremamente diversi, e spesso anche del tutto opposti tra loro, è apparso evidente ormai da diversi anni, forse da sempre, andando indietro con la memoria, e che lui non sappia sopportare a lungo la mia presenza è ugualmente apparso spesso davanti agli occhi di tutti. Ma che in un momento come quello che la nostra famiglia sta attraversando, con tutti i problemi che questa inspiegabile crisi sembra spingere avanti, la sua assenza adesso pare mostrarsi come qualcosa di inaccettabile, quasi una ritirata in battaglia proprio quando c'è maggiore bisogno di lui.

<<Federico sta tornando a casa>>, ho detto a mio padre, tanto per farlo stare tranquillo almeno sotto questo aspetto, e lui mi ha guardato, ma forse senza un grande interesse, come se non desse alla cosa l’importanza che credevo probabile. Poi la mamma si è alzata dal letto, è entrata in cucina e si è messa ad armeggiare attorno a qualcosa, come fa sempre. La chiave infine ha girato dentro la serratura, ed è apparso dal corridoio Federico, l’espressione quasi spaventata, il passo di chi si attende di trovarsi di fronte a delle rovine fumanti. Naturalmente ha abbracciato la mamma senza dirle niente di particolare, mentre lei, come già ci si aspettava, ha ripreso a piangere, non si sa bene neppure per cosa. Nostro padre ha bofonchiato qualcosa, ed io mi sono seduto nell’attesa che qualcuno parlasse con una qualche chiarezza, ma nessuno di noi si è sentito in condizioni di avanzare qualche spiegazione. <<Sto bene>>, ha detto ad un certo punto la mamma, <<adesso che sei qui, è tutto a posto>>, ha spiegato in due parole a Federico e anche a noi. Alla fine, abbiamo fatto il caffè e ci siamo seduti al tavolo della cucina, come per scambiarci almeno qualche opinione, ma non c’era poi molto di cui parlare, ed anzi pareva che ognuno al momento fosse attraversato da pensieri del tutto diversi da quelli degli altri. Federico ha detto che dall’indomani sarebbe tornato a casa, giusto il tempo per recuperare le sue poche cose, e nessuno ha avuto nulla da ridire in proposito, anche se io mi sentivo più di tutti nelle condizioni di essere quantomeno interpellato. Così mi sono alzato e poi sono sparito in un’altra stanza, lasciando che a qualcuno venisse in mente di chiedere il mio personale parere. Invece dopo un po' ho sentito che il portoncino si apriva e poi richiudeva, lasciando che Federico tornasse nella casa degli studenti ad ammucchiare e a prelevare le proprie sciocchezze.

Così ho dato una riordinata alla mia camera, naturalmente lasciando la zona di Federico quasi del tutto sgombra, ad evitare una nuova sfuriata da parte sua, e poi ho deciso comunque di uscire da casa e farmi una piccola passeggiata per schiarirmi le idee. Prima di uscire ho telefonato a Tiziana, e lei ha subito accettato di vedermi in un caffè parecchio frequentato, poco lontano dalla zona universitaria. Ci siamo seduti ad un tavolino, abbiamo scambiato qualche parola di circostanza, poi io ho cercato di spiegarle quello che sta capitando nell’appartamento della mia famiglia. Tiziana mi ha ascoltato con interesse, ma ad un certo momento mi sono reso conto che era difficile farle capire i veri stati d’animo miei, dei miei genitori e di mio fratello, e difatti lei si è limitata a confrontare qualcosa della propria situazione familiare, dimostrando di non avere compreso quasi nulla. Poi abbiamo parlato d’altro, ed io mi sono sentito a questo punto piuttosto alleggerito.

 

Bruno Magnolfi