martedì 26 gennaio 2021

Miglioramenti evidenti.

 

       

 

            Sono migliorato, di questo sono più che sicuro. Da qualche tempo a questa parte addirittura mi riesce, almeno per qualche momento, di fermarmi proprio dietro ai vetri della mia finestra, generalmente per osservare con tenue interesse ciò che accade lungo la strada, certe volte scansando le tendine e lasciando che qualcuno tra i più curiosi mi noti a sua volta, magari mentre sta transitando a piedi sul marciapiede. Immagino che subito dentro al riquadro di legno dell’infisso, ad un certo momento, quell’individuo possa sentirsi capace di osservare semplicemente una persona priva di qualsiasi espressione, con lo sguardo pressoché immobile, in grado comunque di indietreggiare anche immediatamente dentro casa propria, al minimo accenno di un qualche interesse verso di lui. Ad ogni buon conto credo si debba apprezzare l’evoluzione dei miei comportamenti, e soprattutto la capacità maturata, da un uomo come posso essere io, nel riuscire a farsi scorgere da soggetti che risultano a me del tutto sconosciuti, mentre si trovano a passare piuttosto casualmente da qui, cosa persino impensabile fino soltanto ad un paio di mesi più addietro.   

Anche il medico che viene una volta la settimana per visitarmi sembra soddisfatto dei miei risultati, anche se io ho cercato di fargli capire in ogni maniera di non essere affatto pronto ad abbandonare, anche soltanto per qualche minuto, queste mie stanze così familiari per incamminarmi dentro al mondo di fuori. Ne ho ancora paura, questo è il punto, e la protezione che mi offrono le mura di questa abitazione, mi sembra per adesso del tutto insostituibile. Lui dice che devo sforzarmi per ottenere qualcosa, ma a me pare che non ci sia alcuno scopo apprezzabile nell'affrontare uno sforzo del genere. Quando il dottore mi parla, lo ascolto, ed al momento in cui mi pone delle domande dirette gli rispondo spesso con le medesime parole, ponendogli di nuovo la stessa domanda, in modo da non potermi sbagliare. Lui dice che non devo ripetere, ed io gli ripeto che non deve ripetere, fino a quando lui non inizia a stufarsi, ed allora rimane in silenzio, nell’attesa che sia io a farmi avanti, magari con qualcosa che desidero sapere da lui.

Ma a me basta osservare i suoi occhi mentre mi guarda, per riuscire a vedere come io possa apparire davanti allo sguardo di tutti gli altri. La mia famiglia normalmente si tiene in disparte, lasciano tutti che sia la domestica a prendersi cura di me, a portarmi nelle mie stanze qualcosa da mangiare e ad aiutarmi nello stare in ordine e sempre pulito. Non chiedo di più. A me piace starmene solo, non sento particolarmente il bisogno degli altri, anche se il mio medico dice che dovrei avvertire la voglia almeno di starmene in compagnia di una o due persone tra quelle che conosco di più. Lui spiega che sarebbe sufficiente da parte mia un altro piccolo sforzo, ed io mentre lo dice mi tiro su in piedi e vado vicino alla finestra, a guardare fuori. Il dottore sembra interessato al mio comportamento, così mi chiede che cosa mi piaccia guardare di più tra quello che vedo, ed io gli rispondo subito ponendogli la stessa domanda. Allora mi viene vicino e mi guarda negli occhi, in silenzio, ed io so, improvvisamente, cos’è quell’interesse di cui sta parlando.

“Una donna”, gli dico; “una ragazza che abita qua, proprio di fronte”. Poi torno a sedermi e mi stringo nel mio atteggiamento di sempre, lo sguardo basso, le braccia appoggiate sul tavolo, le mani ferme e leggermente chiuse nel pugno. A lui interessa molto questo aspetto che ho messo fuori in questo momento, e forse vorrebbe subito saperne di più, ma io adesso non voglio rispondere alle sue domande incalzanti, e se proprio mi va di dire qualcosa, torno a ripetere semplicemente le stesse cose che mi dice lui. Poi perde la pazienza, riprende con poco garbo il cappotto e il cappello, e mi dice che tornerà la prossima settimana, dimenticandosi perfino di darmi le sue solite raccomandazioni. Ma mentre appare quasi furioso e già sulla porta della mia stanza, pronto ad andarsene, gli dico: “a me piace guardare le donne”, come se questo aspetto potesse modificare la cura per la mia malattia. Lui si ferma e mi guarda, ed io noto che dentro ai suoi occhi lui vede un uomo pieno di vitalità, uno che forse potrebbe fare chissà quante cose, se solo lo desiderasse.

 

Bruno Magnolfi  

mercoledì 20 gennaio 2021

Sono fregato, penso.

 

            

            Certi giorni vorrei sparire penso, che tutto questo affanno per tirare avanti mi pare sempre di più una fatica sprecata, uno sforzo completamente inutile, che non ha neppure uno scopo preciso, se non quello di lasciarmi ancora galleggiare in qualche modo. E poi anche formarsi delle opinioni su quello che succede o meno, mi pare anche quello sia soltanto una fatica, un almanaccare privo di significato penso, insomma quasi una stupida perdita di tempo. Mi rannicchio in un angolo generalmente, e poi rifletto con calma sulla matassa di guai che prima o dopo dovrò decidermi ad affrontare, mentre intanto lascio le giornate scorrere come sempre, e cerco di tirarmi su pensando di aver ancora conservato la speranza che le cose possano riuscire a risolversi da sole. Se affrontassi davvero le mie preoccupazioni, dopo probabilmente mi sentirei decisamente meglio, anzi, questo è sicuro, però è tale anche la certezza che in un attimo tutto si faccia ancora più imbrogliato, che desisto sempre da ogni tentativo. Telefonare a Caio e fingere con voce mansueta di cadere dalle nuvole per il prestito da restituire. Inviare un messaggio a Sempronio con la richiesta di una dilazione per i soldi che gli devo. E poi dar fondo alle ultime riserve che mi ritrovo in tasca per pagare ogni mese l’affitto di casa e le bollette. Questo è il quadro generale. Chiedere sempre favori a questo e a quello, senza che le autorità si sognino di concedermi mai un aiuto concreto.

D'altra parte ritrovarsi costretti a lavorare a giornata come mi sta succedendo da un po' di tempo a questa parte, dopo che ho perso il mio piccolo posto di lavoro, che non era regolarizzato, però mi permetteva comunque di campare abbastanza bene, non è certo facile penso, ed in questo momento non posso neppure prendermela con qualcuno di preciso se nei momenti in cui potevo farlo non ho mai neppure tentato di mettere da parte qualche soldo. Ora posso soltanto tirare la cinghia su tutto quanto, ma più di quello che sto facendo realmente in questo momento mi pare impossibile. Ogni tanto, nei momenti peggiori, rubacchio anche qualcosa nei negozi degli alimentari, però sono soltanto delle sciocchezze, non posso certo contare su questi gesti penso. Potrei forse andare a mangiare qualche volta nelle mense sociali, ma ci sono sempre delle file enormi che portano via un sacco di tempo, e poi non mi piace mescolarmi in questa maniera con i veri disperati. Comunque questo senso di incertezza che mi attanaglia è qualcosa di superiore a qualsiasi immaginazione penso, e mi accorgo quasi ogni giorno come possa portare facilmente verso la pazzia, e farti provare la disperazione nella sua forma più insidiosa possibile.

Vivo in due stanzette fuori mano e la maggior parte del tempo lo passo tra queste mura. Qualche volta porto in giro i pieghevoli delle pubblicità, oppure aiuto un amico a fare dei traslochi, quando viene chiamato a farne qualcuno. Poi sono in contatto con dei ragazzi che si occupano di facchinaggio ai mercati generali, e qualche altra giornata di lavoro riesco a farla andando insieme a loro. Però addormentarsi ogni sera con l’angoscia del domani così insicuro non è facile penso, ed è questo il cruccio più grande che mi fa star male. Mi rigiro sempre nel mio angolo, e cerco ogni tanto di essere ottimista, perché riesco anche ad essere positivo penso, e tirarmi fuori dai problemi se mi si presenta l’occasione giusta per farlo. E’ la tranquillità che è venuta a mancare più del resto. Se adesso penso al futuro non vedo niente, se non andare avanti così in qualche maniera, fino a quando è possibile, nell’attesa che mi ammali seriamente, o che rimanga infortunato nei lavori pesanti che mi trovo a svolgere. E allora per me non ci sarà più niente penso, se non mollare tutto e andarmene per strada ad accattonare qualche soldo, e poi comprarmi un cartone di vino di pessima qualità, tanto per non sentire troppo il freddo della notte, e non ripensare più di tanto a questi maledetti guai.  

 

Bruno Magnolfi

giovedì 7 gennaio 2021

Dico solo per dire.

 

 

            “Facile ridere di gusto quando si è sicuri di ciò che si vuole”, dico io; “è quando ti coglie l’incertezza su ogni scelta da affrontare, che l’espressione sulla tua faccia non può che farsi seria, ed è proprio allora che non trovi niente attorno capace di divertirti. Tutto ciò che ti si para di fronte è composto da scelte”, dico io, “e se cominci a sbagliarne qualcuna di quelle importanti va a finire spesso che non ne prendi per giusta neanche metà. E’ quasi una regola”, concludo di fronte a tutti quegli altri. Vado ogni sera alla Casa del Popolo, mi piace parlare con quelli che trovo lì quando hanno voglia di ascoltare qualcuna delle mie riflessioni, ma certe volte me ne sto volentieri anche in silenzio e in disparte senza attaccare bottone con nessuno, che poi in fondo sono sempre le medesime cose quelle di cui discorriamo tra noi. “Non c’è niente di male”, dico a tutti in qualche occasione, “ripetere spesso gli stessi concetti è coerenza, convinzione, sicurezza di ciò in cui si crede”. Qualcuno sorride, però ascoltano quasi tutti con un certo interesse.

            Uno di questi giorni potrei anche smettere di frequentare questo locale, penso io; non c’è niente di positivo nel cercare dei facili argomenti su cui ridere e poi darsi delle pacche sopra le spalle, come spesso succede con la gente che trovo qua dentro. Però credo che serva a tutti riflettere su qualcosa che non è proprio evidente, e che mette in moto la testa qualche volta, senza obbligare nessuno a farlo per forza. Vengo qua e poi li stuzzico, penso io; metto sul tavolo qualche argomento che forse non avevano ancora affrontato, e così sera per sera si passa il tempo e si fanno ragionamenti in cui si mette un po’ di se stessi, tanto per sentirsi impegnati in qualcosa. “Il pensiero generale differisce sempre dal particolare”, dico io; qualcuno ne chiede il motivo, altri annuiscono senza commentare. Mi prendono in giro, penso io; hanno bisogno di un giullare con cui divertirsi, qualcuno proprio come son io, che riempie in qualche maniera questo tempo senza valore.

            Non ho più tanta voglia di andare alla Casa del Popolo ormai, ma quando qualche volta per combinazione passo da lì mi accorgo che ci sono quasi tutti, immobili e in silenzio, come se stessero tutti in attesa di me, così ne sono contento, penso io, e non mi faccio certo pregare quando qualcuno mi pone una domanda oppure imposta un argomento tanto per parlare. “La sicurezza di ciò in cui si crede è essenziale”, dico subito io; “però non si deve essere certi di alcune cose che riguardano tutti, e poi cambiare opinione se dobbiamo metterci in mezzo ognuno di noi”. Mi guardano gli altri, sono persino disposti ad essere d’accordo con me, purché non la smetta di venire a parlare delle cose che penso, e a pensare con convinzione tutte le cose che dico. “Dovete riflettere”, dico io, “se per voi è più importante immaginare qualcosa di meglio per tutti, o se è sufficiente migliorare soltanto la condizione di qualcuno”. Sorridono, però in tre o quattro hanno la faccia più seria degli altri, probabilmente per quei pochi stare seduti ai tavolini di questa saletta  non è più proprio un semplice passatempo. “Non verrò più alla Casa del Popolo”, dico io a tutti alla fine.

            Mi guardano mentre pago il mio caffè degustato da ultimo in piedi al bancone, mentre mi muovo verso l’uscita, quando apro la porta, ed accolgo sopra di me l’aria fresca anche di questa serata. Nessuno ha qualcosa da dire, penso io. Nessuno è necessario, figuriamoci io con le mie povere sciocchezze. Però quando alla fine mi trovo per strada da solo mi sembra che qualcosa venga a mancarmi. Mi volto indietro un momento e vedo che alcuni silenziosamente mi hanno seguito, e questo non può fare altro che piacere. “Siamo tutti immersi dentro la stessa insicurezza”, dico io ai due o tre che continuano ad avvicinarsi. “Chi non avverte questo disagio finge soltanto di avere fatto un salto in avanti, ma non gli è propria questa certezza, è soltanto un attributo fazioso che non porta a nessuno niente di buono, tantomeno a lui stesso”, dico io alla fine.

 

Bruno Magnolfi          

sabato 2 gennaio 2021

Come un cretino.

 

            Lo ammetto, sono un mediocre. Da qualche anno suono il basso con dei ragazzi che conosco, avevo preso delle lezioni da un maestro presso un circolo, e adesso con pazienza si mettono insieme dei brani nostri, delle composizioni autonome, soprattutto perché loro hanno sempre un sacco di idee, e quando facciamo le prove portano spesso, insieme agli strumenti, dei nuovi spunti, delle soluzioni diverse, e poi dicono che un passaggio si può suonare così, oppure anche in altro modo, e certe volte studiano con pazienza l'armonia dei pezzi che inventiamo, per inserirci dentro poi le frasi più adeguate, dei passaggi maggiormente efficaci, e provando ogni volta la maniera di rendere le cose migliori della volta precedente. Io invece, gli altri mi limito ad accompagnarli, seguo il tempo della batteria soprattutto con le note dominanti, ed apprezzo parecchio le registrazioni che vengono fuori dal nostro impegno, ma senza buttarmi mai in mezzo a fare cose nuove. Oggi l'ho detto anche a loro. "Non mi sento più alla vostra altezza: voi avete creatività, estro, sensibilità, doti che a me forse sono sempre mancate, e per essere onesto devo dirvi che magari è meglio se per il futuro trovate un nuovo bassista". Sono rimasti malissimo, si sono anche arrabbiati, hanno detto che non mi rendo assolutamente conto, che io per loro sono il perno attorno a cui gira tutta la musica che loro riescono con fatica a mettere insieme, e che forse sto soltanto passando un brutto periodo, uno di quelli in cui ci si sente un po’ giù, ma poi le cose cambiano e tutto alla fine trova la maniera per andare sicuramente molto meglio.

            Però quando sono uscito dalla sala prove con il mio basso dentro la custodia ho continuato a sentirmi come al di fuori dalla passione che loro mettono nei pezzi, a quell’entusiasmo che è assolutamente necessario se vuoi fare davvero della musica, quella che è sempre stata la più importante nei nostri desideri. Forse all’inizio ero anche io così, proprio come loro proseguono ad essere; ma in seguito qualcosa lentamente si è deteriorato dentro di me, e mi pare ormai di essere soltanto a rimorchio delle idee di tutti gli altri. Invidio la loro capacità, soprattutto l’impegno che mettono sia nel migliorare la tecnica con cui suonano ogni strumento, sia nel trovare sempre cose nuove da mettere assieme. La musica è una brutta bestia, penso certe volte; ti succhia l’anima se cerchi di starci dentro, e non ti dà quasi nessuna possibilità di pensare ad altro. Tante volte ci siamo detti che non avremmo mai voluto suonare pezzi composti da altri, perché così avremmo perso tutta la parte più creativa del suonare, e così è stato sempre, in tutti questi pochi anni da quando abbiamo fondato il nostro gruppo di blues. Siamo tutti liceali, non avevamo alcuna esperienza, specialmente agli inizi, però siamo riusciti dopo poco a farci invitare a qualche serata e a farci ascoltare dai nostri amici. E’ stato divertente, e tutti ci hanno sempre apprezzato, però alla lunga le cose si sono fatte pesanti secondo me, e ci deve essere qualcos’altro che ad un certo punto venga in soccorso per sostenere tutto il tuo impegno, altrimenti finisce che ti stufi senza rimedio. 

            Così è adesso per me, non mi sento più in linea con gli altri; mi presento alla sala prove come sempre, ma ormai più per abitudine che per vero entusiasmo. Eppoi gli altri sono diventati davvero bravi in questo piccolo percorso che abbiamo fatto insieme, mentre io sono rimasto il medesimo, e se qualcuno mi chiedesse quale musica mi piacerebbe fare non saprei neanche cosa rispondere. Forse è la personalità che mi manca, ma questo non posso dirlo agli altri ragazzi. Mi dispiace tanto essere arrivato proprio a questo punto, ma non posso essere disonesto con i miei amici: non me la sento più di suonare le solite cose che so fare, e non me la sento neppure di impararne di nuove; è una strada senza via d’uscita, devo soltanto riuscire a farlo capire anche agli altri. Così dico: “basta”, a voce alta, dentro al microfono; “non suono più”. Loro abbassano lo sguardo, forse comprendono adesso quale sia stato davvero il mio tormento, e lo rispettano; dicono: “va bene, non preoccuparti”. Poi usciamo dalla sala, ed io so solo piangere, come un cretino.

 

            Bruno Magnolfi