giovedì 28 ottobre 2021

Giornata ordinaria.


            Mi sento depressa, ultimamente. Però se anche ci rifletto con grande attenzione, non trovo dei motivi troppo evidenti per sentirmi esattamente così; piuttosto mi appaiono agli occhi tante piccole cose che un poco per volta sono riuscite a togliere molti dei miei sostegni umorali, contribuendo a questa mia vaga sofferenza. Perciò anche stamani esco da casa già malinconica, guidando da sola la macchina, anche se non ho proprio niente da fare a giro in città, se non svagare la mente. La signora Teresa mi chiede se sarò rientrata per l’ora di pranzo, ed io le dico di non preoccuparsi, che al limite quando torno mi arrangio da me con un piatto freddo. Forse è proprio questa stessa abitazione a farmi sentire a disagio: troppe stanze, la servitù che pare continuamente voler controllare tutto quanto, certe volte persino i pensieri. Carlo anche oggi non tornerà prima dell'ora di cena; e Franca, al rientro da scuola, consumerà qualcosa per pranzo in soli cinque minuti, senza neppure guardarsi attorno, per poi sparire come al solito nella sua stanza. Nessuno sembra aver bisogno di me, della mia presenza. Fintanto che mia figlia era piccola, sostanzialmente avevo un ruolo abbastanza preciso; adesso invece il mio compito è come svanito nell’aria, e Franca pare ormai una ragazza che sa prendere autonomamente le sue decisioni.

            Finita la giostra perciò, e posso andarmene a guardare le vetrine dei negozi del centro, dall’estetista, o ad incontrare qualche amica pettegola, tanto per riempire la mia giornata. Con mio marito le cose procedono come sempre, considerato che lui passa ogni minuto completamente immerso dentro ai suoi affari, e da molto tempo, di queste faccende, io e lui non se ne parla neanche, tanto sua moglie ne sta completamente al di fuori. Così perdo spesso le ore magari ad osservare il nostro giardino attorno alla villa, oppure a parlare di sciocchezze con la cuoca o la cameriera. Però spesso esco, proprio come in questo momento. Vorrei trovarmi qualcosa di coinvolgente di cui occuparmi, ma non è facile scegliere dal nulla un interesse che risponda in modo adeguato a delle aspettative del genere. Quando avevo vent’anni facevo la segretaria, ed il lavoro che portavo avanti mi piaceva davvero; se ci ripenso mi pare di aver perso qualcosa quando ho deciso di occuparmi soltanto della mia famiglia, però Carlo ha voluto così, ed io non ho saputo mai oppormi alla sua volontà. Adesso non ho neppure una persona vicina a cui parlare di queste cose, per cui mi restano soltanto questi pensieri, che proseguono a tamburellarmi dentro la testa.

            Non mi manca niente, proseguo a dirmi, però qualche volta mi sembra di vivere semplicemente in una gabbia dorata, dove pare ci sia tutto ciò che mi serve, meno qualcosa però di assolutamente essenziale, anche se non riesco a comprendere con esattezza cosa sia. Poi comunque mi svago, entro in qualche negozio per degli acquisti, e mi perdo nel misurare i miei gusti personali nei confronti di quanto mi viene proposto. Oppure certe volte mi vedo con un’amica dei tempi giovanili, ed andiamo in una sala da tè a parlare dei vecchi tempi o di qualche novità tra le persone che frequentavamo da ragazzine. Certe sere ci facciamo anche servire qualcosa di forte, ma non vorrei mai cadere nel vizio del bere: mi sembra del tutto inadeguato per una persona come io sono: una madre di famiglia, una signora, una donna perbene, a tutti gli effetti. Però tengo sempre una bottiglia nascosta in casa da qualche parte, e in certe serate un po’ grigie qualche bicchierino mi aiuta, mi rende quella leggera allegria che a volte mi pare di avere smarrito.

            Poi lavo i denti, naturalmente, e mi sciacquo la faccia, così quando rientra il mio Carlo, sono fresca e anche pronta per ascoltare tutto quanto possa aver voglia di dirmi, sempre che sia suo desiderio parlarmi, piuttosto che andare avanti con quelle sue inevitabili telefonate di lavoro. Mi è impossibile dirgli qualcosa di me, in queste condizioni: i miei problemi non possono stare sul medesimo piano delle sue attività; ed allora mi sento triste, malinconica, desiderosa soltanto di augurare la buonanotte alla mia Franca, e poi addormentarmi rapidamente nel grande e confortevole letto coniugale, azzerando così qualsiasi pensiero.

 

            Bruno Magnolfi 

          

mercoledì 20 ottobre 2021

Spingersi oltre.


            Dopo che ho finito di lavorare, già piuttosto tardi anche stasera, sono salito da solo sul mio macinino, tanto per farmi un giro in macchina e scolarmi un paio di birre che mi sono portato dietro, recuperate dal ristorante dove in questo periodo sostituisco un cameriere ammalato. Non ho assolutamente una meta, vago con calma guardando la notte sulle finestre chiuse delle case attorno alla strada che percorro, e in questo momento sembra quasi tutto immobile, come se proprio a nessuno, escluso me, venisse mai in mente di farsi un giro a quest'ora tra le strade illuminate dai miei fari e dai lampioni del quartiere. Infine vado a fermarmi davanti alla casa dove abita una tizia che conosco, tanto per vedere se fosse ancora sveglia e avesse voglia di raggiungermi. Le invio un messaggio e lei mi risponde; attendo un buon quarto d'ora, e infine eccola, silenziosa e sorridente. Si parte, e dopo poco andiamo a fermarci in un parcheggio in alto, da dove si vede un pezzo di città e di cielo stellato. Ci accendiamo le sigarette e si parla sottovoce, come per non disturbare.

            <<Lavoro saltuariamente, e mia madre cucina dentro una villa di signori>>, le dico. <<A me certe volte sembra impossibile che ci sia stata assegnata quest'esistenza minore, queste giornate quasi senza un vero scopo>>. La ragazza mi guarda, sorride; lei fa la cassiera in un supermercato, domani le tocca il turno del pomeriggio, e sembra che si accontenti di quello che ha, almeno così dice. Cambio argomento, sparo qualche stupidaggine tanto per ridere, poi, mentre scoliamo in fretta le nostre birre, ci prende il freddo pungente delle notti di tramontana. Rimetto in moto col riscaldamento subito avviato, dico che in serate come questa vorrei fare il pieno ed andarmene avanti fino a dove arrivo, magari in un posto di mare, a gustarmi la linea dell'orizzonte quando spunta l'alba. Lei non è il tipo di persona che pensi minimamente a cose come queste, non dice niente ma nella sua mente si è formato ormai un giudizio negativo, così ingrano la marcia e la riporto davanti all'abitazione dove vive con i suoi. Ci salutiamo, e a me provoca dolore restare di nuovo in solitudine, senza comunque decidere di tornare a casa e di andare a letto.

            Forse è colpa mia, penso, che non ho coltivato in questi anni neppure un sogno che fosse almeno alla mia portata. Probabilmente adesso potrei lottare per qualcosa, e così avrei magari una  speranza, uno scopo da raggiungere, e non soltanto questo scorrere ordinario di giornate identiche. Poi penso alla Franca, la figlia dei padroni di mia madre, ed al suo pianoforte, che sembra quasi un prolungamento di sé quando lo suona. Se ci rifletto lei è il mio mito, una che potrebbe tirare a divertirsi e basta, con tutto che è soltanto una ragazza, e invece si sottopone a studi, continui esercizi, prove su prove, cercando sempre la strada propria, tra tutte quelle note. L’ho ascoltata qualche volta, e mi ha lasciato una incredibile impressione, come se sotto alle sue dita ad un tratto si rompesse la membrana che divide le persone, e i suoi suoni andassero diritti a parlare di sé, dei suoi pensieri, delle sue emozioni. So che suo padre tenta di ostacolare il suo amore per il pianoforte, come se fosse qualcosa di sbagliato, una perdita di tempo e di energie. Ma so anche che lei andrà avanti imperterrita dietro alle proprie idee, perché è questo ciò che sente, e quanto lei desidera.

            Tra me e Franca non ci potrebbe mai essere una distanza maggiore di così, se proprio ci penso; eppure certe volte la sento quasi vicina, proprio come se stesse facendo qualcosa che in qualche modo riscatta l’esistenza anche delle persone sbandate come me. Io non so far niente, solo sentirmi amareggiato, e poi dare la colpa ad una cosa oppure all’altra, senza decidermi a cambiare. Adesso comunque faccio il pieno di carburante ad un distributore automatico in periferia, e poi spingo la mia macchina lungo la superstrada fino al mare, tanto per dimostrare che qualche volta so fare anche io una cosa che desidero. In fondo sono soltanto un mucchio di sciocchezze quelle che mi attraversano la mente, e la cosa migliore che posso fare qualche volta è smetterla di riflettere su questo, utile solo per infliggermi torture. Devo essere me stesso, penso, ed aprire il più possibile la mia personalità verso qualcosa che valga la pena in seguito di spingermi in avanti, e proseguendo sempre, se possibile, senza mai provare alcun rimpianto.

 

            Bruno Magnolfi 

sabato 16 ottobre 2021

Differenze di senso.


            Spesso mi trattengo in facoltà anche se sono da solo, una volta terminate le lezioni. Magari vago un po’ in silenzio nella biblioteca di istituto per rileggere con calma qualche dispensa, ma di fatto accarezzo già tra quelle mura le idee ingarbugliate che mi girano come sempre dentro la testa, e che mi portano ad immaginare il momento in cui sarò a casa dei miei, nella mia stanza, nel riprendere in braccio questo basso acustico. Qualcuno non mi prende sul serio quando spiego che suono questo strumento in un gruppo di jazz, perché tutti sono abituati al contrabbasso per questa musica, oppure al basso elettrico, ma a me non interessa niente, con l’uso di un paio di guanti leggeri riesco subito ad ottenere un suono caldo e corposo dalle mie cinque corde rivestite di bronzo. Certe volte nella mia stanza mi raggiunge Lorenzo, questo batterista ancora ragazzetto, magari anche per sostenermi mentre cerco di migliorare qualche passaggio dei nostri pezzi. Non ci conosciamo da molto tempo io e lui, però abbiamo una stessa sensibilità musicale, così quando gli faccio sentire qualcosa, lui sa dirmi subito in maniera fruttuosa che cosa realmente ne pensa.

            La musica possibile credo sia stata suonata già tutta negli ultimi decenni del secolo scorso, però concentrarsi nello sviluppare anche soltanto alcuni di quei vecchi materiali, spinge chi suona come me a vedersi aprire di fronte degli spazi musicali enormi, tanto da sentirsi portato ad andare sempre più avanti. Il mio basso risponde fedele ai miei stimoli quando lo suono, ed anche se non cerco di sfoderare chissà quale tecnica, mi sento spesso soddisfatto da quanto riesco a proporre agli altri del gruppo. In una formazione come la nostra il basso è un sostegno essenziale, e specialmente in certi pezzi tutto sembra girare attorno alle linee che riesco a disegnare con le mie timbriche. Per questo non ero del tutto d’accordo quando Lorenzo mi ha parlato con entusiasmo di questa pianista classica che avrebbe potuto venire a suonare con noi. Non ne vedevo del tutto la necessità, tanto più che con cinque componenti le cose ovviamente si complicano, ed anche da un punto di vista armonico per me suonare il mio basso si fa decisamente un po’ più difficile.

            Però nel momento in cui lui mi ha portato una registrazione di questa Franca mentre suona da sola sulla tastiera un pezzo proprio, mi sono reso conto che tutto con lei potrebbe essere davvero migliore. Il pezzo che questa ragazza ha messo insieme proprio per il nostro gruppo, appare subito estremamente complesso, però la sfida ad infilare tra i suoi accordi i miei suoni di basso, mi ha quasi elettrizzato solo ascoltando la registrazione, dando un impulso nuovo e inaspettato alle mie corde e ai miei suoni. Naturalmente dovremo attendere il momento in cui saremo tutti insieme in sala prove, quando cercheremo di amalgamare i nostri diversi strumenti, conservando comunque la matrice originale del gruppo. Attendo con impazienza quel momento, anche se so già per certo che sarà un esperimento dai risvolti piuttosto interessanti.

            Poi torno a casa con il mio zaino pieno di libri e di appunti, e subito dopo arriva Lorenzo, giusto per dirmi che oramai è tutto pronto per giovedì. Finalmente conosceremo questo fenomeno di pianista, penso io, e così si potrà vedere come organizzare la musica che verrà fuori insieme a lei. <<Non so se ho fatto bene a proporla>>, dice però adesso Lorenzo. <<Anche se non ci trovassimo troppo a nostro agio con lei, in seguito sarà sempre più difficile dirglielo, considerato che Franca ha anche un carattere chiuso e introverso>>. La musica è incontro e confronto, penso. Non è proprio possibile, al punto in cui siamo, preoccuparsi di sfumature che appaiono quasi senza alcun senso. Dobbiamo andare avanti, provare le soluzioni migliori, mettere insieme esattamente quelle idee che ci sembrano più adatte alla musica nostra, e questo è un percorso che può essere intrapreso soltanto lavorando per tentativi, scartando volta per volta ogni errore. Lorenzo mi guarda mentre accordo finemente il mio basso: è lui comunque quello che ha più entusiasmo di tutti, rifletto; e il nostro percorso può essere anche determinato da qualche intuizione naturalmente, mentre in ogni caso cerchiamo di essere sempre noi stessi nei fitti fraseggi che si riesce a produrre: alla fine è la nostra sensibilità da inserire nel gioco quella che conta, ed è la stessa che in un ambito musicale come quello che abbiamo scelto, farà sempre e comunque la vera differenza.

 

            Bruno Magnolfi   

domenica 10 ottobre 2021

Emozioni azzerate.

 

            Durante la mattinata decido di appoggiare il piccolo manuale che mi ha prestato Lorenzo, ormai un po’ di tempo fa, sopra al suo banco di scuola. Non dico niente, non lo guardo, i miei movimenti sono estremamente calcolati, perché quella sospensione rimasta tra di noi in questi ultimi giorni è ormai sempre più tangibile, e in ogni caso adesso non ho necessità di dirgli niente, se non confermargli, ma forse inutilmente, la mia evidente disponibilità. Lui finge disinteresse, cerca qualcosa dentro al suo zaino, si gira indietro, smuove i quaderni e anche le matite, infine riprende a tamburellare con le dita agili, come fa sempre. Poi si accorge del suo manuale di armonia jazz davanti a sé, e rapidamente ecco che lo fa sparire. <<Allora>>, mi dice, <<cosa facciamo?>>. Lascio trascorrere un minuto o due mentre ancora stiamo aspettando il prossimo insegnante in questa lunga pausa per il cambio di materia, ed alla fine mormoro soltanto, ma quasi con poca convinzione, che mi sento pronta. Lui tamburella, non mi guarda, è il mio compagno di banco, potrebbe essere il mio amico del cuore, forse però proprio noi due in questo momento mostriamo d’essere i ragazzi più distanti tra di loro, rispetto a tutti quelli che stanno qui nella nostra affollata aula scolastica. <<Per noi va bene>>, dice. <<Anche il prossimo giovedì>>, aggiunge.

            Torno a respirare, anche se riesco a non farmi accorgere della tensione che provo, e così con indifferenza rispondo subito svagata: <<perché no?>>, come se adesso avessi scelto proprio quello tra i miei tanti impegni di quel giorno indicato. Mi ha risposto al plurale, registro però con un attimo appena di ritardo, probabilmente nel gruppo ne hanno parlato a lungo e con opinioni diverse. Magari ne è nata persino una discussione, qualcuno avrà avuto probabilmente da ridire, e forse Lorenzo, anche per non apparire di parte, avrà detto che a lui non interessa affatto far le prove con questa mozartina, come probabilmente mi chiama in gergo. Vorrei piangere, non so neppure di preciso per quale motivo farlo, però desidero avere la forza di un vero omino, e in ogni caso è tutto a posto, rifletto, l’operazione intrapresa forse va avanti come previsto. In questi giorni sul mio piano elettrico ho tirato giù una traccia su cui lavorare con la formazione jazz di Lorenzo, se qualcuno vuole: una struttura complessa di accordi che sostengono una melodia quasi cromatica; ma non riesco ad inserirci un tempo credibile di batteria e neppure un giusto giro di basso.

Non so neppure se gli altri abbiano la capacità di leggere a vista una partitura, in ogni caso adesso non ha alcuna importanza, mi basta sapere che tra poco potremo tutti iniziare a nuotare nella medesima acqua, controcorrente senz'altro, ma col muso rivolto dalla stessa parte. Poi Lorenzo si gira per un attimo verso di me, ed anche se sembra incredibile, lo fa per sorridermi. Lo guardo un momento senza alcuna espressione, non so a cosa intenda fare riferimento, però adesso tutto mi piace, il freddo polare sembra accennare a stemprarsi, le cose pur complicatissime iniziano a prendere una forma più precisa. Giovedì sarà una giornata bellissima, penso, anche se non mostrerò mai ad anima viva il mio entusiasmo: arriverò fino alla sala prove con un mezzo pubblico, trascinandomi dietro la mia tastiera elettronica, poi faremo rapidamente le presentazioni, e poi tutto potrà iniziare a scorrere anche meglio di come abbiamo già previsto, sono sicura.

Le lezioni nella nostra classe di liceo vanno avanti anche stamani come sempre, fino alla campanella di fine orario, e Lorenzo come suo solito non mi dice più nient’altro, forse rispetta il mio bisogno di stare da sola in questo angolo del banco. Forse sono io che lo tengo a distanza, rifletto, ma non posso certo fingermi diversa da come sono per davvero. Qualcosa sta cambiando, penso con convinzione mentre raduno le mie cose prima di andar via, anche se non devo assolutamente dare importanza a ciò che sembra rinnovarsi, per evitare di soffrirne quando tutto andrà inevitabilmente in mille pezzi. L’ultima fase, se mai avverrà, si mostrerà terribile, ma io non ne soffrirò, essendomi sufficientemente corazzata avanti tempo. Scendiamo le scale nella confusione generale di tutti i ragazzi, e Lorenzo è avanti a me, fino al momento di uscire dal portone e ritrovare l’aria aperta; poi si ferma, mi trattiene con una mano sfiorandomi il braccio, mi guarda per un tempo infinito, poi dice: <<sono contento>>. Adesso posso proprio piangere.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 4 ottobre 2021

Assolutamente sereno.

 

            Generalmente, insieme alla custodia rigida della mia tromba Getzen, infilo sempre anche un paio di sordine a me congeniali dentro alla solita sacca morbida con gli spallacci, una specie di zaino profondo, che una volta ben chiuso mi sistemo simmetricamente dietro le spalle, perché in questa maniera posso inforcare agevolmente la mia bicicletta per andare poi dove voglio. Sto bene quando giro per la città in questo modo, mi sento completo, e provo la sensazione di potermi fermare in qualsiasi luogo desideri, e se mi va di iniziare a suonare in qualsiasi posto il mio strumento, fosse pure sotto un qualsiasi lampione acceso in certe serate nebbiose. Col mio quartetto di jazz tendo a distendere molto ogni nota prodotta attenuata dalla sordina, e a procedere sempre in avanti per semplici semitoni, restando spesso all’interno di un’unica ottava, come se la mia fosse un’operazione di scavo, di ricerca del timbro e del suono più adatti al momento. Procedo normalmente su scale modali, ma spesso rompo gli schemi e vado oltre, fino allo smarrimento completo di qualsiasi tonalità. Il basso e la batteria sorreggono e sottolineano i tempi e i movimenti delle linee melodiche, ed il sassofono soprano intreccia con me degli aspri percorsi sonori, muovendosi quasi sempre su di un registro più alto.

            Ascolto molto le registrazioni dei grandi che portano avanti questo tipo di musica, e mi pongo sempre alla ricerca di uno stile che sia il più personale possibile, qualcosa che non venga scambiato facilmente con altro, in maniera da sentirmi sempre sulla mia strada. Ho studiato molto, ed oltre la laurea in musicologia ho seguito dei corsi specifici di jazz e di tromba, strumento a cui mi sono appassionato fin da ragazzo, tanto che alla fine mi sento bene quando suono, convinto nel mio sviluppare le idee musicali che porto avanti. Sono più adulto degli altri componenti della formazione di cui faccio parte, ormai ho quasi trent’anni, però mi trovo perfettamente a mio agio con loro, anche se il mio mestiere di insegnante di musica presso la scuola media, mi porta certe volte a considerare gli altri del gruppo come fossero i ragazzini di qualcuna delle mie classi. Ho avuto un istinto di repulsione quando Lorenzo, il batterista, ha proposto di far entrare nel nostro quartetto una pianista di musica classica interessata a nuove forme di musica. Però, subito dopo, la curiosità e la ricerca di altre sonorità, mi ha portato a mostrarmi in accordo sia con lui che con gli altri. La paura, naturalmente, è quella di trovarmi meno libero nelle mie improvvisazioni, di dover seguire delle regole armoniche più rigide, e lasciare al pianoforte degli spazi sonori molto ampi, anche se la voglia di provare a fare musica in cinque, ha subito prevalso sul resto.     

            I pezzi che suoniamo li abbiamo messi assieme poco per volta, elaborando alcune frasi melodiche, dei ritmi, certe scale armoniche e delle strutture che si sono rivelate a noi in corso d’opera, mentre le stavamo suonando, convincendoci a prenderne nota e a seguirne ogni sviluppo. Non so cosa possa accadere inserendo un pianoforte nel nostro organico: tanto più che la tastierista che verrà a provare con noi proviene da studi classici, non ha mai neppure suonato con una formazione come la nostra, e poi non sa quasi niente di jazz. Ma questo rende soltanto l’esperienza ancora più interessante. Sono sicuro che potremo persino fare delle cose molto diverse da quelle a cui noi quattro siamo ormai abituati, grazie all’influsso di una nuova sonorità così completa; ma se le cose riescono davvero a procedere, e i risultati sono pronti a dimostrarsi come un vero progresso delle nostre esperienze, lo vedremo solo con l’andare del tempo durante le prove. 

            Ho già suonato qualche volta in precedenza con un pianista e anche con musicisti diversi da questi ragazzi, e le cose non sono state mai molto proficue. Però adesso avverto all’interno del nostro gruppo attuale l’entusiasmo di accogliere questa nuova componente con il suo bel piano elettrico, e devo dire che ormai dobbiamo soltanto tentare. Resta il fatto che trovo normale variare gli organici delle formazioni di cui faccio parte, anche se per nessuna ragione vorrei perdere l’affiatamento e l’intesa che abbiamo raggiunto con questo gruppo. Però sicuramente quella di adesso sarà per tutti noi una nuova avventura, ed un nuovo piccolo tassello anche della mia personale esperienza, tanto più che con queste premesse, oltre ogni perplessità, anche riguardando ogni tanto la mia tromba fedele, mi sento assolutamente sereno.

 

            Bruno Magnolfi