domenica 26 febbraio 2023

Provvedimenti non condivisibili.


Altre volte, ho avuto paura. Non per qualcosa di definito, come lo scoppio di una gomma d'auto, un'improvvisa burrasca di pioggia e di vento, oppure nel ritrovarmi da sola in un vicolo buio, no; ho provato in certi casi una paura più generica, quasi insensata, del tutto irrazionale. È la gente, che non capisco. Si mettono insieme con facilità alcune persone che inizialmente si conoscono anche poco tra loro, scambiano qualche frase scontata in cui si identificano, trovano persino delle vere e proprie parole d’ordine, fino a formare esattamente un bel gruppo, e subito dopo cominciano ad alzare la voce, ad inveire contro qualcosa o qualcuno, giungendo alla fine a scegliersi un vero e proprio nemico verso cui potersi scagliare, forse perché è proprio così che gli impongono di fare le loro frustrazioni emergenti. In qualche caso poi perdono del tutto la ragione, ed è in questi momenti che diventano improvvisamente violenti, nonostante siano incapaci persino di indicare il vero motivo da cui sono trascinati a comportarsi in questa maniera. Proprio in questi casi, ecco che è la paura di qualcuno come me, che sorte fuori. Si dice che è doveroso avere pazienza, che bisogna sforzarsi di comprendere tutti, di analizzare bene anche le ragioni che muovono delle figure del genere, perché è soltanto con la comprensione che si può sperare di migliorare qualcosa. Ma io in questi casi ho sempre provato una paura folle. Neanche per me stessa, per la mia incolumità, per i miei familiari o le persone che sento più vicine; quanto per il genere umano, tutto assieme, così denigrato ed offeso dall’incapacità di qualcuno nel mantenersi nell’alveo di un animale sociale qual è.

Uno sfogo terribile, che non può mai portare a niente di buono, se non una prosecuzione perpetua di gesti violenti e di odio puro non controllabile, impossibile da neutralizzare, assurdo per l’evidenza negativa che offre, capace di avvicinare nei gesti l’uomo alla bestia, come se una diga crollando improvvisamente lasciasse tracimare oramai tutta l’acqua che fino a poco prima conteneva. Ecco, di tutto questo provo paura, del dovermi confrontare con qualcosa che neppure comprendo, che non fa parte di me, o almeno di ciò che mi fa essere persona ogni giorno, anche nei momenti difficili che posso trovarmi ad attraversare. Si dice sia difficile suscitare dei cambiamenti in altra maniera, ma io non credo a qualcosa del genere, credo anzi che la buona volontà degli individui abbia una forza decisamente superiore. Per questo sono rimasta perplessa quando mi hanno detto che l’Ufficio Postale del mio paese sarebbe rimasto chiuso per almeno una giornata, dopo che qualcuno aveva avvertito che era stata collocata una bomba al suo interno. Sono sicura che la ragione profonda di un atto del genere derivi dalla ventilata necessità dei dirigenti nazionali di Poste e Telegrafi di chiudere in modo definitivo la sede di Calci, e che questa voce insistente abbia iniziato a far saltare i nervi a qualcuno, anche soltanto per delle ragioni campanilistiche.   

Non ho nessun interesse personale da proteggere, niente che riguardi il mio essere cittadina come tutti, però sono convinta che togliere d’importanza una comunità che poco per volta si è guadagnata la considerazione che merita, sia la molla che fa saltare il tappo di qualsiasi insoddisfazione repressa. Così sono andata anche io sulla piazza a cercare di comprendere che cosa stesse accadendo al paese di Calci, ed ho trovato mille contraddizioni nella testa dei miei concittadini, idee e pensieri che non sembravano portare verso una sola risoluzione e delle richieste univoche. Perciò ho detto a qualcuno che era ridicolo tenere un comportamento così poco chiaro, ed anche se dei conoscenti mi hanno subito dato ragione, di fatto tutti gli altri hanno mostrato con evidenza di non meritarsi alcuna considerazione. Non so, ma all’improvviso mi pare che una piccola comunità come la nostra, pigra e quasi incapace di prendere delle vere e proprie iniziative, si trovi d’improvviso al centro di un forte ripensamento delle proprie possibilità. Sono convinta che altri prenderanno iniziative poco sane, e che superando l’intorpidimento che ha sempre caratterizzato questo paese, alla fine verrà fuori un rovesciamento di posizioni, un improvviso prendersela con qualcuno, fino a delegare le iniziative di tutti ad un manipolo di facinorosi capaci di traghettare la nostra proverbiale pazienza in un desiderio immediato di forza, di repentino cambiamento, di intolleranza smodata verso chi non la pensa così.

Ho paura allora, ripeto; non c’è niente di buono in questo clima, e se desidero che le cose non degenerino presto, ho deciso che inizierò ad essere maggiormente incisiva, almeno quando ne parlo con chi mi circonda; e proprio per questo motivo sento sempre di più che il mio dovere è parlarne apertamente con chiunque sia aperto al dialogo, smettendo di mostrarmi ancora come una donna remissiva, sempre sottomessa alle decisioni di altri, pronta ad accettare qualsiasi risoluzione venga presa, o almeno quei provvedimenti che in qualche modo riguardano i miei stessi diritti.

Bruno Magnolfi  

mercoledì 22 febbraio 2023

Sciocchi ed ingrati.


Mi sento stravolto, dico da solo a voce alta mentre stamani cammino per via xx settembre. Poi ascolto l'eco delle mie parole quasi gridate che si spande in mezzo alle case. Sembra incredibile che tutto stia assumendo in questi anni una forma così assurda, eppure non si può far altro che prendere atto della realtà, qualsiasi essa sia, perché è la fisica della materia che ce lo impone. Ho sempre avuto l'abitudine di parlare da solo ad alta voce, di dire le cose che leggo, quelle in cui credo, le verità concrete, ed è forse per questo motivo che tutti in paese mi trattano come un tipo strano, uno da cui probabilmente ci si può aspettare di tutto, anche se non è esattamente così. Chiunque trovo mi saluta, specialmente se passo dalle parti della Casa del Popolo; e allora mi chiamano, mi vogliono offrire da bere, mi battono una mano sopra le spalle, mi chiedono qualcosa di sciocco a cui generalmente non rispondo, mentre loro comunque ridono, ed io timidamente mi compiaccio della mia notorietà. Il "professore", dicono tutti, perché quando ero più giovane ho frequentato per qualche anno l'Università a Pisa, ed anche se alla fine sono riuscito a dare soltanto un paio di esami, questi studi approfonditi mi sono stati utili per comprendere a fondo quasi tutta la scienza di cui mi sono sempre interessato. Conosco ancora a mente parecchie formule matematiche per il calcolo del moto terrestre ed anche degli altri pianeti del sistema solare, ed il fatto di citarle con facilità a chi oggi incontro per le strade di Calci, ha portato quasi tutte queste persone, nel corso degli anni, a considerarmi talmente competente degli astri da arrivare a chiedermi perfino la predizione per il futuro, se non altro per come andrà la prossima stagione climatica, ad esempio, o se l'inverno sarà troppo freddo, e l'estate non molto calda, e viceversa. Quando sono in casa, alla mia scrivania, apro i miei libri, e tra quelle pagine trovo quasi sempre le risposte precise a tutto quanto, tanto da poter mostrare a tutti, al momento in cui torno a camminare per strada, i motivi e le conseguenze degli allineamenti tra tutti i pianeti, e quindi naturalmente la risposta al fatto che possa piovere oppure no.

Mi reco molto spesso all’ufficio Postale, perché è evidente che i piccoli articoli che continuo a scrivere attorno alle teorie di fisica sulle quali nutro grande convinzione, devono essere per forza spedite agli editori ed alle riviste specializzate in questo settore, lasciando ai direttori ed ai responsabili delle pubblicazioni la possibilità di inviarmi, come a volte accade, una risposta cortese e concisa, che dimostra tutto il loro interesse per ciò che tento di dimostrare, anche se ancora nessuno si è lanciato nello stampare su carta uno qualsiasi dei miei studi. Così, almeno una volta a settimana, preparo un plico zeppo di fogli ben scritti, ben imbustati e adeguatamente sigillati, e poi mi reco allo sportello, affidando agli impiegati la mia descrizione meticolosa di quanto con evidenza sta ai fondamenti della scienza applicata. E forse per questa mia frequentazione delle Poste, a qualcuno del paese di Calci d’improvviso è venuto in mente che potessi essere proprio io quel pazzo che ha inteso mettere una bomba proprio in quell’edificio, forse per una sorta di controffensiva nei confronti di quelle pubblicazioni negate, laddove, al contrario di colui che vuole distruggere, le mie intenzioni vertono soltanto sul desiderio di spiegare ciò che già esiste, senza alcun tentativo di modificarlo. Ma il paese a volte è un luogo assurdo, dove una piccola voce in un angolo si amplifica a dismisura, tanto da diventare in un attimo un coro incontrollabile, fino a lasciare una coda di dispiacere anche in uno studioso come me che non ha mai neppure sognato di fare del male a qualcuno.

Eppure, succede, non si può far altro che prenderne atto, e per strada, ormai da qualche giorno, con grande difficoltà trovo qualcuno che ancora mi saluta, e a nessuno viene più in mente di chiedermi qualcosa, oppure di battermi di nuovo con fare amichevole una mano sopra le spalle. Così mi sento isolato, respinto, segnalato a dito come quello da cui ci si può aspettare di tutto, fino a vederlo compiere degli atti violenti. Ed io mi sento perplesso e amareggiato, tanto che ho quasi smesso di uscire da casa. Però, seduto alla mia scrivania ingombra di libri come sempre, ho iniziato a riflettere su come potermi vendicare davvero di un discredito così forte da parte della cittadinanza. Urlare, sbraitare, scacciare chi mi viene vicino, ecco cosa sogno di fare: dire a chiunque con voce ben alta che questi paesani sono persino indegni di avere in mezzo a loro uno scienziato e studioso del mio pari, e che avranno presto a pentirsi del loro comportamento, perché il “professore” troverà rapidamente la formula giusta per far smettere il cielo di piovere, fino alla completa essiccazione dei fiumi, delle piante, e di tutti i terreni, attorno ed in mezzo a questo paese di sciocchi e di ingrati.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 15 febbraio 2023

Meriti riconosciuti.


            Eravamo in tre o quattro, quasi sempre, a girare in largo e in largo per tutto il paese. Era come ci sentissimo quasi in dovere di elevarci, in quei pomeriggi pressoché insensati, a veri custodi delle strade, e per questo motivo, anche nelle giornate assolate e caldissime delle estati di quell’epoca, vuote di tutto, nell’aria ferma tra le case basse, noi provavamo ogni giorno la necessità di pattugliare, un passo dopo l’altro, tutto il piccolo centro abitato perlopiù deserto, polveroso e pieno di luce, come se, dovendo casomai accadere, almeno nella nostra fantasia, qualcosa di strano, di insolito, di inaspettato, proprio da quelle parti, noi ci si trovasse pronti, esattamente lì, quasi sul posto, preparati e capaci di vedere e registrare con i nostri occhi di ragazzi qualsiasi novità si presentasse. Si parlava, camminando lentamente, conservando un tono basso, di chi sta confidando delle grandi verità, spiegandoci l’un l’altro delle opinioni di fantasia che in seguito dimenticavamo in fretta, ridendone ogni tanto, però pacatamente, come di chi è assolutamente sicuro di sé, e non si permette mai di lasciarsi troppo andare. Ci sentivamo dei veri vagabondi, quelle volte, come se, non avendo trovato proprio altro di cui occuparci, si sentisse l’obbligo, dentro noi stessi, di comportarci proprio così, come padroni e custodi di qualcosa che sentivamo prossimo, accanto a noi.

            <<Gino>>, diceva a volte il mio amico Fabrizio; <<giriamo da dietro la Chiesa per vedere se è ancora tutto a posto>>. Così si facevano delle varianti al solito percorso, ed ogni tanto ci si fermava all’ombra di qualche grande muro fresco, o sotto ad una pianta dalle foglie larghe, a riprendere fiato, far riposare un attimo le gambe nude, anche se poco dopo si riprendeva subito il giro, i sandali ai piedi, la fionda in una tasca, sicuri dei nostri compiti a cui ci sentivamo chiamati dal dovere di essere assolutamente dei difensori di qualcosa di importante. <<Tutto a posto, ragazzi?>>, ci chiedeva incontrandoci qualcuno che ci conosceva, e noi ci limitavamo a rispondere con un semplice mugugno, oppure con un cenno della mano, come se tutto procedesse per il suo corso, sotto alla nostra attenzione, perfetto per come noi lo tenevamo costantemente sotto uno stretto controllo. Certe volte ci spingevamo addirittura fuori dal paese, giungendo fino alla frazione di Castelmaggiore, o lungo la strada dell’Arnaccio, o arrivando alla Chiesetta di San Rocco, ad annusare gli ulivi chiari, quasi d’argento, e la terra piana attorno; poi però si tornava presto nel paese, quando le persone cominciavano ormai ad uscire dalle case, respirando il fresco che giungeva già più tardi, insieme alla brezza blanda, spinta dal maestrale ancora carico della salsedine di Marina di Pisa.

            Ci pareva la cosa più importante di tutta la giornata, quasi come se, non avendo compiuto il nostro giro d’ispezione in tutta Calci, era probabile che qualcosa di brutto si sarebbe potuto verificare quasi senz’altro. Il nostro vagabondare a piedi per quelle poche strade, era naturalmente prezioso per tutto il paese, ne avevamo piena coscienza, e quindi mai nessuna fatica ci prendeva, considerata l’importanza del nostro coraggioso comportamento. In piazza poi ci si fermava a bere l’acqua della fonte, a sciacquarsi la faccia, certe volte a bagnarsi anche il collo e i capelli, come fossimo uomini fatti che si prendono una pausa rinfrescante dopo il duro lavoro. <<Te, che vorresti fare, Gino>>, chiedeva a volte Fabrizio, quando in quelle soste iniziava a voler parlare del futuro. E allora io ci pensavo a lungo, in silenzio, poi rispondevo ambiguo: <<non vorrei mai andarmene da qui; mi basterebbe mettere su un negozietto di frutta e di verdura, oppure iniziare a fare il benzinaio, in aiuto al Marretti, che mi sembra abbia già i suoi anni per mettersi a riposo>>. Allora ognuno si sentiva in dovere di dire la sua sull’argomento, ma la cosa più importante restava comunque il presente, quel senso forte di avere nelle mani in quel momento direttamente noi stessi, senza bisogno d’altro.

            Adesso, quando pedalo sopra la bicicletta a consegnare le lettere per l’ufficio Postale, certe volte mi tornano alla mente quei discorsi, insieme al sapore strano e lontano di quei pomeriggi carichi di buffe intenzioni, e mi pare quasi che se io e quei miei amici di allora non ci fossimo sacrificati per tenere tutto quanto sotto controllo, qualcosa sarebbe potuto anche accadere, qualcosa che nessuno di noi e tutto il paese avrebbe mai voluto. Gli anni poi sono scorsi via di seguito, come un treno che fischia veloce in mezzo alla campagna, e nessuno di noi probabilmente ha fatto qualcosa di quello che avrebbe desiderato davvero da ragazzo. O forse si, ed io certe volte mentre saluto qualcuno che incontro adesso in mezzo al mio paese, avrei voglia ancora di fermarmi un attimo, e spiegargli che siamo stati noi a difendere tutto quello che ancora si può vedere attorno, e non abbiamo avuto mai nessun merito riconosciuto, se non la nostra stessa memoria, e poi nient’altro.

 

            Bruno Magnolfi       

lunedì 13 febbraio 2023

Implacabile e crudele.


            Dapprima cammino in fretta, come se non avessi il tempo per fare neppure la metà di quello che vorrei, poi però rifletto meglio che invece ho tutta la mattina soltanto per giungere fino all’ufficio Postale, mettermi in fila davanti allo sportello, fare le mie cose, e quindi tornare tranquillamente verso casa, ed allora rallento, fino addirittura a fermarmi ogni poco per osservare qualche vetrina e guardarmi attorno. La giornata è soleggiata, anche se c’è poca gente in giro, ma a me non interessa, mi basta che tutto fili via liscio, e che non ci siano complicazioni di alcun genere. Devo soltanto pagare due bollette all’impiegata, roba da dieci minuti, ma sono sicura che troverò qualche conoscente che mi saluterà, che mi farà delle domande anche insidiose, e allungherà facilmente ogni discorso tanto per curiosare un po’ tra le mie argomentazioni. Da quando mi sono separata vivo da sola, lo sanno tutti nel paese, e molti di loro forse si chiedono come riesca a trascorrere tutto il tempo libero che mi ritrovo adesso, senza mai farmi vedere in giro. Per una come me, che non ha mai lavorato, dedicando le sue giornate esclusivamente alla propria abitazione e a suo marito, ritrovarsi in solitudine da ormai più di un anno a questa parte, non è certo una variazione di poco conto, ed anche se lui adesso mi fa giungere regolarmente l’assegno mensile pattuito davanti al giudice, la mia giornata resta vuota, quasi completamente priva di impegni. Vorrei trovarmi un’occupazione, anche di poche ore al giorno, ma quando hai cinquant’anni e nessuna esperienza di lavoro, diventa complicatissimo introdursi nel mondo dei mestieri. Potrei forse rivolgermi almeno ad un'associazione per fare del volontariato, ma non riesco a decidermi, e sono molto titubante nel prendere degli impegni.

Infine, giungo davanti agli uffici Postali, ma, già prima di essere lì, vedo che si è formata una piccola folla di persone che staziona ad una certa distanza, così chiedo ad una signora che cosa stia succedendo. <<C'è una bomba>>, dice quella, <<tra poco arriveranno i carabinieri per disinnescarla, in ogni caso le Poste almeno per oggi sembra proprio che resteranno chiuse>>. Non voglio avere delle opinioni, mi pare quasi un’ironia ciò che a volte capita, in ogni caso mi soffermo assieme agli altri tanto per vedere come possono andare avanti le operazioni. Qualcuno scuote la testa, altri alzano la voce, la Direttrice delle Poste sembra quasi assediata da gente che le chiede delucidazioni, che le pone delle domande a cui peraltro non sa proprio cosa rispondere, e tutti poi vogliono sapere quando riapriranno gli uffici, e che cosa ci si deve attendere da ora in avanti. Io ascolto un conoscente che mi spiega sottovoce il suo parere: <<è tutta una messinscena; la bomba non c’è, fanno così soltanto per attirare l’attenzione sui problemi che ci sono; domani tutto sarà a posto e ben funzionante, vedrà>>. Mi scappa quasi da ridere: pare impossibile che all’improvviso si parli di cose come queste in un piccolo paese dove non succede mai niente di nuovo, e dove l’ultima faccenda su cui sprecare dei commenti è stata forse l’improvvisa fuga di mio marito dalla nostra abitazione.

Quindi mi sposto, ma rimango su questo marciapiede assieme agli altri, ad osservare chissà cosa: mi piace stare qui con metà del paese a curiosare e a immaginare quello che al limite potrebbe accadere. Qualcuno naturalmente se la prende con la sinistra, altri con la destra, e tutti hanno da dire qualcosa contro il sindaco, che ancora non si è neppure fatto vedere, e che probabilmente ha pestato i piedi a qualche pezzo grosso che adesso gli vuole mettere paura. Alcuni ridono, per quanto appare persino ridicola questa situazione, e tutti, con le mani sprofondate nelle tasche, affinano il proprio parere su qualsiasi cosa collegata a questi fatti, magari solo rimasticando ciò che sentono dire al momento, e dando subito per certe alcune idee fantasiose da cui rimangono colpiti. A me pare non ci sia poi molto di cui discutere: si tratta di ispezionare gli uffici per vedere se ci sono davvero degli ordigni, e poi smetterla con tutto questo chiacchiericcio, e far tornare il prima possibile al lavoro gli impiegati. Decido di allontanarmi, avanti che a qualcuno venga in mente di chiedermi qualcosa di mio marito, però mi dispiace non assistere agli eventi che si verificheranno magari tra pochi minuti: si dice che stia per arrivare da Pisa un piccolo marchingegno su ruote munito di una telecamera, capace di ispezionare, tramite un telecomando, tutti gli ambienti dell’Ufficio Postale, senza che nessuno rischi la vita per entrare dentro l’edificio, e molte persone restano in zona per assistere alle operazioni. I Carabinieri proseguono a dire a tutti di allontanarsi, di disperdersi, di lasciare libera la zona, ma naturalmente nessuno al momento presta loro la minima attenzione.

Infine, vado via, con le mie bollette da pagare ancora dentro alla borsa: nessuno mi ha chiesto niente di me e di mio marito, ed improvvisamente, non so, sono contenta: mi pare quasi di aver guadagnato qualche punto, forse, senza il parere implacabile e crudele della gente di questo paese.

 

Bruno Magnolfi        

mercoledì 8 febbraio 2023

Piuttosto riservato.


            A volte, la sera tardi, esco di casa da solo per farmi un giro a piedi nel paese, come avessi al guinzaglio insieme a me un cane mansueto da portar fuori, a cui far annusare qualche nuovo odore, far sciogliere i muscoli delle zampe, o anche solo condurre in giro a caso, senza neppure una vera meta. In quell’orario nell’abitato non si incontra mai nessuno, restano soltanto i soliti affezionati alla Casa del Popolo che tirano tardi là davanti a discutere su qualcosa di poco senso, magari ridere di qualche comune conoscenza, oppure mostrarsi pronti a scambiare le opinioni più inverosimili su tutto ciò che passa per la loro mente. Evito di passare da quella parte, piuttosto costeggio il marciapiede opposto lungo la strada, e mi perdo spesso in quelle ombre che si formano tra un lampione e il successivo, soffermandomi ogni tanto ad osservare qualche dettaglio di un muro, o di un portone, o di un manifesto affisso che precedentemente non avevo notato. Il mio cane mi osserva inquieto, nell’attesa che io riprenda a muovere i piedi, verso un itinerario del quale forse non nutre proprio alcun interesse. Mi piacerebbe in certi casi saper suonare uno strumento a fiato, che se ci penso non ho neppure mai ascoltato, forse una tromba dal suono molto fioco, l’imboccatura semplice, dei tasti diatonici, capace di esprimere quasi un canto melodioso e dolce, ben riconoscibile. Giro dalle parti di un giardino alberato, osservo davanti a me, nella scarsa luce intorno alle siepi e alle panchine vuote, qualcosa che potrei aver dimenticato ieri o qualche tempo addietro: un libro sgualcito, una penna a sfera di cui adesso non saprei che farmene, oppure un grande fazzoletto grigio che qualche volta porto legato attorno al collo, ad evitare che il fresco della sera possa regalarmi un forte mal di gola. Il mio cane mi osserva, senza comprendere, disinteressato ai miei giochi.

            In quella zona in qualche caso incontro qualcuno con la mia stessa inquietudine, ed allora ci fermiamo e ci mettiamo a parlare del nostro piccolo paese, delle scarse novità su cui girano insistentemente delle strane voci, di qualcuno che purtroppo recentemente ci ha lasciato, oppure anche di ciò su cui dobbiamo indubbiamente tornare ad occuparci, presto, tra poco, appena giunte le prime luci del nuovo giorno. Tutti, ad esempio, hanno saputo qualcosa del nostro Ufficio Postale, ed ognuno ha tirato fuori da sé una propria opinione, come se fosse inevitabile dire la propria intorno ad un argomento così importante eppure poco chiaro. Forse chiuderanno quella sede, si dice sempre con più insistenza tra la gente, e forse i cittadini di Calci dovranno arrivare fino a Pisa o a San Giuliano per spedire una semplice raccomandata, o per pagare una bolletta ormai in scadenza. Sembra incredibile che qualsiasi novità che arriva ogni poco tempo ad investirci sia sempre negativa. Il mio cane mi osserva con sguardo comprensivo, come capisse quanto possa essere antipatica la coscienza per qualcosa che peggiora sempre, poco per volta, fino a mostrarsi quasi inumana questa sensazione, o incomprensibile, come un effetto diretto dello scetticismo che con troppa facilità manifestiamo spesso. Il conoscente che mi ascolta resta in silenzio, forse ha delle opinioni che non desidera farmi conoscere, e delle quali peraltro io probabilmente non mi curerei.

            Poi torno verso casa, ancora da solo, però mi fermo accanto al muro di una vecchia casa del paese per intonare col mio strumento un’aria della quale sono sicuro all’improvviso di ricordare almeno qualche nota. Mi piace immettere in quella melodia qualcosa di me, dei miei pensieri, delle mie scarse distrazioni, anche se la magia sonora appena avvertibile che lascio spandere dura troppo poco, appena il tempo di rivelare che ero qui, che sono transitato lungo questa via, che ho infuso nell’aria il mio segnale. In piazza Cairoli, nell’abitato di Calci, c’è la torre campanaria della Pieve che a quest’ora sembra emergere dal buio, e con la sua possenza riesce a dare un aspetto difensivo a tutte le costruzioni attorno. L’ufficio postale naturalmente è vicino, pare impossibile che sia destinato ad una prossima fine così repentina e ingloriosa. Il cane adesso sbadiglia, indica con semplicità che è stufo di girare lungo delle strade nude, senza vita, da dove qualsiasi abitante del paese appare fuggito, rifugiato a doppia mandata nella propria abitazione, consigliando a noi di fare altrettanto. Riprendo la mia strada, allungo il passo, sgancio il guinzaglio e lascio che il mio cane si perda chissà dove, visto che tanto lo ritroverò piuttosto facilmente nella prossima serata, quando tornerò a percorrere i medesimi marciapiedi. Poi rientro nella mia abitazione, girando le chiavi con calma, aprendo il portone con lentezza, e salendo le due rampe di scale quasi in punta di piedi per non fare rumore, anche se al primo piano di questa palazzina abito da solo; non mi piace comunque che qualcuno avverta i miei spostamenti, preferisco passare inosservato agli occhi di chi mi conosce come un proprio vicino, ed essere giudicato soltanto un cittadino come tutti, forse soltanto piuttosto riservato.

 

            Bruno Magnolfi