martedì 31 marzo 2020

Variazioni minime.




Ogni tanto mi fermo, mentre percorro avanti e indietro, giusto per smuovere le gambe, il lungo corridoio che collega tutte le stanze del mio ampio appartamento, e mi sorprendo in alcuni casi a pensare certe cose che credevo ormai seppellite nella mia memoria, piccoli particolari che all'improvviso sembrano gettare come una nuova luce sulle vicende a cui si riferiscono. Poi sorrido di questi sciocchi lampi nel buio, e riprendo come sempre la mia camminata che reputo salutare ed instancabile. A metà della mattinata poi arriva una signora sempre giovanile e svelta a svolgere alcuni lavori domestici e a prepararmi il pranzo, così a me non resta altro che mettermi seduto nel mio studio a leggere qualcosa oppure a riflettere sulla mia passata attività di insegnante universitario ormai in pensione. "Clara", chiedo alla donna che porta avanti da tanto tempo il suo mestiere dentro la mia casa, affacciandomi nella stanza dove lei si trova in quel momento. "Forse si ricorda quanti anni siano trascorsi da quando è entrata per la prima volta in questa abitazione". E lei così mette in fila volentieri dettagli e particolari di tutto il tempo trascorso da quando mi conosce, e a me fa ritornare in mente mille cose, tanto che mi sento sempre obbligato di quei suoi piccoli sforzi di memoria.
Praticamente non esco quasi più da casa, e l'unica vita sociale che mi trovo a svolgere, a parte le poche chiacchiere con Clara, sono date dalle mie lunghe ed insistenti osservazioni delle poche persone che frequentano la strada secondaria e i marciapiedi che corrono sotto alle mie finestre, mentre appoggio la fronte ai vetri freddi. Certe volte chiedo a Clara se magari si rammenta di quel vicino di casa oppure di quell'altro, e lei con pazienza mi riporta sempre qualche particolare che non sapevo o che mi era sfuggito dalla memoria. È una vita minore la mia, me ne rendo perfettamente conto, quasi un surrogato di qualcosa senza più sapori, ma a questa età credo proprio di non potermi permettere null'altro. Perciò ho iniziato da qualche tempo addirittura ad annotare orari e spostamenti di qualcuno che abita di fronte a me, e che osserva delle abitudini ormai assodate. C'è Piero per esempio, che conosco da una vita, il quale esce da casa sempre alla stessa ora della mattina, e vi rientra regolarmente a mezzogiorno, quando si avvertono i rintocchi delle campane della Chiesa dei Cappuccini, poco lontano. Oppure Marta, sua dirimpettaia, che invece esce al primo pomeriggio, per rientrare a casa sempre verso le sei.
Appare abbastanza divertente tutto questo, come se molte persone fossero regolate da un misterioso congegno meccanico capace di far andare e venire ogni figurante con modi stabiliti. Ed infine c'è Rosanna, una signora distinta ed elegante con la quale non ho mai parlato in tutti questi anni, ma che ho sempre avuto modo di notare abitando accanto a casa mia. Lei esce con calma, finge di non guardare niente attorno a sé, forse per non apparire curiosa, ma si fa sempre un quadro preciso di chi vede e di chi incontra, lasciando sempre siano gli altri a volgerle per primi il loro saluto. Qualche volta si ferma a parlare con qualche persona che conosce, ma non allunga mai troppo il discorso, ed in pochi attimi lascia esaurire gli argomenti. Un paio di volte ho chiesto di lei qualcosa a Clara, ma oltre a dirmi che abita da sola, non ha saputo chiarirmi altro, ed io naturalmente non ho insistito per non apparire troppo interessato.
Invece mi piace Rosanna, mi piace molto, con i suoi modi pacati, la sua espressione mai troppo gioviale ma neanche seria, e quella sua maniera di tenere buoni rapporti con tante persone senza mai apparire né curiosa e tanto meno chiacchierona. Potrei uscire di casa per lei uno di questi giorni. Farmi trovare già sul marciapiede, davanti casa sua, e poi togliermi il cappello al suo passaggio, presentandomi con garbo, nel caso lei non mi avesse mai notato, e baciandole la mano come si fa tra persone d'altra epoca. Potrei dirle che l'ammiro, che la vedo spesso quando entra o esce dalla sua abitazione, e che mi piace anche solo guardarla, sapere che è lì, davanti a me, oltre i vetri delle mie finestre. Potrei farlo, uno di questi giorni penso, e forse lo farò davvero, perché è così che sento d'essere, e non ci può stare più niente a farmi variare d'opinione.

Bruno Magnolfi

venerdì 27 marzo 2020

All'interno di una sola cosa.



A me non piace stare a casa. Piuttosto preferisco uscire da sola, generalmente di pomeriggio, e camminare senza meta per il centro della mia città, osservando qualche volta le espressioni delle persone che mi capita di incontrare con facilità, ed ascoltando frasi e parole che la gente generalmente si scambia, divertendomi a fantasticare sulle giornate di qualcuno tra coloro che noto di più, i suoi probabili comportamenti, i piccoli gesti, per esempio, che un attimo dopo uno di loro potrebbe addirittura eseguire veramente, e certe volte riflettere anche sui minuti scopi che magari possono attraversare proprio in quel momento la sua immaginazione. Ci sono tante persone che si fermano, certe volte in modo distratto, ed in altre occasioni però con un vivo interesse, davanti alle vetrine luminose dei negozi; e quando proprio non sono da sole come me, in molti casi si scambiano pareri a voce alta, manifestando degli interessi, delle idee, delle opinioni personali, e spesso le più varie, su tutto ciò che hanno esattamente lì davanti agli occhi, certe volte incuriosendosi soltanto di un semplice dettaglio che forse per altri potrebbe addirittura apparire del tutto trascurabile.
Poi mi fermo naturalmente presso la mia solita grande pasticceria preferita. Non entro subito, ci passo davanti, fingo di cercare qualcosa nella mia borsetta, mi guardo attorno come stessi aspettando qualcuno; ma soprattutto prima di mettere i miei piedi all’interno, mi assicuro attraverso le grandi vetrine che non sia troppo affollata, e che ci siano delle persone abbastanza interessanti sedute ai tavolini oppure al bancone: coppie di innamorati che parlano tra loro come fossero da soli, oppure degli anziani signori eleganti che leggono qualcosa dentro al loro giornale ormai sgualcito, e trascorrono del tempo in questo modo, senza molte altre pretese. Non mi piace invece quando scopro che dentro la saletta del caffè ci sono dei giovanotti confusionari che festeggiano qualcosa per esempio, ed in certi casi la loro baldoria mi ha portato persino ad evitare il locale in quel momento, e forse a ripassare da lì semplicemente un po’ più tardi, oppure anche per niente in quella stessa giornata.
Oggi però entro, e con molta calma scelgo uno dei tanti tavolini liberi, visto che la pasticceria sembra poco affollata, e poi mi siedo, dopo essermi per un attimo guardata attorno, comodamente su una poltroncina, scegliendo con attenzione il punto di vista da cui osservare almeno una parte del locale. Non mi interessa avere proprio tutto sott’occhio, non sono così curiosa, e non ho persone da evitare oppure conoscenti che debba salutare di malavoglia. Però mi concentro su un lato della sala, e quando arriva il cameriere mi limito ad ordinare qualcosa, sbirciando con pazienza il lungo banco vetrato a fianco, da dove affiorano le prelibatezze di questo luogo: insieme ad un caffè lungo, prendo sempre poi il solito pasticcino alla crema, anche se fingo persino adesso di sceglierlo per la prima volta. Infine quasi sorrido di me stessa, e della mia capacità di essere sempre la medesima, in grado di sopportare i comportamenti che apparentemente sembrano sempre identici e monotoni, ma che in realtà evidenziano tutta la differenza che persiste anche all’interno di una stessa cosa. Mi compiaccio della varia umanità che circola là dentro, mi viene persino da sorridere pensando alle migliaia di gesti sempre uguali che si compiono ogni volta, ed alla fine so per certo che le cose non potrebbero andare altro che in questa esatta maniera, e proprio per questo forse me ne sento subito rassicurata.


Bruno Magnolfi


lunedì 23 marzo 2020

Nascosto agli occhi di tutti.


          

            Fino a quando resto auto-isolato in questo stanzino buio, nessuno può venire a disturbarmi. Attraverso la porta chiusa sento ogni tanto le voci di mia sorella e di suo marito mentre si trovano nelle altre stanze dell’appartamento, e provo piacere nel rendermi conto che loro ci sono, sono presenti in questa casa, probabilmente portano avanti come sempre le loro faccende, ed hanno forse sotto controllo ogni cosa che possa servire a noi tutti, anche se io sfuggo a qualsiasi curiosità, e sto quasi sempre in un altro luogo, lontano il più possibile da loro. Non voglio spiarli, però loro parlano a voce sempre un po’ troppo alta, e poi discutono, litigano, dicono cose che qualche volta sembra addirittura che mi riguardino, anche se non riesco a comprendere del tutto ogni parola. A volte mi pare di sentire lui mentre spiega a mia sorella che è giunto il momento di mandarmi via da questa casa, almeno così mi sembra di comprendere forse anche dal tono con cui sento esprimere il mio stesso nome, e che d’ora in avanti proprio non mi vorrebbe tra i piedi; ma io intanto lo ignoro e me ne rimango nascosto, non mi faccio certo trovare facilmente, né da lui né da nessun altro. Non provoco fastidio, resto sempre rinchiuso nel mio angolo, e aspetto soltanto che mia sorella, oppure la madre di suo marito, come sempre una volta ogni giorno, mi portino qualcosa da mangiare.
            Poi tento una sortita, percorro tutto il corridoio e vado rapidamente ad infilarmi nel ripostiglio dove mi fanno dormire ogni notte, e mi sistemo subito dietro un armadietto piazzato vicino ad un angolo per nascondermi a chi casomai si fosse già accorto di me e dei miei spostamenti. Ma dopo parecchi minuti mi rendo perfettamente conto che tutto appare estremamente tranquillo: difatti non avverto più alcun rumore, chi si trova in casa in questo momento sembra neanche parlare, e nessuno della mia famiglia sembra proprio non desideri neanche venire a cercarmi. Forse sono usciti, rifletto, forse hanno improvvisamente sentito il bisogno di prendersi una boccata d’aria e di sgranchirsi un po’ anche le gambe, non so; ma mentre elaboro queste riflessioni, ecco che ricominciano subito a parlare a voce alta, a discutere e ad urlare come sempre. “Non vi voglio più vedere”, fo allora io a voce piuttosto bassa, ma quanto basta per lasciar comprendere loro che non sono uno che si lascia mettere in un angolo dagli altri, ma al contrario agisce in piena autonomia, e se spesso si rinchiude da qualche parte, lo fa soltanto per un proprio volere, per sua iniziativa personale, non perché spinto da qualcuno, familiari o meno che siano.
            Penso di essere molto paziente con tutte le persone che risiedono insieme a me in questa grande abitazione. Non ci sarebbe niente di male se tutti quanti usassero come minimo una maggiore indifferenza rispetto ai miei comportamenti. Io non voglio stare con loro, questo è il punto, e pretendo di avere il mio piccolo spazio, il mio angolo buio in cui rinchiudermi quando mi va, per rendermi praticamente invisibile agli occhi degli altri. Poi mia sorella viene da me, finge di non vedermi neppure, ed appoggia rapidamente sul tavolo le mie pastiglie ed un bicchiere con l’acqua. Lo so che sbircia da dietro la porta per essere sicura che io assuma per bene tutte le medicine che mi hanno prescritto, ma io butto giù tutto quanto alla svelta, mi basta che lei torni dagli altri, mi lasci di nuovo da solo con tutti i pensieri, le mie domande, le preoccupazioni che mi attanagliano durante ogni giornata. Non credo di fare mai qualcosa di male contro di loro, però da qualche giorno ho nascosto in un posto segreto un piccolo coltellino che ho trovato per caso in un mobile: per adesso non ho alcuna intenzione di usarlo, ma è evidente che dovrò pur difendermi se qualcuno della mia famiglia pensa di fare di me ciò che vuole.  Così sto tranquillo, lascio che ogni giornata scivoli via senza alcuna difficoltà, però ora mi sento protetto, perché in qualsiasi momento so di avere un’arma con me che al momento opportuno può salvarmi da qualsiasi situazione.

            Bruno Magnolfi

giovedì 19 marzo 2020

Onde libere.



Sul molo foraneo del porto cittadino, osservando il grande mare azzurro di fronte a me, mentre rimango seduto su un’enorme pietra: "vorrei andarmene", fo al mio amico che mi sta vicino mentre cerca di pescare sotto costa, a dire la verità almeno fino adesso senza troppa fortuna, usando una sua vecchia canna da lancio. "Non puoi", fa subito lui. "Da qui non ci si può neppure muovere", fa con ironia. Sorrido, sembra quasi una sfida la sua, così tiro in acqua un po' di esca che sta usando per pescare, ed un pesce gli guizza subito attorno, prima che affondi. “Non mi va di stare qui soltanto perché ci sono nato”, gli fo quasi sovrappensiero. Il galleggiante in acqua intanto si muove leggermente, lui aspetta un momento che il pesce prenda bene l’amo dentro la bocca, poi imprime al filo un leggero strattone, ma forse agisce con una calma insufficiente, e così viene fuori dal mare soltanto il pezzo di filo da pesca e poi nient’altro.
“Non mi frega niente dei parenti, delle conoscenze, delle tradizioni e delle abitudini”, dico sdraiandomi sopra al sasso enorme sotto di me, nel sole caldo di questa mattina quasi senza vento. Mi accendo una sigaretta nascondendo la faccia dentro una mano per far brillare la fiammella dell’accendino, poi tiro una boccata e guardo il fumo avvoltolarsi e andarsene via velocemente. “Mi pare che qui in principio si debba soltanto soffrire di noia, per poi in seguito adeguarsi un po’ a quella stessa noia, fino a quando tutto appare più normale, ed allora ecco che la noia diviene rapidamente un elemento come tutti gli altri”.
Arriva una grossa barca che fa rotta per rientrare lentamente in porto; sul vasto ponte almeno per adesso non si vede proprio nessuno, e per questo motivo il natante pare quasi navigare in piena autonomia. "Salire su una nave qualsiasi, magari di nascosto, e andarsene dai piedi, affrontando qualsiasi futuro possa attenderti", fo al mio amico tanto per stuzzicarlo ancora un po'. Lui tira su la lenza in silenzio, mette una nuova esca attorno all'amo, poi torna a lanciare il galleggiante piombato a circa sette o otto metri dalla diga foranea. "Se proprio deve essere, così sarebbe al meglio", fa lui senza allontanare lo sguardo dal suo lancio. Normalmente potremmo fare anche una risata dopo una frase del genere, invece adesso la nostra attenzione è attratta da qualcuno sulla piccola nave che esce da un portello e si accosta al parapetto verso la nostra parte, proprio mentre lo scafo scuro scivola sull'acqua a poca distanza da dove siamo noi.
Quello ci fa un saluto con la mano, pare quasi per invitarci ad assomigliare a lui: andare, tornare, qualche giorno in un porto, poi via in un altro, e visitare delle città, conoscere persone sempre nuove, imparare qualche parola di altre lingue, e poi maniere e linguaggi sempre differenti, senza noia, dimenticando quasi del tutto le abitudini. Poi passa, lasciando una scia bianca dietro a sé mentre le eliche rallentano nel momento in cui quella nave mercantile inizia a manovrare per l’ormeggio. Guardo il mio amico che ha perso la concentrazione sul suo galleggiante, e forse non ha più neppure tanta voglia di farsi prendere in giro ancora da questi maledetti pesci. Così recupera lentamente la lenza col suo mulinello, proprio nel momento in cui il galleggiante sparisce d’improvviso dal pelo dell’acqua, e qualcosa di invisibile sotto le piccole onde inizia a tirare con tutte le sue forze. Un piccolo combattimento, un sapiente recupero del filo, ed infine eccolo, un bel pesce scodante dai mille colori e dalla gran voglia di vivere. Lui lo slama, con sapienza, senza danneggiarlo, lo guarda un attimo negli occhi, e poi lo getta in mare, nel suo mare, nella libertà.


Bruno Magnolfi 



venerdì 13 marzo 2020

Fantasma solitario.



Sto al riparo da questa pioggia sottile sotto una coperta sudicia di tela cerata, e se mi rannicchio in un angolo dentro questa specie di baracca di legno mezza spaccata, mi sembra che tutto si faccia persino più accettabile, nonostante questa giornata difficile e terribilmente uggiosa di pioggia ed ansia. Nessuno probabilmente verrà a cercarmi tra queste case chiuse e disabitate, rifletto con il mio innato senso di sopravvivenza. Avrei potuto facilmente sfondare una di queste porte che ho visto qua vicino mentre arrivavo quasi di corsa, oppure anche una finestra ad un’altezza accessibile, ma qualcuno si sarebbe rapidamente accorto della mia presenza in questi paraggi, e mi avrebbero preso senz'altro subito dopo. Lungo la strada, poco distante, si sente ogni tanto qualche macchina che transita rumoreggiando, anche se questo piccolo borgo sembra proprio abbandonato. Se qualcuno si fermasse proprio qui accanto però, me ne accorgerai immediatamente, e dalla posizione in cui mi sono sistemato potrei sgattaiolare rapidamente dal retro di queste due o tre abitazioni in disuso, e attraverso i campi raggiungere la boscaglia senza alcun problema. Fa freddo però, devo trovare il sistema di ripararmi al meglio possibile per passare la notte in questa tana per i conigli, ma ho già visto qua attorno dei rimasugli di paglia e delle tavole di legno, non sarà difficile appena si farà un po' più scuro sistemare le mie cose.
Mi basterà avere a mio favore qualche giornata di vantaggio, lasciare che tutti vadano chissà dove a cercarmi, e così restarmene nascosto qua dentro senza compiere neanche un errore, perché alla fine, trascorsi i primi momenti, quelli più duri, per me il gioco si farà molto più semplice. Dovrò trovare qualcosa da mangiare, già fin da domani, e questa è la parte realmente più complessa, considerato che se anche mi azzardassi a rubare una gallina da qualche parte, tutto sarebbe compromesso inevitabilmente. Domani mi preoccuperò di questo aspetto, per adesso devo soltanto starmene fermo, immedesimarmi nel paesaggio che ho intorno, rendermi al massimo un invisibile. Ogni rumore, anche lontano, naturalmente rimette in moto dentro me un piccolo stato d’ansia, ed anche quando ho avvertito delle voci, pur molto distanti, ho acuito tutti i miei sensi per tentare di decifrarne ogni dettaglio. Mi sono reso conto che ci deve essere un fiumiciattolo qua dietro, ed oltre quel piccolo corso d’acqua probabilmente sorge un paese, o un gruppo esteso di abitazioni, che da qui però non riesco a vedere. Ci fosse un negozio di generi alimentari potrei tentare una sortita domattina, visto che qualche soldo mi è ancora rimasto, magari fingendo di essere un placido turista soltanto di passaggio, però devo vedere dove può esserci un ponticello, oppure un guado, per passare da quell'altra parte.
Se ripenso a tutto quanto mi viene persino da sorridere. Certe volte, per non farsi notare, basta davvero fingere una calma assoluta ed una notevole indifferenza a tutto quanto. Non puoi essere veramente uno che sta scappando se non hai le caratteristiche adeguate. Anche se qualcuno ti guarda, nessuno ti vede per quello che sei veramente. Un basso profilo è sempre la caratteristica che può salvarti, come quella di stare nascosto adesso, annullando ogni più piccola traccia della tua esistenza. Mi piacerebbe anche a me, come a chiunque, correre subito verso i luoghi che conosco meglio, andare magari dalla mia famiglia, da chi mi conosce, o anche soltanto farmi sentire con una semplice telefonata. Niente di peggio: sarei spacciato in un attimo, tutti saprebbero immediatamente dove cercarmi, stanandomi facilmente e ridendo della mia infantile ingenuità. Ma io so essere un fantasma in certi casi, ed anche se non ho fatto mai niente di male, so mettermi ai margini di tutto, e sopravvivere da me, senza mendicare alcun aiuto.


Bruno Magnolfi


lunedì 9 marzo 2020

Vie del mondo.



Cammino solo, senza fretta, al bordo di questa strada secondaria che si allontana dal paese, mentre i campi e gli orti, subito dopo le ultime case, qui hanno già lasciato larghi spazi a delle macchie irregolari di bosco, e ad alberi sparsi di leccio e di castagno. Una ragazza arriva da dietro e mi supera con la sua bicicletta, poi però si ferma, si volta verso di me e poi mi aspetta, dice buongiorno con un leggero accento straniero quando sono ancora ad una certa distanza, ed alla fine mi chiede se questa sia davvero la località Vecciano, e se io sappia dove si prende la strada sterrata che porta dal pastore Umberto, quello che produce e vende formaggio. “Si”, le fo, “questa località si chiama proprio così, però io non conosco quel nome che mi ha detto, forse la strada che cerca rimarrà probabilmente un po’ più avanti”. Lei intanto è scesa dal sellino, guarda i pedali e le ruote, poi dice che sente ogni tanto un rumore strano. “A lei non dispiace se l’accompagno nella sua passeggiata”, mi fa; “mi sono un po’ stufata di pedalare, così magari posso lasciare qui la mia bicicletta e camminare con lei mentre parliamo”.
“Benissimo”, fo io, “probabilmente il bivio che sta cercando oramai rimarrà poco distante, facilmente subito dopo quel curvone laggiù in fondo”. Adesso che la guardo meglio questa donna, la riconosco come la compagna del nostro sindaco, e quindi mi presento a lei con una certa formalità, anche se siamo in mezzo alla campagna. Lei sorride, sembra molto simpatica, dice che in paese, a parte qualche bottegaio, non conosce ancora quasi nessuno, considerato che è venuta ad abitare tra noi solo da qualche mese; e questo le dispiace, perché lei ha uno spirito solare, e le piace parlare con la gente. “Io e Gianluca abbiamo una vicina di casa che mi racconta quasi ogni giorno la sua opinione su quello e su quell’altro, e certe volte mi trattiene a lungo per spiegarmi le abitudini e i modi di fare di questo paese e di parecchi dei cittadini che abitano qui, ma a parte le chiacchierate con lei, poi mi ritrovo quasi sempre sola”.
Sorrido, penso tra me che dev’essere difficile per chi non è stato abituato, comprendere tutte le sfaccettature che impieghiamo noi, che abbiamo sempre abitato da queste parti, in questi nostri modi di comportarci e di considerare tutto il resto, perciò annuisco, specialmente quando mi dice che non vuole prendere per buona soltanto l’opinione di Gianluca, ma anzi di ogni cosa vorrebbe farsi un’idea propria, una personale convinzione, senza preconcetti giunti a lei da altri. “Lei è una persona molto saggia”, le dico subito; “da queste parti per esempio persistono delle antipatie che durano addirittura da generazioni, tanto che è oramai impossibile ricordarne persino il motivo scatenante, e in ogni caso a nessuno viene mai in mente di porvi finalmente un termine”. Lei mi guarda, so che è giunta qui da una grande città nordeuropea, e a me pare impossibile possa adattarsi davvero ad una vita semplice ed in fondo anche un po’ stupida come quella che generalmente mandiamo avanti noi paesani.
Poi completiamo tutta la curva ed alla fine eccola qua, la strada sterrata che questa giovane ragazza stava cercando, in fondo alla quale, ad un chilometro circa di distanza, si vede già una grande abitazione con magazzini e rimessaggi, dove probabilmente il pastore che a lei avevano indicato, porta avanti il suo lavoro. "Arrivederci", le dico con un gran sorriso. Lei mi saluta con una medesima grande cortesia, mi ringrazia poi di tutto, e dice che spera di ritrovarmi ancora qualche volta lungo le strade della nostra cittadina; "perché spesso i viandanti”, mi spiega in un soffio, “sono proprio le persone migliori che si possono incontrare; quelli che hanno compreso più di altri cosa ci possa essere alla fine di una via".


Bruno Magnolfi



venerdì 6 marzo 2020

Svendita di idee.


          

            Cammino senza fretta a fine mattinata sul largo marciapiede che corre lungo il viale alberato, e lascio che questo sole pallido di oggi mi piova addosso ogni tanto, filtrato a tratti dalle fronde e dai rami sopra di me. Mi fermo poi davanti ad un grande negozio di mobili, e cerco del mio amico, che poi è il figlio del proprietario, anche se da qualche anno orami fa quasi tutto lui, visto che suo padre ormai si è fatto troppo anziano. Un commesso lo va a chiamare, ed eccolo qua, il mio compagno di sempre, fin dalle scuole elementari, colui che non avrebbe mai voluto dover proseguire l’attività della famiglia, e che invece a un certo punto ci si è visto costretto, anche per propria comodità, è giusto dire. Dopo i saluti si va subito a prenderci un aperitivo in un locale poco lontano, ed intanto ci raccontiamo le novità degli ultimi giorni.
            “Forse vendiamo tutto”, fa lui sottovoce, come per togliersi subito da dosso il nodo principale che gli preme. Ci mettiamo seduti ad un tavolino fuori dal locale, ed io, che non voglio mettergli davanti delle domande secche, lascio che lui prosegua nello spiegarmi in autonomia quello che probabilmente succederà al negozio. “Mio padre finalmente si è convinto che con me le cose nel futuro non andranno bene, e prima di veder sparire nei debiti la sua cara attività, preferisce mettere la parola fine ad ogni cosa, devolvendo almeno una buona parte del ricavato della vendita a mia disposizione, e tenendo il resto per la prossima vecchiaia sua e di mia madre”. Naturalmente questo cambia di molto tutti i progetti che avevamo in mente io e lui. Si parla di un mucchio di soldi, è chiaro, e potrebbero essere utili a finanziare uno dei progetti che da anni accarezziamo.
            Ci siamo interessati di musica, in un lungo periodo della nostra gioventù, poi di elettronica, ubriacandosi delle novità che uscivano fuori all’epoca degli elaboratori più evoluti e della programmazione estremamente mirata, per poi lasciarci prendere, dopo qualche altra passione intermedia, dal mondo della cucina e della ristorazione, ritrovandoci a sognare la gestione di un locale tutto nostro, dove sfogare la nostra più forte creatività su piatti particolari e ricercati. Adesso io non dico niente, anche perché uno come me, che non ha mai posseduto dei fondi o dei risparmi, non può pretendere che sia soltanto lui a mettere a rischio dei quattrini. Il mio amico prende un sorso del suo aperitivo, sorride, e poi mi fa: “così ho deciso: se tutto questo accade quindi, per qualche tempo mi godrò la mia libertà ritrovata, visto che stare tutto il giorno tra i mobili, con certi clienti uggiosi che devono per forza arredare la propria casa, è a dir poco estenuante. In seguito, con calma, credo che ti proporrò un prestito con il quale potrai metter su un ristorantino proprio come avresti voluto, trattenendo naturalmente per me una buona percentuale sugli utili.  
            “Ma non è quello che avevamo detto”, gli fo irritato. “Lo so”, fa lui; “ma non puoi pretendere che ci mettiamo in due dietro una cucina a sfornellare tutto il giorno come scemi. Diciamo che io vado ad occuparmi di finanza, e tu coroni il tuo caro sogno di fare finalmente il cuoco”. Prendo un sorso del mio aperitivo, lascio che le parole dette si depositino un po’ come la polvere fine ed il leggero polline degli alberi di questa parte di città; sono perplesso, non farò mai niente da solo, questo è chiaro, e farmi finanziare a tasso corrente, proprio dal mio amico, un’idea che ci aveva riempito le serate come fosse un sogno fino a poco fa, mi pare una tremenda vigliaccata. Mi alzo: “me ne vado”, gli fo secco; “visto che al solo sentir parlare di soldi hai già cambiato tutte le carte sulla tavola. Comunque, se è così, spero proprio che tuo padre ci ripensi, e ti lasci relegato a vendere armadi letti e salotti, considerato quello che vorresti diventare”.

            Bruno Magnolfi

mercoledì 4 marzo 2020

Caramelle scelte.


           

            "Come state?", mi chiede dopo i saluti di rito questa vecchia zia a cui sono venuto a fare visita dopo lungo tempo, nel timore, rimandando ancora, di non poterla più vedere in vita, oppure di doverle portare un saluto su un anonimo letto d'ospedale, mentre magari stenta addirittura a riconoscermi. "Sto bene di salute", le rispondo io dopo averla abbracciata con delicatezza, e siccome conosco bene la sua proverbiale capacità di leggere, direttamente in faccia alle persone che ha di fronte, tutti i loro piccoli tormenti, aggiungo subito: "però mi sento vuoto in questo periodo, come non avessi più grandi desideri, o non riuscissi come sempre a mostrarmi dritto agli altri". È da dire che questa donna certe volte ti guarda con un occhio acuto, e sa afferrare al volo il rimedio che ci vuole. Però adesso mi osserva, mi guarda anche le mani, ma non sa dire niente, non riesce forse neanche lei a decifrare il mio malessere.
            “Voi da molto tempo siete in cerca di qualcosa”, dice magari soltanto per dare un senso ed una soluzione alle sue capacità. Annuisco, non credo però sia questo il mio problema, so che ho sempre meno voglia di mandare avanti le mie cose, di affannarmi come facevo fino a qualche tempo addietro, anche per dare un significato il più possibile compiuto ad ogni mia giornata, e di mettere in campo continuamente quella curiosità sottile che sempre meno ritrovo adesso tra i miei comportamenti. Non dico niente a questa zia che vive in altra epoca, a chiunque dà del voi, e vive di pochissimo, come se cercasse continuamente il minimo che serve per poter andare avanti. Però mi piace sapere che lei trattiene sempre dentro di sé un’opinione precisa di chiunque abbia davanti, e vorrei tanto riuscire a coglierla, almeno in una parte piccola.
            Con lei non esistono argomenti, se non la propria personalità, il raccontarle qualcosa di se stessi, farle comprendere quali siano le attività ed anche i pensieri a cui dedicarsi nella maggior parte del proprio tempo, come se di quelli si potesse ricavarne un tema, un ragionamento più complesso, un’occasione per riflettere meglio su alcune cose date per scontate. “Certe volte vado ancora al circolo, per ritrovarmi coi miei vecchi amici, e trascorrere un’ora insieme a loro. Ma non mi piace quasi più come una volta”, le fo tanto per dire. Lei mi offre una caramella da un cestino che tiene aperto sopra al tavolo, come si fosse tutti ancora dei bambini, invece di persone diventate anziane, e poi mi dice: “ci sono degli amici che contano molto più di altri, e vanno scelti”. Rifletto, forse qualcosa di giusto c’è in queste parole. E’ vero che non ho una persona a cui riferirmi più delle altre, per esempio; ed è vero che magari quando siamo in quattro o cinque, anche gli argomenti diventano per forza più semplici e più superficiali.
            “La vostra è soltanto solitudine”, dice lei alla fine, mentre si alza lentamente dalla sua sedia; “paura di riferirvi a qualcuno pari vostro, con le parole stesse del cuore, abbandonando i passatempo e le cose più scherzose, tirando fuori poco per volta ciò che celate, e poi ascoltando; già, perché solo ascoltando qualcuno che veramente vi rimane più vicino, potrete essere sicuro di ciò che siete veramente, e non sentirvi ancora vuoto”. Resto colpito da queste sue parole, mentre rimango ancora seduto al tavolino rigirando lentamente in bocca quella sua caramella, e la mia zia però sembra abbia terminato, e con un gesto pare adesso accompagnarmi già verso la porta, forse affinché io possa rimanere solo adesso, a ripensare bene tutto quello che mi ha detto.

            Bruno Magnolfi