martedì 31 agosto 2021

Intenso soffritto.

 

            Nel lungo periodo in cui mi sono ritrovata a lavorare, anche con una grande passione ed un forte impegno specialmente iniziale, presso il sempre affollatissimo ristorante “da Mario”, non ho praticamente mai avuto un filo di tempo in più per fare qualcosa che non fosse preparare e cuocere le carni, le verdure, il pesce, gli antipasti, tutto quello che ha sempre deciso di testa propria il nostro capocuoco con i suoi vari aiutanti, spesso senza chiederci mai neppure un piccolo parere, a noi che in fondo portavamo avanti materialmente tutto quanto il grande locale. Si iniziava già dal mattino con le preparazioni e le precotture che dovevano servire poi per tutto il giorno, e così si andava avanti occupandoci del pranzo almeno fino al primo pomeriggio, quando a quel punto ci veniva permessa una pausa di circa tre o quattro ore, a seconda dei giorni e dei ruoli, naturalmente una volta lavati e messi al proprio posto tutti gli utensili adoperati fino a quel momento. Quindi più tardi si ricominciava a sminuzzare, a soffriggere, a riscaldare, a cuocere pietanze e contorni per la preparazione della cena, proprio come prima, tenendo sempre pronti molti dei piatti indicati nelle liste come per farli apparire ai clienti cucinati esattamente proprio all’istante. In quegli anni non ho quasi mai visto mio figlio, che praticamente è cresciuto per conto proprio, non avendo neppure conosciuto suo padre, ed almeno per tutto il lungo periodo in cui sono rimasta a lavorare in quel ristorante, tenuto d’occhio ogni tanto solamente da una nostra cortese dirimpettaia del condominio, senza che io potessi fare nulla per indirizzarlo in qualche modo, se non chiedergli ogni tanto che cosa avesse fatto durante la giornata, o come gli andassero le cose a scuola. Però era bravo, serio, io mi fidavo di lui, e all’epoca lo trovavo anche studioso, piuttosto attento nel tenere in ordine il nostro piccolo appartamento, perfettamente cosciente dell’impegno di sua mamma per tirare avanti.

            Adesso poi che avrei più tempo anche da dedicargli, lavorando soltanto nella cucina della villa dei signori Neri, lui ormai si è fatto grande, e in casa nostra non si trattiene molto, sempre in giro chissà dove, con gli amici, le ragazze, il lavoro, le storie che mette in piedi di continuo. Non mi trovo male dai Neri, con la signora poi si riesce facilmente ad essere in accordo praticamente su qualsiasi cosa, ma è il marito che ogni tanto si fa avanti con delle richieste a dir poco assurde, o spesso mostrandosi scontento con noi di qualcosa che viene cucinata sui fornelli della sua cucina, come ama sottolineare piuttosto spesso. La figlia invece non dice niente, si accontenta di quello che riesco a mettere insieme per i pasti senza mai battere ciglio, accettando il lavoro degli altri sempre con grande rispetto, proprio come peraltro dovrebbe essere per tutti. A me piacciono molto le sue maniere, e quando certe volte la sento suonare seduta al pianoforte nel salone del piano terra, mi pare quasi impossibile che riesca ad essere davvero così brava. <<Signorina Franca>>, le dico a volte sottovoce quando la incrocio nel corridoio; <<lei è fenomenale>>, anche se alza una spalla e rifugge subito dai complimenti, perché si vede che sta già pensando ad altro.

            Con la cameriera attuale che si occupa della casa e serve anche a tavola, sempre impeccabile nel suo abbigliamento imposto coi colori di bianco e di grigio, non mi trovo neanche male devo confessare, considerato che prima di lei ne sono già passate da queste parti almeno altre tre che purtroppo non andavano mai troppo bene al signor Neri. Lui è il nostro vero padrone, quello che riesce a farci trascorrere una serata infame solo con una frase velenosa messa lì ad arte, oppure scagliando un’occhiata esauriente magari soltanto per una piccola macchia di sugo sulla mia bianca divisa da cuoca, quasi uscisse d’improvviso dalla sua proverbiale indifferenza verso tutti, soltanto per lamentarsi di qualcosa a suo parere del tutto irrimediabile, naturalmente senza mai lasciarsi andare ad un complimento qualsiasi. Non importa, rifletto ogni giorno mentre sto davanti ai fuochi con le padelle che sfrigolano: io cerco sempre di fare il meglio di cui sono capace, con la mia modesta esperienza; so benissimo che a lui sta bene avere assunto una come me soltanto perché lo stipendio che mi concede è meno della metà di quello per un vero cuoco. Però resisto, ed almeno quando non ci sono ospiti in villa, me la cavo alla svelta nell’occuparmi di tutte le cose della cucina. Poi torno a casa mia, da mio figlio se c’è, e mi sento a posto con la mia coscienza, mentre comunque cerco di riprendere in mano quel poco che resta della mia vita vera.

 

            Bruno Magnolfi

              

mercoledì 25 agosto 2021

Definizione d'uomo.

 

            Durante certi giorni in cui, per qualche incomprensibile motivo, mi sento più vuoto e scontento, mi ritrovo a camminare per  strada senza pensare a nient’altro che non siano queste scarpe eleganti ai miei piedi, o i calzoni costosi perfettamente stirati sopra le gambe, mentre questi miei arti proseguono ritmicamente a procedere in avanti, quasi per una forma di autonomia, o forse soltanto per una normale abitudine. Indosso regolarmente una bella cravatta, una giacca di sartoria, ed oggi anche degli occhiali con le lenti oscurate, come in tutte quelle poche volte in cui mi muovo per strada sopra ai miei piedi, cercando così di creare uno schermo tra me e la realtà che pare scorrermi attorno, al punto che, proprio come desidero, immagino di vedere tutto quanto un po’ più distante, più irreale, soprattutto estraneo al mio corpo, quasi stessi attraversando un mondo inventato, come fosse una specie di concretezza apparente quella che vedo, proseguendo con passo monotono ad incedere senza voltarmi da alcuna parte, senza mai arrendermi ad una considerazione più attenta, curiosa, o diversa dal solito, ma osservando superficialmente tutte le cose che noto, o forse soltanto quelle che mi pare così di notare. Fortunatamente non dura molto tutta questa vertigine: mi fermo spesso poi in un caffè vicino al mio ufficio, mi siedo subito ad un tavolino appartato, e faccio subito un piccolo cenno al cameriere che mi conosce benissimo, il quale immediatamente viene verso il mio angolo a prendere l’ordinazione, oppure a dirmi se qualcuno in precedenza avesse chiesto di me. Sono piuttosto in vista in questo quartiere, o almeno in diversi che contano sanno perfettamente che sono un uomo importante, uno a cui piace molto essere trattato da tutti con il dovuto rispetto. Però sento la voglia, durante certe volte improvvise, di sentirmi da solo, quasi isolato dagli altri, e di azzerare per un momento le decisioni che poi devo prendere, senza che ad alcuno venga alla mente di disturbare questa mia intimità.

            Va tutto bene, i miei affari procedono come sempre, praticamente in un attivo progresso, però sono sicuro che se per qualche motivo perdessi di vista le cose di cui ogni giorno mi occupo, o i contatti che mi servono per avere le informazioni più adatte, come anche il personale profumatamente pagato che sta sotto di me per eseguire ogni mio ordine, tutto quanto andrebbe velocemente a perdere di qualsiasi consistenza. Mi sembra, quando penso così, come di restare attaccato ad un sostegno precario, a qualcosa di incerto e di instabile che in questi casi riesce a mostrarsi evidente, anche se continuo a nutrire una grande fiducia negli affari che ogni giorno tengono occupato quasi tutto il mio tempo, ed è un senso che soltanto rare volte mi prende, nonostante sia proprio in questi momenti, forse per una sorta di stanchezza mentale, che vorrei non essere qui, ed avere la possibilità di andarmene via, in solitudine, a godermi quei tanti bei fondi che sono riuscito a mettere insieme in pochi anni di impegno completo. Lo so che le mie società agiscono sempre un po’ al limite di quanto sia del tutto legale, però in questa realtà così condizionata mi ci sono ritrovato senza volerlo, ed il resto è venuto da solo, poco per volta.

            <<Signor Neri>>, viene subito a dirmi il cameriere a cui allungo sempre qualche mancia pesante; <<hanno chiesto di lei al telefono poco fa, e naturalmente ho subito detto che è già qualche tempo che non la vediamo; però mi sono fatto dettare un numero da richiamare, nel caso>>. Prendo il foglietto, mi lascio servire il caffè dal ragazzo, poi inoltro la telefonata. Questo è il mio mondo: decidere oggi di stare dalla parte di qualcuno, ed osteggiare così in ogni maniera qualcun altro, fino a cambiare le carte sopra la tavola ed andarmi magari ad alleare domani con i nemici passati. Nessuno deve mai poter contare in modo convinto sul mio appoggio sconsiderato, i margini per sostituire l’uno con l’altro sono facili da superare, e niente è mai duraturo, se non questo continuo galleggiamento su delle alleanze fittizie, precarie, direi quasi del tutto momentanee. Poi, mentre sono qui, mi vengono a mente mia moglie e mia figlia, e certe volte mi sembra che in qualche maniera io le continui ad esporre al pericolo, ed allora mi prende un sottile rimorso per non aver scelto una vita più semplice, o anche un mestiere qualsiasi, l’avvocato magari, proprio come mio padre, sicuramente con meno soldi dentro le tasche, però anche con tante minori preoccupazioni.

 

            Bruno Magnolfi  

lunedì 23 agosto 2021

Soltanto i musicisti.

 

Arriva, nel nostro negozio di strumenti musicali che poi è anche il più grande e fornito della città, questa ragazza minuta che sinceramente non ho mai visto prima; entra e si guarda un po' attorno, come in genere fanno quasi tutti quelli che entrano qui, anche se subito si rivolge a me per chiedermi senza mezze misure di vedere una tastiera elettronica con le caratteristiche di suono e di dinamica dei tasti il più possibile fedeli ad un pianoforte tradizionale. Le sorrido, sono in molti che vengono qua con queste stesse identiche pretese, e qualcuno si mostra certe volte anche dubbioso sul fatto che esista davvero uno strumento del genere, ma in mezzo a tutto quello che offre il mercato al giorno d’oggi, io so perfettamente che c'è una sola tastiera con queste precise caratteristiche, naturalmente anche la più costosa di tutte le altre, per cui la maggior parte dei clienti mostrano subito di non potersela minimamente permettere, e dopo qualche tentativo per trovarle qualche difetto, in genere alla fine ripiegano con facilità su un buon compromesso, qualcosa che in fondo non sia troppo caro e che non abbia neppure un suono del tutto ignobile. Per me è facile consigliare i clienti ed indirizzarli su un acquisto o sull’altro, però questa tizia davanti a me adesso non batte ciglio, e mi segue immediatamente per farsi mostrare questa tastiera da tutti reputata come la migliore, fino a chiedermi se sia possibile anche provarla. <<Naturalmente>>, le dico conservando ancora qualche dubbio sul fatto che un ragazzetta di questo genere possa permettersi davvero una spesa importante di questo tipo, però poi inserisco lo spinotto e collego un cavo ad un piccolo amplificatore di qualità, regolando il volume quasi al minimo, e accendendo gli interruttori e le spie relative. Lei si siede alla meglio su uno scaletto a tre gradini, ed attacca subito con la sonata n. 5 di Beethoven, andando avanti con piglio ed energia, fino a mostrare, senza comunque strafare, di sapere perfettamente il fatto suo. Mentre lei suona io cerco di non perdere mai di vista le sue dita sopra quegli ottantotto tasti bianchi e neri, e mi rendo conto immediatamente che c'è della stoffa in quelle mani, anche se lei ad un tratto si interrompe, e senza neppure guardarmi, prova anche i suoni delle ottave più basse, piantando lì qualche accordo ravvicinato a cinque dita, nel tentativo forse di far collimare le sue idee con i suoni che intanto escono dal piccolo diffusore.

Alla fine si alza, mi ringrazia, e senza commentare né darmi speranze, dice soltanto che ci deve pensare, e così, senza nessun’altra spiegazione intorno al suono o alle altre caratteristiche, se ne va. In fondo ero quasi sicuro che sarebbe successo qualcosa del genere, ci avrei quasi giurato, perciò rimetto a posto i vari cavi e richiudo la tastiera dentro la propria custodia, andando ad occuparmi di un giovanotto trafelato che sembra desideri comprare una chitarra. Ma non passa molto tempo, ed ecco che torna la stessa ragazza di prima, accompagnata stavolta da due facchini in divisa. <<La prendo>>, mi dice senza perdersi in chiacchiere e quasi senza emozione, tanto che tira fuori una carta di credito e paga la cifra senza chiedermi niente, acquistando naturalmente anche il diffusore più adatto a questo pianoforte elettronico, e pure una cuffia da studio, mentre gli uomini di fatica prendono tutto quanto tra le loro braccia professionali, incaricati da lei di portare via tutto quanto. Cerco dentro di me una maniera per congratularmi e ringraziare la cliente dell’acquisto, ma non trovo alcuna parola da dirle, se non, come in genere spiego a tutti quanti, che se insorgessero dei problemi di qualsiasi natura, il nostro negozio resta a sua completa disposizione.

Poi se ne va, ovviamente dietro ai facchini e agli acquisti, ed io mi volto appena un momento ad osservare la faccia del mio collega che adesso è poco lontano da me, impegnato a spiegare a un signore il motivo per cui su quella chitarra acustica si montano tre corde sintetiche e tre di metallo. Lui mi getta un’occhiata e poi mi sorride, e come sempre succede, confermiamo giusto in quell’attimo di condividere il mestiere più bello del mondo, quello che ci porta a conoscere certe persone meravigliose, quali possono esserlo davvero soltanto dei musicisti.

 

Bruno Magnolfi

domenica 15 agosto 2021

Piccoli aquiloni.

 

            Credo non ci sia più il tempo per darsi delle vere prospettive, quando si è raggiunta inevitabilmente la mia età. Proseguo a dare lezioni di pianoforte, certo, ma forse soltanto perché è l’unica cosa che so fare, anche se oramai anche questa, come tante altre piccole attività che costituiscono la mia giornata, è diventata pressappoco un’abitudine, mostrando quasi sempre soltanto una reazione, quasi un piccolo scatto di orgoglio, un desiderio recondito di riconoscimento, nell'attimo stesso in cui mi telefona qualche genitore di questo quartiere per chiedermi di perfezionare la tecnica di esecuzione e la conoscenza musicale del figlio o della figlia. Bofonchio sempre qualcosa in un primo momento, forse vorrei prendermi del tempo prima di rispondere, poi spesso sostengo di essere già molto impegnato, ed allora ecco che subito quelli iniziano ad insistere, mi corteggiano, tirano giù degli apprezzamenti su di me a cui non riesco mai a mostrare indifferenza, per cui alla fine inevitabilmente propongo loro un appuntamento preliminare avanti di decidere, anche se alla fine inserisco naturalmente il nuovo allievo o allieva tra gli altri quattro o cinque che già vengono da me, ognuno per un’ora un paio di volte o tre alla settimana, fissando anche per quest'ultimo arrivato un comodo orario pomeridiano, addossandomi perciò un ulteriore impegno che potrà durare almeno qualche mese, riflettendo in seguito che queste sono un tipo di incombenze a cui non potrò mai riuscire a rispondere negativamente. Purtroppo però non vedo mai una grande passione dietro a questi ragazzi che vengono a studiare a casa mia, perché forse sarà anche scontato dirlo, ma nessuno di loro intende raggiungere dei risultati tramite la strada lunga e faticosa dell'esercizio e dei sacrifici. Il talento non è in discussione: qui da me sono transitati allievi con un ottimo orecchio, spesso con dita agili e anche pronte al tocco, persino con la giusta sensibilità musicale certe volte, ma tutto ciò, senza la corretta applicazione e soprattutto la costanza più ferrea, sia chiaro a chiunque che non porta mai da alcuna parte.

Nel mio appartamento alleggia un vago odore di cavoli bolliti e legno vecchio, e forse anche di altro che adesso non so più neanche distinguere, ed è indubbiamente colpa mia perché tendo a non far aprire mai le finestre alla signora Clara, che puntualmente arriva ogni mattina a prendersi cura di me e delle mie cose. Però non mi piace lasciar spandere nell'aria della strada, tra tutte le persone che camminano e le macchine che transitano proprio da qua sotto, le note preziose del mio caro pianoforte a mezza coda, che mi accompagna da tanti di quegli anni che non si riesce più neanche a contarli; perché ne sono geloso, ecco il punto che riconosco senza alcun tentennamento, e forse lo ero già molti anni fa, forse fin da subito, quando ancora da ragazzo mi esercitavo su di uno sbattuto piano verticale noleggiato chissà dove. Fosse per me, sarei pronto a custodire tutti i suoni che si riescono a produrre da questo prezioso strumento di legno e ghisa, che adesso troneggia nel mezzo del mio studio, dentro una semplice valigia dalla tenuta ermetica, tutti riposti con grande precisione, per andare a spanderli, spalancandone semplicemente il suo coperchio per una volta o due ogni mese, in una zona di aperta campagna piena solo d'alberi, di verde e un po' di cielo. C'è la mia vita in quelle note, questo è ciò che penso, impalpabile come la polvere che si accumula sopra la credenza, inutile ed insignificante come una sciocchezza, se non continuassi ad insegnare a questi ragazzi testoni e indifferenti quel poco che ne ho saputo fare, quell’esperienza che ne ho saputo trarre, quell’amore che c’è dietro, quella passione, quella voglia, perché forse non si rendono minimamente conto neppure loro delle possibilità che gli vengono offerte in qualche modo. Ma anche tutto ciò in fondo non ha molta importanza in questo attimo.

Poi arriva la signorina Neri, di famiglia facoltosa, sofferente del suo stato di ragazza bene, e si vede subito che ha voglia di esprimere questo suo disagio, si sente anche da come affronta gli spartiti che dentro ci mette molto della sua stritolata personalità; e allora: <<venga>>, le dico subito; <<agiti pure l’aria attorno a sé, lasci vibrare con comodo le corde della sua minuta sofferenza; saranno quelle e non altre a rendere importanti gli accordi che ricerca adesso sopra la tastiera, e forse saranno ancora quelli che porteranno in alto tramite le sue sonore onde musicali che produce, persino gli aquiloni che qualche volta appaiono i più piccoli, quelli più difficili da far sostenere dall’aria aperta di questo immenso cielo sopra di noi; ed io, comunque sia, starò sempre dalla parte che adesso lei recrimina, perché sarà sempre proprio questo, adesso più che mai, proprio il mio compito, quello che sento come il più vero e più importante.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 11 agosto 2021

Regalo adeguato.

 

            Non sono mai completamente tranquilla. Sto in casa, controllo che tutto sia a posto, ed in generale mi pare non ci sia niente che appaia particolarmente in disordine. Eppure so che qualcosa mi sfugge, che la mia cameriera in questo stesso momento probabilmente è da qualche parte seduta a fumare, ad esempio, senza che io possa neppure dire niente a riguardo. Certe volte cerco di essere dura con lei, di farle provare le sue responsabilità verso di me e verso tutta la mia famiglia, ma già mentre le dico qualcosa, sento di esprimere dei giudizi fuori luogo, di pretendere da lei cose assurde, di criticarle comportamenti che in fondo, pensandoci con un maggiore distacco, forse in seguito troverei al contrario ben appropriati a questa situazione in cui siamo immersi. Lei comunque resta in silenzio ed ascolta i rimproveri senza mai ribattere niente. Il fatto è che non riesco a rivestire quel ruolo che mi sono ritrovata a dover interpretare, e poi mio marito quando rientra mi pone subito qualche domanda diretta, ed io sento che sta semplicemente mettendo alla prova le mie traballanti capacità. Persino i suoi affari di lavoro non riesco a comprendere. Questa continua precarietà data dalle azioni e dai titoli di borsa che scendono o salgono in poche ore, le faccende dei tanti appalti pubblici gestiti tramite dei piccoli o grandi favori, e poi regali, amicizie più o meno interessate, e i comportamenti sociali tra persone simili a lui che mi sembrano sempre un po’ al limite, mai con un’espressione chiara e alla luce diretta del sole, ma spesso piuttosto mescolati con altro, cose di cui non sono minimamente a conoscenza, e tutte queste per me appaiono solo delle maniere un po’ assurde di vivere, che non avrei mai scelto se non fossi capitata in una situazione già in essere, pur risultando comodissima, proprio un andamento da privilegiati. 

            Ancora oggi, dietro consiglio del medico, e già ad iniziare poco tempo dopo il mio matrimonio, una volta terminata la gravidanza ed avvenuto il parto di Franca, naturalmente sto assumendo dei tranquillanti per dormire la notte in un modo maggiormente profondo ed anche più riposante di quanto sarei normalmente capace, abbattendo in questa maniera quel carico d’ansia che caratterizza quasi tutti i miei giorni. Però non mi sento comunque a mio agio, non sto troppo bene, ed anche i tanti registri e gli elenchi che a tempo perso e senza impegno cerco di mettere in ordine, segnando là sopra i tanti proventi delle attività riconducibili ovviamente al funambolico mestiere di mio marito, si stanno rivelando sempre di più delle sciocchezze quasi del tutto prive di qualsiasi aderenza agli affari che vengono realmente portati avanti. Faccio finta di niente con lui, casomai cerco soltanto di avere delle notizie fresche e delle ulteriori informazioni su certe faccende, però ogni giorno di più mi rendo conto che il mio lavoro è oramai soltanto fine a se stesso, senza troppa importanza ai fini delle contabilità vere, che vengono tenute da uffici predisposti che non so neppure dove siano dislocati. Mio marito ovviamente ne è a conoscenza, so per certo che è perfettamente consapevole di tutto, perciò spesso mi sento niente più di un criceto che fa girare la ruota per rallegrare coloro che lo stanno guardando. Poi tento di trovare una situazione mentale più statica, tanto da non crucciarmi più del dovuto, e cerco di disinteressarmi il più possibile di quelli che sempre più spesso appaiono alla fine i fatti degli altri.

            Quando Franca suona il pianoforte posto nell’angolo di una parete nel nostro salone, mi sembra che niente di quanto mi possa lamentare abbia in quel preciso momento una vera importanza: il suo tocco sui tasti appare leggero, preciso, certe volte meraviglioso, anche se non oso mai dirlo a lei con voce alta, per non incoraggiare ulteriormente un’attività che le sta prendendo molto del suo tempo, e che a mio marito torna sempre leggermente indigesta. Da qualche tempo lei mi ha chiesto in regalo una tastiera elettronica molto evoluta, con i tasti pesati ed una risposta al tocco della mano esattamente pari ad un pianoforte tradizionale, capace però di non produrre alcun suono se non amplificato da un diffusore, e quindi nel suo caso ascoltabile solamente tramite una semplice cuffia da stereo, e quindi adattissima per le esercitazioni di cui necessita mia figlia. Potrebbe collocarla nella sua stanza, in un angolo poco vistoso, e in questo modo suonarla tutte le volte che vuole, senza alcun limite. Credo alla fine che le permetterò quasi senz’altro di acquistarla e di farsela consegnare con una pratica custodia, probabilmente dicendo la cosa a mio marito soltanto ad acquisto avvenuto, in modo da non permettergli di dirmi, come già immagino, che avrei fatto uno sbaglio, o che forse non gli sembrava fosse esattamente questo un regalo appropriato.

 

            Bruno Magnolfi  

 

sabato 7 agosto 2021

Opinioni diverse.

 

            Certi pomeriggi li trascorro quasi interamente dentro la mia stanza, uscendo da qui soltanto quando ormai è ora di cena, al momento in cui mi corre l’obbligo, così come desidera rigorosamente mio padre, di indossare le scarpe ed un abito adeguato prima di presentarmi in sala da pranzo all’orario stabilito una volta per tutte, sempre che non ci siano delle eccezioni di cui tenere conto. Mi piace il silenzio che si crea in certi orari dedicati allo studio: seduta alla mia scrivania tra le matite sparse davanti a me, continuo a consultare volentieri questi libri di testo delle mie materie scolastiche preferite, immersa come mi sento in una calma e in una sospensione del tempo che a tratti sembra quasi irreale, anche se spesso nella mia mente paiono inseguirsi per proprio conto intere scalate di note suonate al pianoforte, suoni che come sempre sembrano insistere per essere riprodotti al più presto possibile sopra la tastiera. Mi stuzzicano certi intervalli che appaiono strani persino dentro la mia testa, e soprattutto mi inseguono spesso gli accordi a sei suoni, che non si sa mai verso dove possono tendere. Ogni tanto, per fare una pausa, riapro il mio solito “piccolo manuale di armonia”, e cerco di capire qualcosa di più su quello che c’è da sapere avanti di presentarmi di nuovo al maestro Bottai per la lezione dei giorni dispari. Comunque mi piace pensare ed immaginare la musica ancora prima di avere la possibilità di eseguirla al pianoforte, è come sentissi dentro di me già risuonare quello che mi rimbalza nella testa, senza alcun bisogno di provare ed esercitare nessun suono. 

Credo che mia madre riesca a comprendere in qualche maniera cosa io provi, anche se lei vorrebbe per me che diventassi semplicemente una brava esecutrice di qualche brano classico e magari piuttosto consueto, niente di più. Ma sempre di meno sento la voglia di esibirmi di nuovo davanti alle sue amiche o ai miei parenti, per sentirmi ripetere ancora che sono proprio brava e colma di sensibilità. Ed anche il mio carissimo insegnante di musica, il grande maestro Bottai, sembra proprio voler esprimere la medesima opinione, anche se quando certe volte gli ho chiesto di fare qualche variazione nel repertorio dei miei studi, si è mostrato velatamente aperto ad alcune novità. In certi pomeriggi, quando mi trovo alle sue lezioni, mi chiedo se per caso lui nella sua gioventù non abbia mai affrontato, in mezzo a tutti i propri pensieri intorno alla musica, anche il problema relativo alla dissoluzione progressiva della tonalità, ad esempio; oppure se abbia indagato sul demone nascosto del tritono, sulla scomposizione inarrestabile della via armonica, ed infine riflettuto sulla dodecafonia e sulla pantonalità; o se invece abbia preferito concentrarsi sempre e comunque sull’interpretazione musicale delle pagine classiche, e quindi sulla sua rivalutazione, in ogni caso sempre attuale, nonostante tutto.

Rientra a casa mio padre, bussa alla porta della mia stanza per salutarmi, dice che stasera non ci sarà, andrà ad una delle sue cene di affari, e purtroppo saremo da sole a tavola, io e mia madre. Poi, dopo mezz’ora, torna ad uscire. Mi alzo, percorro il lungo corridoio ed entro nel salone: vado diretta al pianoforte ed alzo il coperchio con calma ed attenzione. Esiste un ambito di note, da suonare su di uno strumento come questo, che insiste su una scala esatonale, lasciandomi libera di scorrere a piacere con le dita sopra la tastiera, nella ricerca di un suono generale diverso dal solito, che quasi richieda una forma di ritmo per muoversi nel tempo in maniera più adeguata. Mi esercito, cerco gli accordi adatti da inserire sotto queste scale, ho letto da poco che con certi mezzi si accantona di colpo tutta la musica creata sui due modi classici, maggiore e minore, e questo mi piace, sembra sospendere improvvisamente una millenaria tradizione, e poi così si esalta qualcosa di diverso, si apprezza un materiale sonoro che difficilmente si riesce ad ascoltare tra tutta la musica che normalmente ci circonda. So che mia madre dal corridoio con ogni probabilità sta già ascoltando quello che suono e che provo in questo attimo preciso: forse proprio non le piace, o magari non le sembra troppo interessante; oppure, se magari si trovasse qui vicino a me, adesso potrebbe osservare le mie mani con la sua aria colma dei suoi forti pregiudizi, senza pronunciare neppure una parola; e se proprio volesse mostrarsi un po' più comprensiva di quello che quasi sempre appare alla mia vista ed alle mie orecchie, magari potrebbe accettare in silenzio ciò che ascolta, per sentirsi magari quasi appagata dalla mia evidente necessità di ricercare qualcosa che pare come sfuggire ad ogni facile opinione. Ed allora potrebbe proprio dirmi: <<brava>>.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 5 agosto 2021

Coronamento delle illusioni.


            Al mattino generalmente sto abbastanza bene, anche se riesco a muovermi poco e male nel periodo prima dell’ora di pranzo, e quasi sempre comunque preferisco starmene per conto mio da solo in una stanza della grande casa famiglia dove abito, senza preoccuparmi di nulla e lasciando che gli altri si cimentino nello svolgere i compiti assegnati per mantenere il decoro e la pulizia, sotto la supervisione del nostro personale sanitario. Dopo aver comunque dato una mano in cucina, a fine mattinata, nel pomeriggio invece preferisco fare una piccola camminata per il nostro quartiere, senza alcun controllo, generalmente passando sempre lungo i soliti due o tre marciapiedi, e fermando i miei passi per alcuni lunghi minuti davanti ai medesimi luoghi di ogni giorno, tanto per vedere se tutto quanto è ancora al proprio posto, o se magari siano in corso dei cambiamenti di cui per curiosità devo assolutamente prendere atto. Naturalmente giungo fino al palazzo dell’anziano maestro di musica, perché so che in queste ore c’è lui davanti al pianoforte che sta impartendo le sue preziose lezioni di tecnica pianistica, ed io ogni volta mi fermo là sotto, ad ascoltare con calma le note che si riversano dalla finestra fin sulla strada. Da ragazzo suonavo il violino, ed ancora mi ricordo qualcosa delle pagine di musica che riuscivo ad eseguire. Forse non primeggiavo al mio corso confrontandomi con gli altri ragazzi che si mostravano veramente appassionati, però mi piaceva molto stare con loro per suonare come strumento di fila, e dare così il mio apporto per un suono denso e corposo della piccola orchestra con la quale facevo le prove. Poi purtroppo la mia malattia al sistema nervoso centrale mi proibì di proseguire, ed il resto arrivò poco per volta, per evidente conseguenza. Qualche volta ascoltando le note del pianoforte da sopra al marciapiede, ho riconosciuto anche dei passaggi di musica romantica per eccellenza, brani che mi hanno ricordato le linee portanti del mio violino quando eseguivo almeno le cose più semplici di Schubert e di Chopin, anche se negli ultimi tempi mi è parso che sia stato messo in atto dal maestro un salto in avanti negli anni musicali, un progresso tale da farlo giungere a dei brani già meno tonali.

            Poi mi volto per tornare indietro, con la mia camminata incerta e i tanti movimenti impropri di tutto il mio povero corpo, però mi piacerebbe incontrare il maestro un giorno o l’altro, e fermarmi un attimo con lui e magari anche qualche suo allievo, a scambiare qualche parola sulle scelte musicali e i materiali sonori su cui stanno lavorando in questo periodo, anche se oramai io posso ritenermi soltanto un distratto ascoltatore e niente d’altro. Qualche volta incontro invece il salumiere sulla soglia del suo negozio di generi alimentari, proprio di fronte al palazzo del maestro di musica, e mi accorgo dal suo sguardo che anche a lui piacciono quei suoni che giungono a folate fin dentro alla sua bottega, e forse gli rendono migliore almeno qualche minuto della sua giornata. <<Buon pomeriggio>>, mi dice certe volte annuendo qualcosa; <<andiamo bene oggi con il maestro Bottai che impartisce a tutti delle lezioni di buona musica, mi pare>>. Io gli sorrido, naturalmente con i miei soliti gesti goffi, e intanto cerco di indicare la finestra da cui si sente uscire il pianoforte, con la mia mano ossuta e malferma per via evidentemente della malattia. Però mi basta, c’è un senso comune che ci lega, non abbiamo bisogno di imbastire alcun dialogo, siamo dei buoni conoscenti, ancora riusciamo a gioire di queste piccole e preziose cose.

            Poi lo saluto e affronto con lentezza la camminata che mi separa dalla mia abitazione, ma mi sento bene, mi pare quasi di aver eseguito positivamente un compito, addirittura come essere riuscito ancora ad accordare perfettamente il mio violino, ed aver tirato fuori all’improvviso dal legno qualche nota lunga sopra una struttura di accordi del pianoforte da concerto, ed anche se non l’ho fatto veramente, mi sento come se fossi stato capace di suonare sul serio qualcosa insieme a questo grande maestro che ancora dà lezioni, probabilmente proprio come mi piacerebbe davvero fare, anche se riconosco ogni volta quanto il grande desiderio di qualcosa, rimanga spesso soltanto un’illusione amara, e non riesca esattamente ad esserne il suo coronamento.  

 

            Bruno Magnolfi