giovedì 30 novembre 2023

Felice e spensierata.


            Non so, non riesco proprio a capire cosa stia succedendo in questa casa. Sembra che ogni equilibrio improvvisamente si sia perduto, e che i rapporti tra di noi della famiglia, che andavano così bene fino a ieri, abbiano deciso di sgretolarsi, e di non riconoscere più l’affetto che da sempre ci ha tenuti insieme e spinto in avanti. Mentre come sempre eravamo a tavola per cenare, mio figlio Marco ha iniziato a criticare, commentando una notizia qualunque riportata dalla televisione, la politica inefficace praticata dal governo in ambito lavorativo; un buon argomento, visto che tra poco sia lui che suo fratello dovranno decidere quale mestiere scegliere una volta terminati i loro studi, ho pensato, e subito Federico ha iniziato col dire che non è vero, che non c’è nessuna crisi, e che se i cittadini continueranno a desiderare unicamente il posto comodo e pagato pure bene, nessuno d’ora in avanti vorrà più accettare i posti di lavoro che oggi vengono offerti. Non c’è voluto molto, e subito hanno iniziato tutt’e due ad alzare la voce, come se dalla loro discussione ne seguissero delle decisioni fondamentali. Naturalmente ho cercato di calmarli, ma immediatamente loro mi hanno detto: <<mamma, tu non sai assolutamente niente di queste cose, perciò lasciaci perdere>>, ed io mi sono sentita all’improvviso piccola, inutile, senza alcun valore. È stata la prima volta che mi sono sentita in questo modo, perciò non ho insistito, ed ho cercato anzi di mostrare indifferenza a quel loro battibecco, anche se dentro di me stavo già male. Mio marito come al solito se ne rimaneva in silenzio, come fosse all’interno di un mondo separato, e i miei figlioli hanno proseguito a discutere ad alta voce, fino a quando Federico si è alzato da tavola ed è andato nella sua camera.

            Naturalmente, con voce bassa e con molta calma, ho chiesto a Marco che senso avesse tutto questo, ma lui ha fatto spallucce limitandosi a riprendere a mangiare come se nulla fosse successo. Allora con una scusa mi sono alzata dalla tavola ed ho raggiunto Federico, che intanto si stava già preparando per uscire, ma almeno mi ha abbracciato sorridendo, e poi ha detto soltanto: <<è tutto a posto, mamma; non preoccuparti: purtroppo ci sono delle cose su cui io e Marco non abbiamo proprio la medesima opinione>>. Non ho saputo proprio cosa dirgli, e allora ho chiesto soltanto: <<ma adesso te ne vai?>>, e lui con una smorfia ancora simile a un sorriso, ha detto semplicemente: <<mi aspettano gli amici, ma resto fuori poco>>, e così è uscito. Marco mi ha spiegato in seguito che lavorando al fine settimana per la consegna delle pizze a domicilio, Federico si sta trovando ogni volta a contatto con un mondo un po’ particolare, in genere costituito da molti stranieri che non riescono ad inserirsi in altre attività; e poi evidentemente quello è senz’altro un mestiere duro e faticoso, e da un’esperienza di quel genere è facile formarsi delle idee tutte personali. <<Sicuramente è affaticato, in questo periodo, e gli pare comunque che questa sia l’unica maniera per ritrovarsi qualche soldo in tasca. E poi c’è da dire che nel campo dei diritti coloro che fanno quello che fa lui, sono abbandonati quasi da tutti, ed è facile così nutrire l’orgoglio di sentirsi liberi e pieni di volontà>>.

            <<Va bene>>, ho detto io; <<ma farà queste consegne soltanto per qualche tempo, Federico, e dopo basta>>. Marco mi ha sorriso, poi ha cambiato argomento ed alla fine se n’è andato in un’altra stanza ad occuparsi delle proprie cose. Achille in tutta questa faccenda non è minimamente entrato, ed è rimasto ad ascoltare la televisione come se fosse l’unica verità possibile, senza neanche volgere lo sguardo. Io, dopo tutto ciò, ho avuto subito bisogno di farmi un goccetto, e vista la serata storta, ho forse approfittato un po’, tanto che mi girava forte la testa quando sono tornata nella sala da pranzo. Però la sensazione forte che oramai nessuno di noi si interessi agli altri, mi è rimasta conficcata nella mente, ed ho cercato di pensare a quello che forse si sarebbe potuto fare per migliorare le cose della nostra famiglia. Ma non ho trovato alcuna soluzione. Certo, se mio marito stesse bene, potrebbe interessarsi maggiormente di quello che avviene in questa casa, per cui la speranza più forte adesso è rivolta a questi psicofarmaci che dovrebbero lenire la sua forte depressione, anche se inizio a pensare che dipenda tutto dalla sua volontà. Perciò cerco di spronarlo, gli dico che in ufficio probabilmente hanno già avvertito la sua mancanza, che i suoi colleghi si mostreranno contenti di riaverlo tra di loro. Perché sono convinta che riprendendo il suo lavoro lui potrebbe ritrovare gli stimoli giusti per rimettersi completamente in carreggiata.

            Poi ho sparecchiato la tavola ed ho rimesso a posto le stoviglie. Nessuno ha detto niente, e dopo un’oretta è rientrato in casa anche Federico. Di nascosto ho bevuto ancora, e ho riguardato le fotografie dei miei figli quando erano ancora molto piccoli, ma non lo devo fare più: troppa sofferenza mi provocano le immagini di una famiglia così felice e spensierata.

 

            Bruno Magnolfi

domenica 26 novembre 2023

Cure personali.


Sdraiato nel mio letto, con le coperte tirate su fin sotto gli occhi, i muscoli distesi, e tutto il corpo rilassato, non so se la mia mente sia permeata dai pensieri, oppure da un rincorrersi di sogni. Navigo lontano da qui, non ho quasi interesse per ciò che gira attorno a me, so che mi cullo da qualche parte dove probabilmente non sono neanche mai stato precedentemente, ma che immagino sia adesso come il luogo perfetto, dove nessuno grida, e dove la calma che desidero tanto resta proprio qui, vicino a me, senza necessità di essere cercata. Certe volte ho creduto che la mia vita vera non fosse quella che stavo realmente vivendo, e che il mio fosse solamente un andare avanti pari al normale accontentarsi di quello che ciascuno è capace di creare per sé stesso, mettendo da parte, almeno per qualche tempo, le speranze più inavvicinabili. Purtroppo, il passare dei giorni e degli anni dimostra quotidianamente che ciò che abbiamo accettato poco per volta forma lentamente una scorza molto dura, depositando ogni strato via via più inattaccabile, quasi un sentiero tracciato e definito, dal quale il nostro passo incerto non può più permettersi in futuro di deviare. Così credo adesso che nulla potrà cambiare nel corso che una volta per tutte ho dato ai miei giorni, se non peggiorando nel presentare malattie, guai di ogni genere, preoccupazioni e acciacchi personali vari. La mia famiglia è un corpo rigido dalla superficie non scalfibile, con un numero di componenti perfetto e sempre proiettato verso il futuro, quasi una macchina ben lubrificata capace di superare di slancio qualsiasi ostacolo, anche se il basamento su cui si regge dimostra spesso scarsa stabilità.

Se guardo mia moglie, sdraiata nel letto accanto a me, mi appare quasi distante, persa dietro a dei pensieri semplici che oramai non mi rivela neanche più, tanto è sicura che io non li comprenda. I miei figli poi, appaiono continuamente alla ricerca della loro strada, e restano ancora in questa casa solamente per quella evidente convenienza ad essere accuditi e mantenuti, tanto che appena sarà loro possibile è evidente che prenderanno il volo, come passerotti a cui per qualche giorno è stata curata una zampina o un’ala, ed infine sono poi guariti. Non si può fare niente, le cose stanno in questo modo, nessuno sembra capace di fermare il susseguirsi degli eventi, ed anche se all’interno delle mura domestiche regna certe volte qualche palpabile incomprensione, tutto ciò ha poca importanza di fronte al fatto che ogni dettaglio perderà presto di senso, sfumando in un lento e inevitabile proseguire delle cose. Perciò resto nel letto, ad osservare imperterrito intorno a me ciò che non c'è, e che probabilmente non saprei neanche descrivere, restando tanto diverso da quanto sono convinto di conoscere.

<<Achille>>, dice Celeste qualche volta. <<Come ti senti?>>. Ed io mugugno una risposta di buon senso, che almeno non le permetta di porre altre domande. Ma lei insiste, chiede se possa almeno fare qualcosa per alleviare le mie preoccupazioni, supponendo che io sia preoccupato per qualcosa, ed io però non so che dirle, non trovo niente del genere che lei vorrebbe sentirsi rispondere, niente che possa essere d’aiuto a me e forse anche a lei. Non posso affrontare davvero gli argomenti che talvolta mi tormentano. Non posso spiegarle cosa c’è che non va tra me e lei, perché neppure io so cosa sia. Magari mi piacerebbe che lo capisse per conto proprio, e che fosse meno premurosa, meno presente in qualsiasi attimo, meno appassionata come appare ai destini di tutta questa casa. Poi mi sento in colpa, e so che Celeste è la persona che tiene in piedi tutto quanto, ed il suo altruismo è tale che nessuno tra queste mura domestiche può avere il diritto di lamentarsi. Mi giro dentro al letto cercando un’altra posizione, ma lei si alza, vaga per la nostra camera forse cercando chissà cosa per prendersi maggiormente cura di me; infine va di là, nell’altra stanza, ed io immagino che i suoi desideri siano proiettati sempre verso il medesimo scopo, anche se non so comprendere del tutto quali siano, e poi neppure mi sento troppo interessato al suo frugare negli armadi alla ricerca di qualcosa che non sta trovando, e che comunque si dimostrerà del tutto inutile.

Infine, torna a letto, dopo essere stata dentro al bagno, per lavarsi i denti immagino, visto che nell’aria avverto un vago odore di mentolo. Capisco la sua preoccupazione nei miei confronti: devo guarire in capo a pochi giorni o fra qualche settimana. La mia depressione deve restare presto alle spalle della nostra famiglia, e tutto riprendere esattamente com’era fino a poco fa. Ma non è facile che accada tutto questo così come lei vorrebbe; ed è anche la noia che adesso si è affacciata sulla mia giornata a rendere ogni cosa più difficile. <<Devo tornare al lavoro>>, penso adesso con lucidità. <<Sarà sempre meglio che restare ancora a lungo in questa casa, lasciando che lei si occupi di me per tutto il giorno>>.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 23 novembre 2023

Azioni necessarie.


Alla fine, Federico è tornato a casa, mostrando un vistoso bendaggio che gli copriva interamente l’occhio sinistro, e poi la faccia smunta, l’espressione seria, di chi si sente stanco e provato da un’esperienza a dir poco negativa. La mamma si è subito prodigata con gesti e parole per cercare di alleviare le sue sofferenze, ma lui si è mostrato superiore, come se avesse già superato la prova del dolore. Nostro padre, che ultimamente per qualsiasi cosa sembra cadere spesso dalle nuvole, gli ha chiesto che cosa mai fosse accaduto, e lui con riluttanza ha spiegato a tutti noi di avere sbattuto semplicemente contro un palo segnaletico mentre correva, e nient’altro. In seguito, quando io e lui siamo rimasti soli per un momento, gli ho chiesto la spiegazione vera, e Federico ha detto che, mentre sfilava all’interno della manifestazione degli studenti, qualcuno lo ha riconosciuto come un simpatizzante del Centro Giovanile di Destra, e immaginando fosse lì solo per provocare, gli si è rivoltato contro, fino a dargli un pugno in piena faccia. <<Ero con Cristina>>, mi ha detto lui con tenerezza, <<e stavamo camminando, semplicemente, senza fare altro>>. Io non ho detto che l’avevo notato nella piazza dell’ateneo, in mezzo alla calca, e per non irritare le sue presunte nuove posizioni politiche non ho fatto alcun apprezzamento, di alcun genere. Però mi è parso che qualcosa in lui fosse cambiato parecchio, anche se non saprei dire che cosa di preciso.

Ho atteso a lungo il momento migliore, infine gli ho detto a voce bassa che mi dispiaceva che per tanto tempo io e lui non ci fossimo comportati come dei veri fratelli, mostrando sempre una distanza che forse non ha nemmeno mai avuto un vero senso. <<però è colpa mia>>, gli ho detto subito; <<perché non ho mai saputo bene come comportarmi, ed ho lasciato spesso soltanto al silenzio il compito di trasmettere i miei pensieri e le mie idee>>. Federico è rimasto immobile, con la sua buffa testa mezza fasciata. Sicuramente non si aspettava un’ammissione di colpa da parte mia, e soprattutto una richiesta di cambiamento, anche se l’ho visto tremare leggermente a quella mia offerta di vicinanza. Sicuramente ha pensato per prima cosa che ci fosse un motivo di qualche genere per decidermi a parlare in questa maniera, ma poco dopo deve aver riflettuto meglio, ed alla fine ha detto: <<non so, è un periodo strano, e tutto sembra accadere molto rapidamente. Però sono contento che mio fratello mi parli così, in modo sincero, perché in fondo non è successo niente di irreparabile tra noi, ed anche se fosse successo, sono d’accordo che sia giunto il momento di lasciar perdere e mettersi a fare le persone mature>>. Ho sorriso, anche se avevo voglia di abbracciarlo. Ma subito abbiamo scambiato una battuta di spirito, ed ognuno quindi ha ripreso ad occuparsi delle proprie cose.   

<<Anche la mamma è strana in questo periodo>>, gli ho detto, dopo che lui ha girato per casa mettendo in ordine i suoi libri scolastici. Lui non ha risposto, ma si vedeva che non stavo dicendo niente di insolito. <<Deve essere preoccupata per la depressione del babbo>>, ha però detto in modo svelto, come per togliere importanza alla faccenda. <<Non so>>, gli ho fatto io; <<forse si sta incrinando qualcosa tra di loro, o magari intorno a loro. Può darsi che sia giunto un periodo di stanchezza nel loro rapporto, e che forse non sia neppure una cosa troppo recente, ma che adesso si è catalizzata con il riposo forzato di nostro padre, che così immobile e silenzioso per casa non l’avevo neppure mai visto>>. Poi Federico si è scosso, ha voltato la testa, probabilmente ha cercato dentro di sé un argomento che soppiantasse questi discorsi che con certezza lo facevano sentire male, e allora ha detto: <<ero con quella ragazza, oggi; quella Cristina di cui ti ho già accennato; mi piace, sto bene assieme a lei, ed anche se mi sono preso un pugno in faccia che forse nemmeno meritavo, sono contento di essere andato alla manifestazione di stamani per stare con lei>>. Probabilmente, l’attimo dopo ha riflettuto meglio sulle proprie parole, ha lasciato trascorrere qualche secondo, ed alla fine ha chiesto: <<ma tu non c’eri?>>, come se fosse quasi il suo ultimo pensiero, anche se nessuno di noi due sapeva che era la domanda che voleva rivolgermi fin da quando era rientrato in casa.

Allora mi sono alzato dalla scrivania, ho fatto due o tre passi nella stanza come per prendere tempo, e poi ho detto: <<non sono queste le manifestazioni che cambieranno davvero le cose. Non è un momento facile, e dovremmo cercare di impegnarci a fondo se non vogliamo che tutto peggiori rapidamente>>. Lui è sembrato di nuovo pensieroso, ma non ha trovato niente da ribattere. Alla fine, ha mormorato soltanto: <<allora c’eri anche tu, e forse mi hai visto in mezzo a tutti gli altri ragazzi>>. Sono tornato a sedermi alla scrivania, con gesti lenti, quasi affaticati. <<Certo>>, gli ho detto con determinazione. <<Anche se non credo che serviranno a molto queste azioni>>.

 

Bruno Magnolfi   

giovedì 16 novembre 2023

Medicazione.


           Nella piazza dell’ateneo, proprio adiacente al polo universitario cittadino, i ragazzi stamani si sono già riuniti in almeno un migliaio, e la manifestazione indetta dalla Sinistra Studentesca che tra poco inizierà a snodarsi lungo le più larghe strade di tutto questo quartiere, alla fine è stata concessa anche dal questore della città, e nei propositi il corteo dovrebbe svolgersi in maniera vistosa e colorata ma del tutto pacifica. Naturalmente le camionette delle forze dell’ordine si sono comunque già schierate su un lato, e gli agenti, in tenuta antisommossa, presidiano la zona più delicata, quella da dove potrebbero inserirsi i provocatori di Destra. Io mi tengo su un margine, anche perché fino adesso non ho incontrato nessuno tra chi eventualmente potrei conoscere, e tutto sommato cerco di tenermi al di fuori del gruppo di testa dei più agitati. <<Marco>>, dice all’improvviso una voce femminile dietro di me, ed io non faccio quasi a tempo a voltarmi e a riconoscere Tiziana, che lei sta già chiedendo: <<anche tu sei qui per curiosità, mi immagino, proprio come me>>. Attendo un secondo, poi rispondo: <<Si, più o meno>>, cercando in questo modo di non smentire la sua impressione, e soprattutto di non mostrarmi troppo coinvolto dalle idee di questa piazza.

Poi ci scambiamo qualche convenevole, ed infine, anche sospinti dalla calca verso il marciapiede dove comunque stiamo un po' ristretti, e in considerazione proprio della confusione creata da tutti quanti che continuano a chiamarsi e a girare da una parte all’altra, decidiamo di infilarci in un piccolo caffè poco distante, dove molti ragazzi si sono affollati attorno al bancone, ma in una saletta minuscola sul retro c’è ancora un tavolino libero. Ci sediamo, ed io dopo un attimo mi faccio passare, dal tizio che cerca di tenere a bada i clienti, due succhi di frutta e due bicchieri di carta. Adesso io e Tiziana ci guardiamo con una certa calma mentre sorseggiamo le nostre bibite, e mentre sono mentalmente alla ricerca di un argomento che ci accomuni, le chiedo scontatamente che esame stia preparando in questo periodo. Lei mi guarda, sorride, poi inizia subito a parlarmi di Svevo e della sua “coscienza”, e di come il suo modo di affrontare la scrittura in quegli anni fosse già molto avanti rispetto ai Tozzi e ai Pirandello dell’epoca. Annuisco, ma lei sembra proprio aver trovato il filone giusto, e così prosegue spiegando in fretta: <<La psicoanalisi non era stata ancora sdoganata in quegli anni, ma lui per propria intuizione aveva già operato un grande lavoro su di sé, e con i suoi personaggi giungeva poi a rinnovare una volta per tutte il vecchio romanzo ottocentesco>>.

Mi viene quasi da sorridere, sembra proprio che questa ragazza che ho di fronte stia sfoderando gli argomenti preparati per l’esame, ma poi annuisco ancora, e di colpo le chiedo dove abiti. Così parliamo anche dei locali e degli spettacoli a cui lei ha assistito ultimamente, e tutta questa conversazione però viene interrotta all’improvviso da un’esplosione di cori urlati e di forti fischi provenienti dalla piazza dove intanto sono sopraggiunti altri ragazzi e in cui si sta formando il corteo vero e proprio che, da un attimo all’altro, sembra proprio pronto a partire. Così paghiamo rapidamente e usciamo per vedere che cosa realmente stia accadendo, e soprattutto verso dove si stia dirigendo la fiumana di persone che ha affollato oramai ogni spazio libero. Ed è esattamente in questo momento che intravedo, tra le innumerevoli teste che formano quasi un muro compatto davanti a me, mio fratello Federico, mentre si guarda attorno forse un po’ stralunato, ma senza notarmi. È insieme a una ragazza, riesco a vedere, e stanno parlando tra loro rimanendo molto vicini, ed immagino probabilmente sia proprio quella Cristina di cui sembra si sia invaghito negli ultimi tempi, e che velocemente lo sta portando lontano da quelle idee malsane della gioventù di Destra che sembrava lo avessero tanto affascinato. Poi lo perdo, mescolato tra i gruppi di studenti del Liceo e degli Istituti Tecnici, ma infine lo rivedo poco dopo mentre insieme alla ragazza escono subito dal corteo che intanto ha iniziato a confluire lungo via del Corso. Mi ritiro schiacciandomi contro un portone, e Tiziana mi osserva per comprendere che cosa stia facendo. <<C’è mio fratello>>, le dico allora tanto per giustificare quel mio gesto, <<e non voglio proprio che mi veda>>.

<<Va bene, ma io adesso torno a casa>>, dice Tiziana; <<devo ancora studiare molte pagine, ed ho l’appello solo tra due settimane>>. <<Ti accompagno>>, mi offro, anche per trovare una scusa per non infilarmi tra le maglie della manifestazione, ma lei dice in fretta che non ce n’è bisogno, e così in un attimo la perdo, confusa in mezzo a molti altri che adesso sembrano disperdersi nelle piccole strade del quartiere. Quando torno a casa mia madre mi spiega con agitazione che le ha telefonato Federico, e sembra abbia avuto un piccolo incidente, niente di grave per fortuna, ma sembra si sia dovuto fermare ad un Pronto Soccorso del Centro per farsi medicare.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 8 novembre 2023

Finalmente disinteressato.


<<Non fare il cretino>>, mi ha detto in malo modo uno dei ragazzi del Circolo Giovanile di Destra. <<Stasera tu vieni con noi; attacchiamo insieme qualche manifesto di propaganda sui muri, poi facciamo un giro davanti al Sindacato, e così una grande e bella scritta di vernice nera sulla loro facciata campeggerà là sopra per qualche tempo, a ricordare a tutti chi siamo noi e quanto contiamo>>. Sono perplesso, mi sento combattuto tra il proseguire a dare retta a questi invasati e conseguentemente dare contro al Sindacato che sta curando le sorti di chi lavora alla consegna delle pizze a domicilio come me, oppure rinunciare, anche se essermi schierato dalla parte di chi sta contro a ciò che piace tanto a mio fratello mi sembra una maniera per essere più vero. Lui ha sempre fatto il comunista, quello che ha capito tutto ancora prima di molti altri, e spesso si comporta come guardasse il mondo da un gradino più in alto di qualsiasi altro, ed io forse non lo so, ma non voglio darla vinta facilmente a quelli come lui. Così dico che va bene, e ci diamo appuntamento ad un angolo di strada, <<senza dare troppo nell’occhio>>, mi raccomandano subito gli altri tre che sembrano già navigati in questo tipo di operazioni. Ma io mi sento ancora combattuto, e non so decidermi se questo comportamento sia quello giusto oppure no, proprio adesso che potrei riprendere a rivedermi con Cristina che osteggia tanto le persone di Destra.

Alla fine, ci vediamo come pattuito, ed io mi sento nervoso, sono deciso a non fare altro che accompagnare queste persone che conosco, e al massimo reggere la colla o i manifesti da attaccare, ma quando mi rendo conto che questi ragazzi sono animati da un rancore sanguigno verso tutti coloro che non vedono le cose nella loro stessa maniera, e che hanno sempre bisogno, almeno nei discorsi che mettono in campo, di individuare un nemico contro cui scagliarsi, allora mi sembra che qualcosa in tutto quanto non sia più nella stessa maniera di come l'avevo immaginato. Non può essere un nemico per me il mio stesso fratello, rifletto; non può essere un’avversaria quella ragazza che mi piace e alla quale vorrei dedicare tutto il mio tempo, se solo potessi. Poi gli altri ad un tratto prendono via di corsa nel buio delle strade, sfuggendo il più possibile alla vista, soltanto perché hanno notato i lampeggianti della Polizia, ed io ne approfitto per fermarmi un momento sotto un lampione, a riprendere fiato, e poi tornare indietro, senza preoccuparmi d’altro. Infine, rimasto solo, torno verso casa, anche perché ormai è piuttosto tardi: tra un paio di giorni dovrò riprendere con la consegna delle pizze, devo riposarmi, recuperare le forze per andare avanti con il mio lavoro del fine settimana, e smetterla con queste scorribande senza alcun significato. Potranno ricattarmi, questi ragazzi del Centro Giovanile, andare in giro a dire che sono un pappamolle, uno di cui non ci si può fidare, e più temibile di tutto, che sono un picchiatore impaurito, incapace persino di mostrare i muscoli.

Prendo lungo una strada ben illuminata, e intanto cerco di pensare alla soluzione migliore per uscirne bene da tutta questa faccenda, ma quando ormai sono vicino casa mia, scappano fuori non so da dove i ragazzi di prima, mi bloccano con fare aggressivo, dicono subito che di me non ci si può fidare, e che è meglio se da loro io non mi faccia più vedere, e per metterci la firma mi assestano un pugno per ciascuno in piena faccia, scaraventandomi a terra con il naso insanguinato e la bocca dolorante. Poi proseguono, tirando dei calci al mio corpo ormai senza difesa, ed anche se non urlo, forse per questi qui è come se lo stessi facendo, tanto ci mettono impegno. Poi se ne vanno, ed io resto lì qualche minuto, ma infine mi rialzo, e zoppicando raggiungo casa mia, la mia famiglia, la sicurezza della mia camera e del mio letto. Dovrò inventarmi qualcosa che giustifichi i miei segni sulla faccia, qualcosa da raccontare alla mamma e a mio fratello già domani mattina, e poi evitare da ora in avanti quell’ambiente che mi ha appena punito soltanto per un atto di insicurezza. Meglio, rifletto, adesso so per certo che non potevo continuare a lungo a stare insieme a loro, anche se mi ero lasciato trascinare per qualche tempo da quei modi decisi, dall’immediatezza di quelle vedute.

Mentre cerco di prendere sonno, dopo che mi sono trattenuto a lungo nel bagno per controllare tutte queste piccole ferite, penso a Cristina come ad un angelo che mi appare all’improvviso, forse la persona in questo momento che sento più vicina, e come finalmente io possa presentarmi di fronte a lei con la testa alta. <<Sono stato un cretino>>, potrei dirle senza limitarmi, <<solo perché ero rimasto affascinato da qualcosa che alla riprova dei fatti non era assolutamente degno della mia stima. Ora voglio disinteressarmi di tutto questo, allontanarmi il più possibile da un mondo che non è assolutamente il mio, e che di sicuro non riuscirà mai più per adularmi, come purtroppo invece è capitato>>.  

 

Bruno Magnolfi

giovedì 2 novembre 2023

Niente di male.


Sempre più spesso provo la voglia di uscire da qua dentro. Farmi un giro, prendere aria, magari incontrare qualcuno, proprio come penso faccia ogni giorno mio fratello, che è sempre stato indifferente allo starsene nel chiuso a riflettere le proprie cose, o a cercare la propria intimità. <<Stai uscendo, Marco?>>, chiede la mamma osservandomi sorpresa, poco abituata com'è nel vedermi sortire di casa durante le ore serali. Mi fermo, annuisco, penso di non avere bisogno di convincere la sua intelligenza di qualcosa, devo soltanto fare quello che per me reputo giusto in questo momento, senza dare alcuna spiegazione. Indosso una giacca, prendo le chiavi, osservo la porta alla fine del corridoio, e poi vado, senza pensarci più. Scendo le scale condominiali, i muscoli delle gambe si riscaldano leggermente, le mie mani accarezzano l'aria come sensori, pronte a captare qualsiasi variazione intorno a me. C'è un locale alla buona, poco lontano, dove si può bere una birra ed ascoltare musica, senza alcuna necessità di parlare con qualcuno. La strada mi sembra scostante, in giro c'è qualcuno con un cane, altri appaiono immobili alla fermata del mezzo pubblico. Credo che la sensibilità sia per tutti un elemento fondante. Ci si impegna al massimo per comprendere i segnali che ci possono raggiungere e che richiedono da noi una mutazione rapida di comportamento.

Infine, passo sotto un'insegna che riporta una pubblicità banale, ed entro nella birreria. C'è gente, ma non troppa, così mi siedo su una panca di legno quasi libera, e dopo poco, sul tavolo su cui ho appoggiato un braccio, mi faccio servire una rossa che pago subito, così come viene richiesto. Un ragazzo di fianco a me fa il simpatico urlando qualcosa a una ragazza che ha di fronte, mentre due tizi, dall'altro lato del locale, suonano qualcosa con le loro chitarre e le voci amplificate. La ragazza mi guarda, studia il mio profilo. Poi dice con voce alta che mi ha visto all'università, così le sorrido mentre annuisco, ed infine le chiedo che facoltà frequenti. <<Lettere moderne>>, mi dice, ma poi evita di chiedere la stessa cosa a me, ed io le sono riconoscente anche per questo. Però, quando il ragazzo si alza per salutare degli amici, lei torna a guardarmi, e poi avvicinandosi mi spiega che purtroppo non si sta trovando bene nel seguire le lezioni. <<Sono tutti scostanti i miei compagni>>, dice; <<nessuno ha voglia di formare dei gruppi di studio, o prestarmi i loro appunti, o anche scambiare qualche informazione sui seminari, sugli assistenti, oppure sul docente. Ognuno sta per conto proprio, e a me almeno un po' dispiace questo atteggiamento>>. Lascio cadere l'argomento senza recriminare nulla, però poco dopo le chiedo se non sia tutto il polo umanistico, di cui fanno parte le nostre facoltà, a deludere le proprie aspettative. Lei mi guarda con maggiore attenzione adesso. Alla fine, dice semplicemente che comunque non sa se parteciperà alla manifestazione di ateneo. <<Però ci sono dei problemi, per chiunque>>, insisto io. <<Va bene>>, fa lei, <<però occupare l’università mi pare eccessivo; ed io su questo non sono d'accordo>>. Sorrido, lo immaginavo; torna il suo amico, ed io guardo qualcosa sul palco dove continuano a suonare.

Dopo poco la ragazza ed il suo amico si alzano dalle panche per andarsene, e lei mi fa: <<Ciao, io comunque mi chiamo Tiziana>>, così torno a sorridere mentre le stringo di fretta la mano e le rivelo di chiamarmi Marco. Ho quasi finito la mia birra, e non ho nessuna intenzione di ordinarne un'altra, perciò poco dopo mi alzo anch'io, compio il giro del locale come per vedere se ci fosse qualcuno che conosco, ed infine mi soffermo davanti ai tizi che proseguono a suonare con impegno. Poi esco. Penso che questo, per il bisogno di socialità che riesco a dimostrare, non sia un locale adatto a me. Parlare in maniera superficiale non è un'attività che si adatta molto ai miei modi di fare, e poi farlo nel mezzo a suoni e rumori di ogni tipo non appaga praticamente niente della mia curiosità. Compio un ampio giro senza una meta precisa, comportandomi quasi come se avessi un cane in fondo ad un guinzaglio, e lo dovessi portare un po' a passeggio come fanno tanti altri. Poco distante dal locale incontro di nuovo la ragazza, che adesso sta insieme a quattro o cinque persone a ridere sguaiatamente, ferma insieme a loro sopra un marciapiede, e quando le passo più vicino mi fa: <<Marco, il mondo è piccolo, ti va di fare due passi insieme a noi?>>. Non trovo alcuna scusa che giustifichi un rifiuto, così mi accosto a Tiziana mentre penso che forse una conoscenza come lei nell'ambito universitario possa sempre essere utile. Mi fermo, lei mi prende per un braccio, poi mi dice: <<sei un tipo ombroso, mi pare. Però devi saper riflettere le cose in modo molto compiuto, e questo mi piace>>. Sorrido, non capisco di preciso cosa abbia voluto dire, o se alludeva a qualcosa di preciso, in ogni caso va tutto bene, e se scambio due parole con qualcuno, adesso che è possibile, non mi sembra proprio un male.

 

Bruno Magnolfi