sabato 27 novembre 2021

Istinto da evitare.


            Sto già nella mia cameretta, a sistemare le ultime cose per domani, avanti di coricarmi, e riguardo distrattamente un piccolo disegno a matita che ho fatto ieri, tra un servizio e l’altro, in questa villa dove svolgo praticamente l’attività di tuttofare. I coniugi Neri probabilmente si trovano nella loro camera da letto, vista l’ora, proprio dalla parte opposta della villa, e qui da me non giungono rumori. Invece è proprio la signora che arriva di corsa trafelata a chiamarmi, a un certo punto: <<Caterina, per favore, vieni subito>>, mi fa. Infilo le scarpe alla svelta e le vado dietro lungo il corridoio. Il signor Carlo è lì, nell’ingresso, con il telefono in mano, che sembra quasi pazzo mentre cerca di assumere un contegno, o trovare una soluzione a qualcosa, non saprei.  <<Ma che succede>>, chiedo sottovoce alla signora, senza comprendere niente dalla scena. <<Stai con noi>>, fa la signora sul punto di piangere, <<magari ci sarà bisogno di te fra non molto>>. Suonano da fuori, vedo dei lampeggianti, aziono il cancello automatico in fondo al vialetto, dopo che il signor Carlo mi ha chiesto di far entrare subito all’interno di casa le forze della Polizia. Giungono dentro la villa in tre, e rivolgono ai Neri una fila di domande, ma non sembrano affannati, anzi: cercano di riflettere, di comprendere qualcosa che non appare neanche a loro del tutto chiaro. Sembra sia giunta una telefonata di qualcuno che sta tenendo in ostaggio la signorina Franca, ma a me sembra quasi uno scherzo, stento perfino a crederci. Loro prendono degli appunti, installano subito delle apparecchiature elettroniche sul tavolo del salone, e intanto si tengono in contatto con la centrale o con qualcuno che è rimasto fuori sul loro mezzo, con certe altre attrezzature tecniche.

            Non si sa bene cosa si stia aspettando, trascorrono dei minuti tesissimi, ma uno di loro dice ad un tratto che il cellulare pur spento della ragazza è localizzato molto vicino, e addirittura in avvicinamento. Non passa molto che giunge in fretta dal cancello della villa uno dei poliziotti rimasti fuori, proprio insieme a Franca, seria e pallida, ma assolutamente in piena salute. La signora Carla perde ogni controllo e si lancia immediatamente ad abbracciarla mentre piange e trema senza alcun ritegno, ma anche il signor Carlo non riesce ad essere particolarmente razionale. Franca viene fatta sedere, dichiara di stare benissimo e che è stato soltanto uno stupido scherzo di un ragazzo mezzo ubriaco di cui adesso non ricorda neppure il nome. Le vengono rivolte ancora alcune domande da parte dei poliziotti, ma poco dopo, vista la loro inutilità nel trattenersi ancora, riprendono rapidamente tutte le strumentazioni e se ne vanno, riservandosi di interrogarla meglio domani mattina nella sede del Comando. Preparo subito una tisana rilassante per tutti quanti, e i signori Neri adesso sembrano ad ogni attimo come sul punto di ridere per niente, o di parlare sguaiatamente a voce alta, quasi gridando, nel tentativo forse di placare la paura che si sono presi.

            La signorina Franca invece sembra non avere neppure troppa voglia di star qui: dice soltanto che l’esibizione del suo gruppo di jazz, in quel locale dove suonavano stasera, è andata molto bene, anche se purtroppo le è stata rovinata la soddisfazione da questo scherzo idiota. Suo padre le tiene una mano e la guarda senza riuscire più a staccare gli occhi dal suo viso, e sembra come poco fa una persona del tutto diversa da quella che conosco. Poi dice che per lui quelle telefonate sono state terribili, e che in un attimo ha sentito di perdere tutte le certezze su cui ha sempre fatto forza. <<Devi essere più accorta>>, dice alla figlia, <<e imparare a diffidare delle persone che non conosci bene>>. Franca annuisce, ha lo sguardo a terra, ma non sembra troppo abbattuta, piuttosto è come se stesse facendosi più adulta al’improvviso, direttamente sotto gli occhi di questi suoi spauriti genitori. Quindi tutti a letto, è persino troppo tardi, un buon sonno farà soltanto bene.

            Metto a posto le cose, porto le tazze sporche in cucina, riordino le sedie smosse, poi mi ritiro anche io nella mia cameretta. Negli occhi però conservo quelle espressioni spaventate che ho visto questa sera: potrebbero essere i soggetti giusti per un bel disegno, penso, o anche più di uno; qualcosa da iniziare subito, immediatamente. O magari no, rifletto meglio: perché prima deve forse trascorrere almeno un po’ di tempo, in modo da far acquisire, a questi miei pensieri di adesso, una posatezza che adesso non ho, e in maniera che siano capaci di perdere la carica di un segno troppo affrettato. Sarebbero soltanto dei frutti acerbi, altrimenti; persino troppo istintivi.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 22 novembre 2021

Senza una briciola di saggezza.


            E’ fatta la frittata. Proprio adesso, ora che mi sono giocato tutto e ho perso. Non posso neppure tornare a casa, almeno fino a quando non capirò quali siano i risultati, lì pronti ad aspettarmi. Devo dormire nella mia macchina, evitare luoghi conosciuti, sparire agli occhi di chiunque, e poi attendere. Attendere un segno, un gesto, un risultato. Sono nelle mani e nelle parole di una ragazzetta, che può fregarmi tutto, oppure può salvarmi, senza che io sappia minimamente cosa farà. Era spaventata, lo so, comprendo il suo stato, e appena rientrata in casa forse ha sibilato subito il mio nome; oppure no. Suo padre avrà voluto sapere ogni dettaglio, le avrà estorto sicuramente tutti i particolari, abituato com’è a conoscere tutto quello che succede; oppure no. Resisti Franca, penso; non dirgli niente delle mie stupidaggini, non fare il mio nome, inventa qualcosa: un amico ubriaco, uno scherzo scemo, una sciocchezza senza conseguenze; oppure no.

            Non lo so; il mio è un delirio. Volevo stare vicino a questa ragazzetta, capire tutto di lei, come se fosse chissà chi, come se tra le note del suo pianoforte ci fosse stato fin dall’inizio il mio destino, come se lei fosse lì per aver compreso tutto anche di me e di ogni altra cosa, come se potesse lei spiegarmi, farmi capire, dirmi, proprio lei, quali scelte compiere. E poi non ho più resistito, e allora: <<Franca>>, le ho detto; <<passa attraverso di te il mio futuro; e il mio riscatto di persona destinata al niente; di uno stupido, proiettato in mezzo a tutti come un numero. Tu che hai la testa e anche tante altre possibilità, fai uno sforzo adesso, porgimi una mano>>. Sembrava facile, e invece era soltanto un trabocchetto, l’avvisaglia di una scorciatoia falsa, impossibile, soltanto assurda. Mi sono fermato, <<questo adesso lo devi almeno riconoscere>>, perché mi sono reso conto d’improvviso che la mia scorciatoia avrebbe soltanto fatto male a tutti.

            Adesso puoi inventarti un pezzo nuovo sul tuo pianoforte, magari con dei suoni lenti, dolci, armoniosi, che mostrano la vertigine di una mente disgraziata come la mia, che normalmente porta tutto fuori strada, senza volersi abbassare al suo destino innato. Lentamente, si perde ogni razionalità, si vaga per un cammino di cui non si comprende neppure il senso, e ci si perde, perché non si può far altro. Forse era già prevista un’interruzione brusca tra il nostro tentare di conoscersi, perché il corto circuito tra ragazzi così diversi come siamo noi, arriva rapido, senza che neppure lo vogliamo. Adesso puoi semplicemente rovinarmi, e far mettere alla porta anche mia madre, che lavora a casa tua da tanti anni. Non so neppure con chi io stia parlando, forse con me stesso, per mettere in fila tutti i miei guai. Perché con Franca non potrò più parlare, questo almeno appare chiaro. Non potrò più neppure avvicinarla, qualsiasi cosa accada. 

            Per un attimo, giusto poco fa, mi sono sentito quasi un guerriero, insieme a lei al mio fianco, come se la vittima potesse stare dalla parte del carnefice. Mesi e anni trascorsi a costruire qualcosa che serva nel futuro, e poi azzerare di colpo ogni futuro, questo ciò che si è verificato. Ho creduto per un attimo nel riscatto di tutto questo tempo dentro un gesto solo, e nel massimo del gesto sono caduto, forse per il mio stesso orgoglio. Chissà come doveva andare tutta la faccenda dentro la mia testa, adesso non riesco più neppure a stabilirlo. Ma so soltanto che da forte come mi sentivo, ho raggiunto in quell’attimo il massimo possibile della debolezza, consegnando me stesso nelle mani di questa ragazza, che forse ha semplicemente scambiato con me qualche parola qualche volta, e magari anche soltanto per pena o cortesia, considerata la diversità profonda che ci ha sempre separato. Sono nelle sue mani, comunque, e mi ci sono messo da solo.

            Chiudere gli occhi, e far trascorrere in un attimo tutto il tempo che mi serve per diventare un altro, per modificare la struttura di tutti i miei pensieri, e togliere da dentro di me quel dolore che a volte provo per non riuscire ad essere pacato, serio, senza quei colpi di testa che mi caratterizzano. Vorrei essere un anziano, adesso, uno di quelli che girano osservando con attenzione tutto il mondo, e poi portare con me, proprio come loro, quella piccola saggezza che mi manca, quel senso delle cose giuste, fatte bene, che non mi faccia mai restare nella bocca l’amarezza che ho provato già in certe situazioni; la stessa che, in questo momento, sembra quasi il sapore vero della mia esistenza.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 18 novembre 2021

Rapita e liberata.

 

            Adesso che lei è qui, accanto a me, proprio dentro la mia macchina, continuano a venirmi in mente una gran quantità di pensieri assurdi, insieme a certe idee addirittura malsane, insensate, e poi perfino a dei guizzi rapidissimi di pura pazzia. Naturalmente cerco di scacciare velocemente dalla mia testa tutte queste scariche di adrenalina, ma loro sembrano prenderla d’assalto, e poi la circondano, la riempiono, la paralizzano quasi, e a me non permettono neanche di riflettere nient’altro. Guido nervosamente l'utilitaria attraverso la città, lei ha già chiesto qualcosa sulla musica che tutti abbiamo ascoltato nel locale, forse soltanto per parlare un po’, ed io le ho risposto con parole isolate, frammentarie, come fossi fortemente concentrato su altri argomenti. Invece mi è piaciuto molto tutto il concerto di stasera, soprattutto l’incredibile capacità che ha mostrato Franca nello stare concentrata su quel suo pianoforte, ed infilare un suono dietro l'altro come se non avesse mai fatto altro che jazz in tutta la sua esistenza. L'ho amata mentre suonava, ho sentito di riuscire a respirare la medesima aria sua, come per una immedesimazione diretta in lei, nel suo talento, nel suo plasmare i suoi suoni, con quella incredibile sensibilità così reattiva nei confronti degli altri ragazzi del suo gruppo. Ma non posso dirle tutto questo, non troverei neppure le parole adatte, e poi devo essere freddo adesso, come se lei fosse per me una persona quasi del tutto estranea.

            Svolto rapidamente verso la periferia mentre guido, e Franca si accorge immediatamente che non siamo sulla direzione giusta, però non dice niente, lascia che sia io casomai a spiegarle tutto, perché è evidente che dovrò darle a un certo punto almeno una giustificazione di quello che sto facendo. Accelero, sono nervoso, lei si accorge benissimo del mio stato alterato, così mi chiede sottovoce, ma quasi con indifferenza, verso dove ci stiamo dirigendo, anche se io non le rispondo subito, e attendo ancora un po’, come per guadagnare tempo. Infine ci lasciamo alle spalle le ultime case di città con i lampioni stradali fiochi e radi, e dopo qualche altro metro, vado a fermare la mia macchina vicino ad un distributore automatico di benzina, dove c’è abbastanza luce, ma non si vede in giro anima viva. <<Devo rapirti>>, sbotto senza guardarla mentre spengo il motore. Lei ride nervosamente. <<Stai scherzando>>, mi dice. Le getto un’occhiata: <<purtroppo non ho scelta>>, le faccio; <<tu rappresenti tutto ciò che io non sono; quindi devo osservarti, studiarti, capire molte cose di te; e poi farmi dare un bel po' di quattrini dalla tua famiglia>>.

            <<Sono stanchissima>>, fa lei; <<dai, per favore, portami a casa>>. Io intanto scendo dalla macchina, rapidamente prendo il suo zaino dal sedile e ne tiro fuori il cellulare. Compongo il numero, e camuffando la mia voce dico in fretta a chi risponde che Franca sta bene, ma non può tornare a casa. Poi riaggancio. <<Ti stai rovinando>>, dice Franca conservando una calma che adesso mi colpisce. <<Ti prenderanno subito, non potrai mai riuscire in una cosa di questo genere>>. <<Zitta>>, dico a voce alta mentre cerco di riflettere su quale sia il prossimo passo. Ci vorrà mezzo milione, penso, si potrebbe fare tutto in fretta, e già per domani ogni cosa tornerà al proprio posto. Lascio partire una seconda telefonata verso lo stesso numero, e adesso mi risponde il padre di Franca, lo riconosco subito, così dico alla svelta che deve mettere insieme la cifra che ho pensato, il prima possibile, avanti che a Franca succeda qualcosa di spiacevole. <<E nessuno provi a chiamare la polizia>>, sottolineo svelto; <<altrimenti succederà l’irreversibile>>. Poi riattacco.

            Franca adesso è spaventata, ha capito benissimo che faccio sul serio, che il meccanismo ormai è scattato, e che non posso più tornare indietro. Piagnucola tenendosi la faccia con le mani, e a me dispiace molto vederla così, mi piacerebbe quasi dirle che era uno scherzo, che è tutto a posto, che adesso può smetterla di piangere. Sono spaventato, non so neppure io cosa sia meglio fare, mi sento in una posizione in cui ogni scelta si fa più complicata. Per un attimo avevo pensato che le cose si sarebbero dipanate con facilità, come per una serie di suggerimenti concatenati l’uno all’altro, ma non è vero. Rientro in macchina, avvio il motore, e a tutta velocità arrivo fino alla villa dove abitano i genitori di Franca. Mi fermo a quasi cento metri, le dico di scendere, e che sia lei ad inventare qualcosa di plausibile, che non faccia troppo male a nessuno di noi. Franca prende lo zaino, il cellulare, la custodia con la sua tastiera; poi scappa verso casa sua.

 

            Bruno Magnolfi         

martedì 16 novembre 2021

Pronta a difendere tutto.


            Il mare era tranquillo quel giorno; un vento leggero di bonaccia sonnacchiosa sembrava essere stato capace, durante la notte, di calmare poco per volta qualsiasi moto ondoso, lasciando in quella mattinata di sole la superficie dell’acqua come una tavola azzurra, una distesa aperta e leggera, soltanto una dolce massa trasparente e rinfrescante per gli occhi. La fotografia che ho tra le mani risale a diversi anni più indietro, ora mi ricordo esattamente il momento: ero con Franca, in una di quelle giornate autunnali piene di luce, quando in spiaggia non ci va più quasi nessuno, e noi due a quell’epoca ci eravamo regalate due giornate per noi, un fine settimana senza pensieri, lontane da tutto, sistemate in una pensione ancora aperta lungo quel litorale. Camminavamo senza scopo sulla battigia, si rideva di sciocchezze, lei era ancora la mia bambina, forse l’ultima volta che mi è sembrata davvero così, e a me giungeva dal largo del mare l’impressione di essere davvero felice, spensierata, senza il tormento di alcuna preoccupazione. <<Mamma>>, diceva Franca correndo sopra la sabbia, <<è tutto così bello oggi; vorrei non cambiasse mai nulla>>. Le sorridevo, la prendevo per mano, poi andavamo a sederci accanto ad una barca capovolta. Osservo ancora quella foto semplice, scattata da un signore con il suo cagnolino, incontrato per caso, e provo lo struggimento di qualcosa che in seguito è quasi sfuggito ai miei desideri.

            Forse mi aveva già avvertito qualcuno, dicendo che la crescita inesorabile di Franca avrebbe scatenato in me un progressivo senso di solitudine, ma non avevo immaginato fosse davvero possibile, o almeno non con quella forza che in seguito si è dimostrata. Lo so, sono le sue scelte, anche quel prendere le distanze da ciò che la sua famiglia le rappresenta, l’imparare a camminare da sola, senza più alcun sostegno, in assenza dei troppi legami che renderebbero in seguito tutto ancora più difficile. Però è doloroso osservarla sganciarsi poco per volta dai suoi genitori senza poter fare nulla per evitare questo passaggio. Con questi pensieri riguardo ancora un momento la foto, ed infine la vado a riporre insieme alle mie cose, in mezzo alla nostalgia che sempre mi procurano i miei più intensi ricordi. Per certi versi sono stata proprio io ad incoraggiarla nel perseguire a fondo i propri interessi, come qualcosa per cui valga la pena combattere, e Franca ha fatto esattamente così, nonostante suo padre non avesse mai evitato di mostrarle le sue reticenze.

            Riconosco che lei ha avuto fin da piccola una sua forte personalità, ed anche se a me piacerebbe oggi poterla ancora guardare in una certa maniera, mi devo convincere che oramai Franca è una donna, una persona che ha compreso perfettamente i meccanismi maggiori che regolano la realtà, ed io non ho da raccontarle quasi più nulla per indirizzare di nuovo i suoi desideri, come fosse ancora bambina. Devo accettare quindi, non posso fare altro. Il problema è suo padre. Carlo mi ha già spiegato varie volte di non essere troppo contento dell'andamento che hanno preso le cose, ma con lei per adesso si è limitato a sbuffare qualche volta e niente di più; però io avverto che nell'aria si stanno addensando le nuvole classiche di un gran temporale, uno di quelli che in un attimo ti bagna interamente di pioggia e di vento, nonostante l'ombrello. Ho cercato già di mediare, naturalmente, ma tutto ciò che posso fare capisco benissimo che non sarà mai sufficiente ad evitare lo scontro. Non riesco a far fronte in una maniera adeguata alle cose che vedo, questo è il punto; perciò tendo sempre di più a darmi forza per mezzo dei sentimenti che già conosco, quelli che riguardano il passato della mia famiglia, come per farmi schermo verso quanto forse ci aspetta.

            Franca poi non mi racconta quasi più niente di quello che fa quando esce da casa. Si reca al liceo, poi al Conservatorio, e anche dal maestro Bottai qualche volta; ma poi fa le prove con questo gruppo di jazz, come fosse una pianista già navigata, una musicista piena di capacità e d’esperienza. Ci si è buttata in mezzo a questa faccenda, come fosse la sua vera strada, ed io non so più dirle niente, non riesco neanche a chiederle qualcosa a riguardo. Trascorre molto tempo fuori dalla nostra abitazione, e Carlo ha già cominciato col dire che sta tralasciando i suoi studi liceali, che ha preso una strada sbagliata, che è necessario farla riflettere. Non lo so, non mi aspetto niente di buono prossimamente; in ogni caso Franca è mia figlia, ed io sarò sempre pronta a difenderla.

 

            Bruno Magnolfi  

venerdì 5 novembre 2021

Piccole soddisfazioni.


            Giro la mano che la sorregge, osservo con occhio clinico la lucentezza e i riflessi del metallo, quindi decido di dare a tutta la superficie un’altra passata col panno imbevuto di crema, almeno nei punti più in vista. Lucidare la tromba è diventata per me un’ossessione, nonostante certe volte sia molto attratto dal lasciare lo strumento alla sua natura opaca, sporca, vissuta, come fosse costituita soltanto di suono, e non di materia. Ma in me c’è anche il desiderio di tirar fuori, sempre e comunque, la sua voce migliore possibile, quel timbro caratteristico che cerco di mettere a punto in solitudine e con grande pazienza, adattando in varie maniere il mio labbro all’imboccatura, sperimentando con calma le diverse impostazioni, come le dita sui pistoni, e mettendomi alla ricerca delle vibrazioni che magari mi sembrano ogni volta quelle più adatte. Suono la tromba quasi sempre con una sordina leggera ben innestata, gustando appieno la risonanza di tutto il suo corpo, e comunque, quello che non mi piace per niente del mio strumento, resta proprio la sua natura squillante, per cui sono cosciente di soffiare dentro al canneggio quasi cavalcando un reale controsenso, nello sviluppare cioè la sua preziosa capacità di essere anche morbida, soffusa, persino delicata. Comunque posso tentare da solo qualsiasi esperimento, ma quando mi ritrovo in sala prove a fare musica insieme agli altri ragazzi, tutto improvvisamente mi appare diverso.

            Perché la propria personalità sullo strumento da sola non basta, non riesce a mostrare la confluenza di idee e di pensieri che è necessaria per raggiungere la fusione di tutti gli intenti in uno stesso manufatto sonoro. Noi suoniamo del jazz attuale portato all'estremo, una sorta di dialogo musicale complesso, senza uso di suoni elettronici, adoperando per ogni brano qualche manciata di regole armoniche le più varie, in certi casi anche adottate da epoche diverse dalla nostra, che poi seguiamo e rispettiamo, tentando però in varie maniere di superarle, sempre in un'alternanza continua di spinta verso un possibile limite. L'introduzione del pianoforte, come strumento centrale e principe della musica occidentale, all'interno della nostra formazione, forse era già nell'aria da qualche tempo, ma nessuno di noi sapeva bene come riuscire a collocarlo adeguatamente tra le nostre sonorità. Poi è arrivata Franca, e in un attimo ha risolto ogni dubbio. Lorenzo crede ancora di essere stato lui a presentarci questa brava pianista dagli studi classici, ma non è del tutto vero. Il fatto è che inconsapevolmente ne sentivamo tutti la mancanza, perché era come se non avessimo ancora il perno esatto attorno a cui far ruotare tutto il resto.

Naturalmente non sapevamo bene come avremmo reagito individualmente noi del gruppo, così come non era scontato che una ragazza sensibile e anche attenta come lei potesse davvero inserirsi adeguatamente in questa formazione. Ma già i primi risultati sono apparsi ottimi, ed anche le registrazioni che abbiamo fatto in sala prove per analizzare in seguito l’ascolto dei materiali, lo ha dimostrato ampiamente. Lo sforzo più grande a cui siamo chiamati adesso è quello di superare la spinta individualistica di ogni componente, e di piegare i suoni e i fraseggi di ciascuno verso un risultato ancora più collettivo. Franca ha compreso al volo la nostra filosofia, e l’ha subito abbracciata appieno, rivestendo benissimo il ruolo che dagli inizi le avevamo richiesto.

Lorenzo la guarda con degli occhi particolari qualche volta. Si nota che è attratto da lei, dal suo padroneggiare quella tastiera, dalle sue conoscenze musicali, ma anche da quei modi eleganti e pacati, da persona che ama stare in disparte, tirando fuori comunque un proprio notevole temperamento appena iniziamo a suonare. A me personalmente, e devo dire anche agli altri ragazzi, non interessa poi molto se quei due intrattengono tra loro una relazione speciale oppure no, considerato che sono anche compagni di classe all’ultimo anno del liceo; a me basta che siano sempre così seri e determinati quando vengono a suonare con il nostro gruppo, anche perché, se non sbaglio, la formazione così composta come risulta adesso, potrebbe attirare un discreto interesse e una forte curiosità al momento di portare la nostra musica in qualche locale cittadino. Qualcuno ci noterà nei prossimi tempi, ne sono praticamente sicuro; e questo senza dubbio sarà per tutti noi il motivo più saliente di una grande soddisfazione.

 

Bruno Magnolfi      

mercoledì 3 novembre 2021

Nervi saldi, possibilmente.

         

            Va persino troppo bene, almeno per il momento, penso. I ragazzi hanno accolto Franca in una maniera quasi entusiastica nel nostro gruppo, e a dire la verità le sonorità e l'importanza basilare di un pianoforte in una formazione come quella di cui sono soltanto il batterista, ha quasi rivoluzionato davvero la maniera che fino a questo momento avevamo noi di fare musica. Però non mi aspetto che vadano avanti sempre così le nostre cose: prima o dopo qualcuno punterà il suo dito proprio su di me per incolparmi di aver portato un elemento destabilizzante tra di noi, e di questo poco per volta me ne sono praticamente convinto. Perché è evidente che se non troviamo la maniera migliore per darsi un energico sostegno l'un l'altro, e di mostrare la massima solidarietà tra di noi, soprattutto scegliendo più saggiamente i propri spazi sonori, qualche volta capiterà che uno o due tra di noi si sentirà praticamente giustificato a tirare fuori qualche gelosia in merito al proprio strumento, dando corda alla sensazione inevitabile di apparire un po’ in secondo piano rispetto al tempo trascorso, quando suonavamo soltanto in quattro: una reazione che potrà anche farsi seria se non riusciamo subito a tenerla sotto controllo. Questo penso.

            Credo peraltro di essermi messo in una situazione piuttosto difficile caldeggiando l’ingresso di Franca nel gruppo, e purtroppo soltanto adesso inizio a rendermene conto del tutto. Lei comunque è serena come non l’ho neppure mai vista da quando ho iniziato a conoscerla, e probabilmente si tirerà subito da parte se solo riesce ad intuire il suo possibile intralcio al percorso del gruppo, anche se sa perfettamente di non esserne causa diretta. E poi può darsi pure che superato il primo momento di entusiasmo per suonare davanti ad un pubblico di attenti ascoltatori, sia forse capace di mostrarsi meno partecipe delle nostre prove e dei nostri appuntamenti, considerato soprattutto anche gli impegni che sicuramente avrà nel futuro per seguire adeguatamente il suo percorso di studente del Conservatorio. A me piacciono sempre di più, sia il suo modo di fare, sia il carattere che mostra; e poi la grinta che tira fuori, la sua generale maniera d'essere, il suo inedito sorriso di adesso; ma anche di questo sono costretto a conservare in me una certa segretezza, per non apparire di parte in ogni scelta che adotto. Penso poi che anche a scuola le cose tra noi evidenziano la necessità di restare il più possibile riservate, soprattutto nei confronti dei nostri compagni di classe, specialmente i più impiccioni, che non cessano mai di porre delle domande spesso insidiose. Poi naturalmente c'è la nostra insegnante di letteratura, la cara signora Sarti, sensibile e attenta, che non ha mai sottaciuto, devo dire, la sua simpatia per il nostro banco scolastico, mio e di Franca, pur restando sempre imparziale nei suoi giudizi su tutti noi.

            Insomma, credo che la situazione si sia fatta piuttosto complessa, penso. Ma forse è proprio questo esattamente il momento di tenere il più duro possibile sulle nostre decisioni. Certo, personalmente vorrei essere più libero di manifestare i miei apprezzamenti, e forse mi dispiaccio parecchio di non poter esporre i sentimenti che provo, però poteva essere immaginabile fin dall’inizio che si evolvesse tutto in una situazione del genere, anche se per me non c’era altra strada per esaltare la vicinanza con Franca, almeno penso. Oggi la osservo mentre siamo in classe, al liceo, nascosto dietro ai miei occhiali da lettura, e mi sembra d’improvviso la persona che più desidero, quella per cui sono disposto a mettere in gioco quasi tutto, persino la mia batteria. Poi ci ritroviamo di nuovo con i ragazzi in sala prove, e allora devo ascoltare la musica che suoniamo con il distacco che serve, fino a sbottare e a prendermela proprio con lei, anche più del dovuto, quando mi sembra che il suo accordo arrivi in ritardo sulla battuta, oppure che il suo pianoforte imposti quasi una gara con le mie percussioni. Devo tenere i nervi saldi, penso allora. Mostrare tutta la capacità di stare dalla parte migliore, quella che non si lascia mai prendere dalle emozioni gratuite. Ma non è facile, lo ammetto, e non so proprio per quanto tempo potrà durare in questa maniera.

 

            Bruno Magnolfi   

         

lunedì 1 novembre 2021

Incolmabile distanza.


Mio padre fino a questo momento si è mostrato completamente indifferente alle mie attività musicali. Persino il fatto che io sia riuscita a superare l'esame di ammissione al Conservatorio, almeno per ciò che ha fatto vedere, non gli ha provocato alcuna reazione; che poi mi sia addirittura inserita in un gruppo di jazz, e con quello tenti prossimamente di suonare in qualche locale cittadino, forse gli ha suscitato addirittura un senso di silenziosa ripulsa, mescolando insieme in questo sentimento tutte quante le mie attività di pianista. Non ha importanza, già mi aspettavo qualcosa del genere, in ogni caso non voglio farmi influenzare dai suoi sottaciuti giudizi, né in un senso e neppure nell'altro. Porto avanti le cose che mi interessano, perseguo ciò che credo importante, senza tralasciare naturalmente tutto il resto. Ieri ho incontrato di nuovo Simone, il figlio della nostra cuoca, e mi è sembrato abbattuto, come se le cose non gli andassero bene. Non gli ho fatto nessuna domanda diretta, comunque, e lui non ha cercato di spiegare niente di sé. L'ho invitato al jazz club però, spiegandogli che finalmente avrei suonato là dentro col mio gruppo, giusto il prossimo venerdì. Mi è parso interessato, ha detto persino che forse ci sarà.

Anche a mia madre ho accennato che le prove col gruppo erano andate molto bene ultimamente, e che avendo ormai una buona decina di pezzi già pronti, eravamo stati invitati a suonare in un locale specializzato in musica dal vivo del nostro genere. Lei mi ha guardato senza riuscire sull'immediato a formulare un giudizio preciso; poi ha detto però che si sentiva orgogliosa delle mie scelte, e che sperava fossero proprio queste le cose in cui credevo davvero. Sono tornata nella mia stanza a provare qualcosa sul mio piano elettrico indossando le cuffie, ad improvvisare su qualche scala più difficoltosa, poi però ho smesso ed ho ripreso in mano i libri di testo del liceo. Con Lorenzo abbiamo deciso di cambiarci di banco, in maniera da non essere continuamente distratti dalla nostra voglia di parlare sempre di musica. Comunque non mi dispiace per niente sapere che lui sta adesso un paio di file dietro di me, che può vedermi quando gli pare, e magari immaginarmi ogni tanto mentre inseguo con degli accordi sulla tastiera quei difficoltosi tempi dispari della sua batteria mentale. Ci sentiamo molto più vicini adesso, devo dire, naturalmente grazie al fatto di suonare nello stesso gruppo di jazz, questo è il punto; e quindi per evitare che qualche insegnante più attento a certi dettagli iniziasse a prenderci di mira, abbiamo deciso di allontanarci, anche se solo su un piano squisitamente formale.

Mi sento bene, questa è il dato che ritengo più importante. Quando conosco adeguatamente le cose di cui si parla sono subito più sicura di me, e riesco così ad essere anche tranquilla. Le lezioni in Conservatorio sono già iniziate al pomeriggio, e almeno per il momento non mi sembra niente di difficile, anche se ho chiesto, nel caso manifestassi qualche problema, un aiuto da parte del maestro Bottai, che si è mostrato subito disponibile come sempre. Forse in tutto questo quadro, manca qualcosa di importante, ma per il momento non voglio pensarci, e lascio che le cose procedano come per conto proprio, dopo tutte le scelte che ho fatto. Quando sono vicina a Lorenzo mi sento quasi tremare: lo avverto, ogni volta che gli parlo, sempre più simile a me, come avessimo un canale speciale di comunicazione, e poi adoro la sua batteria, tramite lui mi pare addirittura che tutti i ragazzi che incontro siano improvvisamente migliori di come mi sembravano soltanto ieri. Lo ascolto chiacchierare ogni tanto, al cambio degli insegnanti, ma per me sembra quasi inutile con lui usare le parole ordinarie. Abbiamo un nostro linguaggio noi due, quella musica in cui fino ad oggi abbiamo mostrato di credere più che in tante altre cose.

Non so cosa potrà succedere nei prossimi tempi, ma oramai ho abbandonato l'idea di pensare al futuro, cercando di vivere il più possibile questo intenso presente. Resta mio padre, che attualmente sembra parlarmi, quando siamo a tavola, soltanto con dei monosillabi; ma non ha molta importanza: ho sempre sentito di essere molto diversa da lui, prima o dopo lo strappo più forte si sarebbe pur dovuto  manifestare. Non ritengo di fare niente di male: coltivo le mie scelte, cerco di dare corso alle cose in cui credo, penso che questo sia il massimo per le mie possibilità. Poi qualche volta osservo mia madre di nascosto: non posso certo essere come lei, rifletto; c'è una distanza formidabile tra noi, qualcosa che a me pare giusto si manifesti proprio in questo momento, quasi come un divario incolmabile.

 

Bruno Magnolfi