domenica 27 dicembre 2020

Qualcuno mi è vicino.

 

           

            “Non sono solo”, dico certe volte allo specchio della mia camera con voce alta, tanto per rendermi conto se lui oggi avesse voglia di rispondermi. E quello, quando lo fa, inizia sempre col parlarmi sottovoce usando delle parole a me sconosciute, costringendomi a cercare di comprendere cosa voglia intendere con quello strano dialetto per me incomprensibile. Gli ho anche chiesto più di una volta di esprimersi in altra maniera, con un linguaggio a me un po’ più chiaro, o se non altro di parlare più lentamente, scandire bene ogni parola e lasciarmi capire che cosa vogliano dire quei fonemi confusi. Ma nulla, non è mai possibile comprendere un accidenti, e la mia stessa immagine, di fronte ai miei occhi, prosegue a parlare come gli pare, ed io sto qui a guardarmi specchiato dentro alla cornice, come se prima o dopo fosse possibile iniziare una vera e propria conversazione.

            Poi, come ogni mattina, arriva una donna che abita poco lontano da qui, e si trattiene come sempre per un paio d’ore, giusto il tempo di aiutarmi nelle faccende domestiche; ma è scorbutica e scostante, ed io con lei non parlo, anzi, quando sento la sua chiave che gira nella porta, vado subito a rinchiudermi nel salottino, ad occuparmi di qualcosa, e lei mi lascia in pace, senza venire a dirmi niente se non lo stretto necessario. Non la reputo neppure una persona con la quale volentieri scambiare delle opinioni, o perlomeno non mi sembra che una donna del genere sia il tipo di compagnia di cui un uomo di una certa età, proprio come sono io, possa avere bisogno. Per cui la mia solitudine, comunque sia, resta invariata, anche se lei è presente nell’altra stanza a sistemare le cose dell’appartamento. Per questo, quando quella donna finalmente se ne va, sbattendo anche la porta alle sue spalle certe volte, torno immediatamente a tentare un dialogo con il mio specchio. E’ l’unico che può realmente darmi il senso di una presenza in casa, ed anche se ancora non ne capisco il linguaggio, ugualmente mi piace il suo modo di esprimersi.

            “Dobbiamo trovare un modo per dirci le cose”, gli fo con un atteggiamento remissivo, come quello di chi sa sopportare una situazione non esattamente favorevole. Lui so che è lì, dentro lo specchio, e probabilmente mi guarda anche quando sono di spalle, e soppesa sicuramente ogni atteggiamento che assumo, ed anche ogni mia espressione, come dovesse quasi prendere delle decisioni importanti che in qualche maniera mi riguardano. Ed io attendo, so essere paziente in casi come questo, e immagino che da un attimo all’altro possa iniziare a sproloquiare in quella sua maniera indecifrabile che in certi momenti mi fa proprio impazzire. Invece stamani niente. Non parla, non fa sentire in nessun modo la sua voce, ed anche se gli pongo delle domande dirette, lui non risponde, come non avesse neppure la facoltà di parlare. In questo modo è chiaro che io improvvisamente mi ritrovi in una condizione oltremodo difficile.

            Certo, non sono propriamente in completa solitudine, so che lui c’è come sempre dentro allo specchio, ma è come se non ci fosse, perché non dice niente, non si fa sentire, non si esprime, e se io guardo nello specchio vedo solamente la mia immagine e nient’altro. Perciò chiamo al telefono la donna che viene tutti i giorni a casa mia, e la prego di tornare un momento per risolvere una questione della massima importanza, e lei infatti si precipita, anche perché abita proprio qua vicino, ed io così le chiedo subito se per caso abbia notato qualcosa di particolare stamattina nel mio specchio che tengo appeso nel corridoio. La donna mi guarda, poi osserva a lungo lo specchio come dovesse risolvere un enigma di difficile soluzione, ed infine dice che secondo il suo parere non è cambiato niente in quello specchio, ma trova qualcosa di diverso nel mio comportamento.

Mi meraviglio, guardo le mie mani, le pantofole che indosso, guardo ancora la mia faccia riflessa nella grande specchiera appesa, e non trovo proprio niente di strano in ciò che vedo, anche se lei sorride, registra facilmente il mio imbarazzo, la mia curiosità nel riuscire a comprendere che cosa ci possa essere in me di differente rispetto ad ogni altra volta. “Si sente solo, ecco tutto”, mi dice all’improvviso. “E non le basta più fingere che ci sia qualcuno dentro allo specchio pronto a risponderle, per immaginare di essere davvero in questa casa insieme ad una vera persona”.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 23 dicembre 2020

Tempi migliori.

 

          

            Passano dei ragazzi che urlano per insoddisfazione forse, così io li osservo da una finestra di casa e mi sembra proprio di stare in mezzo a loro. Prendo la giacca, scendo le scale, mi avvio lungo il marciapiede: devo acquistare qualcosa da mangiare penso, del pane e del formaggio, niente di più, perché devo rientrare in fretta, non oltre quindici minuti, che sono quelli previsti. Mi fermo ad osservare una vetrina dalle luci spente, oltre la serranda a maglie larghe di un negozio chiuso, perciò stempro la mia angoscia tra gli sguardi, naso al vetro, su oggetti nuovi ma di uso abituale. In mezzo c’è anche una grossa pinza di plastica verde, una di quelle per tenere assieme i fogli di carta, magari qualche appunto, qualche nota da gettare là, alcuni pensieri che certe volte sembrano volersi staccare dalle preoccupazioni di ogni giorno, e vengono come fermati così da qualche parte, per un altro momento, per quando magari saremo tutti più sereni. Mi piacerebbe come gli altri trattenere anche per me qualcosa penso, poi vado però, quasi di fretta, e raggiungo casa. Il mio elaboratore naturalmente è rimasto sempre acceso, ed ha proseguito a scaricare varie cose dalla rete: messaggi, documenti, molte sciocchezze, altrettante immagini. Bussa alla porta il mio vicino, parla sottovoce, siamo controllati sottintende, chiede se per caso abbia voglia anche io di parlare un po’ con lui.

Siamo in due, possiamo prenderci un caffè ed intanto lamentarci un po’ di come vanno tutte le cose, che non si può far altro, e lui dice che ha paura, non si sente protetto come dovrebbe essere, ed io intanto sorrido con amarezza, mentre memorizzo la sua evidente depressione. Troppo fragile penso, non durerà molto se continua in questo modo, non si può subire e basta, ed il mio vicino non ha il carattere adeguato per imporsi. Ci sarà una selezione penso, in questo momento siamo chiamati tutti quanti a sforzarsi il più possibile per rimanere a galla. Mi serve quella pinza, devo appuntarmi molte cose, non riuscirò mai a tenerle a mente senza avere perlomeno una qualche traccia scritta penso. Se ne va, lo accompagno, torno al mio elaboratore, così modifico un’immagine e la proietto in faccia a chi sta ancora dietro a queste cose, poi apro un documento e resto lì, senza fare niente. Non posso prendere appunti in modo elettronico, troppo facile scoprire la mia indole, chiunque tra i curiosi sarebbe pronto a far presente alle autorità i miei modi di riflettere le cose.

Lungo la strada adesso c’è silenzio, chi sta in giro può camminare soltanto attorno all’isolato, una volta sola, e di macchine con il permesso valido per marciare sull’asfalto quasi non si sentono, tanto si muovono lentamente, quasi in punta di piedi. Sono convinto che qualcuno ha una gran voglia di fuggire, di ribellarsi a tutto, di strapparsi di dosso questa angoscia che prosegue insinuante a creare solo altro malessere. Prendo un foglio di carta da un quaderno, e scrivo in fretta quello che ho pensato: è almeno un inizio, qualcosa da rammentare in seguito, perché voglio appuntare tutti i miei pensieri di questi tempi oscuri, perciò presto avrò bisogno di tenerli tutti assieme in un cassetto, o su un piano della libreria, non so. La mia calligrafia fa schifo, ma è una fortuna, in pochi riuscirebbero a comprendere tutte le parole, soltanto io.

Mi sollevo dalla scrivania, lo schermo dell’elaboratore lampeggia per segnalare che sono arrivati ancora dei nuovi messaggi, nuove cose da scartare e cancellare penso, che ormai tutto quanto è diventato solo spazzatura, non c’è più niente di salvabile in mezzo a quei materiali colorati che girano sopra gli schermi. Mi serve la pinza, devo appuntare le cose che rifletto, almeno fino a quando riuscirò a farlo, e mi riterrò ancora libero dall’accidia e dalla depressione che viaggiano veloci ormai dentro le nostre case. Posso forse usare una molla per i panni penso, in fondo dobbiamo ingegnarci per riuscire a sopravvivere. Così torno ad alzarmi, a girare ancora dentro la stanza, e sono contento penso, riesco a prendere decisioni, ad avere una coscienza, a darmi dei progetti. Più tardi uscirò ancora forse, e guarderò meglio ciò che offre il mio quartiere: se non si può andare da altre parti, almeno cercherò di sfruttare tutto quello che mi trovo sottomano penso.

 

Bruno Magnolfi 

martedì 15 dicembre 2020

Riscatto contemporaneo.

 

         

            Sono qui da solo davanti allo schermo del mio elaboratore, e penso che dovrei assolutamente essere stipendiato per tutta la pazienza che dimostro nel sopportare una situazione così al limite come sembra ormai sia diventata questa. Sono i soldi che proprio non ci sono tutto il mio problema, ma non trovo la maniera per farmene scucire almeno un po’ da quei chiacchieroni che ingombrano ad ogni ora i programmi politici della televisione. Mi sono collegato, ho fatto tutte le domande che mi sono state presentate, ho riempito con i miei dati ogni modulo elettronico che mi è stato sottoposto, e poi invece niente, qualcosa alla fine dei sistemi dice sempre che non ho diritto ad avere né un sussidio, né un mantenimento, né una paga, e neppure un gesto qualsiasi di carità, lanciato verso un cittadino come tutti gli altri, uno proprio come mi sento io, né più né meno, forse soltanto più sfortunato di tutti. Mi pare quasi impossibile che vicino a me, da persone più smaliziate di quanto posso essere io, vengano manipolate e spartite montagne intere di quattrini alla velocità della luce, e che ci siano qui accanto anche degli individui che si permettono, con grande semplicità, qualsiasi cosa gli possa venire alla mente, in ogni attimo qualsiasi della loro giornata, mentre io che ho sempre fatto il mio dovere verso lo Stato, senza dare mai problemi proprio a nessuno, non abbia nemmeno la possibilità di un mensile, tanto per tirare avanti.

            Certo, è indiscutibile affermare che c’è la pensione dei miei genitori che riesce a coprire tutte le spese relative alla casa dove noi abitiamo, e che sopperisce anche alla mia situazione cronica di disoccupato, però io che ormai ho già passato i quarant’anni d’età, adesso non sono proprio capace di immaginare come potrà mai essere il mio futuro, una volta che i miei punti d’appoggio venissero a mancare. Mi pare impossibile continuare così, come altri fanno peraltro, nell’adattarsi a percorrere una stessa strada senza riuscire ad osservarne un semplice dettaglio evidente, una particolarità, uno scorcio che è lì, davanti agli occhi di chiunque, mentre loro invece camminano e non lo notano, e non si rendono neppure conto della sua presenza, come non esistesse, non ci fosse mai stato. Voglio capire cosa sia meglio fare, voglio intraprendere una via che mi porti finalmente da qualche parte, senza farmi perdere la testa. Perciò uso l'elaboratore, e mi collego ad ogni ora in ogni sito che trovo, capace di fornirmi qualche informazione, passando per delle pagine elettroniche che spiegano in dettaglio in che modo sia meglio comportarsi per una persona come sono io.

Mio padre oramai è una persona anziana, non la comprende per niente la mia maniera di comportamento, diciamo che si limita soltanto a sopportarla, e certe rare volte dice a voce alta senza riferirsi direttamente a me, che sto perdendo solamente il mio tempo in questo modo, anche se poi tutti e tre insieme ci mettiamo a sedere al tavolo di cucina e consumiamo i nostri pasti in silenzio, senza scambiare mai troppi discorsi, forse anche per non rovinarci troppo l’appetito. Mia madre invece ogni tanto mi guarda per un attimo e poi si limita a scuotere leggermente la sua testa mentre chissà che cosa pensa, e a me forse fa più male quel gesto lì che tutto il resto dei suoi comportamenti, tanto che la ignoro, faccio finta di nulla, mi disinteresso completamente dei suoi giudizi. Non sono disperato, mi pare quasi inevitabile ritrovarmi in questa situazione; chiedo soltanto che qualcuno si metta una mano sopra la coscienza e scovi la maniera per farmi avere un vitalizio, un reddito qualsiasi che mi permetta di sopravvivere, esattamente come tutti. Perché sono sicuro che io ne abbia diritto, e che ci debba essere anche per me una piccolissima fetta della torta che tutti si spartiscono. Sono un cittadino, uno che è nato in questa terra, uno che può vantare delle origini assolutamente oneste, frutto di brave persone che hanno masticato per generazioni lavoro duro e sofferenza, e senza mai neppure lamentarsi. Perciò adesso resto qui, dietro a questo elaboratore sempre acceso, perché è soltanto da qui, come è stato spiegato già da altri prima e meglio di come posso fare io, che può uscire fuori, per me e per coloro che vivono una situazione simile alla mia, quel riscatto che sento doveroso verso me e verso la mia persona.

 

Bruno Magnolfi   

martedì 8 dicembre 2020

Tutto a posto, o quasi.

 

 

            Sento male ad una gamba. Se provo a camminare la strascico, faccio buffe smorfie di sofferenza e poi provo un dolore tale che alla fine zoppico anche se non vorrei. Mi siedo, non posso fare altro. Appoggio a terra il piede soltanto sul tallone e stendo l'arto in maniera da dargli un po' di sollievo, poi rifletto che potrei prendere un antidolorifico e smetterla di preoccuparmi troppo. Può essere un tendine, un muscolo, una sciocchezza momentanea che tra non molto la finirà con il suo fastidio, e mi farà ritrovare la pace che merito. Mi muovo, ingoio una pillola e poi vado a sdraiarmi sul mio letto. Sto meglio in questa posizione, sento un leggero caldo alla gamba dolorante, ed adesso che sta a riposo tutto quanto mi sembra soltanto poco più di un fastidio. Potrei quasi addormentarmi, magari immaginando di migliorare ancora, e così ritrovarmi in sogno a correre ed a muovermi su un prato in pieno sole. Invece mi giro su un fianco ed il dolore è ancora lì, esattamente come prima, senza alcuna tregua.

            Va bene, penso, si tratta soltanto di fare tutto quello che avevo già deciso con la più forte indifferenza verso questo contrattempo. Mi alzo, vago per casa cercando quello che mi serve, storco la faccia in nuove espressioni di dolore, e poi, indossata la giacca e prese le chiavi per uscire, mi rendo conto all’improvviso che forse non sarò capace di scendere tutti e tre i piani delle scale condominiali. Chiudo la porta alle mie spalle ed inizio comunque a muovermi, un gradino dopo l’altro, sperando di non cadere e non incontrare nessuno che conosco, soprattutto per non dover giustificare le mie smorfie ed il mio comportamento, abbracciato come sto a questo corrimano. Infine arrivo giù e sono sulla strada, trafficata e indifferente a tutti i miei guai.

            Devo arrivare fino all’officina dove dovrebbe essere ormai pronta la mia auto, in riparazione da ieri per alcuni problemi alla carburazione. Mi pareva vicino il posto dove lavora il meccanico, giusto in una traversa di questa strada principale, ma adesso che il dolore non mi concede più alcuna tregua sembra tutto lontanissimo, ed i passi da coprire un numero addirittura sterminato. Una volta a bordo della macchina sono sicuro di poter guidare agevolmente e di non avere più problemi con gli spostamenti, ma arrivare fino là è un’incombenza che forse avevo del tutto sottovalutato. Mi fermo al caffè più vicino per sedermi un attimo, ormai tirando dietro la mia gamba come un fardello fastidioso, però mi sforzo di camminare il più possibile in maniera naturale per evitare di farmi porre delle domande curiose da qualcuno a cui non ho alcuna intenzione di rispondere. Entro e mi siedo, nessuno mi ha notato, neppure il barista dietro al bancone. Aspetto un attimo ed infine dico qualcosa con voce sufficientemente alta da farmi sentire.

Il ragazzo poi mi porta un caffè al tavolo, io mi sento la fronte imperlata di sudore per lo sforzo che ho compiuto per arrivare fino lì, e all’improvviso mi viene a mente che una volta percorsa tutta la strada fino all’officina, la mia auto potrebbe essere non ancora pronta. E’ chiaro che non ce la potrei fare a tornare indietro a piedi fino a casa, per cui dovrei escogitare qualcosa per farmi trasbordare: magari chiamare un’auto pubblica, oppure farmi dare un passaggio dal meccanico. All’improvviso mi gira la testa. Sorseggio il caffè, ma ho quasi paura che la tazzina possa sfuggirmi dalle mani, o che io stesso di colpo possa cadere dalla sedia. Infine mi alzo, ma è evidente che non riesco neppure a stare in piedi. Lascio dei soldi sul tavolo ed esco, quasi di fretta, prima che qualcuno possa avere un moto di pena che non riterrei assolutamente sopportabile. Decido di tornare verso casa, non ce la posso fare ad arrivare fino all’officina, così attraverso la strada lentamente sul passaggio pedonale, ma in quel preciso momento ecco il meccanico con la mia auto che si ferma accanto a me, spiegandomi che stava provando il motore lungo le strade del quartiere dopo la riparazione. Salgo immediatamente al posto di guida che lui mi lascia, ed improvvisamente mi sento bene, tranquillo, così riaccompagno il mio salvatore alla sua officina e poi me ne vado per i fatti miei. Anche il dolore adesso sembra quasi scomparso, ed alla fine tutte le cose adesso sembrano proprio filare per il verso giusto.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 4 dicembre 2020

Silenzio impagabile.

          

 

            Qualche volta penso che finirà; sì, insomma, che si interromperà prima o dopo questo mio flusso di ottimismo, di convincimento positivo, di credulità continua verso qualsiasi espressione che usano gli altri nei miei confronti; insomma smetterò con questo ferreo ritenere che tutti siano sempre così sinceri con me, così schietti nelle loro espressioni, e che parlino soltanto di cose reali, di fatti realmente accaduti, di espressioni usate per davvero, e non cerchino mai insomma di imbrogliarmi, come invece fanno quasi sempre; e loro così, almeno nei miei pensieri, termineranno una buona volta con quelle parole che continuano a dirmi, a suggerirmi, ed a soffiarmi nelle orecchie con le loro buone ragioni che sostengono di avere per farlo, come se quello che mi spifferano fosse il fondamento di tutta l'esistenza, e le loro frasi fatte, il loro argomentare attorno a questo o a quel problema, quasi i capitelli e le colonne portanti su cui si tiene in piedi la maggioranza delle cose che ci circondano. Tutti quei fatti e quegli aneddoti di cui un gran numero di queste persone ha fortemente voluto che venissi a conoscenza, raccontandomelo sempre con un certo impegno, in mezzo a tutto il tempo buttato via in questa maniera; tutto ciò che così tanti individui hanno insistito a spiegarmi più di una volta, dilungandosi in certi casi anche nei dettagli, e con i quali mi hanno riempito spesso la testa, fino a farmela scoppiare in qualche occasione; ecco, io so quasi per certo che tutto questo avrà un termine una buona volta, lo so proprio per certo.

            Mi chiedo comunque quale sia il motivo per cui in tanti anni non sono mai stati in silenzio con me, non hanno mai lasciato che io, come qualcuno forse più fortunato tra tutti gli altri, godessi dei rumori sottili della sera ad esempio, mentre magari si stava come si fa sempre fuori dalla caffetteria, a fumare tranquilli ed a prendere il fresco della primavera senza alcuna preoccupazione, pronti ad osservare la luna che nasceva sopra ai tetti delle case basse del nostro paese, al margine di questo fiumiciattolo che scorre silenzioso. Io mi sforzo di guardare da quella parte qualche volta, e loro intanto parlano, devono spiegarmi, gli corre l’obbligo per forza di farmi sapere qualcosa di importante, qualcosa che, se non si sa, non si può stare. Sorrido ancora adesso mentre ascolto, lascio che mi dicano una volta di più quello che vogliono, non sarò certo io quello che si tapperà le orecchie o che sosterrà che sono tutte stupidaggini quelle di cui mi stanno parlando. Li ascolto, di qualche cosa magari mi convinco, perché non sono tutte cose sciocche quelle che mi spiegano, e in qualche caso ci sono anche dei fatti che si devono sapere, di cui è meglio venire a conoscenza. Ma poi dimentico alla svelta ogni parola, ogni frase che mi è stata rivelata, oppure ricordo soltanto qualcosa che adesso però mi pare inverosimile, falso, messo su soltanto per ridere di me. 

Tante volte ho pensato di essere l'unico ad avere una certa fiducia in tutte quelle chiacchiere confuse, in quello svelare chissà cosa e per giunta solo a me, e forse loro che generano quei pronunciamenti hanno sempre fatto leva proprio su questo mio comportamento positivo, approfittandosene, tediandomi spesso, assillandomi forse per coprire con la voce le loro preoccupazioni e i loro crucci. Probabilmente sono uno che si lascia abbindolare troppo e un po’ troppo alla svelta, che crede spesso a tutto quello che gli viene detto già alla prima, però la colpa è soltanto la loro se hanno voluto in questa maniera farmi credere delle cose che non erano neppure dettate dalla verità, ma messe insieme soltanto per il gusto di giocare con uno come me, proprio uno con dei problemi di comunicazione. Se ne sono approfittati, questo è il punto, ed adesso loro lo sanno che io alla fine sono arrivato fino a rendermene conto, ed allora stanno più attenti da ora in avanti a quello che mi dicono, e sono già decisamente più restii a svelarmi dei particolari che poi si dimostrano inventati. Vorrei avere avuto una memoria di ferro in tutto questo tempo, e ricordarmi perfettamente ogni particolare da far presente adesso, anche pubblicamente. Qualcuno sicuramente si sarebbe vergognato del proprio comportamento. Ma io purtroppo ho cancellato tutto dalla mia memoria, e quindi possono aver detto quello che volevano, perché adesso non ricordo niente, proprio come se fossero sempre stati tutti in silenzio.  

 

Bruno Magnolfi