lunedì 25 dicembre 2023

Cancellazione delle apprensioni.


            Oggi si sono fatti grandi i miei figli, e oramai non ho più alcun bisogno di cercare di istradarli, semmai ho tentato di farlo, perché sono convinto che adesso sappiano già decidere perfettamente e in autonomia del proprio presente e anche del futuro che forse desiderano. Non ho neppure mai immaginato la loro esistenza fuori da questa casa, ma credo che in un modo o nell’altro, da ora in avanti, come alla loro età più o meno si è sempre fatto tutti, cercheranno giorno per giorno di scegliere per sé stessi le cose migliori e più a portata di mano, forse scendendo ogni volta purtroppo a compiere quegli inevitabili compromessi dai quali sembra che nessuno di noi possa sfuggire. Forse più avanti riusciranno ad essere più felici di quanto siano stati in questi anni di adolescenza, in famiglia con noi, trascorsi tra le preoccupazioni immancabili dei loro genitori e le incomprensioni quotidiane delle quali ci siamo costantemente trovati ad occupare. Non so bene in tutto questo quale fosse e quale sia stato il mio vero compito, ma ad essere sincero non mi sono mai troppo crucciato intorno ad un pensiero del genere, cercando piuttosto una calma e neutra indifferenza che fosse capace così di dare spazio e respiro anche alle loro idee. Mia moglie potrebbe persino sostenere adesso che mi sono disinteressato di loro per dei lunghi periodi, ma forse questo non sarebbe poi del tutto vero. Li ho osservati, certe volte, ed il loro comportamento quasi sempre mi è parso equilibrato, attento ai particolari, indubbiamente in grado di tenere testa ad ogni più piccolo problema quotidiano.

             Così spesso mi sono sentito tranquillo, ed ho lasciato che tutto prendesse un proprio corso, senza cercare di influenzare troppo le cose. Sono i miei figli, ho pensato certe volte, e proprio per questo non c’è alcuna necessità di provare a cambiare il loro carattere, perché sono convinto che dentro sé stessi abbiano sempre saputo già fin dall’inizio le scelte migliori da fare. Celeste purtroppo certe cose non le comprende; secondo lei tutto è sempre da modificare, da suggerire, da insinuare, così che tutto quanto a suo parere necessita continuamente di sottili interventi esterni, come una strada da percorrere individuata grossolanamente sopra una cartina con scarsi dettagli, e che deve essere via via aggiornata nella realtà. Secondo me la verità è che ci si deve fidare degli altri, e lasciare che tutto assuma un percorso proprio, anche se questo non è troppo affine alle nostre aspettative. L’educazione dei figli per lei è come una regola da tenere, e per me al contrario è qualcosa che i figli imparano dal comportamento dei loro genitori, senza alcuno sforzo particolare, da nessuna parte. Poi ci sono gli sbagli, nei quali indubbiamente tutti possiamo incappare, ed è nella loro correzione, attuata in completa autonomia che, secondo me, sta la vera crescita di qualunque ragazzo.

            Spesso avrei voglia di sbuffare o anche di lamentarmi quando sento certe discussioni o anche delle polemiche che si accendono con niente nella nostra casa. Ci vuole tolleranza, rifletto in silenzio, piuttosto che andare avanti a testa bassa come un qualsiasi animale inferocito. Non che mia moglie sia una persona capace di tenere il pugno duro, tutt’altro. Secondo lei è l’amore ed il senso di unione tra i componenti di una famiglia che porta ai migliori risultati, e la trasparenza su ogni cosa che viene decisa da ciascun individuo ne è la migliore caratteristica. <<Come stanno Marco e Federico in questo periodo?>>, le chiedo a volte per comprendere qualcosa di più sulle nostre dinamiche familiari. E Celeste ecco che comincia a spiegare che il maggiore potrebbe fare una certa cosa, ed il minore quell’altra, che sarebbe meglio se noi ci facessimo vedere in un certo modo, piuttosto che in un altro, e così via. Mi annoio immediatamente di questa maniera di riflettere le cose, e credo che ragionamenti siffatti non portino mai a dei risultati tangibili, anche se non oppongo alcun disaccordo, lasciando che lei prosegua a credere che in questa maniera si possa davvero migliorare la situazione.

            In certi casi mi sono messo ad ascoltare gli argomenti che tutti davanti al tavolo sono stati capaci di tirare fuori, in alcune sere durante la nostra cena familiare, e devo dire che alla fine ho sempre trovato naturale e accettabile il comportamento ed il discorrere di ognuno, anche se potrei essere stato in disaccordo su una cosa oppure sull’altra. Ma rimango della stessa opinione di sempre: lasciar fare ai figli ciò che credono meglio per loro stessi, senza né spingerli e nemmeno ostacolarli. Piuttosto che pensare troppo a loro, o preoccuparsi del loro avvenire, credo che in questo momento, all’interno di questa casa, io e mia moglie si debba il più possibile pensare a noi stessi, alla nostra salute, al nostro spirito, che può compromettere anche troppo facilmente tutta la serenità. Siamo giunti all’età in cui dobbiamo trovare tra noi un confronto migliore, mi pare, e poi stare tranquilli, senza problemi, cancellando il più possibile ogni eventuale preoccupazione.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 21 dicembre 2023

Dentro alcune preoccupazioni.


Non mi sembra una brutta cosa, penso io, tirare fuori almeno in certi casi la propria personalità e mostrare a tutti a cosa si aspira, ed anche ciò che magari ci disturba, proprio così come sta facendo Federico. Lui in questo momento la sta aspettando in un caffè di una strada piuttosto frequentata, dopo che si sono dati quell’appuntamento già stamani all’uscita dal liceo; perciò, si è seduto ad un tavolino, ed ora sta semplicemente giocando con il posacenere, quando Cristina improvvisamente arriva, bella e radiosa, accesa nello sguardo e sorridente come sempre. <<Ti ho preceduta>>, fa lui, <<perché volevo vedere esattamente la tua espressione mentre varcavi la soglia del locale>>. Lei sorride, dice ciao, poi si siede. Tra poco andremo insieme a vedere questa casa di studenti, quella dove lui si è trasferito, penso io, e forse ne trarrò con facilità una brutta opinione, o magari no, visto che mi sembra improvvisamente tutto così diverso da quando Federico mi ha confidato molte cose su di sé e sulla sua famiglia. <<Sono curiosa>>, dice lei adesso sorridendo; <<vorrei però che tutto fosse esattamente come me lo immagino, e quindi è certo che proverò quasi senz’altro qualche piccola delusione>>. Lui ordina al cameriere due bibite, poi dice: <<non ne vedo il motivo, considerato che in questa nuova casa non intendo stare molto, mi tratterrò soltanto per il tempo che mi serve>>. Ma certo, penso io, è proprio questa la parte che mi piace di più della faccenda: mostrare alla sua famiglia il proprio carattere, la sua personalità, e l’essere capace anche di prendere decisioni controcorrente. <<Pensi proprio che in questo modo tuo fratello capisca la lezione?>>, dice lei in fretta, ma Federico la guarda, e qualche dubbio probabilmente ce l'ha dentro la testa, e in ogni caso lascia comprendere che per lui è lecito tentare. <<Penso di sì>>, dice alla fine. <<In fondo gli mostro un coraggio che lui non ha mai avuto, neppure con le parole>>. Poi si alzano ed escono svelti da là dentro.

Io e Federico non stiamo propriamente insieme, penso io, anche se ormai ci confidiamo tutto come fidanzati, l’uno all’altra. Sono sicura che questa decisione di andarsene da casa lui l'avrebbe compiuta anche senza il mio sostegno, così come è stato capace di trovarsi un lavoro almeno per le serate dei fine settimana; in ogni caso non mi dispiace dirgli di continuo quello che effettivamente penso, senza mai tirarmi indietro: è la mia maniera per stargli vicino in un momento sicuramente non troppo facile, e Federico sono sicura che lo sa apprezzare. Non ci vuole molto, e dopo una breve passeggiata sono lì, davanti ad uno scalcinato e brutto portone condominiale, pronti a salire fino su, a quell’ultimo piano. <<L’ingresso e le rampe della scala non danno proprio una buona impressione>>, fa Federico intimidito, ed io penso intanto come in effetti abbia proprio ragione. Poi entriamo nell’appartamento, e in questo momento c’è soltanto un ragazzo tra coloro che abitano qui. Poi Federico mi fa vedere la sua stanza, che comunque divide con un altro, ed è un po' da riordinare, penso subito io, però è anche accogliente, piena di oggetti quasi in ogni angolo. Così dico ad alta voce esattamente ciò che ho pensato d’impatto, e Federico sorride, sicuramente è d’accordo, penso io; perciò, facciamo brevemente il giro dell’appartamento e poi si decide subito di andarcene, considerato che questo non è certo il luogo giusto dove stare adesso.

Usciamo, in silenzio, e fuori è quasi buio, così cerco qualche parola da dire a Federico sotto ai lampioni della strada, ma non ne trovo, così penso, anche se la casa non mi è piaciuta troppo, che resta però l’importanza del passo che ha fatto lui rompendo le abitudini della sua famiglia. Credo comunque che Federico abbia compreso perfettamente quello che penso, e credo anche che in qualche maniera sia rimasto perfino lusingato dai miei comportamenti. Se Federico mi chiedesse di metter su con lui un rapporto un po’ più stretto, credo gli direi di no, penso adesso io, ma sono convinta che neanche a lui andrebbe bene qualcosa di diverso dalla maniera come ci stiamo comportando. Loro due fanno un giro in centro senza meta, e tanto per alleggerire la giornata si scambiano delle battute spiritose, senza impegno; eppure, penso io, non ci sarebbe neanche bisogno di parlare in certi momenti, visto che le nostre riflessioni silenziose sembrano quasi comunicanti per conto proprio. Incontrano qualche ragazzo della scuola, si fermano, dicono anche a loro qualche sciocchezza, si salutano, riprendono semplicemente ognuno per la propria strada, e Cristina si sente bene, tranquilla, perfettamente a posto. Non so, forse vorrei conoscere Marco, il fratello di Federico, soltanto per comprendere un po' meglio i comportamenti tra di loro, io che sono figlia unica. Però non devo assolutamente chiedere niente, penso ancora io: non voglio in nessun modo essere entrante, curiosa, ficcanaso; devo rimanere sempre ad una certa distanza dai problemi di Federico, penso alla fine; anche se qualche volta le provo persino dentro di me le sue preoccupazioni.

 

Bruno Magnolfi

martedì 12 dicembre 2023

Bomba innescata.


Ogni mia buona intenzione oramai appare inutile. I miei figli tra loro non si rivolgono quasi più la parola, e mio marito non parla né con i suoi figli né con me. Per tanto tempo io ho cercato di vedere con ottimismo quel poco che era possibile salvare di questa famiglia, e mi sono sempre spesa al massimo nel sostenere questa mia idea, ma adesso mi sento stanca, provata, quasi impossibilitata a mettere in atto altri argomenti o ulteriori tentativi per cercare di costituire il possibile collante che ci mantenga ancora uniti, solidali, compatti, proprio come dovrebbe essere un nucleo come il nostro, racchiuso ogni giorno tra le mura di questa casa. Proseguo a fare le solite cose di sempre, ma appaiono quasi insignificanti i miei sforzi, come se tutto avesse preso infine una direzione definita e immodificabile. Esco ed incontro la signora Marcella, la nostra vicina di casa, e lei mi guarda come se avesse compreso già tutto quello che sta avvenendo poco per volta nel chiuso del nostro appartamento. Si limita a farmi un sorriso compassionevole, e a me vengono le lacrime agli occhi specchiandomi in quel suo sguardo che non pone più neppure delle domande. Mi prende una mano, mi dice forse qualcosa che vuol essere rassicurante, ma io mi sento a terra, e non riesco neanche a reagire. Non capisco dove abbia sbagliato, se mai ho sbagliato qualcosa, e in ogni caso mi è proprio impossibile adesso far finta di niente.

<<Signora Celeste>>, mi dice alla fine Marcella rompendo ogni indugio; <<ma che cosa c’è che non va più bene, che cosa succede in questa sua famiglia, che fino a poco fa era impossibile persino da immaginare, tanto sembrava perfetta e soprattutto equilibrata?>>. La guardo ancora senza trovare dentro di me le parole più adatte per spiegarle il mio affanno, il mio sentirmi purtroppo vinta, poi le dico soltanto: <<Non lo so, però si è rotto qualcosa, ed io adesso sento di aver fallito, di non essere riuscita in tutti questi anni a mettere insieme le nostre differenti personalità>>. Poi ci guardiamo attorno, come a voler evitare di dare un piccolo spettacolo con le nostre confidenze, ma io mi appendo alla comprensione di questa donna come se fosse l’unica strada che ho per riuscire ad essere ancora sincera. <<Non demorda, signora Celeste, non lasci che l’apatia prenda il sopravvento, e che tutto divenga solo un gioco crudele senza alcuno scopo>>.

Mi guardo attorno, adesso sorrido, <<va bene>>, le dico, <<devo reagire, non si preoccupi per me, è solo un momento di scoraggiamento quello che sto attraversando, ma passerà, vedrà, tra poco tutto andrà a posto, e le cose saranno di nuovo accettabili. Devo andare, adesso, mi scusi, però la ringrazio>>, dico confusa allontanandomi. Marcella mi guarda ancora mentre mi volto, ed io riprendo a camminare, ricomincio ad andare incontro alle mie faccende, come sempre, mentre ingoio un singhiozzo e faccio subito finta di niente, perché niente è accaduto, soltanto sciocchezze, cose del tutto insignificanti, che non hanno valore. Devo concentrarmi sulle attività più terrene, cosa preparare per cena, le bollette ancora da pagare, passare di farmacia per le piccole di Achille che stanno quasi per terminare. E poi devo ricordarmi di chiedere a Marco che cosa sia successo tra lui e suo fratello, e per quale motivo, visto che lui è il maggiore di età, non riesca ad essere più indulgente verso Federico, che forse ancora deve comprendere alcune cose. Poi mi fermo al solito supermercato di quartiere, ma le persone che sono all’interno sembra che mi guardino con un certo sospetto, come sapessero perfettamente delle preoccupazioni che mi stanno attraversando la testa. Fingo una certa indifferenza, anche se mi sento addosso gli sguardi da parte di tutti, e coloro che non mi stanno osservando probabilmente hanno soltanto un moto di pena per me.

Pago rapidamente i miei pochi acquisti, e poi fuggo a passo svelto verso il rifugio di casa, salgo le scale quasi di corsa, chiudo la porta alle mie spalle, e quindi tiro un sospiro per il sollievo che provo. Appoggio le buste con i pochi acquisti sul tavolo della cucina, faccio un cenno ed un saluto ad Achille che non mi sta neppure guardando, e poi entro in camera mia, giusto per togliermi di dosso il soprabito, anche se dentro l’armadio so perfettamente che c’è la solita bottiglia che aspetta soltanto di essere aperta per darmi almeno un po’ di quello sciocco coraggio che adesso mi serve. Dovrò andare da qualcuno, rifletto, e confessare tutto quello che mi sta succedendo, senza omettere niente, neanche il fatto che oramai mi sento quasi una mezza alcolizzata, e che avrò bisogno di un vero supporto psicologico per sentirmi in grado di uscire da questa specie di incubo. Poi metto a posto le cose, con calma, sistemo una pentola sopra al tavolo ed inizio a preoccuparmi del pranzo. Presto smetterò di essere così solerte, e probabilmente mi lascerò andare senza interessarmi ancora di tutti i miei compiti, e sarà allora che scoppierà davvero la bomba.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 6 dicembre 2023

Automatismi.

   

            <<Pronto; sì, sono io>>, dico al telefono frettolosamente, colto alla sprovvista come mi sento, da quella voce gracchiante del mio capoufficio che mai avrei pensato potesse chiamarmi a casa, mentre ancora sono coperto da un certificato medico che attesta la mia impossibilità, almeno momentanea, nel recarmi al lavoro. <<Come stai, Achille?>>, mi fa quasi ridendo, meravigliandomi per essersi ricordato addirittura il mio nome di battesimo, in un ambiente dove generalmente gli impiegati si chiamano tutti quanti tra loro solamente per cognome. <<Signor Mari>>, rispondo io, ancora impacciato. <<Ma che sorpresa>>, gli dico. <<Inizio a stare abbastanza bene, ad essere sincero. Tanto che contavo di tornare in ufficio. La prossima settimana, forse>>. Intanto avverto una certa confusione intorno a chi mi sta parlando, anche qualche risata lontana, come se il capufficio fosse interrotto da qualcuno vicino a lui che intanto gli sta parlando forse di qualcos’altro. <<Bene>>, fa subito il signor Mari. <<Qua stiamo un po’ in difficoltà con gli inserimenti dei dati nel sistema, ma avanti di assumere un nuovo impiegato, si voleva conoscere i tuoi tempi, in modo da evitare di rimpiazzare il tuo posto di lavoro>>. Resto folgorato da queste parole schiette e tremende. Non pensavo si potesse giungere così in fretta ad un gesto del genere. Quasi fossi un assenteista. Oppure uno che in passato abbia mai ecceduto nei certificati medici. <<No>>, fo io, forse già balbettando. <<Sto per rientrare al lavoro. Non si preoccupi. Questione di pochi giorni. Tutto tornerà al proprio posto. Presto, senza alcun problema, stia certo>>. Avverto una nuova pausa, come se all’apparecchio nessuno mi avesse del tutto ascoltato. <<Bene, Achille; allora ti aspettiamo: in gamba, mi raccomando, perché qui c’è anche del lavoro arretrato da sbrigare e da sistemare>>. E poi non faccio neppure in tempo a formulare un saluto, che il signor Mari ha già riagganciato.

            C’è stato un tempo, oramai molti anni fa, in cui i rapporti di lavoro tra tutti i collaboratori di quegli uffici apparivano diversi, ed ogni impiegato si sentiva tranquillo, quasi protetto in qualche modo dai propri colleghi e superiori. E poi si scambiavano favori, e tutto scorreva quasi d’incanto, senza mai alcun problema. Poi le cose sono cambiate, ed ognuno si è ritrovato da solo dietro al proprio schermo dell’elaboratore, senza più amici e colleghi a sostenerlo, ma unicamente circondato da certe vipere pronte a parlar male degli altri pur di ottenere la simpatia di qualcuno che conta. Mia moglie adesso, che mi aveva passato la telefonata pochi minuti fa, mi guarda spaurita, come se avesse perfettamente compreso il traballare della mia posizione lavorativa. <<Devi rientrare>>, mi fa tenendo una mano dentro l’altra, con un’espressione quasi attonita; <<stai meglio, indubbiamente, questo periodo di riposo ti ha senz’altro giovato. Allungare ancora i tempi sarebbe probabilmente una noia anche per te>>. La guardo per un momento, poi torno a sedermi, dopo aver parlato al telefono restando in piedi. <<Ma certo>>, le dico. <<Qua mi sto semplicemente annoiando>>. Dalla cucina giunge intanto un lieve odore di verdure bollite, e Celeste, ricordandosi di avere qualcosa sul fuoco, si affretta a tornare nell’altra stanza, per la preparazione del nostro pranzo.

Nel periodo in cui frequentavo una mia collega, e mi vedevo con lei di nascosto in genere per un paio di volte di ogni settimana, qualcuno molto curioso nei nostri uffici si era senza dubbio accorto della nostra relazione, e sembrava però quasi invidiare la mia disinvoltura, tanto che forse già sono nati proprio in quel momento i primi comportamenti avversi alla mia condotta. Me ne ero fregato, a quell’epoca, ed avevo tirato avanti così come mi pareva meglio, senza preoccuparmi, però sicuramente più di un impiegato deve aver immaginato che prima o dopo si sarebbe verificata per me una specie di resa dei conti. Non mi lamento adesso, quello che ogni giorno porto avanti non è nient’altro che il mio lavoro, e non c’è dubbio che devo proseguire a dedicarmi a questa attività senza mai guardarmi dietro. Non ho fatto mai alcuna carriera, sono rimasto una pedina qualsiasi come molti insieme a me, ma non è possibile nelle mie condizioni far altro che accettare quello che ho, ed abbassare la testa nei confronti anche di un qualsiasi capoufficio che magari si diverte alle mie spalle mettendomi paura. Tornerò al lavoro, e le cose riprenderanno il loro andamento di sempre, ho pensato mentre stavo scambiando un lungo sguardo con Celeste. Lei ha sorriso, forse sperando così di incoraggiarmi, ma avrei preferito non avesse avuto in questo momento alcuna espressione.

Poi ci siamo messi a tavola, tanto i nostri figli spesso tornano più tardi, in certi giorni restano persino fuori a pranzo, e così passiamo una mezz’ora io e Celeste uno di fronte all’altra, quasi senza dirsi una parola, con gli occhi sulle stoviglie, anche se lei immagino non parli con me soltanto per evitare di dare disturbo ai miei pensieri. Così io a volte le chiedo: <<Come va?>>, tanto per sentire di nuovo la sua voce, per scuoterla dal torpore in cui sembra caduta; ma lei risponde subito: <<Benissimo>>, anche se forse lo dice soltanto per una forma di ordinario automatismo.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 30 novembre 2023

Felice e spensierata.


            Non so, non riesco proprio a capire cosa stia succedendo in questa casa. Sembra che ogni equilibrio improvvisamente si sia perduto, e che i rapporti tra di noi della famiglia, che andavano così bene fino a ieri, abbiano deciso di sgretolarsi, e di non riconoscere più l’affetto che da sempre ci ha tenuti insieme e spinto in avanti. Mentre come sempre eravamo a tavola per cenare, mio figlio Marco ha iniziato a criticare, commentando una notizia qualunque riportata dalla televisione, la politica inefficace praticata dal governo in ambito lavorativo; un buon argomento, visto che tra poco sia lui che suo fratello dovranno decidere quale mestiere scegliere una volta terminati i loro studi, ho pensato, e subito Federico ha iniziato col dire che non è vero, che non c’è nessuna crisi, e che se i cittadini continueranno a desiderare unicamente il posto comodo e pagato pure bene, nessuno d’ora in avanti vorrà più accettare i posti di lavoro che oggi vengono offerti. Non c’è voluto molto, e subito hanno iniziato tutt’e due ad alzare la voce, come se dalla loro discussione ne seguissero delle decisioni fondamentali. Naturalmente ho cercato di calmarli, ma immediatamente loro mi hanno detto: <<mamma, tu non sai assolutamente niente di queste cose, perciò lasciaci perdere>>, ed io mi sono sentita all’improvviso piccola, inutile, senza alcun valore. È stata la prima volta che mi sono sentita in questo modo, perciò non ho insistito, ed ho cercato anzi di mostrare indifferenza a quel loro battibecco, anche se dentro di me stavo già male. Mio marito come al solito se ne rimaneva in silenzio, come fosse all’interno di un mondo separato, e i miei figlioli hanno proseguito a discutere ad alta voce, fino a quando Federico si è alzato da tavola ed è andato nella sua camera.

            Naturalmente, con voce bassa e con molta calma, ho chiesto a Marco che senso avesse tutto questo, ma lui ha fatto spallucce limitandosi a riprendere a mangiare come se nulla fosse successo. Allora con una scusa mi sono alzata dalla tavola ed ho raggiunto Federico, che intanto si stava già preparando per uscire, ma almeno mi ha abbracciato sorridendo, e poi ha detto soltanto: <<è tutto a posto, mamma; non preoccuparti: purtroppo ci sono delle cose su cui io e Marco non abbiamo proprio la medesima opinione>>. Non ho saputo proprio cosa dirgli, e allora ho chiesto soltanto: <<ma adesso te ne vai?>>, e lui con una smorfia ancora simile a un sorriso, ha detto semplicemente: <<mi aspettano gli amici, ma resto fuori poco>>, e così è uscito. Marco mi ha spiegato in seguito che lavorando al fine settimana per la consegna delle pizze a domicilio, Federico si sta trovando ogni volta a contatto con un mondo un po’ particolare, in genere costituito da molti stranieri che non riescono ad inserirsi in altre attività; e poi evidentemente quello è senz’altro un mestiere duro e faticoso, e da un’esperienza di quel genere è facile formarsi delle idee tutte personali. <<Sicuramente è affaticato, in questo periodo, e gli pare comunque che questa sia l’unica maniera per ritrovarsi qualche soldo in tasca. E poi c’è da dire che nel campo dei diritti coloro che fanno quello che fa lui, sono abbandonati quasi da tutti, ed è facile così nutrire l’orgoglio di sentirsi liberi e pieni di volontà>>.

            <<Va bene>>, ho detto io; <<ma farà queste consegne soltanto per qualche tempo, Federico, e dopo basta>>. Marco mi ha sorriso, poi ha cambiato argomento ed alla fine se n’è andato in un’altra stanza ad occuparsi delle proprie cose. Achille in tutta questa faccenda non è minimamente entrato, ed è rimasto ad ascoltare la televisione come se fosse l’unica verità possibile, senza neanche volgere lo sguardo. Io, dopo tutto ciò, ho avuto subito bisogno di farmi un goccetto, e vista la serata storta, ho forse approfittato un po’, tanto che mi girava forte la testa quando sono tornata nella sala da pranzo. Però la sensazione forte che oramai nessuno di noi si interessi agli altri, mi è rimasta conficcata nella mente, ed ho cercato di pensare a quello che forse si sarebbe potuto fare per migliorare le cose della nostra famiglia. Ma non ho trovato alcuna soluzione. Certo, se mio marito stesse bene, potrebbe interessarsi maggiormente di quello che avviene in questa casa, per cui la speranza più forte adesso è rivolta a questi psicofarmaci che dovrebbero lenire la sua forte depressione, anche se inizio a pensare che dipenda tutto dalla sua volontà. Perciò cerco di spronarlo, gli dico che in ufficio probabilmente hanno già avvertito la sua mancanza, che i suoi colleghi si mostreranno contenti di riaverlo tra di loro. Perché sono convinta che riprendendo il suo lavoro lui potrebbe ritrovare gli stimoli giusti per rimettersi completamente in carreggiata.

            Poi ho sparecchiato la tavola ed ho rimesso a posto le stoviglie. Nessuno ha detto niente, e dopo un’oretta è rientrato in casa anche Federico. Di nascosto ho bevuto ancora, e ho riguardato le fotografie dei miei figli quando erano ancora molto piccoli, ma non lo devo fare più: troppa sofferenza mi provocano le immagini di una famiglia così felice e spensierata.

 

            Bruno Magnolfi

domenica 26 novembre 2023

Cure personali.


Sdraiato nel mio letto, con le coperte tirate su fin sotto gli occhi, i muscoli distesi, e tutto il corpo rilassato, non so se la mia mente sia permeata dai pensieri, oppure da un rincorrersi di sogni. Navigo lontano da qui, non ho quasi interesse per ciò che gira attorno a me, so che mi cullo da qualche parte dove probabilmente non sono neanche mai stato precedentemente, ma che immagino sia adesso come il luogo perfetto, dove nessuno grida, e dove la calma che desidero tanto resta proprio qui, vicino a me, senza necessità di essere cercata. Certe volte ho creduto che la mia vita vera non fosse quella che stavo realmente vivendo, e che il mio fosse solamente un andare avanti pari al normale accontentarsi di quello che ciascuno è capace di creare per sé stesso, mettendo da parte, almeno per qualche tempo, le speranze più inavvicinabili. Purtroppo, il passare dei giorni e degli anni dimostra quotidianamente che ciò che abbiamo accettato poco per volta forma lentamente una scorza molto dura, depositando ogni strato via via più inattaccabile, quasi un sentiero tracciato e definito, dal quale il nostro passo incerto non può più permettersi in futuro di deviare. Così credo adesso che nulla potrà cambiare nel corso che una volta per tutte ho dato ai miei giorni, se non peggiorando nel presentare malattie, guai di ogni genere, preoccupazioni e acciacchi personali vari. La mia famiglia è un corpo rigido dalla superficie non scalfibile, con un numero di componenti perfetto e sempre proiettato verso il futuro, quasi una macchina ben lubrificata capace di superare di slancio qualsiasi ostacolo, anche se il basamento su cui si regge dimostra spesso scarsa stabilità.

Se guardo mia moglie, sdraiata nel letto accanto a me, mi appare quasi distante, persa dietro a dei pensieri semplici che oramai non mi rivela neanche più, tanto è sicura che io non li comprenda. I miei figli poi, appaiono continuamente alla ricerca della loro strada, e restano ancora in questa casa solamente per quella evidente convenienza ad essere accuditi e mantenuti, tanto che appena sarà loro possibile è evidente che prenderanno il volo, come passerotti a cui per qualche giorno è stata curata una zampina o un’ala, ed infine sono poi guariti. Non si può fare niente, le cose stanno in questo modo, nessuno sembra capace di fermare il susseguirsi degli eventi, ed anche se all’interno delle mura domestiche regna certe volte qualche palpabile incomprensione, tutto ciò ha poca importanza di fronte al fatto che ogni dettaglio perderà presto di senso, sfumando in un lento e inevitabile proseguire delle cose. Perciò resto nel letto, ad osservare imperterrito intorno a me ciò che non c'è, e che probabilmente non saprei neanche descrivere, restando tanto diverso da quanto sono convinto di conoscere.

<<Achille>>, dice Celeste qualche volta. <<Come ti senti?>>. Ed io mugugno una risposta di buon senso, che almeno non le permetta di porre altre domande. Ma lei insiste, chiede se possa almeno fare qualcosa per alleviare le mie preoccupazioni, supponendo che io sia preoccupato per qualcosa, ed io però non so che dirle, non trovo niente del genere che lei vorrebbe sentirsi rispondere, niente che possa essere d’aiuto a me e forse anche a lei. Non posso affrontare davvero gli argomenti che talvolta mi tormentano. Non posso spiegarle cosa c’è che non va tra me e lei, perché neppure io so cosa sia. Magari mi piacerebbe che lo capisse per conto proprio, e che fosse meno premurosa, meno presente in qualsiasi attimo, meno appassionata come appare ai destini di tutta questa casa. Poi mi sento in colpa, e so che Celeste è la persona che tiene in piedi tutto quanto, ed il suo altruismo è tale che nessuno tra queste mura domestiche può avere il diritto di lamentarsi. Mi giro dentro al letto cercando un’altra posizione, ma lei si alza, vaga per la nostra camera forse cercando chissà cosa per prendersi maggiormente cura di me; infine va di là, nell’altra stanza, ed io immagino che i suoi desideri siano proiettati sempre verso il medesimo scopo, anche se non so comprendere del tutto quali siano, e poi neppure mi sento troppo interessato al suo frugare negli armadi alla ricerca di qualcosa che non sta trovando, e che comunque si dimostrerà del tutto inutile.

Infine, torna a letto, dopo essere stata dentro al bagno, per lavarsi i denti immagino, visto che nell’aria avverto un vago odore di mentolo. Capisco la sua preoccupazione nei miei confronti: devo guarire in capo a pochi giorni o fra qualche settimana. La mia depressione deve restare presto alle spalle della nostra famiglia, e tutto riprendere esattamente com’era fino a poco fa. Ma non è facile che accada tutto questo così come lei vorrebbe; ed è anche la noia che adesso si è affacciata sulla mia giornata a rendere ogni cosa più difficile. <<Devo tornare al lavoro>>, penso adesso con lucidità. <<Sarà sempre meglio che restare ancora a lungo in questa casa, lasciando che lei si occupi di me per tutto il giorno>>.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 23 novembre 2023

Azioni necessarie.


Alla fine, Federico è tornato a casa, mostrando un vistoso bendaggio che gli copriva interamente l’occhio sinistro, e poi la faccia smunta, l’espressione seria, di chi si sente stanco e provato da un’esperienza a dir poco negativa. La mamma si è subito prodigata con gesti e parole per cercare di alleviare le sue sofferenze, ma lui si è mostrato superiore, come se avesse già superato la prova del dolore. Nostro padre, che ultimamente per qualsiasi cosa sembra cadere spesso dalle nuvole, gli ha chiesto che cosa mai fosse accaduto, e lui con riluttanza ha spiegato a tutti noi di avere sbattuto semplicemente contro un palo segnaletico mentre correva, e nient’altro. In seguito, quando io e lui siamo rimasti soli per un momento, gli ho chiesto la spiegazione vera, e Federico ha detto che, mentre sfilava all’interno della manifestazione degli studenti, qualcuno lo ha riconosciuto come un simpatizzante del Centro Giovanile di Destra, e immaginando fosse lì solo per provocare, gli si è rivoltato contro, fino a dargli un pugno in piena faccia. <<Ero con Cristina>>, mi ha detto lui con tenerezza, <<e stavamo camminando, semplicemente, senza fare altro>>. Io non ho detto che l’avevo notato nella piazza dell’ateneo, in mezzo alla calca, e per non irritare le sue presunte nuove posizioni politiche non ho fatto alcun apprezzamento, di alcun genere. Però mi è parso che qualcosa in lui fosse cambiato parecchio, anche se non saprei dire che cosa di preciso.

Ho atteso a lungo il momento migliore, infine gli ho detto a voce bassa che mi dispiaceva che per tanto tempo io e lui non ci fossimo comportati come dei veri fratelli, mostrando sempre una distanza che forse non ha nemmeno mai avuto un vero senso. <<però è colpa mia>>, gli ho detto subito; <<perché non ho mai saputo bene come comportarmi, ed ho lasciato spesso soltanto al silenzio il compito di trasmettere i miei pensieri e le mie idee>>. Federico è rimasto immobile, con la sua buffa testa mezza fasciata. Sicuramente non si aspettava un’ammissione di colpa da parte mia, e soprattutto una richiesta di cambiamento, anche se l’ho visto tremare leggermente a quella mia offerta di vicinanza. Sicuramente ha pensato per prima cosa che ci fosse un motivo di qualche genere per decidermi a parlare in questa maniera, ma poco dopo deve aver riflettuto meglio, ed alla fine ha detto: <<non so, è un periodo strano, e tutto sembra accadere molto rapidamente. Però sono contento che mio fratello mi parli così, in modo sincero, perché in fondo non è successo niente di irreparabile tra noi, ed anche se fosse successo, sono d’accordo che sia giunto il momento di lasciar perdere e mettersi a fare le persone mature>>. Ho sorriso, anche se avevo voglia di abbracciarlo. Ma subito abbiamo scambiato una battuta di spirito, ed ognuno quindi ha ripreso ad occuparsi delle proprie cose.   

<<Anche la mamma è strana in questo periodo>>, gli ho detto, dopo che lui ha girato per casa mettendo in ordine i suoi libri scolastici. Lui non ha risposto, ma si vedeva che non stavo dicendo niente di insolito. <<Deve essere preoccupata per la depressione del babbo>>, ha però detto in modo svelto, come per togliere importanza alla faccenda. <<Non so>>, gli ho fatto io; <<forse si sta incrinando qualcosa tra di loro, o magari intorno a loro. Può darsi che sia giunto un periodo di stanchezza nel loro rapporto, e che forse non sia neppure una cosa troppo recente, ma che adesso si è catalizzata con il riposo forzato di nostro padre, che così immobile e silenzioso per casa non l’avevo neppure mai visto>>. Poi Federico si è scosso, ha voltato la testa, probabilmente ha cercato dentro di sé un argomento che soppiantasse questi discorsi che con certezza lo facevano sentire male, e allora ha detto: <<ero con quella ragazza, oggi; quella Cristina di cui ti ho già accennato; mi piace, sto bene assieme a lei, ed anche se mi sono preso un pugno in faccia che forse nemmeno meritavo, sono contento di essere andato alla manifestazione di stamani per stare con lei>>. Probabilmente, l’attimo dopo ha riflettuto meglio sulle proprie parole, ha lasciato trascorrere qualche secondo, ed alla fine ha chiesto: <<ma tu non c’eri?>>, come se fosse quasi il suo ultimo pensiero, anche se nessuno di noi due sapeva che era la domanda che voleva rivolgermi fin da quando era rientrato in casa.

Allora mi sono alzato dalla scrivania, ho fatto due o tre passi nella stanza come per prendere tempo, e poi ho detto: <<non sono queste le manifestazioni che cambieranno davvero le cose. Non è un momento facile, e dovremmo cercare di impegnarci a fondo se non vogliamo che tutto peggiori rapidamente>>. Lui è sembrato di nuovo pensieroso, ma non ha trovato niente da ribattere. Alla fine, ha mormorato soltanto: <<allora c’eri anche tu, e forse mi hai visto in mezzo a tutti gli altri ragazzi>>. Sono tornato a sedermi alla scrivania, con gesti lenti, quasi affaticati. <<Certo>>, gli ho detto con determinazione. <<Anche se non credo che serviranno a molto queste azioni>>.

 

Bruno Magnolfi   

giovedì 16 novembre 2023

Medicazione.


           Nella piazza dell’ateneo, proprio adiacente al polo universitario cittadino, i ragazzi stamani si sono già riuniti in almeno un migliaio, e la manifestazione indetta dalla Sinistra Studentesca che tra poco inizierà a snodarsi lungo le più larghe strade di tutto questo quartiere, alla fine è stata concessa anche dal questore della città, e nei propositi il corteo dovrebbe svolgersi in maniera vistosa e colorata ma del tutto pacifica. Naturalmente le camionette delle forze dell’ordine si sono comunque già schierate su un lato, e gli agenti, in tenuta antisommossa, presidiano la zona più delicata, quella da dove potrebbero inserirsi i provocatori di Destra. Io mi tengo su un margine, anche perché fino adesso non ho incontrato nessuno tra chi eventualmente potrei conoscere, e tutto sommato cerco di tenermi al di fuori del gruppo di testa dei più agitati. <<Marco>>, dice all’improvviso una voce femminile dietro di me, ed io non faccio quasi a tempo a voltarmi e a riconoscere Tiziana, che lei sta già chiedendo: <<anche tu sei qui per curiosità, mi immagino, proprio come me>>. Attendo un secondo, poi rispondo: <<Si, più o meno>>, cercando in questo modo di non smentire la sua impressione, e soprattutto di non mostrarmi troppo coinvolto dalle idee di questa piazza.

Poi ci scambiamo qualche convenevole, ed infine, anche sospinti dalla calca verso il marciapiede dove comunque stiamo un po' ristretti, e in considerazione proprio della confusione creata da tutti quanti che continuano a chiamarsi e a girare da una parte all’altra, decidiamo di infilarci in un piccolo caffè poco distante, dove molti ragazzi si sono affollati attorno al bancone, ma in una saletta minuscola sul retro c’è ancora un tavolino libero. Ci sediamo, ed io dopo un attimo mi faccio passare, dal tizio che cerca di tenere a bada i clienti, due succhi di frutta e due bicchieri di carta. Adesso io e Tiziana ci guardiamo con una certa calma mentre sorseggiamo le nostre bibite, e mentre sono mentalmente alla ricerca di un argomento che ci accomuni, le chiedo scontatamente che esame stia preparando in questo periodo. Lei mi guarda, sorride, poi inizia subito a parlarmi di Svevo e della sua “coscienza”, e di come il suo modo di affrontare la scrittura in quegli anni fosse già molto avanti rispetto ai Tozzi e ai Pirandello dell’epoca. Annuisco, ma lei sembra proprio aver trovato il filone giusto, e così prosegue spiegando in fretta: <<La psicoanalisi non era stata ancora sdoganata in quegli anni, ma lui per propria intuizione aveva già operato un grande lavoro su di sé, e con i suoi personaggi giungeva poi a rinnovare una volta per tutte il vecchio romanzo ottocentesco>>.

Mi viene quasi da sorridere, sembra proprio che questa ragazza che ho di fronte stia sfoderando gli argomenti preparati per l’esame, ma poi annuisco ancora, e di colpo le chiedo dove abiti. Così parliamo anche dei locali e degli spettacoli a cui lei ha assistito ultimamente, e tutta questa conversazione però viene interrotta all’improvviso da un’esplosione di cori urlati e di forti fischi provenienti dalla piazza dove intanto sono sopraggiunti altri ragazzi e in cui si sta formando il corteo vero e proprio che, da un attimo all’altro, sembra proprio pronto a partire. Così paghiamo rapidamente e usciamo per vedere che cosa realmente stia accadendo, e soprattutto verso dove si stia dirigendo la fiumana di persone che ha affollato oramai ogni spazio libero. Ed è esattamente in questo momento che intravedo, tra le innumerevoli teste che formano quasi un muro compatto davanti a me, mio fratello Federico, mentre si guarda attorno forse un po’ stralunato, ma senza notarmi. È insieme a una ragazza, riesco a vedere, e stanno parlando tra loro rimanendo molto vicini, ed immagino probabilmente sia proprio quella Cristina di cui sembra si sia invaghito negli ultimi tempi, e che velocemente lo sta portando lontano da quelle idee malsane della gioventù di Destra che sembrava lo avessero tanto affascinato. Poi lo perdo, mescolato tra i gruppi di studenti del Liceo e degli Istituti Tecnici, ma infine lo rivedo poco dopo mentre insieme alla ragazza escono subito dal corteo che intanto ha iniziato a confluire lungo via del Corso. Mi ritiro schiacciandomi contro un portone, e Tiziana mi osserva per comprendere che cosa stia facendo. <<C’è mio fratello>>, le dico allora tanto per giustificare quel mio gesto, <<e non voglio proprio che mi veda>>.

<<Va bene, ma io adesso torno a casa>>, dice Tiziana; <<devo ancora studiare molte pagine, ed ho l’appello solo tra due settimane>>. <<Ti accompagno>>, mi offro, anche per trovare una scusa per non infilarmi tra le maglie della manifestazione, ma lei dice in fretta che non ce n’è bisogno, e così in un attimo la perdo, confusa in mezzo a molti altri che adesso sembrano disperdersi nelle piccole strade del quartiere. Quando torno a casa mia madre mi spiega con agitazione che le ha telefonato Federico, e sembra abbia avuto un piccolo incidente, niente di grave per fortuna, ma sembra si sia dovuto fermare ad un Pronto Soccorso del Centro per farsi medicare.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 8 novembre 2023

Finalmente disinteressato.


<<Non fare il cretino>>, mi ha detto in malo modo uno dei ragazzi del Circolo Giovanile di Destra. <<Stasera tu vieni con noi; attacchiamo insieme qualche manifesto di propaganda sui muri, poi facciamo un giro davanti al Sindacato, e così una grande e bella scritta di vernice nera sulla loro facciata campeggerà là sopra per qualche tempo, a ricordare a tutti chi siamo noi e quanto contiamo>>. Sono perplesso, mi sento combattuto tra il proseguire a dare retta a questi invasati e conseguentemente dare contro al Sindacato che sta curando le sorti di chi lavora alla consegna delle pizze a domicilio come me, oppure rinunciare, anche se essermi schierato dalla parte di chi sta contro a ciò che piace tanto a mio fratello mi sembra una maniera per essere più vero. Lui ha sempre fatto il comunista, quello che ha capito tutto ancora prima di molti altri, e spesso si comporta come guardasse il mondo da un gradino più in alto di qualsiasi altro, ed io forse non lo so, ma non voglio darla vinta facilmente a quelli come lui. Così dico che va bene, e ci diamo appuntamento ad un angolo di strada, <<senza dare troppo nell’occhio>>, mi raccomandano subito gli altri tre che sembrano già navigati in questo tipo di operazioni. Ma io mi sento ancora combattuto, e non so decidermi se questo comportamento sia quello giusto oppure no, proprio adesso che potrei riprendere a rivedermi con Cristina che osteggia tanto le persone di Destra.

Alla fine, ci vediamo come pattuito, ed io mi sento nervoso, sono deciso a non fare altro che accompagnare queste persone che conosco, e al massimo reggere la colla o i manifesti da attaccare, ma quando mi rendo conto che questi ragazzi sono animati da un rancore sanguigno verso tutti coloro che non vedono le cose nella loro stessa maniera, e che hanno sempre bisogno, almeno nei discorsi che mettono in campo, di individuare un nemico contro cui scagliarsi, allora mi sembra che qualcosa in tutto quanto non sia più nella stessa maniera di come l'avevo immaginato. Non può essere un nemico per me il mio stesso fratello, rifletto; non può essere un’avversaria quella ragazza che mi piace e alla quale vorrei dedicare tutto il mio tempo, se solo potessi. Poi gli altri ad un tratto prendono via di corsa nel buio delle strade, sfuggendo il più possibile alla vista, soltanto perché hanno notato i lampeggianti della Polizia, ed io ne approfitto per fermarmi un momento sotto un lampione, a riprendere fiato, e poi tornare indietro, senza preoccuparmi d’altro. Infine, rimasto solo, torno verso casa, anche perché ormai è piuttosto tardi: tra un paio di giorni dovrò riprendere con la consegna delle pizze, devo riposarmi, recuperare le forze per andare avanti con il mio lavoro del fine settimana, e smetterla con queste scorribande senza alcun significato. Potranno ricattarmi, questi ragazzi del Centro Giovanile, andare in giro a dire che sono un pappamolle, uno di cui non ci si può fidare, e più temibile di tutto, che sono un picchiatore impaurito, incapace persino di mostrare i muscoli.

Prendo lungo una strada ben illuminata, e intanto cerco di pensare alla soluzione migliore per uscirne bene da tutta questa faccenda, ma quando ormai sono vicino casa mia, scappano fuori non so da dove i ragazzi di prima, mi bloccano con fare aggressivo, dicono subito che di me non ci si può fidare, e che è meglio se da loro io non mi faccia più vedere, e per metterci la firma mi assestano un pugno per ciascuno in piena faccia, scaraventandomi a terra con il naso insanguinato e la bocca dolorante. Poi proseguono, tirando dei calci al mio corpo ormai senza difesa, ed anche se non urlo, forse per questi qui è come se lo stessi facendo, tanto ci mettono impegno. Poi se ne vanno, ed io resto lì qualche minuto, ma infine mi rialzo, e zoppicando raggiungo casa mia, la mia famiglia, la sicurezza della mia camera e del mio letto. Dovrò inventarmi qualcosa che giustifichi i miei segni sulla faccia, qualcosa da raccontare alla mamma e a mio fratello già domani mattina, e poi evitare da ora in avanti quell’ambiente che mi ha appena punito soltanto per un atto di insicurezza. Meglio, rifletto, adesso so per certo che non potevo continuare a lungo a stare insieme a loro, anche se mi ero lasciato trascinare per qualche tempo da quei modi decisi, dall’immediatezza di quelle vedute.

Mentre cerco di prendere sonno, dopo che mi sono trattenuto a lungo nel bagno per controllare tutte queste piccole ferite, penso a Cristina come ad un angelo che mi appare all’improvviso, forse la persona in questo momento che sento più vicina, e come finalmente io possa presentarmi di fronte a lei con la testa alta. <<Sono stato un cretino>>, potrei dirle senza limitarmi, <<solo perché ero rimasto affascinato da qualcosa che alla riprova dei fatti non era assolutamente degno della mia stima. Ora voglio disinteressarmi di tutto questo, allontanarmi il più possibile da un mondo che non è assolutamente il mio, e che di sicuro non riuscirà mai più per adularmi, come purtroppo invece è capitato>>.  

 

Bruno Magnolfi

giovedì 2 novembre 2023

Niente di male.


Sempre più spesso provo la voglia di uscire da qua dentro. Farmi un giro, prendere aria, magari incontrare qualcuno, proprio come penso faccia ogni giorno mio fratello, che è sempre stato indifferente allo starsene nel chiuso a riflettere le proprie cose, o a cercare la propria intimità. <<Stai uscendo, Marco?>>, chiede la mamma osservandomi sorpresa, poco abituata com'è nel vedermi sortire di casa durante le ore serali. Mi fermo, annuisco, penso di non avere bisogno di convincere la sua intelligenza di qualcosa, devo soltanto fare quello che per me reputo giusto in questo momento, senza dare alcuna spiegazione. Indosso una giacca, prendo le chiavi, osservo la porta alla fine del corridoio, e poi vado, senza pensarci più. Scendo le scale condominiali, i muscoli delle gambe si riscaldano leggermente, le mie mani accarezzano l'aria come sensori, pronte a captare qualsiasi variazione intorno a me. C'è un locale alla buona, poco lontano, dove si può bere una birra ed ascoltare musica, senza alcuna necessità di parlare con qualcuno. La strada mi sembra scostante, in giro c'è qualcuno con un cane, altri appaiono immobili alla fermata del mezzo pubblico. Credo che la sensibilità sia per tutti un elemento fondante. Ci si impegna al massimo per comprendere i segnali che ci possono raggiungere e che richiedono da noi una mutazione rapida di comportamento.

Infine, passo sotto un'insegna che riporta una pubblicità banale, ed entro nella birreria. C'è gente, ma non troppa, così mi siedo su una panca di legno quasi libera, e dopo poco, sul tavolo su cui ho appoggiato un braccio, mi faccio servire una rossa che pago subito, così come viene richiesto. Un ragazzo di fianco a me fa il simpatico urlando qualcosa a una ragazza che ha di fronte, mentre due tizi, dall'altro lato del locale, suonano qualcosa con le loro chitarre e le voci amplificate. La ragazza mi guarda, studia il mio profilo. Poi dice con voce alta che mi ha visto all'università, così le sorrido mentre annuisco, ed infine le chiedo che facoltà frequenti. <<Lettere moderne>>, mi dice, ma poi evita di chiedere la stessa cosa a me, ed io le sono riconoscente anche per questo. Però, quando il ragazzo si alza per salutare degli amici, lei torna a guardarmi, e poi avvicinandosi mi spiega che purtroppo non si sta trovando bene nel seguire le lezioni. <<Sono tutti scostanti i miei compagni>>, dice; <<nessuno ha voglia di formare dei gruppi di studio, o prestarmi i loro appunti, o anche scambiare qualche informazione sui seminari, sugli assistenti, oppure sul docente. Ognuno sta per conto proprio, e a me almeno un po' dispiace questo atteggiamento>>. Lascio cadere l'argomento senza recriminare nulla, però poco dopo le chiedo se non sia tutto il polo umanistico, di cui fanno parte le nostre facoltà, a deludere le proprie aspettative. Lei mi guarda con maggiore attenzione adesso. Alla fine, dice semplicemente che comunque non sa se parteciperà alla manifestazione di ateneo. <<Però ci sono dei problemi, per chiunque>>, insisto io. <<Va bene>>, fa lei, <<però occupare l’università mi pare eccessivo; ed io su questo non sono d'accordo>>. Sorrido, lo immaginavo; torna il suo amico, ed io guardo qualcosa sul palco dove continuano a suonare.

Dopo poco la ragazza ed il suo amico si alzano dalle panche per andarsene, e lei mi fa: <<Ciao, io comunque mi chiamo Tiziana>>, così torno a sorridere mentre le stringo di fretta la mano e le rivelo di chiamarmi Marco. Ho quasi finito la mia birra, e non ho nessuna intenzione di ordinarne un'altra, perciò poco dopo mi alzo anch'io, compio il giro del locale come per vedere se ci fosse qualcuno che conosco, ed infine mi soffermo davanti ai tizi che proseguono a suonare con impegno. Poi esco. Penso che questo, per il bisogno di socialità che riesco a dimostrare, non sia un locale adatto a me. Parlare in maniera superficiale non è un'attività che si adatta molto ai miei modi di fare, e poi farlo nel mezzo a suoni e rumori di ogni tipo non appaga praticamente niente della mia curiosità. Compio un ampio giro senza una meta precisa, comportandomi quasi come se avessi un cane in fondo ad un guinzaglio, e lo dovessi portare un po' a passeggio come fanno tanti altri. Poco distante dal locale incontro di nuovo la ragazza, che adesso sta insieme a quattro o cinque persone a ridere sguaiatamente, ferma insieme a loro sopra un marciapiede, e quando le passo più vicino mi fa: <<Marco, il mondo è piccolo, ti va di fare due passi insieme a noi?>>. Non trovo alcuna scusa che giustifichi un rifiuto, così mi accosto a Tiziana mentre penso che forse una conoscenza come lei nell'ambito universitario possa sempre essere utile. Mi fermo, lei mi prende per un braccio, poi mi dice: <<sei un tipo ombroso, mi pare. Però devi saper riflettere le cose in modo molto compiuto, e questo mi piace>>. Sorrido, non capisco di preciso cosa abbia voluto dire, o se alludeva a qualcosa di preciso, in ogni caso va tutto bene, e se scambio due parole con qualcuno, adesso che è possibile, non mi sembra proprio un male.

 

Bruno Magnolfi  

lunedì 30 ottobre 2023

Soltanto Freddy.


            Ognuno ha un soprannome, in questo ambiente. A me hanno affibbiato subito quello di Freddy, e siccome sono l’ultimo arrivato, tutti mi chiamano da ogni parte e non mi lasciano neppure il tempo per riuscire a respirare. Poi mi dicono di andare in via Scialoja solo per tre pizze, visto che a nessuno interessa fare una scarpinata fino lì per una sola consegna. Mi battono una mano sulla spalla ridendo, mi caricano lo zaino contenitore, e via, di corsa sui pedali. Resto collegato con gli auricolari nella speranza che mi richiamino indietro per aggiungere qualche altra consegna da effettuare nella zona, ma non succede niente del genere, e allora vado avanti, senza mai voltarmi. L’indirizzo mi ricorda qualcosa, ma è come un elemento remoto nella mia memoria, e non ci faccio neppure troppo caso. Invece, quando arrivo sul posto, mi rendo subito conto che il palazzo è proprio quello dove abita Cristina con i suoi genitori. Secondo piano, mi hanno detto in sede, ma il portone sulla strada è chiuso, così faccio suonare il campanello e subito scatta l’apertura elettrica per farmi entrare. Salgo le scale con il fiato grosso, e quando giungo sull’ampio pianerottolo, lei è lì, davanti a me, che mi guarda con sorpresa e con un inizio di sorriso sulle labbra. <<Ciao>>, dico sprecando quasi tutta l’aria che mi è rimasta nei polmoni; <<ti ho portato le pizze>>. Lei si avvicina, mi accarezza il viso, ma capisco che vorrebbe anche abbracciarmi, se solo fossi meno sudato e accaldato, come dimostro con grande evidenza. <<Sono contenta di vederti>>, dice Cristina mentre mi aiuta a liberarmi dallo zaino e a prendere i cartoni. <<Anche io>>, dico in un soffio.

            Lei tira fuori i soldi, ma io ormai mi sento immobile, incapace di fare o dire qualsiasi altra cosa. Forse vorrei restare così, davanti a lei, per almeno una mezz’ora, magari anche di più. Mi angoscia pensare che questa sia davvero la mia occasione buona per ricucire i rapporti con questa ragazza che ho di fronte, e per nessun motivo al mondo vorrei sprecarla per stupida timidezza, o per chissà cos’altro. Cristina mi mette nella mano alcuni soldi, forse dovrei anche fare il resto, ma sono completamente imbambolato, e non so più neanche riflettere su quello che sto facendo o che invece dovrei fare. <<Ho tanta voglia di baciarti>>, le dico senza misurare affatto le parole; ma lei sorride ancora di più: <<tieni pure il resto>>, mi dice svelta; poi si avvicina e mi sfiora la bocca con le labbra. Soltanto un attimo più tardi arriva alle sue spalle il padre di Cristina, ed io rientro immediatamente nel mio ruolo; impacciato, stordito, incapace come sono, mi carico di nuovo il contenitore sulle spalle. <<Grazie, buonasera, arrivederci>>, dico senza dare importanza alle parole, e torno svogliatamente a scendere le scale, mentre lei, passati i cartoni a suo padre che sparisce nell’appartamento, resta sulla soglia a guardarmi andare via, silenziosa, immobile, forse felice di questo nostro inaspettato incontro. Mi volto: <<adesso il mio nome è Freddy>>, dico tanto per ridere, anche se mi rendo subito conto di aver fatto bene a calcare la variazione. Poi sparisco.

L’amore è solo egoismo, dicono in molti, però la vertigine che riesce a provocare ti fa dimenticare persino chi sei e che cosa stai facendo. Prendo un giro largo e lento con la mia bicicletta, mentre negli auricolari hanno già cominciato di nuovo a chiedere di me: <<Freddy, Freddy>>, urlano per chiamarmi, come sapessero già che me la sto prendendo comoda, cercando di farmi passare questa sbronza che sembra qualcosa che mi attanaglia persino i muscoli. Infine, rientro in sede, e i tre o quattro ragazzi che sono presenti mi guardano come se vedessero un fantasma. Poi prendo i dati della prossima richiesta, sperando quasi per assurdità che Cristina voglia ordinare ancora delle pizze, e mi permetta di trovarla di nuovo in cima a quelle scale, dolce, bellissima, meravigliata del mio arrivo nei panni di un ragazzo pieno di buona volontà. <<Siamo tutti degli sciocchi>>, penso all’improvviso a voce alta, e chi mi è accanto adesso mi guarda con ancora maggiore incredulità. Carico il contenitore, lo metto sulle spalle, guardo l’indirizzo; quando mi avvio con la bicicletta tutto d’improvviso è più leggero, e sparisco nella notte cittadina rincorso da qualche macchina e da un mezzo pubblico vuoto per metà. <<Ci sono delle speranze>>, rifletto; <<non credevo che mi importasse così tanto di Cristina, ma ora che qualcosa si è sbloccato so con certezza che dovrò fare di tutto per evitare di farla allontanare ancora da tutti i miei pensieri>>.

La serata è ancora lunga: bici, pizze, soldi, facce ignote, indirizzi da cercare, campanelli da suonare, mance, saluti, portoni chiusi alle mie spalle. Un filo sottilissimo lega i miei gesti a quelli di una ragazza come lei, forse come tante, ma che si dimostra essere tutto il mio sostegno adesso, l’impulso vivo a migliorare, a cercare in me anche la sua preziosa approvazione, l’unica che spesso sembra mancare nelle mie giornate, mentre nella testa sento la sua voce ridente che mi chiama: <<Freddy, Freddy>>, e subito col pensiero so di volare verso lei.

 

Bruno Magnolfi       

giovedì 19 ottobre 2023

Quasi sempre insieme.


            Due passi o tre, proprio davanti a dove cammino io, è lì che c’è sempre quel profilo scuro, quel contorno di persona ombrosa e scarsamente visibile di cui non riesco mai a notare nient’altro se non quella sua sagoma inespressiva, composta da un unico colore, che a tratti scompare e poi riappare, in modo rapidissimo, come una debole luce elettrica a cui in maniera intermittente venga a mancare il contatto. Un fantasma, un replicante, non saprei dire, in certi momenti sembra addirittura del tutto trasparente, ma ciò che mi turba di più osservando questa figura, è che precede sempre ogni mio passo, e in qualche maniera mi anticipa, lasciandomi evidentemente una sola possibilità di scelta, cioè quella di seguirla. Lo so, lo so perfettamente che gli altri non la vedono, che forse per loro non esiste, che è solo qualcosa che riguarda me stesso e i miei pensieri, ed è per questo che non ne parlo mai, in alcun caso, con nessuno. Però so altrettanto bene che a me in qualche modo indica la strada, che mi sostiene nel momento in cui mi trovo da solo, e che bene o male funziona quasi come un cane guida, guardando per me qualcosa che probabilmente io non sarei capace di vedere. Quando sono in ufficio a lavorare non si fa vivo quasi mai, se non rapidamente lungo il corridoio mentre vado verso le macchinette del caffè. Non ho bisogno di parlare mai con lui, perché so che è in grado di leggere tutti i miei pensieri, e di sapere già praticamente tutto di me.

Poi, in un attimo, questo mio doppio se ne va, e non si fa più vedere magari fino al giorno successivo, ma io annuso l'aria, sento il suo odore, percepisco che c'è da qualche parte, anche se non riesco ad avvistarlo. Quando ne sento il bisogno, quando vorrei averlo davanti, lo penso intensamente, ma non è detto che giunga davanti a me solo per questo, anche se sto camminando da solo per la strada. Vorrei parlarne con qualcuno, un giorno o l'altro, chiedere magari ad un tizio che si intende un po' di queste faccende, che cosa ci sia da dedurre da tutto questa cosa. Con mia moglie in generale non ho parlato mai di niente fin da quando stiamo insieme, figuriamoci se inizio adesso col rivelarle una cosa di questo tipo. I nostri figli poi sono grandi, ed hanno già le loro preoccupazioni, inutile mettergli in testa qualche altro pensiero. Così tiro avanti, più per abitudine che altro, e quando mi soffermo ad osservare attentamente questa figura che mi appare davanti con la mia stessa sagoma, comprendo che c'è qualcosa che non va dentro di me, ma fingo con tutti di essere soltanto stanco, di non aver mai voglia di parlare, di provare la necessità di starmene da solo.

Sempre più spesso compio dei lunghi giri sopra ai marciapiedi del quartiere dove abito. Mi rilasso, aspetto che la solita figura che conosco si faccia vedere, poi la seguo senza più pensare a niente, neppure per scegliere la strada da percorrere. Sto bene quando sono così, è inutile che lo neghi, e forse potrei perdermi completamente, anche se questa è l'unica preoccupazione che conservo. Già, perché il pericolo più forte, secondo il mio modo di vedere, è quello che tutta la faccenda mi prenda un po' troppo la mano, e giunga fino ad un punto estremo dal quale io non sia più capace di tornare indietro. Così conservo dentro di me questa piccola tensione, come quando si chiudono gli occhi da soli per il forte sonno, ma non si vuole del tutto abbandonarsi e dormire, o forse non si può, e per questo motivo ci si mantiene su una linea di demarcazione flebile tra sonno e veglia, quasi una sofferenza e basta. Infine, trovo sempre la maniera di rientrare a casa, però di malavoglia, come fosse una forzatura, un dovere, un obbligo al quale non riesco proprio a sottrarmi.

Non credo che qualcuno si sia mai accorto di niente. Non ritengo neppure di essere una persona troppo strana agli occhi di chi mi conosce, almeno non più di tanti altri che vedo parlare con sé stessi muovendo le mani e le braccia, come riferendosi a chissà chi. Forse anche io bisbiglio qualcosa qualche volta, ma lo faccio quasi in silenzio, tenendo le mani sprofondate nelle tasche, senza guardare nessuno intorno a me, senza riferirmi a qualche persona in particolare, tantomeno il mio compagno, quando continua imperterrito a camminare davanti ai miei piedi. Non sono un pazzo, anche se sono convinto che ci sia una profonda relazione tra me e lui, come se fosse una mia invenzione vera e propria, un personaggio della mia fantasia che riesco a modellare a mia immagine di fronte a me, quasi a sottolineare qualcosa che però mi sfugge, che non riesco a comprendere del tutto. Non so a che cosa serva il mio compagno, non so perché mi stia sempre così intorno, però sento di soffrire quando non lo vedo; ed è per questo che aspetto sempre con una certa impazienza il momento in cui finalmente deciderà di tornare insieme a me.

 

Bruno Magnolfi 

mercoledì 18 ottobre 2023

Assemblea decisiva.


            Il mezzo pubblico mi lascia a poche centinaia di metri dall'ingresso della facoltà di psicologia, un vecchio ed enorme convento completamente ristrutturato, e lungo quel breve tratto di strada che percorro a piedi generalmente incontro già qualche studente che conosco per averlo visto alle lezioni e con il quale per abitudine non scambio mai alcun saluto, ma con cui sono pronto a fraternizzare nel caso in cui questo atteggiamento fosse utile al nostro corso di studi oppure ad altro. Durante l’ultima lezione tutti coloro che seguono gli insegnamenti di base hanno deciso di incontrarsi oggi all’interno dell’aula numero otto, la più grande dell’istituto, in maniera da discutere a fondo ed infine decidere quale posizione tenere nei confronti delle prossime votazioni dei nostri rappresentanti, e soprattutto a quali conclusioni giungere per quanto riguarda la situazione universitaria attuale. Personalmente non mi sono espresso in alcun modo, pochi giorni fa, quando alla fine di una lezione è stata proposta questa riunione che ritengo piuttosto impegnativa, se non votare timidamente a favore della sua realizzazione, anche se per semplice alzata di mano, perché dentro di me ho provato subito un certo interesse a partecipare, attratto dall’idea di socializzare con coloro che hanno maturato delle idee politiche abbastanza simili alle mie, e sperando di trovare, all’interno degli iscritti, un collettivo già costituito di studenti di Sinistra. Se il Magnifico Rettore e tutti i suoi aiutanti da ora in avanti prosegue, proprio come sembra fare, a mostrarsi indifferente alle nostre modeste rivendicazioni studentesche, sono quasi sicuro che presto si andrebbe in piazza per manifestare, e forse si arriverebbe facilmente addirittura all'occupazione della facoltà. Sono assolutamente propenso a schierarmi dalla parte di chi porta avanti le svariate richieste degli studenti, e non provo alcuna remora nell’andare fino in fondo a ciò che sia necessario fare per ottenere dei concreti risultati.

            Così varco l’ingresso, dopo aver accolto dalle mani di una ragazza sorridente un volantino che parla di altre cose e che non mi interessa; ci sono già, sulle porte dell’aula adibita alla riunione, diversi studenti che dibattono qualcosa tra di loro, ma io chiedo, con una cortesia ignorata da tutti, il permesso per entrare all’interno, e poi vado subito a sedermi presso una panca rimasta ancora vuota, non troppo tra le prime file che sono peraltro già occupate, almeno parzialmente. Circola velocemente una piccola lista di nomi di studenti iscritti a parlare e a spiegare il proprio parere, e vicino a me qualcuno dice che purtroppo per le votazioni si dovrà attendere almeno un paio d’ore. Sono assolutamente propenso a prendere degli appunti, perché vorrei chiarirmi bene le idee sui vari gruppi di movimenti studenteschi, ed anche se intendo partecipare già da oggi alle votazioni, vorrei riflettere bene anche in seguito sulle eventuali affermazioni che avrò sentito fare questa mattina. Dopo qualche decina di minuti, quasi in sincronia, tutti quanti entrano e si siedono, anche se il forte parlare di ognuno crea un brusio molto accentuato, che sembra per adesso quasi impossibile attenuare. Invece basta che il primo studente porti alla bocca un microfono tra quelli che sono stati accesi sopra la lunga cattedra che tutti abbiamo di fronte, perché si formi rapidamente un insperato silenzio.   

Ognuno parla della propria esperienza, e la mette in condivisione con tutti gli altri in modo rapido, così da dare a chi desidera parlare la possibilità di esprimere i propri pensieri. I temi sono i soliti, le stesse rivendicazioni che appaiono scritte sui fogli attaccati ai muri dell'ingresso nella facoltà, e le medesime parole d'ordine che ultimamente si sentono addirittura scandite anche nell'aria, però adesso si comincia subito a comprendere la profonda differenza che si insinua sempre più tra alcuni moderati e gli estremisti di sinistra, e questi ultimi naturalmente sono coloro che accendono rapidamente tutti gli animi. Dicono che dobbiamo svegliarci, che nessuno ci regala niente, che la nostra laurea non conterà mai nulla se non riusciamo noi stessi a riempirla di concreti contenuti. Molti annuiscono, altri affermano il proprio consenso a voce alta, applaudendo ad ogni passaggio e mostrando tutto il loro sostegno. Poi arriva davanti al microfono un tizio qualsiasi, uno come potrei essere io, e con una voce scura, sottotono, senza minimamente urlare, dice che la situazione appare seria, e se non cerchiamo di comprenderla fino in fondo daremo la possibilità alla Destra di relegare noi tra gli ultimi, come se il nostro impegno e i nostri studi si mostrassero alla fine del tutto inutili.

Dice di chiamarsi Gianni, e finito di parlare si allontana subito dalla cattedra dei docenti, perché adesso qualcun altro ha preso il microfono, e lui viene a sedersi ad un paio di file dal mio posto, senza che nessuno si complimenti per il suo intervento. Allora mi alzo, prendo le mie cose, vado vicino a Gianni, gli dico in due parole che lui ha detto esattamente le stesse cose che avrei voluto dire io. Mi guarda, sa che è importante in certi casi trovare un collante tra di noi, così dice tra i denti che la lotta non sarà né facile né breve. <<Non importa>>, dico io, <<l'essenziale credo sia trovare la maniera per batterci, il resto lo vedremo nel prossimo periodo>>.

 

Bruno Magnolfi

domenica 8 ottobre 2023

Onesta verità.


            Mi sono avvicinato lentamente a quello spiazzo con i tavolini davanti al chiosco dove spesso si ritrovano al pomeriggio le ragazze, ma senza farmi notare da nessuno, restando dietro qualche cespuglio e ad una siepe. Nella mattinata ho pensato diverse volte alla maniera migliore per parlare con Cristina, ma ho compreso rapidamente di non sentirmi in condizione di compiere di nuovo delle sciocchezze come quella di andare fino sotto casa sua, oppure di telefonare a lei direttamente. D'altronde è stata chiara con me, ed io vorrei essere ugualmente sincero nei suoi confronti, spiegando a lei con calma, magari mentre la guardo negli occhi, che non può essere una sciocchezza come quella di avere delle simpatie politiche diverse a definire il nostro frequentarsi o meno. Peraltro, a me non interessa neppure troppo farmi vedere in quel Circolo di Destra dove mi hanno trascinato quei due o tre ragazzi che ho conosciuto a scuola, anche se a questo punto non vorrei mollare tutto dimostrando una scarsa personalità ed anche di essere incapace a tirare dritto con le mie idee. Mi sento improvvisamente calato in una situazione piuttosto difficile, eppure se mi svago e smetto di riflettere per qualche momento, mi appare tutto quasi naturale, come se non ci fossero dei veri ostacoli da superare tra me e lei. Mentre ero sull'autobus per avvicinarmi al chiosco, ho pensato che le cose spesso si risolvono anche da sole, basta riuscire ad essere pazienti, e attendere con calma il momento giusto in cui le faccende iniziano a sistemarsi, e poi non dare troppa importanza a tutto quanto, anche se invece so benissimo che per mio carattere spesso mordo il freno in tutte le mie aspettative, di qualsiasi natura esse siano; così mi sono guardato attorno, ed ho visto tanta gente forse incapace di fare delle scelte decise, e così mi è sembrato di assomigliare a tutti quanti, persino troppo.

Probabilmente con Cristina potrei addirittura fregiarmi del fatto di avere un fratello di sinistra, attento studioso delle tematiche delle lotte operaie e di tutto il resto, ma ho paura di apparire ridicolo, e poi per nessun motivo potrei nascondermi dietro a qualcosa che non proviene direttamente da me stesso. Ho già preso contatto con una persona che mi può dare del lavoro durante il sabato e la domenica, anche se i miei non si sono mostrati troppo d'accordo. Mi piace però rendermi il più possibile autonomo, sapere che le cose che faccio, giuste o sbagliate che siano, derivano soltanto da me, da una mia idea, dalla mia esperienza, dai miei desideri. Portare delle pizze a domicilio, peraltro, a me sembra un rapporto piuttosto onesto e trasparente come prima introduzione nel mondo del lavoro, e forse Cristina, se e quando potrò spiegarle meglio queste mie intenzioni, potrebbe essere anche contenta della mia scelta di non pesare troppo economicamente sulla mia famiglia. Qualche giorno addietro sono andato a vedere l’interno del posto dove preparano e sfornano le pizze, e ho conosciuto qualche ragazzo che, proprio come dovrò fare io, le consegna a domicilio. <<Non c’è niente di male>>, mi ha detto lui e anche gli altri tizi presenti; <<è un lavoro come un altro>>. Nessuno mi ha spiegato che quasi non c’è alcuna tutela, e che si deve correre il più velocemente possibile se si vuol mettere insieme qualche soldo, ma questo ovviamente già lo immaginavo.

I giorni addietro li ho trascorsi cercando di non pensare troppo a Cristina, però mi sono ritrovato diverse volte nei dintorni del mio liceo, a vagare con lo sguardo tra le tante facce usuali nell'orario di entrata e di uscita, nella evidente ricerca di vederla spuntare da qualche parte. Poi un mio compagno di classe, mentre mi parlava di non so cosa, mi ha chiesto d'improvviso: <<ma chi stai cercando?>>, dimostrando con quanta evidenza io stessi frugando tra i gruppi delle ragazze sopra al marciapiede, e così mi sono quasi vergognato del mio comportamento. Lo so che le cose non sono mai troppo semplici, e più si desiderano, maggiormente paiono sfuggirci, così ho pensato che per ottenere un risultato concreto dovessi per forza mettermi in gioco, pur con un certo tatto. Conosco di vista una ragazza che sta spesso insieme a Cristina, la sua amica del cuore si potrebbe dire, così ho deciso di provare ad arrivare a lei tramite l’altra. Ieri sono venuto già a questo chiosco all'aperto con la mia bicicletta, e speravo, anche se non ci fosse stata lei, di vedere almeno la sua amica. Ma non c'erano nessuna delle due, così ho deciso di tornare da queste parti ogni pomeriggio, almeno fino a quando non riuscirò ad incontrarla. In fondo, non sto chiedendo molto, ho riflettuto già da ieri; devo spingermi in avanti, penso, mostrare il mio interesse, magari suggerendo con il mio comportamento anche il possibile bisogno di cambiare idee politiche. Qualcuno mi ha detto che con certe ragazze questo metodo funziona, anche se ancora io credo molto nella semplice ed onesta verità.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 27 settembre 2023

Ragioni insensate.


            Mi piacerebbe molto essere capace certe volte di dimostrare una completa indifferenza nei confronti di ciò che l’attualità sembra esprimere ogni giorno. Di fatto però non mi risulta proprio possibile, e i sentimenti che provo costantemente nei confronti dei piccoli e grandi fatti di cui sono pieni i rotocalchi su carta e i notiziari della televisione, spesso mi riempiono la gola di disdegno, fino al punto che mi trovo impossibilitato a restarmene sempre in silenzio, senza esprimere un parere personale, un’opinione propria, o un grido di dolore, rovesciando così, anche sulle prime persone che conosco e con cui mi trovo ad interloquire, la mia semplice amarezza per ciò di cui sono costantemente costretto a rendermi conto. Credo di non essere mai stato un cattivo cittadino in tutti questi anni, almeno fino adesso, e se guardo alle mie spalle non trovo dei momenti in cui non mi sono attenuto scrupolosamente alle regole che vengono imposte dallo Stato. Eppure, all’improvviso, quello che con chiarezza spesso mi ruota attorno, credo faccia di me soltanto uno sciocco. Un individuo che non è stato capace di approfittare delle occasioni migliori, che forse non si è messo in luce con le persone giuste, che non ha avuto il coraggio di evidenziare certi aspetti di sé perfettamente in linea con ciò che magari al momento opportuno era richiesto. Credo di essere stato, ed essere ancora, un tipo coerente però, immaginando che questo fosse per tutti un grande valore, piuttosto che un peso ingombrante di cui nessuno attorno a me sentiva e sente alcuna necessità. 

            Con questi pensieri affronto ormai ogni giornata, e quando qualcuno mi saluta, o mi ferma per strada per chiedermi come mi vadano le cose, sono pronto a dire in fretta parole piene di ironia, frutto delle riflessioni che mi giungono alla mente in modo costante. <<Non è possibile guardarsi attorno e non scoprire come ognuno di noi mandi avanti la propria esistenza quasi sempre per conto proprio, credendo regolarmente soltanto a chi riesce a parlare con più forza, e andando dietro esclusivamente alle nuove e roboanti promesse che gli vengono fatte, come non esistesse già un passato colmo di bugie>>, dico subito. Così mi prendono sempre per un isolato, uno che non è capace di stare al passo coi tempi, e non è capace di schierarsi con semplicità al fianco di chi è più convincente. <<Non devi preoccuparti così>>, mi dicono spesso. <<C’è bisogno di ottimismo, di positività, di leggerezza, senza immaginare ogni volta che tutti siano degli affaristi subito pronti a fregare il prossimo>>. Io annuisco, non posso ribattere, non ci riesco, e perciò torno a chiudermi ovviamente nelle mie convinzioni, nell’attesa che il tempo nuovamente mi dia ragione. E poi mi chiedo ancora, quando resto da solo coi miei pensieri, che motivo abbia io per soffrire più degli altri nei confronti di questa realtà che a me pare persino assurda, e che tutti invece si ostinano a chiamare la normalità. 

            Vorrei tanto coltivare la stessa indifferenza con la quale la maggioranza dei cittadini riesce a coprire alla vista qualsiasi scandalo, ogni malefatta che si scopre, tutte le prove indelebili con cui si potrebbe dimostrare l’egoismo e l’interesse privato che tracima da ogni parte. Poi mi convinco che non è possibile continuare in questo modo, ed io stesso non posso essere colui che più di altri si preoccupa per come le cose stiano andando. Perciò in certe serate cerco di tranquillizzarmi, entro in una caffetteria e poi mi siedo a un tavolo, prendendomi cura solamente di qualcosa da sorseggiare in tutta calma, lasciando alle spalle, almeno per mezz’ora, ciò che in genere mi angustia. <<Come sta, signor Landi>>, mi chiede qualcuno che mi riconosce; ed io sorrido, annuisco, saluto, anche se comprendo che forse mi si vuole prendere un po’ in giro. <<Avete ragione voi>>, rispondo qualche volta. <<Non si può far diversamente che abbassare la testa con ossequio, e dopo allinearsi esattamente a tutti gli altri, se non si vuol rischiare di perdere poco per volta la ragione>>. Mi stringono la mano allora, come si stesse tenendo un patto tra individui, disponendo così un terreno comune, una zona franca insomma, su cui non è possibile far sorgere polemiche, ed in cui tutti ci troviamo pienamente in accordo, schierandosi improvvisamente dalla medesima parte. 

            Ma a quel punto a me basta ben poco per sentirsi riacuire il rovello che sempre mi tormenta, e già uscendo dal locale mi guardo attorno per un attimo, e vedo che non c’è niente di buono in tutto quanto, se non il fatto che, se non ci si riflette, si riesce a far digerire al proprio corpo persino dei bocconi amari che mai in precedenza avremmo voluto buttar giù. Tanta gente soffre di questa situazione, riprendo a pensare, ma è il sistema stesso che ha inventato gli anticorpi per combattere e vincere su qualsiasi critica; ed oggi è il consenso ciò che conta, e le ragioni semplici e spicciole delle persone come me, non hanno oramai neppure un vero senso.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 18 settembre 2023

Recupero impossibile.


È vero che non capisco quasi niente di queste cose, ma quello che mi ha spiegato mio marito lo comprendo piuttosto bene, e mi lascia interdetta. Federico, nostro figlio minore, sembra che frequenti da qualche tempo degli estremisti, così mi ha spiegato Achille stasera mentre eravamo da soli; gente con la testa piena di chissà che cosa, tutti pronti anche ad azioni violente, addirittura ad imbracciare delle armi, a fare del male agli altri, e certe volte senza neanche avere un motivo vero e proprio per farlo, e se non proprio concretamente, queste persone intendono fare dei guasti almeno con le parole, con le loro affermazioni, con gli slogan, insomma con le loro convinzioni più estreme. Sembra persino impossibile che mio figlio possa confondersi all’improvviso con certa gente, però non voglio giudicare con superficialità, l'ho detto subito anche a mio marito: <<avrà i suoi buoni motivi per comportarsi così>>, gli ho spiegato. <<E poi sono sicura che è soltanto un'idea momentanea, una sbandata senza alcun seguito, una simpatia per qualcuno che sta in quell’ambiente, e tra non molto, ne sono convinta, lui smetterà senz'altro di mescolarsi ancora con quegli estremisti>>. Mio marito ha annuito, come fa sempre, e non si è sentito incoraggiato a replicare neppure su una minima cosa; allora io ho calato l'asso, come si dice giocando a carte; quello che tenevo in serbo esattamente per un momento proprio di questo genere: <<E Marco non ha niente da dirgli per cercare di fargli cambiare queste idee malsane?>>, ma in quello stesso momento Achille è parso crucciarsi anche di più, come se quello per lui fosse un ulteriore problema.

Lo so che tra i miei due figli non c’è tutta questa vicinanza che ci si potrebbe aspettare da due fratelli e che noi come genitori ci auspicheremmo sempre, in qualsiasi caso, però sembra impossibile che uno studioso di psicologia come mio figlio maggiore non riesca, se lo desidera, a far ragionare al meglio suo fratello. Dopo un po’ Achille mi ha spiegato che tutta questa faccenda lui l’ha saputa da Marco, e che Federico non sembra per niente preoccupato di quello che sta facendo e degli individui che sta frequentando. Quello che mi meraviglia maggiormente in questo momento, è il fatto che Federico non molto tempo addietro frequentava addirittura un’associazione di volontariato, una di quelle che offrono gratuitamente i propri servizi e il proprio aiuto a persone che non riescono ad essere perfettamente autonome, e mostrano dei problemi fisici, oppure economici, o anche di qualche altra natura. Individui soli, per lo più, che trascinano la propria esistenza in maniera difficile e precaria. Quindi, secondo me, c’è qualcosa che non torna.

Così ho terminato di sistemare i piatti e le stoviglie lavate e asciugate dentro i mobili, poi ho tolto la tovaglia dal tavolo piazzando al centro il solito enorme posacenere sopra un centrino, mentre mio marito fumando osservava senza interesse qualcosa alla televisione, e i ragazzi erano in un’altra stanza ad occuparsi di qualcosa. <<Dobbiamo parlare con Marco>>, ho detto a quel punto; <<fargli capire quanto sia importante in questo momento la sua capacità di far distogliere l’attenzione di Federico da queste frange estremistiche che sta frequentando, e magari ricordargli la sua vera vocazione: l’altruismo, la cura degli altri, l’aiuto>>. Achille mi ha guardato, poi ha detto soltanto: <<non sarà facile tutto questo, anche se è evidente che non abbiamo proprio altra strada, almeno se il nostro desiderio resta quello di ritrovare nostro figlio minore così come abbiamo imparato a conoscerlo fino adesso. Con queste parole mio marito poi si è alzato, è andato nella stanza dei nostri figli ed ha detto a Marco di seguirlo, perché aveva necessità di parlargli. Dopo poco loro due si sono seduti al tavolo della sala da pranzo, ed Achille ha subito detto: <<non vorrei che Federico si fosse invischiato in questa ridda di estremisti di Destra soltanto per mostrare a te una propria personalità, una maniera sua di affrontare le cose>>.

Marco allora non ha reputato il caso di volgere neppure lo sguardo verso suo padre, continuando ad osservare lo schermo silenzioso della televisione, ma dopo un attimo ha soltanto detto: <<tutto è possibile, ed anche questa è una teoria probabile. In ogni caso lui mi ha fatto comprendere senza ambiguità che non sarò certo io a fargli cambiare opinione, anche se le mie idee politiche sono di tutt’altra natura; o forse, addirittura, proprio per questo>>. Io gli ho messo una mano sopra una spalla, come per dargli sostegno e conforto, ma Marco non ha fatto alcuna mossa. <<Ormai è grande>>, si è inserito Achille; <<non gli si può proibire nulla, ed anzi, il suo desiderio di rendersi in parte autonomo economicamente indica che ha bisogno anche di pensare in maniera libera>>. Mio figlio ha annuito, io avevo già voglia di piangere, e mi è quasi parso a questo punto che molto fosse già perduto, e che nessuno, da ora in avanti, sarebbe riuscito a recuperare mio figlio minore.

 

Bruno Magnolfi   

mercoledì 13 settembre 2023

Fine del mondo.


            Ultimamente sono perplesso. Il lavoro mi assorbe molto, a mio parere, persino troppo, e divido la stanza vetrata dove rimango seduto tutto il giorno insieme ad altri tre colleghi, in mezzo a telefonate e scambi di opinione tra le scrivanie, tanto che certe volte quando esco dall’ufficio avrei soltanto voglia di starmene da solo, anche se spesso, durante l’orario, mi infilo nel corridoio per muovere un po' le gambe e far riposare la mente, magari mentre prendo un caffè alla macchinetta. Ma quando rientro a casa mia, sento dentro di me una ripulsa che non mi fa stare affatto bene. So benissimo che mia moglie è una persona deliziosa, e che tutto ciò che fa e che dice è sempre allo scopo di lasciar viaggiare al meglio tutte le cose di famiglia, eppure io certe volte non riesco proprio a sopportare i suoi modi, quelle sdolcinature che mi paiono spesso persino fuori luogo, quella maniera sempre sorridente di proporsi agli altri. Con i miei figli ormai da anni non riesco più ad avere un vero colloquio, e tra me e loro si riesce soltanto a dirsi qualcosa di essenziale perlopiù espresso a monosillabi, senza neppure guardarci. Non so che cosa fanno di preciso durante tutta la giornata, ma ho rinunciato da tempo ad interessarmi di cose del genere, se non in termini superficiali. Rientro in famiglia al tardo pomeriggio, ma vorrei stare da solo, riflettere su qualcosa che forse mi è transitato per la testa durante l'orario di lavoro, e poi non dover sentire più alcuna parola che venga articolata in mia presenza. Ciò che mi rivolta più di tutto il resto, comunque, sono le domande. Da quelle più scontate: <<com'è andata la giornata?>>, oppure: <<come ti senti?>>; fino a giungere a cose tipo: <<che ti andrebbe per cena?>>, o anche: <<perché non ti siedi e ti rilassi?>>.

Mi sento in colpa, in molti casi, proprio per l'incapacità che manifesto nel rendermi socievole, però è più forte di me quello che provo, e l'unica difesa che riesco a tirar fuori è quella di chiudermi in un silenzio spesso ostinato, che immagino venga sempre interpretato soltanto come nervosismo e semplice fatica accumulata durante la giornata. Che male c'è, penso talvolta; probabilmente tutti gli altri, in un caso come il mio, sono esattamente come me, ognuno chiuso dentro al proprio modo di reagire, ma io non riesco a togliermi di dosso proprio del tutto la sensazione di sapermi inadeguato, incapace di comportarmi come forse sarebbe più giusto. Anche durante la cena, quando ci riuniamo per quella striminzita mezz'oretta, replicando forse un'usanza probabilmente da famiglia patriarcale, non riesco a fare altro che concentrarmi appena in ciò che addento, assaporando ogni boccone senza comunque tirar fuori alcun commento. Anche se nel piatto c'è qualcosa che non gradisco troppo, evito accuratamente di dirlo o farlo capire, in modo che non troppo facilmente si formino delle domande anche intorno a questo argomento, oppure si sollevino delle richieste di suggerimenti o di variazioni agli ingredienti del cucinato, naturalmente al fine di rendere a me il pasto più appetibile.

Infine, tutti si alzano da tavola, ed io al contrario resto seduto a fumare e a godermi qualche attimo durante il quale immagino di essere lontano da questa consueta sala da pranzo, magari in un luogo solitario, a sorseggiare il mio caffè di fine cena circondato soltanto dal silenzio e dall'assenza. I miei figli hanno sempre mille cose di cui occuparsi, e né l'uno né l'altro si sognano di sfoderare qualche argomento difficile o spinoso quando siamo insieme, sia in mia presenza, che tantomeno tra di loro. Forse è proprio questo ciò che manca qualche volta: un vero tema su cui discutere sul serio, tirando fuori delle argomentazioni, sia da parte di Marco che di Federico, che siano improvvisamente capaci di interessarmi davvero, pur lasciandomi in disparte, senza per forza che io debba avvertire il bisogno di manifestare a voce alta delle opinioni. Sarei capace di ascoltarli, in casi del genere, ecco tutto, magari distrattamente, senza prendere una posizione precisa, ma solo annuendo qua e là alle loro affermazioni. Ma forse è meglio che stiano zitti come fanno quasi sempre, e che io, pur sentendomi in colpa, prosegua ad indossare la maschera di colui che "è di poche parole", e che “non riesce a tenere in piedi una vera e propria conversazione”, come sicuramente pensano.

            <<Achille>>, dice poi mia moglie mentre già sono risucchiato dalle immagini che trasmette la televisione. <<Domani ricordati di quello; e magari anche di quell'altro>>, ed io vorrei tanto sbuffare, alzare la voce, dire che le preoccupazioni sono esattamente ciò che in questo momento più di ogni altra cosa vorrei dimenticare. Ma in fondo non ho voglia di polemiche, così annuisco come faccio sempre, perché so benissimo che, se anche dovessi dimenticare qualcosa di importante, non sarà sicuramente per questo che arriverà la fine di tutto il mondo.

 

Bruno Magnolfi