venerdì 25 giugno 2021

Atteggiamenti personali.

 

Mi giro nel letto senza decidere di alzarmi, nonostante sia già piuttosto tardi. Penso che non mi riguardi affatto tutto quello che sta accadendo fuori dalla mia casa, e per questo motivo rinuncio volentieri ad uscire dalle mie stanze dove peraltro vivo da solo, così da evitare anche di mettermi in bella mostra davanti a tutti gli altri. Certe volte mi telefonano; dicono: <<potresti raggiungerci, ci beviamo qualcosa assieme, facciamo un giro senza impegno magari>>. Non mi interessa un bel niente penso, voglio soltanto stare qui perché mi basta sapere che non c'è proprio nulla di interessante in mezzo a loro, niente che possa convincermi in qualche maniera a comportarmi in un altro modo che non sia questo. Così dico ai miei conoscenti per telefono che ho tanto da fare in questo periodo, <<non ho proprio il tempo, neppure per prendermi una pausa>>. Se poi ci penso meglio, credo sia perfettamente giusto da parte mia tenere una posizione di distanza rispetto a come si comportano normalmente tutti gli altri, anche quelli che dichiarano di sentirsi amici miei. Non è una questione di asocialità, soltanto non mi va di comportarmi esattamente come tutti loro, soltanto per sentirmi immerso così in un unico sistema che oltremodo ci renda falsamente vicini e  solidali. Sto qui e rifletto che non ho niente di cui appassionarmi, o meglio non vedo nulla di buono che sia capace di tirar fuori un pur piccolo entusiasmo da dentro di me, ed è proprio quello che invece con ogni probabilità sembra a tutti quanti qualcosa di assolutamente necessario ed essenziale.

Infine mi alzo, giro per casa in ciabatte senza neppure un vero motivo, e poi guardo qualcosa dalla finestra, per andare infine a sedermi davanti al tavolo della cucina, ad osservare inutilmente qualcosa di insignificante davanti a me. Non ho nessuno scopo da raggiungere, niente che mi prometta nel futuro di farmi essere diverso da come sono oggi, eppure non provo alcuna soddisfazione dentro di me, come se evidentemente mi mancasse qualcosa, anche se non so ancora comprendere che cosa mai possa essere. Qualcuno mi chiama dalla strada, così mi alzo, mi accosto alla finestra, scanso la tendina. Ma non c'è nessuno, è stata soltanto la mia immaginazione, o forse un mio desiderio recondito ed inconfessabile. Sorrido, però mi vesto per uscire, metto in tasca le chiavi e qualche soldo, ma quando arrivo a scendere le scale condominiali sento il ritorno dello sconforto venire direttamente dal mio interno, quasi come un rigurgito, un sapore amaro nella bocca, come se la mia opinione principale stesse rapidamente riprendendo il sopravvento su ogni altra cosa mi metta in mente di fare. Chiudo l’uscio dietro me e poi mi siedo sul primo gradino del pianerottolo, per poi prendermi la testa tra le mani come nel tentativo di riflettere qualcosa, restando così, mentre cerco di decidere quale sia il da farsi più efficace. Esce in quel momento, proprio di fronte a me, chiudendo lentamente alle sue spalle il portoncino dell'appartamento, la mia vicina.

<<Che cosa succede, signor Ferretti>>, mi chiede con voce decisamente preoccupata. <<Non so>>, le dico, <<non riesco  a decidere se sia meglio una cosa oppure un'altra. Il fatto sta che oggi è il mio giorno libero, potrei uscire, vedermi con qualcuno, godermi la giornata insomma; ma qualcosa mi trattiene, perciò eccomi qua>>. Lei mi osserva per qualche attimo quasi fossi un pazzo oppure un estraneo, si capisce che non sappia assolutamente cosa dirmi, ma il suo imbarazzo, anche se lo comprendo, mi instilla senz'altro anche un certo fastidio. <<L'accompagno>>, le dico a seguito rimettendomi subito in piedi, e lei accetta, iniziando immediatamente, proprio mentre scendiamo, a parlarmi dei suoi piccoli problemi coniugali, forse nell'idea che questi abbiano qualcosa in comune con i miei comportamenti. Giunti al portone del palazzo comunque la saluto, lei prende per la sua strada ed io getto un’occhiata lungo tutta la via grigia e anche monotona, e così decido che mi basta, e che adesso posso risalire con calma le scale fino al mio appartamento. Non c'è niente di particolarmente interessante là fuori, questo è il punto rifletto. Rispetto a quello che vedo dal mio punto di osservazione la decisione migliore risulta quella di starmene in casa da solo senza assolutamente impegnarmi in altre attività. E a dire il vero non comprendo neppure cosa ci sia di particolarmente strano nel mio modo di essere.

 

Bruno Magnolfi


martedì 15 giugno 2021

Affari miei.

 

            Faccio un giro, a piedi, mani in tasca, senza alcuna fretta. Percorro quasi tutta l’area pedonale del quartiere senza pensare ad una vera meta, ma limitandomi a transitare lentamente per molte strade tranquille, anche lungo via Po, proprio quando infine scorgo una ragazza ferma, addossata al muretto di recinzione del caseggiato signorile che ha di fronte, mentre sembra piangere in silenzio. La conosco di vista, so che si chiama Chiara, così le dico qualcosa, tanto per capire se posso fare per lei un gesto generoso, ma la ragazza scuote la testa e si volta con indifferenza verso un’altra direzione, come non desiderando affatto mettersi in mostra. Perciò non insisto e vado avanti, lasciandola praticamente nella stessa situazione in cui si trovava prima. Proseguo nel mio giro, senza pensieri particolari, e dopo un certo tempo incontro Lori, sempre elegante e con la sua aria da giovanotto momentaneamente impegnato in qualcosa di inspiegabile, attività che lo porta generalmente ad essere piuttosto frettoloso in tutto ciò che compie, e spesse volte persino brusco con chi gli resta attorno, ma che in questo momento decide di salutarmi, naturalmente alla propria maniera, e dopo poco si sofferma giusto un attimo, osservando qualcosa che non mi riguarda, proprio dietro di me. Gli dico subito che ho appena incontrato Chiara, esattamente davanti alla sua casa di via Po, e che mi è parsa molto triste, forse per la loro storia conclusa da poco tempo. <<Ma là non c’è la mia casa>>, fa subito Lori. <<Vi abitavano semplicemente i miei genitori, fino a qualche tempo addietro; però adesso hanno deciso di cambiare residenza>>. Resto vagamente perplesso, però non discuto, e al fianco di Lori riprendo con lui la mia passeggiata, cercando di dirgli ancora qualcosa di quella ragazza che ho appena visto, anche se lui non sembra voler dare troppa importanza a queste mie parole, nonostante provi a comportarmi e a spiegare qualche opinione personale proprio come farebbe un buon amico.  

            Comunque ci guardiamo attorno camminando, e dopo un attimo nessuno di noi due dice più una sola cosa, fino al momento in cui non arriviamo davanti ad un negozio di orologi prestigiosi, quando lui improvvisamente mi fa cenno di seguirlo proprio là dentro. Senza dire niente di particolare alla commessa sorridente che ci accoglie, Lori chiede se per caso non avesse in magazzino anche dei modelli di seconda mano, magari appartenuti a qualche persona in vista della nostra città. Lei torna a sorridere, sparisce rapidamente sul retro mentre noi osserviamo distrattamente le vetrine interne, e quando torna porta con sé degli astucci curatissimi che adesso Lori osserva soltanto per un attimo, ma con occhio allenato e piuttosto attento. Poi si volta verso me: <<quale ti piace di più?>>, mi fa con un’espressione quasi distratta, come se dovesse fare un regalo a qualcuno, rifletto io, magari proprio a Chiara, forse nel tentativo di farla smettere di andare a piangere lungo le strade, per di più nei pressi di una abitazione addirittura sbagliata. Due modelli sono interamente color oro – forse proprio tutti d’oro, non lo so, compresi anche i cinturini; - l’altro invece è bianco e sfavillante, tutto color argento e bianco perla. <<Questo>>, dico io cercando dentro di me un motivo valido che mi porti a preferire una cosa rispetto all’altra. <<Ma non sono orologi per donna>>, aggiungo subito sapendo di dire qualcosa di estremamente stupido. La smorfia di risposta di Lori difatti assomiglia ad un sorriso, comunque si fa dare dalla commessa proprio quello che ho indicato io, ed infine paga rapidamente con una delle sue carte di credito, prendendo il pacchetto ben confezionato mentre usciamo.

            <<E’ per te>>, mi dice subito consegnandomi per strada quell’oggetto, senza dare alcuna importanza al gesto, proprio come compiendo un’azione qualsiasi, forse mostrando addirittura di togliersi un fastidio. <<Però adesso potresti pagarmi da bere>>, mi dice ridendo mentre cammina avanti a me, che sono rimasto momentaneamente senza reazioni, considerato che non capisco proprio come debba considerare questo suo regalo. Entriamo in un caffè dove lui è molto conosciuto, e Lori fa subito un piccolo cenno al cameriere, così ci sediamo ad un tavolino esterno che intanto si libera, ad osservare l’incessante passeggiata sul largo marciapiede. Non oso chiedere assolutamente nulla, però scarto l’orologio e subito lo indosso. Immagino che questo sia proprio da intendere come un invito a disinteressarmi delle sue storielle da annoiato, ma riflettendoci un momento credo che con un piccolo sforzo possa mettermi esattamente sulla lunghezza d’onda che Lori a modo suo mi sta chiedendo; così accolgo volentieri l’aperitivo e i salatini che ci servono rapidamente, mi guardo attorno cercando di comportarmi proprio come lui, e mi convinco adesso che le cose che comunque avvengono ogni giorno, ed anche tutte quelle che prima o poi potranno succedere inevitabilmente, e delle quali io non ne saprò proprio un bel nulla, ecco, certamente quelle, in ogni modo si potranno mai manifestare, non potranno mai far parte degli affari miei.

 

            Bruno Magnolfi 

mercoledì 9 giugno 2021

Alternativa praticabile.


Sono assolutamente cosciente di sapere già tutto ciò che mi serve, anche se purtroppo ho la consapevolezza di non conoscere ancora molte delle cose che forse mi sarebbero utili in futuro. Mi aggiro come sempre per le strade di questa città dove mi trovo a vivere da molti anni, e qualcuno tra coloro che forse mi conoscono meglio, ultimamente sembra scansarmi incrociando i miei passi, come ad evitare dei guai, anche se in fondo tutto questo per me non ha proprio alcuna importanza. Cerco un rifugio, generalmente, una tana dove magari passare la prossima notte o soltanto qualche semplice ora all’asciutto, nella convinzione di avere il diritto come tutti quanti di sopravvivere in qualche maniera, in questa giungla di umani quasi priva di umanità. La maggior parte delle cose che ho imparato in questi ultimi tempi non serve praticamente quasi a nulla, anche se è impossibile per me cancellare quella gran massa di cose inutili che qualcuno ha saputo inculcarmi dentro la testa, per fare spazio a ciò che mi servirebbe davvero sapere. Ogni giorno ultimamente qualcuno, tra coloro che invece neppure conosco, mi avvicina per suggerirmi qualcosa di nuovo, ma la maggior parte delle volte sono soltanto verità marginali, stupidaggini camuffate da suggerimenti importanti, piccolezze senza valore che poi risultano quasi sempre ininfluenti, e spesso portano soltanto fuori strada. Perché la cosa più importante di tutte non è quella di sapere quale sia la direzione, quanto quella di evitare le strade capaci di farti infilare dentro a dei vicoli ciechi, e farti sbandare irrimediabilmente, senza neppure la possibilità di correggere l’errore commesso.

Poi trovo un tizio che conosco da qualche tempo: mi dice con una seria espressione che sono in corso alcune feroci retate da parte delle divise, e che secondo lui devo nascondermi in fretta, perché questi sono giorni difficili, ed andarsene in giro senza nessuna protezione può essere un azzardo a dir poco imperdonabile. Rifletto: forse mi basterebbe intrufolarmi dentro uno scantinato per qualche tempo, e da lì uscire soltanto quando le strade sono piene di gente, in maniera da confondermi facilmente in mezzo a tutti quegli altri. La cosa non sembra troppo facile però. Cammino con calma dalle parti della stazione dei treni e mentre sto lì guardandomi attorno, vedo che le divise hanno acciuffato qualcuno e lo stanno menando di brutto prima di trascinarlo in centrale. Così, senza neppure pensarci due volte, entro nella stazione scivolando lungo le parti un po' meno in vista, e dopo aver ispezionato alcuni vagoni ancora fermi lungo i binari, salgo sul primo convoglio in partenza, infilandomi con astuzia in un carro merci con lo sportello di carico senza serratura di sicurezza. Mi sistemo tra le pedane colme di sacchi addossati l’uno sull’altro, lasciando aperto uno spiraglio per l’aria, ed aspetto il momento opportuno per saltare presso il primo agglomerato di case lungo cui questo treno rallenterà, cercando magari di non inciampare e cadere.

Però si va avanti per quasi un’ora senza neanche un accenno a fermarci, anche se poi i freni iniziano finalmente a far sentire il loro fischio stridulo e forte, e dopo alcuni lunghi minuti durante i quali la velocità è sempre più bassa, alla fine sembra che ci si fermi davvero. Decido che è questo il momento, e salto giù all'improvviso assieme alla mia poca roba: il luogo sembra isolato, ci sono delle case poco lontano, ma dove mi trovo in questo momento non c’è neppure la stazione ferroviaria. Seguo a piedi la massicciata e vado avanti nella direzione più comoda, aspettando di trovarmi di fronte prima o dopo un vero centro abitato. Difatti è così, anche se sembra soltanto una periferia di paese, ed un sorvegliante che passa con la sua bicicletta mi chiede qualcosa, anche se io non mi preoccupo certo di provare a rispondergli. Mi infilo in una baracca di legno abbandonata poco lontano, e mi metto comodo, tirando fuori la mia roba e sistemando tutto alla meglio. Starò qui per un po’, mi convinco pensandoci. In seguito, tra una settimana o forse due, cercherò di tornare indietro nella stessa maniera. Probabilmente arriverà un periodo più opportuno anche per me, tanto da farmi trovare il modo migliore per sopportare un’esistenza così negativa. Oppure no, ma in quel caso dovrò certo mettere a punto una valida alternativa.

 

Bruno Magnolfi 


sabato 5 giugno 2021

Esame di stato.

 

            Senza alcun indugio sono entrato dentro uno di quegli spaziosi ascensori d’acciaio che portano ai vari piani e ai reparti di questo immenso ospedale cittadino. Non ho dei particolari pensieri in mezzo alla mente, non mi sono neppure preparato qualcosa da dire a Corrado, e contrariamente a quanto faccio come è mio solito, magari per una ordinaria deformazione professionale maturata durante i lunghi anni di insegnamento al liceo, in questi ultimi minuti non ho voluto né immaginare, e neppure rifletterci sopra, alla concreta possibilità di ritrovarmi finalmente faccia a faccia con Angelica, correndo il rischio così di non sapere neppure come comportarmi nel caso fosse davvero venuta a far visita proprio oggi al suo cugino. Mentre tutti quasi in silenzio si continua a salire, mescolato come sono in mezzo a questo gruppo eterogeneo di parenti e di visitatori dei vari ammalati,  realizzo improvvisamente però che forse in un momento così non riesco ad essere neppure capace  di affrontare un’eventualità di questo genere, e la voglia di tornarmene indietro, ancora prima di arrivare fino alla corsia dove è ricoverato Corrado, mi prende con forza, quasi come fosse una risaputa paura adolescenziale per un esame, o anche il comprensibile timore per una complessa interrogazione scolastica. Il fatto è che non ho riflettuto, non mi sono preparato adeguatamente ad un momento del genere, e provo il terrore improvviso di mostrarmi impacciato, privo di argomenti, per nulla a mio agio, e rovinare in questa maniera un’occasione che forse con lei non sarà più ripetibile.   

Arrivo al mio piano, e prima di entrare nel corridoio delimitato da una grande porta a vetri opachi, al di là della quale si aprono le tante camerette, mi soffermo per raccogliere i pensieri che mi girano sparsi, sedendomi su una delle tante sedie bianche collegate tra di loro fino a costituire una fila disposta praticamente ad angolo retto, quasi una specie di sala d'attesa, in questo momento comunque occupata soltanto da due o tre persone. Tiro fuori dalla tasca un piccolo temperino che spesso porto con me, ed estratta la lama minuta lo osservo a lungo mentre provo dentro di me l’assurdo desiderio di incidere con questa punta affilata una superficie qualsiasi tra quelle che ho attorno, e scrivere in bella vista con caratteri tremolanti la sola parola a disposizione che possa mostrarsi come un mio messaggio chiaro e inequivocabile per Angelica. Sorrido da solo delle mie assurdità da ragazzino, e mentre ripongo il coltello, penso al comportamento pavido e vile di cui sto dando inequivocabile prova, incapace come mi sto dimostrando persino di affrontare ciò che maggiormente sarebbe magari mio desiderio. Mi alzo quindi, osservo qualcosa di imprecisato attorno a me, come a cercare un sostegno, ma poi torno a sedermi. Infine mi decido, imbocco in modo risoluto la porta ed il corridoio che mi trovo di fronte, e in un attimo giungo davanti alla camera dove sta ricoverato Corrado. Angelica, al fianco del letto, mi nota senza che lui si accorga di niente, difatti sta coricato con la faccia rivolta verso l’alto senza fare alcun movimento, e lei mi fa un cenno misurato con una mano, e poi mi viene incontro mentre io mi blocco esattamente ad un passo dalla soglia di entrata. <<Oggi non sta molto bene>>, mi dice subito; <<forse un'infezione che è ancora in corso gli ha tolto le forze, e lui adesso non ha voglia d'altro che riposare con gli occhi chiusi: sembra molto spossato, non riesce neppure a sostenere la presenza di qualcuno>>.

<<Va bene>>, dico io, <<non importa; magari torno domani>>. Angelica mi mette una mano su un braccio, si vede che ha voglia di piangere, ed io mi sento completamente sfasato, come se non sapessi più neppure in che direzione guardare. Usciamo, ed andiamo a sederci esattamente dove ero io poco fa. <<Devo chiederti scusa>>, fa lei subito, con voce bassa. <<Tu sei una persona buona, e forse io neppure merito il fatto che ti stia interessando anche di me>>. Apro la bocca per dire qualcosa, ma poi resto in silenzio, forse per non sciupare in qualche maniera questo momento. Angelica adesso mi guarda con occhi profondi, e questo mi pare già sufficiente. <<La mia è una famiglia un po' strana>>, aggiunge alla fine con un filo di voce, <<in ogni caso ho compreso, grazie anche a te, che essere capaci di stare vicino l’uno all’altro sia la cosa più importante di tutte>>. Annuisco, non so assolutamente che dire, o anche cosa rispondere, perché lei adesso mi accarezza una mano, e forse in fondo è sufficiente così: non mi pare neanche ci sia bisogno di altro.

 

Bruno Magnolfi

martedì 1 giugno 2021

Degenza accurata.

 

            “Ci fosse almeno una mosca che ronza in aria qua dentro, tra queste luci bianche e le superfici linde ed asettiche, a dimostrare che tutto comunque è ancora vivo, nella spiegazione chiara che definisce come sia anche una minima imperfezione a denotare l’umana salvezza, fuori di dubbio. Al contrario, mentre sto qui coltivo il mio respiro senza possibilità di far altro, tra le coltri candide indifferenti al corpo che trovano, tiepide al punto da incoraggiare a riprendere, anche se con una lentezza infinita, le forze venute a mancare appena da un giorno”. Così riflette Corrado nella sua stanza in ospedale, scegliendo con calma le parole una per una, quasi dovesse dettare una silloge in cui raccogliere in modo libero e sentito tutti i suoi pensieri finali, quelli dopo l’evento, nel superamento del muro invalicabile, per la sfida che non è stato proprio possibile evitare. Forse sorride tra sé, mentre tiene il naso nell’aria, quasi affidandosi completamente a quel semplice ricettore per l’analisi di ogni buona vibrazione che possa giungere a lui, ed infine avverte la vicina presenza dell’infermiera mentre sta osservando sia lui che le macchine attorno al suo letto, tralasciando di farle però ogni domanda diretta. “Non si parla, non si chiede niente”, pensa ancora; “si sta fermi e si soffre, nell’attesa di ritrovare almeno qualcosa di quello che si era, nella speranza snervante che le cose vadano bene, ora che tutto ormai è fatto”.

            L'orario per le visite degli amici e dei familiari giunge più tardi, quando ormai molti parametri sono già riusciti a stabilizzarsi, e gli infermieri hanno messo a punto ogni strumento, tanto che il passaggio dei medici per il controllo della cartella clinica è stato completato; quasi normale si vocifera, ed in considerazione di tutto, si potrebbe addirittura dire, in pratica, come previsto. Tra i primi che scorrono per il corridoio c'è la cugina Angelica, fedele alla parola data, mentre Corrado, nel su letto perfettamente composto, certo non si aspetta di vedere Domenico, il suo vicino di casa: troppo strumentale potrebbe apparire trovarsi lì proprio quando si può star sicuri che c'è senz'altro anche lei. Così si svolgono le solite frasi di circostanza, anche se Angelica non è mai stata una grande intrattenitrice, tutt’altro, al punto che dopo le prime informazioni tirate fuori come da base per una conversazione seguente, già non sa più cosa dire, anche se evita di guardarsi troppo attorno per prendere spunto dagli altri presenti nella cameretta da tre. A Corrado comunque fa un grande piacere avere davanti la rappresentante della sua parentela, che adesso gli tiene la mano, lo incoraggia a pensare che oramai il peggio è alle spalle, e che tutto sta per tornare alla normalità.

            Infine va via, e <<sono contenta che le cose siano andate come dovevano e l’intervento sia pienamente riuscito>>, gli fa sorridendo mentre lo saluta con garbo, prima di riprendere la sua borsetta ed uscire nel corridoio. <<Tornerò domani>>, gli dice quasi come una simpatica sfida, ma dopo appena cinque minuti arriva anche Domenico, proprio quando l’orario di visita sembra ormai già terminato. Un sorrisetto di complicità, un piccolo saluto e poi basta, che tanto uno che ha subìto un’operazione chirurgica è bene non stia a strapazzarsi, lo sanno tutti, figuriamoci lui che è un professore di liceo da poco andato in pensione. Corrado sorride, una volta rimasto da solo, con la faccia sotto al lenzuolo del letto per non farsi vedere troppo allegro da chi lo circonda. “Chissà se si sono incontrati nel corridoio”, si domanda. “Forse no, appena sfiorati”, riflette. Ma non importa, non ci vuol fretta in cose del genere, si tratta di attendere con calma il momento adeguato per mostrare con un certo tatto ed una leggera gentilezza, quel che davvero si vuole, o meglio desidera.

            “Fossi io quella mosca ronzante nell’aria, potrei aver visto chiaro già tutto quanto”, pensa ancora Corrado. “In ogni caso questo al momento rimane il mio unico punto di osservazione; per il resto scoprirò tutto a tempo dovuto, sempre che qualcuno abbia la volontà coraggiosa di parlarmene, spiegandomi bene che cosa possa essersi mai manifestato, considerando pure che alla fine, a me personalmente, non cambia poi molto”.

 

            Bruno Magnolfi