lunedì 22 giugno 2020

Pulito e pettinato.



Sono stato fregato. Mi hanno appiccicato della roba che in apparenza sembrava buona ed anche a basso prezzo, ed invece era soltanto segatura, senza alcun valore. Volevo festeggiare, anche se non c'è niente in realtà da festeggiare, e fingere di stare bene, sentirmi contento, perché mi hanno detto che se sai tirarti su di morale hai fatto già metà dell'opera. Nel condominio dove abito mi tengono a distanza, come fossi un appestato, forse dicono di me che sono un drogato, poco di buono, un avanzo di galera ecco, ed è meglio non aver niente a che fare con gente della mia natura. Forse hanno ragione, in fondo non sono riuscito a combinare niente di buono in questi trent'anni che mi porto appresso, magari perché non ho mai trovato la mia strada, non sono stato capace di perseguire davvero un obiettivo. Ma non ci penso, generalmente vivo alla giornata, consolandomi quando riesco a star bene per un intero pomeriggio, oppure una serata.
Non è che mi interessa soltanto far lo scemo assieme a qualcun altro proprio come me che inevitabilmente trovo davanti ai soliti locali che frequento, con una birra in mano, la battuta facile, la voglia di tirare tardi senza alcun pensiero. Lascio passare il tempo, allontano dalla mia persona ogni altra cosa, e poi rido, e fingo di divertirmi, ma come per una specie di difesa. Quando poi resto da solo invece, tutto crolla all’improvviso, e mi ritrovo preda di una profonda angoscia, di una necessità profonda di essere capito davvero da qualcuno, qualcuno che abbia anche voglia di aiutarmi, qualcuno che mi spieghi, sempre che lo sappia, che cosa devo fare in un momento come questo, perché io proprio non riesco a comprenderlo.
Ho trascorso il periodo di quarantena come un carcerato, muovendomi nervosamente da una stanza all'altra della casa dove abito. Certe volte ho preso le scale condominiali e sono sceso quasi di fretta fino al portone, ho guardato per un attimo la strada del quartiere, poi sono risalito su, come se fossi stato chissà dove. Capisco che siamo sprofondati tutti quanti in una stessa situazione, ma per me la solitudine è forse qualcosa di peggio che per altra gente. Mi sono innervosito, mi sono arrabbiato con la televisione accesa, poi ho preso un coltello da cucina e ho minacciato a caso la signora che abita l’appartamento di faccia sul mio pianerottolo. Lei ha avuto parole rassicuranti, non è scappata subito come immaginavo, ha detto che il momento era difficile per tutti, ma lo ha spiegato con parole piene di tranquillità, pur restando un po’ a distanza da me. Mi sono messo a piangere ad un certo punto, e lei ha compreso che la mia sofferenza non era una posa, ed ha detto con voce calma che dovevo portare un poco di pazienza, e che lei mi avrebbe suonato il campanello per sentire come stavo ogni mattina ed ogni sera.
Lo ha fatto davvero, e la sua piccola visita è diventata per me giorno dopo giorno un appuntamento davvero importante, tanto ogni volta da farmi trovare da lei con la barba corta, ben pettinato, con i vestiti puliti e così via: un aspetto rispettabile, ecco cosa ho cominciato a mostrare grazie al suo piccolo aiuto, come se in quel periodo avessi preso a guardarmi proprio con i suoi occhi. Quando suo marito mi ha detto che era stata portata in ospedale mi sono sentito mancare la terra sotto ai piedi, e sono sprofondato di nuovo e rapidamente nella sofferenza. Adesso qualcuno mi ha fregato, ma io devo essere più forte, lo devo a lei, e smetterla con i soliti comportamenti. Così mi sono pettinato, ho messo un vestito pulito, e sono uscito per fare un giro; senza farmi vedere però davanti ai soliti locali che frequentavo un tempo.


Bruno Magnolfi



martedì 16 giugno 2020

Proprio oggi.


           

            La mia ferita continua a sanguinare adesso, ed io non posso farci niente. Forse non avrei mai dovuto entrare in quel locale, perché potevo immaginare chi fossero i frequentatori di quel posto, e poi anche lasciarmi provocare in quella maniera avrebbe dovuto soltanto farmi sorridere, senza alcuna altra reazione; però non sono riuscito proprio a trattenermi, e quando quello che rimaneva lì davanti a me ha detto a voce alta che avrei dovuto soltanto tornarmene velocemente a casa mia, mi è sembrato di provare quasi un senso di soffocamento, come se tutte le cose brutte che mi sono state dette in questi trent’anni anni della mia vita, si raddensassero insieme, e gridassero dentro di me che non era giusto essere trattato in questo modo. Sono stato adottato quando non avevo neppure l’età per comprendere che cosa significasse, e per me avere qualcosa di diverso dagli altri non è mai stato un problema. Ed invece, qualcuno a turno, fin dal periodo della scuola, si è sempre preso la briga di ricordarmi quali erano le differenze che contavano, e di sorridere della mia presunta inferiorità.
            Ho sfoderato le mani nude, mi sono difeso per quanto ho potuto, ho picchiato a casaccio davanti a me, senza neanche guardare, ad occhi chiusi praticamente, ed ho sentito le nocche rigide di chi mi stava scazzottando, forse neanche da solo, ma aiutato dai propri amici, quelli che sono subito accorsi a dargli appoggio. Mi sono accasciato quando ho provato una fitta dolorosa al braccio, e mi sono subito reso conto che doveva essere spuntato un coltello o qualcosa di quel genere per farmi uscire il sangue. Sangue rosso, caldo, uguale identico a quello che circola dentro a tutti gli altri, ho pensato, persino quelli che in quel momento mi stavano davanti e che in un attimo però si sono dileguati, subito dopo avermi spinto fuori dal locale e lasciato a soffrire sopra al marciapiede. Mi sono rialzato, ho messo un fazzoletto sopra la ferita, poi sono arrivato in questi giardinetti dove sotto ad una fontanella mi sono sciacquato la ferita, fortunatamente poco profonda.
            Provo un dolore forte adesso, sia per il taglio nel muscolo del braccio, che per la maniera come mi è stato procurato: vigliaccamente, quasi con indifferenza, nel tentativo evidente di imprimermi un danno irreparabile, o qualcosa comunque di difficile da dimenticare; ma io dimenticherò, o meglio non denuncerò nessuno, non andrò neppure a farmi medicare, considerato che i sanitari mi porrebbero immediatamente delle domande, informando obbligatoriamente le autorità, e così sarei costretto a dar seguito a luoghi e contesti in cui si sono svolti tutti i fatti. Invece terrò tutto per me, è questa la maniera migliore per superare la voglia di vendetta che mi potrebbe prendere se solo mi lasciassi andare a dei pensieri bassi. Non importa penso, il sangue smetterà di uscire, tra poco riprenderò a respirare lentamente, con la calma necessaria, e sarò capace di ritrovare la serenità che mi ha sempre contraddistinto. Non ci sarà alcun seguito, perché non provo adesso nessuna voglia di ritrovarmi di nuovo davanti a quei tizi del locale; non per paura, non per evitare dei nuovi guai per me, quanto perché le loro facce sono proprio quelle di chiunque, perché chiunque poteva essere al posto di colui che mi ha ferito deliberatamente.
            Devo stare più attento, da ora in avanti, tutto qua, e prestare più accortezza, evitando il più possibile certe persone, imparando a frequentare soltanto quegli individui che mostrano di avere la testa per apprezzare gli altri da cui sono circondati, indipendentemente dalle origini che hanno o dalla storia di vita che portano dentro, perché credo proprio che la violenza porti soltanto altra violenza, e soltanto interrompendo questo corto circuito si possa sperare di essere migliori. Anche se non potrò dimenticare mai ciò che mi è stato fatto oggi.

            Bruno Magnolfi  

martedì 9 giugno 2020

Insopportabile.


           

            Lo so, mio figlio era ancora troppo piccolo per comprendere da solo quello che realmente stava accadendo. E nonostante ogni sforzo che ho cercato di imporre anche a me stessa per portarlo minimamente a riflettere sulla necessità di adottare certi comportamenti in questo difficile periodo, lui alla fine ha deciso ogni volta di fare a malapena quello che gli chiedevo, come per un semplice favore alla sua mamma, e nient’altro. Ho cercato più volte anche di mettermi nei suoi panni, e quindi di tornare ogni volta a spiegargli il motivo per cui non era possibile andare ai giardini insieme agli altri bambini del quartiere che lui conosce, oppure a trovare suo cugino più grande di due anni come qualche mese addietro facevamo. Ma lui ha proseguito a lamentarsi costantemente di qualsiasi cosa e dopo basta, tenendomi regolarmente il broncio.
            “Sei cattiva”, mi ha anche detto qualche volta, come per far ricadere la colpa di tutto su di me, ed io mi sono limitata a sorridergli, tornando a spiegargli con pazienza come stavano davvero tutte le cose. Non è facile tirare su da soli un figlio come il mio, ed in più questo periodo così difficile non ci voleva proprio, né a me, e tantomeno a lui. Mi sono vista disperata in certe giornate, così ho alzato la voce, gli urlato contro, l’ho persino minacciato, lasciando da parte, almeno momentaneamente, ogni volontà di comprensione. Mi è venuto persino da piangere in qualche occasione, per la rabbia repressa, per la situazione, per la sfortuna tremenda di ritrovarmi in una condizione come questa. Adesso non so più cosa pensare: si può tornare fuori poco per volta, andare in giro, riassaporare un briciolo di normalità; ma il guaio è fatto: mio figlio mi guarda senza sorridermi, sembra non fidarsi più di quello che gli dico, e spesso decide di starsene in silenzio piuttosto che sentire ancora la mia voce che cerca soltanto di spiegargli le cose di sempre.
            A me pare sia cresciuto estremamente in fretta durante questa semplice manciata di settimane, ed i suoi sentimenti verso di me sembrano aver virato verso il sospetto, l’incredulità, persino il dubbio, quando cerco solo di parlargli come sempre ho fatto. Lo so che non mi accetta, ed a me di controparte lui riesce sempre meno sopportabile, anche se non dovrei neppure pensare una cosa di questo genere. Certe volte in questi ultimi giorni vorrei quasi soffocarlo mentre dorme, e poi immediatamente andare a gettare il suo corpo da qualche parte, dentro un fosso d’acqua magari, che se lo porti via con la corrente. Non sono vere parole da mamma queste, lo so benissimo, però ci vuole comprensione anche nei miei confronti, perché io mi sento esasperata, non sopporto ancora questo andamento delle cose, ed avverto sempre più forte la necessità di riappropriarmi della mia esistenza. Ormai non telefono a nessuno, mi rinchiudo nei miei pensieri e mi limito ad incrociare uno sguardo carico di odio con mio figlio, regolarmente ricambiato con il suo modo di osservarmi.
            Non può durare a lungo questa situazione, me ne rendo conto benissimo, ed aspetto da un momento all’altro che accada qualcosa di irreparabile. Devo difendermi, questo è il punto, perché so con certezza come lui adesso abbia maturato la forza necessaria per prendere un coltello da cucina e di recidermi la gola. Non gli posso permettere una cosa di quel genere, dopo tutto ciò che ho fatto nei momenti più difficili di questo periodo di chiusura claustrofobica. Devo stare attenta, studiare le sue mosse, attendere con calma che si scopra, che mostri le sue vere intenzioni, e poi sorprenderlo con uno studiato contropiede, neutralizzandolo in un attimo, e mostrandogli così in questa maniera che anche per conto mio si è superata ormai la soglia di qualsiasi sopportazione.

            Bruno Magnolfi 

martedì 2 giugno 2020

Perdita di tempo.


            

            Guardo ogni tanto le informazioni che mettono in onda quelli della televisione, poi leggo giusto qualche riga tra quegli articoli pubblicati sopra ai giornali pieni di pubblicità che vengono forniti gratuitamente davanti ai supermercati, ed infine seguo anche qualche notizia in rete sul visore del mio telefono portatile, e faccio tutto questo però in modo molto distratto, senza approfondire mai troppo neppure qualche dettaglio, naturalmente per rimanere il più distaccato possibile dalle opinioni degli altri, e quindi maggiormente obiettivo, più imparziale, anche se ogni giorno mi convinco sempre di più che niente tra qualche tempo sarà più identico a prima. Sta andando tutto alla malora, questo è il punto, e tra coloro che continuano a tenere stretto il potere non interessa un bel niente della gente semplice e normale, esattamente come sono io. Intanto personalmente devo ancora rendermi conto se il contagio sia stato voluto da qualcuno di preciso oppure no, e poi sono convinto che ci sarà senz’altro una parte degli individui più in vista a livello globale che riuscirà ad approfittarsi della situazione che si è creata negli ultimi tempi, mentre la gente semplice a cui anch’io appartengo, rimarrà per forza strangolata dal disastro economico che sicuramente arriverà tra poco tempo.
            Resto in casa, esco, neanche so più neanche io in quale modo comportarmi: mi sembra un’ironia dare ancora retta a quello che le autorità ci chiedono di fare; penso che ogni tanto una bella depressione finanziaria con il seguito delle inevitabili masse crescenti tra disoccupati e famiglie ormai ridotte pressoché alla fame, sia proprio quello che ci vuole a chi ormai si è già arricchito alle spalle degli altri nel momento giusto e non vuole certo perdere adesso neppure un centesimo di tutto ciò che è riuscito ad accumulare. Siamo alle solite di sempre, non è cambiata una virgola dell’ingiustizia sociale che da queste parti è sempre esistita. Non sopporto più nessuno, mi sento preso in giro da chiunque si metta a parlare con quella supponenza che tradisce subito una falsità di fondo di cui avverto l’odore fin da lontano. Noi del popolo siamo presi nel mezzo, penso, e a questo punto non è più neppure possibile tentare di ribellarci.
            Mi chiudo dentro la mia stanza, vorrei isolarmi da tutto e smetterla una buona volta di pensare che non c’è proprio niente che io possa fare per cercare una via d’uscita da questa situazione. Sono fregato, questo è il punto, nessuno potrà darmi mai quello che desidero e che secondo me sarebbe sacrosanto. Poi suonano alla porta, vado ad aprire già di malavoglia, senza alcuna curiosità, così apro leggermente l’uscio e vedo dallo stipite che è soltanto il mio vicino di casa che è venuto a chiedermi qualcosa, restando comunque a distanza sopra al pianerottolo e con la protezione prevista ben pressata sulla faccia. “Sono a terra”, mi fa, “non ho più neppure un soldo, ed anche se mi hanno già promesso degli aiuti, intanto non ho niente neppure per mangiare”. Lo guardo un attimo: “sono nella tua stessa condizione fratello”, gli fo senza starci troppo a pensare, così lui abbassa lo sguardo e dopo un secondo se ne va, senza neppure insistere.
            Lo so, forse avrei potuto dargli qualcosa, oppure dividere con lui la scorta di roba che ho nel frigorifero, però non è colpa mia se la situazione porta ognuno a rinchiudersi in se stesso, a fregarsene degli altri: è il sistema che ha generato tutto questo, penso con rabbia; noi poveri cristi siamo soltanto delle pedine rimaste in mano a che ci muove come vuole. Mi apro una lattina di birra e ne butto giù un bel sorso: e poi chi lo conosce questo qua, è soltanto uno che mi abita di fronte, uno che si comporterebbe esattamente nella stessa maniera nei miei confronti; per questo è del tutto inutile persino continuare ancora a rifletterci.

            Bruno Magnolfi