martedì 28 marzo 2023

Andarsene lontano.


            Sto da solo, nella mia piccola bottega che era di mio padre. Anche quando arriva qualche cliente, mi fa vedere le sue scarpe, gli spiego il lavoro, quanto costa, quando saranno pronte, sono comunque solo. Vengono da me perché non c’è nessun altro nel nostro paese che voglia fare questo mestiere. Ed io intanto penso. Anche se è stato proprio il pensiero che mi ha fatto ammalare di solitudine. Metto il mastice, stringo la morsa, metto due chiodini, e intanto penso. Penso di odiare tutti quelli che non sono di qui, del mio paese, intendo. Loro le scarpe se le comprano nuove, quando un tacco è consumato. Sono tutti signori, hanno soldi da spendere, gettano via una cosa quando è consumata, o anche soltanto perché è sporca. Anche a me butterebbero via, solo potessero. Ed io li odio tutti quei paesi lì, che non sono il mio paese. Li vorrei vedere tutti ridotti in miseria, a chiedermi in ginocchio di risuolare le scarpe e a ringraziarmi, quelli di quei paesi. Perché non meritano niente, neppure un chiodino a reggere la punta di una suola. Bisognerebbe buttare giù tutte le loro case, e mandarli in giro senza scarpe, con qualche straccio legato ai piedi con lo spago.

            Viene un cliente, si è scollata la suola, va bene, dico, o forse faccio solo un cenno con il capo, domani, gli spiego con la mano, domani è pronta questa scarpa. Nel mio paese c’è tutta brava gente: vengono da me, riparano le scarpe, mi danno i soldi che io chiedo. Negli altri paesi, tutti qua attorno, ci sono soltanto farabutti. Uno è venuto, non lo conoscevo, ha detto che era di Calci, e che se non si fosse potuto riparare avrebbe buttato tutto via. Ho tenuto lo sguardo basso, come fossi da solo, l’ho lasciato dire; domani, gli ho detto, forse. Poi l’ho richiamato. Non si può fare questo lavoro, ho detto con le mani, neanche domani. E lui ha buttato tutto. Molto meglio. Non voglio fare niente per uno di Calci. Anche se questo è il mio lavoro. Non mi hanno mai aiutato, quelli di Calci, anche con mio padre si sono comportati sempre così. Hanno lasciato che morisse di fame, pur di non farsi rifare i tacchi delle scarpe. Hanno buttato tutto, e se ne sono comperate di nuove, questi gran signori che abitano a Calci, o a San Giuliano. Tutti uguali, farabutti.

            Ed io adesso, da solo, penso alla vendetta. La devono pagare, i farabutti, ed imparare come ci si comporta. La sera faccio un giro con l’ape, mi fermo dentro una bottega, compro un pezzo di pane ed un cartone o due di vino. Perché non ho televisione dentro la mia stanza. Solo i miei pensieri, e la mia solitudine, che sta sempre con me. Ed allora penso che debba vendicarmi, e faccio fuori il cartone prima di addormentarmi ancora vestito come sono, con le mani secche di mastice e la puzza ancora addosso di pelle conciata a Santa Croce. Perché sono loro, i farabutti, che mi hanno ridotto in questo stato. Forse ridono, quando mi immaginano con l’ape, e non mi portano le scarpe, le ricomprano, i signori farabutti. Ma io me ne sto da solo, e mi addormento mentre penso che farò saltare tutti in aria, quelli che se ne stanno in quei paesi, che piuttosto di far mettere un chiodino o il mastice ad una suola, vanno al negozio e si comprano delle scarpe nuove. Non dirò niente, non ho bisogno di spiegare niente a nessuno. Comprenderanno tutto d’improvviso. I farabutti, che mi tengono da solo in questa bottega, e mi ci farebbero morire, fosse per loro.

            Al mattino, mi dico, è già domani, anche oggi, e devo risuolare un paio di scarpe, verrà il cliente, rimarrà sicuramente soddisfatto del mio lavoro, che era di mio padre, che hanno fatto morire di stenti, quando avrebbe potuto lavorare in grande, e riparare scarpe a tutti questi paesi di questa provincia maledetta. Ma loro no, non si sono mai piegati, e allora basta: consegno il paio di scarpe, prendo i soldi, vado alla bottega per il vino, poi faccio un giro a Calci, a vedere i farabutti, che smetteranno di ridere, presto, e di comprarsi scarpe nuove, belle lucide e pulite. Devono impaurirsi, sapere che c’è qualcuno che non li ha mai digeriti, quelli di Calci e di San Giuliano, con tutti i soldi che hanno, pronti per comprarsi scarpe nuove e tutto il resto. Devono vederla la vendetta, nel momento della sua realizzazione, e provare una gran paura, senza neppure immaginare da chi arriva. Perché io sto da solo, in questa piccola bottega, che era di mio padre. Ed ho avuto tutto il tempo di pensarle queste cose, e di capire quale sia sempre stato il mio nemico. Perché un nemico ci dev’essere, qualcuno che mi ha costretto in questa condizione, che mi ha voluto proprio così, e intanto si è comprato delle scarpe nuove, che però non gli serviranno di certo per andarsene lontano.

            Bruno Magnolfi

martedì 21 marzo 2023

Niente di buono.


            <<Sto bene>>, dice subito la mia amica Elena. Forse vorrebbe aggiungere qualcosa, ma poi resta in silenzio. È da diverso tempo che non ci vediamo, magari ci sarebbero da fare degli aggiornamenti sulle nostre diverse situazioni, ma lei si è accorta subito di come io abbia modificato qualcosa nel mio comportamento, ed adesso si è messa già sulla difensiva, o almeno pronta ad attendere che io mi spieghi per prima. Facciamo due passi lungo le strade del nostro paese tanto per andare a caccia di argomenti, così si parla della famiglia di un ragazzo che conosciamo e che timidamente ci saluta incontrandoci, poi di un uomo dal passato poco chiaro che vediamo fermo da una parte, ed infine rimaniamo zitte, elaborando autonomamente dei pensieri. <<Mi sono iscritta ad una scuola di recitazione di Pisa>>, dico io in modo diretto e all'improvviso dopo questa pausa, senza prima introdurre in qualche maniera l'argomento. Lei sorride, mi guarda, infine si ferma. <<E da dove viene questa vocazione?>>, mi fa sorridendo ma cercando un tono poco ironico. <<Non lo so; ho pensato di colpo che un'attività del genere fosse adatta per me, così senza chiedere opinioni mi sono iscritta al corso. Ad essere sincera devo ancora iniziare, però mi sono presa già dei manuali e sto studiando>>. Elena è una ragazza intelligente, per nessun motivo si metterebbe a criticare le mie scelte, però adesso sembra rimasta colpita, tanto da non riuscire a replicare niente.

            Non mi chiede se io abbia qualche prospettiva, se intenda partecipare a qualche spettacolo minore che normalmente viene tirato su, durante le serate vuote, da un gruppo formato da qualche dilettante pieno d’entusiasmo, perché ha compreso benissimo che non è quello il mio scopo, che per me sono altre le attività che attirano maggiormente il mio interesse, anche se non riesce a formulare la domanda che adesso sembra quasi essenziale. <<Voglio comprendere quale sia la vera sensibilità che sovrasta l’immedesimarsi in altri; quella capacità che spinge ad abbandonare per qualche attimo se stessi, per abbracciare una diversa personalità, e diventare in questo modo personaggi>>, le dico di corsa, senza guardarla, come se questo fosse quasi un qualsiasi capriccio. Elena ci pensa, riflette a lungo, elabora qualcosa, ed infine dice soltanto: <<mi piace>>, come se il suo fosse l’apprezzamento maggiore che su due piedi si riesca ad esternare. Sorrido, lei comprende perfettamente che io mi sono già fortificata in queste scelte, e che sono riuscita a mettere a punto, da sola, nel corso di parecchio tempo, quello che sto cercando adesso di mettere in opera. Mi osserva come se avesse di fronte una persona nuova, che neanche conosce, poi si ferma, e con un’espressione carica di sentimenti mi abbraccia, quasi fosse quella l’unica maniera che conosce per apprezzare tutte le mie convinzioni.

            Poi dice in fretta di sé, alzando le spalle come per togliere importanza ai suoi argomenti, che invece a lei ultimamente non è successo niente di particolare: prosegue a lavorare presso l'asilo nido come sempre, e se si toglie il rapido momento in cui giungono i genitori dei bambini a portare o a riprendere i loro figli, il resto si snoda in modo piuttosto monotono. <<Ci scambiamo qualche opinione sui progressi che i piccini compiono ogni giorno, parlandone coi parenti che con le maestre, ma non si approfondisce quasi mai alcun argomento, sempre che tutto vada bene, e che le cose procedano secondo ogni previsione pediatrica>>. Si capisce che Elena deve sentirsi fortemente annoiata di una giornata tipo dove non giungono dei veri e propri stimoli, però anche la sua incapacità di darsi delle prospettive diverse dal solito, sicuramente funziona come un’ancora per una barca che così non può mai prendere il largo. <<Vorrei ancora iscrivermi ad un corso accelerato di pedagogia infantile, ma come ne parlo in giro tutti sembrano pronti a dissuadermi, a spiegarmi con affanno che quella è una strada che non mi darà mai alcuna prospettiva, e che il tempo degli studi ormai è finito per una come me. Invidio te, invece, che autonomamente hai preso una decisione che se non altro può allargare la tua mente, oltre a farti incontrare moltissime nuove conoscenze, nei più svariati campi>>.

            Poi io e lei ci fermiamo nel solito locale dove in genere ci facciamo servire una birretta e si trascorre una mezz’ora sedute al tavolino, anche se probabilmente agli occhi di Elena io sembro mostrare oggi un comportamento più sicuro di me, come se avessi ormai superato un grande ostacolo, ed ora fossi tranquilla, a posto, senza più dei grandi dubbi, o almeno quelli che avevo fino a qualche tempo fa. Mi guarda, non dice niente, sorseggia la sua birra in silenzio e forse mi invidia, così le dico soltanto che mi sento alleggerita ultimamente, come se tutti i miei crucci fossero in via di soluzione. <<Dobbiamo muoverci>>, le dico alla fine; <<altrimenti ci ritroviamo ad essere soltanto delle vecchie zie, che nella vita non sono riuscite a combinare niente di buono, neppure per sé stesse>>.

 

            Bruno Magnolfi

martedì 14 marzo 2023

Assecondare.


            I miei pensieri più intensi mi lasciano molto spesso una sensazione di solitudine, ed allora ne ho quasi paura. È vero che non voglio mai parlare con nessuno di alcuni desideri che tengo rigorosamente nascosti dentro di me, come dei segreti; però mi rendo anche conto che adesso non posso più tacere, non posso più essere come sono sempre stata, perché in questi pochi ultimi giorni qualcosa sta cambiando in modo estremamente rapido. Mi guardo in uno specchio appeso dentro la mia camera, arrotondo le labbra per dare carattere ad una parola, poi sollevo lo sguardo per mostrare un’espressione più spiccata; devo avere decisione con me stessa, indifferenza invece verso chi potrà ridere di me, oppure criticarmi. Ognuno ha il diritto di provare le sensazioni che desidera, ed io in questo momento so che sto dando una spallata a tutto ciò che sono stata fino ad ora, e sento già dentro di me le variazioni che per questo sono sicura arriveranno. Non tanto per ciò che sono o ciò che faccio, quanto per la mia personalità, che è rimasta ormai sopita per un tempo troppo lungo, ed adesso capisco che è praticamente pronta per lanciarsi verso qualcosa di cui non conosco quasi niente, però so che sta qui, di fronte a me, mi osserva, e quasi mi attende. <<Laura>>, dice mia madre oltre la porta chiusa, <<non hai voglia di uscire un po’ da questa stanza?>>. Osservo l’uscio, fingo di vedere la mia mamma attraverso il legno, ed anche lei così è qui, proprio davanti a me, con il suo profilo noto da donna semplice di casa, tanto che cerco di risponderle in una maniera per lei insolita, come se la mia persona all’improvviso fosse un’altra, ed io stessi incarnando un personaggio che adesso mi sento quasi capace di inventare. <<Adesso, arrivo>>, le dico alla fine, allungando sillabe e parole più del solito, quasi per dare a questa mia semplice risposta un carattere diverso. 

Infine, esco furtiva dalla mia solita stanza, ma lo faccio lentamente, e poi mi vado ad appoggiare allo schienale di una sedia di cucina per fissare dritta mia madre, come se fosse improvvisamente una persona estranea. <<Che c'è>>, fa lei, subodorando subito che nella mia mente gira qualcosa che devo rivelarle. <<Mi vedi diversa>>, dico io. <<Lo so. Perché anche se devo molto esercitarmi, ed anche immaginare di stare continuamente sopra ad una specie di continuo palcoscenico, quindi recitare, ed assumere espressioni differenti, indossando delle maschere, abbandonando le mie fattezze, resto comunque quella che sono sempre stata. Insomma, mi sono iscritta ad un corso di recitazione, ed assolutamente non posso sfigurare, ma soprattutto sento dentro di me di essere già una persona differente, la stessa di sempre cioè, solo con una maggiore consapevolezza>>. La mamma allarga la bocca come per esprimere una vocale di sorpresa, ma senza darle fiato, restando così, immobile a guardarmi per almeno qualche istante, forse incapace di esternare anche una semplice opinione. <<Ma da quando meditavi questa cosa?>>, mi chiede alla fine, ovviamente per cercare di comprendere qualcosa di più, oltre la sorpresa che le ho fatto.

Sorrido, non ho alcuna certezza, ne sono consapevole, ma se voglio evitare che chiunque altro metta in dubbio il percorso che d’ora in avanti ho intenzione di intraprendere, forzatamente fin da adesso devo mostrare decisione, sicurezza di me, delle mie doti, se ci sono, anche se sono la prima a dubitarne. Mia madre però starà sempre dalla parte di sua figlia, e mi sosterrà, anche se non dovesse essere proprio convinta di ogni scelta che farò. <<E da quando coltivi certe aspirazioni?>>, mi chiede, occupandosi subito di qualcosa d’altro. <<Non lo so>>, faccio io; <<soltanto, è maturata dentro di me, poco per volta, la voglia di provare qualcosa di cui non ho alcuna esperienza; e poi terminerà, naturalmente, al momento in cui dovrò rendermi conto che è soltanto tempo perso>>. Lei oggi deve stirare i panni che ha ritirato dopo averli lasciati ad asciugare, e per la sua mentalità niente è più importante di qualcosa così pratico, così concreto, così giusto, come quello a cui deve dedicarsi. Non desidero cambiare niente di lei e delle sue idee, penso mentre cerco di aiutarla, ma io adesso devo essere me stessa, e correre dietro a tutto ciò che sta passando dentro alla mia testa.

Torna anche mio padre, e lei non sa neanche di che cosa parlare, tanta è la confusione di cui si sente preda. Non importa, penso; non è niente di grave quello che sto facendo: si abitueranno, tra non molto, li obbligherò ad ascoltarmi, forse, mentre interpreterò davanti a loro qualche lettura di teatro. E poi saranno contenti, prima o dopo, penso. Perché non ci può essere quasi altro di importante, per dei genitori come loro, che assecondare in qualche modo le passioni forti e decise della propria figlia, che in fondo fino ad oggi non ha reclamato per sé quasi nient’altro.

 

Bruno Magnolfi

sabato 4 marzo 2023

Direzione contraria.


            Oggi, giro per strada quasi senza preoccuparmi di alcun altro impegno, se non camminare lentamente salutando qualcuno che incontro ogni tanto sul marciapiede di via XX Settembre, il quotidiano immancabile dentro la tasca, una sottile cartella di documenti stretta in una mano. Vorrei essermi formato un’opinione precisa su quanto sta accadendo in questo piccolo paese, ma non ci riesco, mi pare tutto così insolito che sono capace soltanto di sospendere ogni giudizio, nell’attesa che il tempo chiarisca almeno qualcosa. Mia moglie svolge la propria attività alle Poste oramai da tanto tempo, e quello che mi è sempre apparso esattamente il luogo di lavoro più immobile e monotono di tutta Calci e dintorni, al punto che in qualità di sindacalista non ho mai preso neppure in considerazione il fatto che potessero esserci là dentro degli estremi contrattuali per una qualsiasi rivendicazione da parte del personale, adesso appare completamente diverso. All’improvviso difatti tutto sembra rapidamente cambiato, e la minaccia anonima di far scoppiare un ordigno all’interno di quell’edificio, dimostra che probabilmente ci sono anche degli elementi che mi sono del tutto sfuggiti, almeno fino ad ora. Ho chiesto alla Direttrice dell’Agenzia di indire, insieme al resto del personale, un giorno di sciopero, e relativa chiusura degli uffici, come atto dimostrativo di protesta per quanto accaduto, e lei, pur non troppo convinta di questa azione, ha detto comunque che andava bene, solo doveva naturalmente comunicarlo alla Direzione di Pisa ed attendere anche il loro parere.

            Costeggio così lo slargo davanti alla Casa del Popolo, e com’era prevedibile vengo subito fermato da qualcuno che mi saluta con entusiasmo e mi chiede qualcosa. Sono molto conosciuto in certi ambienti, e nel passato il Partito mi aveva anche chiesto di presentarmi come candidato a Sindaco nelle Elezioni Amministrative locali, ma io ho sempre rifiutato, soprattutto per una mia incapacità nel mettermi troppo in vista in certe battaglie politiche. Ho preferito cioè continuare ad occuparmi come sempre degli aspetti contrattuali di alcune categorie di lavoratori, piuttosto che pormi a simbolo di una intera popolazione. Forse a qualcuno è persino dispiaciuto, ma a me è andato bene così, tanto più che già nei sondaggi non era per niente chiaro quale potesse essere la coalizione vincente. Poi, da non molto tempo, è arrivato alle Poste il nipote del vicesindaco di destra, vincitore naturalmente di un regolare concorso, ma probabilmente aiutato dalla famiglia nella sua assunzione ad impiegato, e qualcosa è iniziato già a muoversi. Alberto, così come si chiama questo giovanotto, all’improvviso mi chiede di fargli avere la tessera sindacale della mia organizzazione, ed io lo accontento, non posso fare nient’altro, però qualcosa inizia a non tornarmi per niente. Ad un certo punto poi, si comincia da molte parti a vociferare che la sede di Calci di Poste e Telegrafi verrà chiusa, senza che ci sia una spiegazione esauriente per una scelta del genere, se non quella di potenziare la sede di un paese vicino. Infine, la bomba, o meglio la sua minaccia, che in fondo è quasi la stessa cosa.

            Non so più che dire a queste persone che desiderano conoscere la mia opinione in merito a questi fatti: sorrido, dico che è presto per trarre delle conclusioni che rischiano di apparire assolutamente affrettate, assicuro tutti che non sono a conoscenza di qualcosa che invece loro sembrano ignorare, e con questo mi stacco da questo gruppetto che si è formato, e muovo verso la sede postale. Desidero parlare con Alberto, conoscere qualcosa di più delle sue idee, capire se questa tessera sindacale, almeno nelle sue intenzioni, avesse degli scopi precisi, oppure fosse soltanto una controversia all’interno della propria famiglia. Così giungo davanti all’edificio nel momento esatto del termine dell’orario di lavoro, e dopo poco difatti si apre la porta e i pochi impiegati escono e si salutano tra loro. Mia moglie mi vede e mi viene incontro, ma io le faccio cenno di attendere un attimo, e così fermo Alberto e gli chiedo se vada ancora tutto bene, adesso che è un nostro tesserato. Mi risponde di sì, senza aggiungere molto su questo argomento, però timidamente mi chiede se fosse possibile incontrarsi magari in un altro giorno, naturalmente fuori dall’orario di lavoro, in considerazione di alcune cose che vorrebbe conoscere. <<Non ci sono problemi>>, gli dico; <<per me va bene anche domani, nel tardo pomeriggio, nell’ufficio del sindacato>>. Lui mi stringe la mano, mi saluta, e poi se ne va, lasciandomi immerso in dubbi ancora maggiori di quelli che avevo.

            Mia moglie Lorenza dopo un attimo mi viene vicino, e forse deducendo qualcosa dalla mia strana espressione, mi chiede se ci siano dei nuovi problemi, ma io scuoto la testa, la prendo sottobraccio e mi avvio insieme a lei verso la nostra abitazione. <<Non ho la più pallida idea su che cosa abbia desiderio di parlarmi, questo tuo collega>>, dico sottovoce a Lorenza; <<però ho l’impressione che qualcosa dentro di lui stia correndo più veloce del necessario, e forse proprio nella direzione contraria a quella dei suoi familiari e dei suoi parenti>>.

 

            Bruno Magnolfi