lunedì 30 ottobre 2023

Soltanto Freddy.


            Ognuno ha un soprannome, in questo ambiente. A me hanno affibbiato subito quello di Freddy, e siccome sono l’ultimo arrivato, tutti mi chiamano da ogni parte e non mi lasciano neppure il tempo per riuscire a respirare. Poi mi dicono di andare in via Scialoja solo per tre pizze, visto che a nessuno interessa fare una scarpinata fino lì per una sola consegna. Mi battono una mano sulla spalla ridendo, mi caricano lo zaino contenitore, e via, di corsa sui pedali. Resto collegato con gli auricolari nella speranza che mi richiamino indietro per aggiungere qualche altra consegna da effettuare nella zona, ma non succede niente del genere, e allora vado avanti, senza mai voltarmi. L’indirizzo mi ricorda qualcosa, ma è come un elemento remoto nella mia memoria, e non ci faccio neppure troppo caso. Invece, quando arrivo sul posto, mi rendo subito conto che il palazzo è proprio quello dove abita Cristina con i suoi genitori. Secondo piano, mi hanno detto in sede, ma il portone sulla strada è chiuso, così faccio suonare il campanello e subito scatta l’apertura elettrica per farmi entrare. Salgo le scale con il fiato grosso, e quando giungo sull’ampio pianerottolo, lei è lì, davanti a me, che mi guarda con sorpresa e con un inizio di sorriso sulle labbra. <<Ciao>>, dico sprecando quasi tutta l’aria che mi è rimasta nei polmoni; <<ti ho portato le pizze>>. Lei si avvicina, mi accarezza il viso, ma capisco che vorrebbe anche abbracciarmi, se solo fossi meno sudato e accaldato, come dimostro con grande evidenza. <<Sono contenta di vederti>>, dice Cristina mentre mi aiuta a liberarmi dallo zaino e a prendere i cartoni. <<Anche io>>, dico in un soffio.

            Lei tira fuori i soldi, ma io ormai mi sento immobile, incapace di fare o dire qualsiasi altra cosa. Forse vorrei restare così, davanti a lei, per almeno una mezz’ora, magari anche di più. Mi angoscia pensare che questa sia davvero la mia occasione buona per ricucire i rapporti con questa ragazza che ho di fronte, e per nessun motivo al mondo vorrei sprecarla per stupida timidezza, o per chissà cos’altro. Cristina mi mette nella mano alcuni soldi, forse dovrei anche fare il resto, ma sono completamente imbambolato, e non so più neanche riflettere su quello che sto facendo o che invece dovrei fare. <<Ho tanta voglia di baciarti>>, le dico senza misurare affatto le parole; ma lei sorride ancora di più: <<tieni pure il resto>>, mi dice svelta; poi si avvicina e mi sfiora la bocca con le labbra. Soltanto un attimo più tardi arriva alle sue spalle il padre di Cristina, ed io rientro immediatamente nel mio ruolo; impacciato, stordito, incapace come sono, mi carico di nuovo il contenitore sulle spalle. <<Grazie, buonasera, arrivederci>>, dico senza dare importanza alle parole, e torno svogliatamente a scendere le scale, mentre lei, passati i cartoni a suo padre che sparisce nell’appartamento, resta sulla soglia a guardarmi andare via, silenziosa, immobile, forse felice di questo nostro inaspettato incontro. Mi volto: <<adesso il mio nome è Freddy>>, dico tanto per ridere, anche se mi rendo subito conto di aver fatto bene a calcare la variazione. Poi sparisco.

L’amore è solo egoismo, dicono in molti, però la vertigine che riesce a provocare ti fa dimenticare persino chi sei e che cosa stai facendo. Prendo un giro largo e lento con la mia bicicletta, mentre negli auricolari hanno già cominciato di nuovo a chiedere di me: <<Freddy, Freddy>>, urlano per chiamarmi, come sapessero già che me la sto prendendo comoda, cercando di farmi passare questa sbronza che sembra qualcosa che mi attanaglia persino i muscoli. Infine, rientro in sede, e i tre o quattro ragazzi che sono presenti mi guardano come se vedessero un fantasma. Poi prendo i dati della prossima richiesta, sperando quasi per assurdità che Cristina voglia ordinare ancora delle pizze, e mi permetta di trovarla di nuovo in cima a quelle scale, dolce, bellissima, meravigliata del mio arrivo nei panni di un ragazzo pieno di buona volontà. <<Siamo tutti degli sciocchi>>, penso all’improvviso a voce alta, e chi mi è accanto adesso mi guarda con ancora maggiore incredulità. Carico il contenitore, lo metto sulle spalle, guardo l’indirizzo; quando mi avvio con la bicicletta tutto d’improvviso è più leggero, e sparisco nella notte cittadina rincorso da qualche macchina e da un mezzo pubblico vuoto per metà. <<Ci sono delle speranze>>, rifletto; <<non credevo che mi importasse così tanto di Cristina, ma ora che qualcosa si è sbloccato so con certezza che dovrò fare di tutto per evitare di farla allontanare ancora da tutti i miei pensieri>>.

La serata è ancora lunga: bici, pizze, soldi, facce ignote, indirizzi da cercare, campanelli da suonare, mance, saluti, portoni chiusi alle mie spalle. Un filo sottilissimo lega i miei gesti a quelli di una ragazza come lei, forse come tante, ma che si dimostra essere tutto il mio sostegno adesso, l’impulso vivo a migliorare, a cercare in me anche la sua preziosa approvazione, l’unica che spesso sembra mancare nelle mie giornate, mentre nella testa sento la sua voce ridente che mi chiama: <<Freddy, Freddy>>, e subito col pensiero so di volare verso lei.

 

Bruno Magnolfi       

giovedì 19 ottobre 2023

Quasi sempre insieme.


            Due passi o tre, proprio davanti a dove cammino io, è lì che c’è sempre quel profilo scuro, quel contorno di persona ombrosa e scarsamente visibile di cui non riesco mai a notare nient’altro se non quella sua sagoma inespressiva, composta da un unico colore, che a tratti scompare e poi riappare, in modo rapidissimo, come una debole luce elettrica a cui in maniera intermittente venga a mancare il contatto. Un fantasma, un replicante, non saprei dire, in certi momenti sembra addirittura del tutto trasparente, ma ciò che mi turba di più osservando questa figura, è che precede sempre ogni mio passo, e in qualche maniera mi anticipa, lasciandomi evidentemente una sola possibilità di scelta, cioè quella di seguirla. Lo so, lo so perfettamente che gli altri non la vedono, che forse per loro non esiste, che è solo qualcosa che riguarda me stesso e i miei pensieri, ed è per questo che non ne parlo mai, in alcun caso, con nessuno. Però so altrettanto bene che a me in qualche modo indica la strada, che mi sostiene nel momento in cui mi trovo da solo, e che bene o male funziona quasi come un cane guida, guardando per me qualcosa che probabilmente io non sarei capace di vedere. Quando sono in ufficio a lavorare non si fa vivo quasi mai, se non rapidamente lungo il corridoio mentre vado verso le macchinette del caffè. Non ho bisogno di parlare mai con lui, perché so che è in grado di leggere tutti i miei pensieri, e di sapere già praticamente tutto di me.

Poi, in un attimo, questo mio doppio se ne va, e non si fa più vedere magari fino al giorno successivo, ma io annuso l'aria, sento il suo odore, percepisco che c'è da qualche parte, anche se non riesco ad avvistarlo. Quando ne sento il bisogno, quando vorrei averlo davanti, lo penso intensamente, ma non è detto che giunga davanti a me solo per questo, anche se sto camminando da solo per la strada. Vorrei parlarne con qualcuno, un giorno o l'altro, chiedere magari ad un tizio che si intende un po' di queste faccende, che cosa ci sia da dedurre da tutto questa cosa. Con mia moglie in generale non ho parlato mai di niente fin da quando stiamo insieme, figuriamoci se inizio adesso col rivelarle una cosa di questo tipo. I nostri figli poi sono grandi, ed hanno già le loro preoccupazioni, inutile mettergli in testa qualche altro pensiero. Così tiro avanti, più per abitudine che altro, e quando mi soffermo ad osservare attentamente questa figura che mi appare davanti con la mia stessa sagoma, comprendo che c'è qualcosa che non va dentro di me, ma fingo con tutti di essere soltanto stanco, di non aver mai voglia di parlare, di provare la necessità di starmene da solo.

Sempre più spesso compio dei lunghi giri sopra ai marciapiedi del quartiere dove abito. Mi rilasso, aspetto che la solita figura che conosco si faccia vedere, poi la seguo senza più pensare a niente, neppure per scegliere la strada da percorrere. Sto bene quando sono così, è inutile che lo neghi, e forse potrei perdermi completamente, anche se questa è l'unica preoccupazione che conservo. Già, perché il pericolo più forte, secondo il mio modo di vedere, è quello che tutta la faccenda mi prenda un po' troppo la mano, e giunga fino ad un punto estremo dal quale io non sia più capace di tornare indietro. Così conservo dentro di me questa piccola tensione, come quando si chiudono gli occhi da soli per il forte sonno, ma non si vuole del tutto abbandonarsi e dormire, o forse non si può, e per questo motivo ci si mantiene su una linea di demarcazione flebile tra sonno e veglia, quasi una sofferenza e basta. Infine, trovo sempre la maniera di rientrare a casa, però di malavoglia, come fosse una forzatura, un dovere, un obbligo al quale non riesco proprio a sottrarmi.

Non credo che qualcuno si sia mai accorto di niente. Non ritengo neppure di essere una persona troppo strana agli occhi di chi mi conosce, almeno non più di tanti altri che vedo parlare con sé stessi muovendo le mani e le braccia, come riferendosi a chissà chi. Forse anche io bisbiglio qualcosa qualche volta, ma lo faccio quasi in silenzio, tenendo le mani sprofondate nelle tasche, senza guardare nessuno intorno a me, senza riferirmi a qualche persona in particolare, tantomeno il mio compagno, quando continua imperterrito a camminare davanti ai miei piedi. Non sono un pazzo, anche se sono convinto che ci sia una profonda relazione tra me e lui, come se fosse una mia invenzione vera e propria, un personaggio della mia fantasia che riesco a modellare a mia immagine di fronte a me, quasi a sottolineare qualcosa che però mi sfugge, che non riesco a comprendere del tutto. Non so a che cosa serva il mio compagno, non so perché mi stia sempre così intorno, però sento di soffrire quando non lo vedo; ed è per questo che aspetto sempre con una certa impazienza il momento in cui finalmente deciderà di tornare insieme a me.

 

Bruno Magnolfi 

mercoledì 18 ottobre 2023

Assemblea decisiva.


            Il mezzo pubblico mi lascia a poche centinaia di metri dall'ingresso della facoltà di psicologia, un vecchio ed enorme convento completamente ristrutturato, e lungo quel breve tratto di strada che percorro a piedi generalmente incontro già qualche studente che conosco per averlo visto alle lezioni e con il quale per abitudine non scambio mai alcun saluto, ma con cui sono pronto a fraternizzare nel caso in cui questo atteggiamento fosse utile al nostro corso di studi oppure ad altro. Durante l’ultima lezione tutti coloro che seguono gli insegnamenti di base hanno deciso di incontrarsi oggi all’interno dell’aula numero otto, la più grande dell’istituto, in maniera da discutere a fondo ed infine decidere quale posizione tenere nei confronti delle prossime votazioni dei nostri rappresentanti, e soprattutto a quali conclusioni giungere per quanto riguarda la situazione universitaria attuale. Personalmente non mi sono espresso in alcun modo, pochi giorni fa, quando alla fine di una lezione è stata proposta questa riunione che ritengo piuttosto impegnativa, se non votare timidamente a favore della sua realizzazione, anche se per semplice alzata di mano, perché dentro di me ho provato subito un certo interesse a partecipare, attratto dall’idea di socializzare con coloro che hanno maturato delle idee politiche abbastanza simili alle mie, e sperando di trovare, all’interno degli iscritti, un collettivo già costituito di studenti di Sinistra. Se il Magnifico Rettore e tutti i suoi aiutanti da ora in avanti prosegue, proprio come sembra fare, a mostrarsi indifferente alle nostre modeste rivendicazioni studentesche, sono quasi sicuro che presto si andrebbe in piazza per manifestare, e forse si arriverebbe facilmente addirittura all'occupazione della facoltà. Sono assolutamente propenso a schierarmi dalla parte di chi porta avanti le svariate richieste degli studenti, e non provo alcuna remora nell’andare fino in fondo a ciò che sia necessario fare per ottenere dei concreti risultati.

            Così varco l’ingresso, dopo aver accolto dalle mani di una ragazza sorridente un volantino che parla di altre cose e che non mi interessa; ci sono già, sulle porte dell’aula adibita alla riunione, diversi studenti che dibattono qualcosa tra di loro, ma io chiedo, con una cortesia ignorata da tutti, il permesso per entrare all’interno, e poi vado subito a sedermi presso una panca rimasta ancora vuota, non troppo tra le prime file che sono peraltro già occupate, almeno parzialmente. Circola velocemente una piccola lista di nomi di studenti iscritti a parlare e a spiegare il proprio parere, e vicino a me qualcuno dice che purtroppo per le votazioni si dovrà attendere almeno un paio d’ore. Sono assolutamente propenso a prendere degli appunti, perché vorrei chiarirmi bene le idee sui vari gruppi di movimenti studenteschi, ed anche se intendo partecipare già da oggi alle votazioni, vorrei riflettere bene anche in seguito sulle eventuali affermazioni che avrò sentito fare questa mattina. Dopo qualche decina di minuti, quasi in sincronia, tutti quanti entrano e si siedono, anche se il forte parlare di ognuno crea un brusio molto accentuato, che sembra per adesso quasi impossibile attenuare. Invece basta che il primo studente porti alla bocca un microfono tra quelli che sono stati accesi sopra la lunga cattedra che tutti abbiamo di fronte, perché si formi rapidamente un insperato silenzio.   

Ognuno parla della propria esperienza, e la mette in condivisione con tutti gli altri in modo rapido, così da dare a chi desidera parlare la possibilità di esprimere i propri pensieri. I temi sono i soliti, le stesse rivendicazioni che appaiono scritte sui fogli attaccati ai muri dell'ingresso nella facoltà, e le medesime parole d'ordine che ultimamente si sentono addirittura scandite anche nell'aria, però adesso si comincia subito a comprendere la profonda differenza che si insinua sempre più tra alcuni moderati e gli estremisti di sinistra, e questi ultimi naturalmente sono coloro che accendono rapidamente tutti gli animi. Dicono che dobbiamo svegliarci, che nessuno ci regala niente, che la nostra laurea non conterà mai nulla se non riusciamo noi stessi a riempirla di concreti contenuti. Molti annuiscono, altri affermano il proprio consenso a voce alta, applaudendo ad ogni passaggio e mostrando tutto il loro sostegno. Poi arriva davanti al microfono un tizio qualsiasi, uno come potrei essere io, e con una voce scura, sottotono, senza minimamente urlare, dice che la situazione appare seria, e se non cerchiamo di comprenderla fino in fondo daremo la possibilità alla Destra di relegare noi tra gli ultimi, come se il nostro impegno e i nostri studi si mostrassero alla fine del tutto inutili.

Dice di chiamarsi Gianni, e finito di parlare si allontana subito dalla cattedra dei docenti, perché adesso qualcun altro ha preso il microfono, e lui viene a sedersi ad un paio di file dal mio posto, senza che nessuno si complimenti per il suo intervento. Allora mi alzo, prendo le mie cose, vado vicino a Gianni, gli dico in due parole che lui ha detto esattamente le stesse cose che avrei voluto dire io. Mi guarda, sa che è importante in certi casi trovare un collante tra di noi, così dice tra i denti che la lotta non sarà né facile né breve. <<Non importa>>, dico io, <<l'essenziale credo sia trovare la maniera per batterci, il resto lo vedremo nel prossimo periodo>>.

 

Bruno Magnolfi

domenica 8 ottobre 2023

Onesta verità.


            Mi sono avvicinato lentamente a quello spiazzo con i tavolini davanti al chiosco dove spesso si ritrovano al pomeriggio le ragazze, ma senza farmi notare da nessuno, restando dietro qualche cespuglio e ad una siepe. Nella mattinata ho pensato diverse volte alla maniera migliore per parlare con Cristina, ma ho compreso rapidamente di non sentirmi in condizione di compiere di nuovo delle sciocchezze come quella di andare fino sotto casa sua, oppure di telefonare a lei direttamente. D'altronde è stata chiara con me, ed io vorrei essere ugualmente sincero nei suoi confronti, spiegando a lei con calma, magari mentre la guardo negli occhi, che non può essere una sciocchezza come quella di avere delle simpatie politiche diverse a definire il nostro frequentarsi o meno. Peraltro, a me non interessa neppure troppo farmi vedere in quel Circolo di Destra dove mi hanno trascinato quei due o tre ragazzi che ho conosciuto a scuola, anche se a questo punto non vorrei mollare tutto dimostrando una scarsa personalità ed anche di essere incapace a tirare dritto con le mie idee. Mi sento improvvisamente calato in una situazione piuttosto difficile, eppure se mi svago e smetto di riflettere per qualche momento, mi appare tutto quasi naturale, come se non ci fossero dei veri ostacoli da superare tra me e lei. Mentre ero sull'autobus per avvicinarmi al chiosco, ho pensato che le cose spesso si risolvono anche da sole, basta riuscire ad essere pazienti, e attendere con calma il momento giusto in cui le faccende iniziano a sistemarsi, e poi non dare troppa importanza a tutto quanto, anche se invece so benissimo che per mio carattere spesso mordo il freno in tutte le mie aspettative, di qualsiasi natura esse siano; così mi sono guardato attorno, ed ho visto tanta gente forse incapace di fare delle scelte decise, e così mi è sembrato di assomigliare a tutti quanti, persino troppo.

Probabilmente con Cristina potrei addirittura fregiarmi del fatto di avere un fratello di sinistra, attento studioso delle tematiche delle lotte operaie e di tutto il resto, ma ho paura di apparire ridicolo, e poi per nessun motivo potrei nascondermi dietro a qualcosa che non proviene direttamente da me stesso. Ho già preso contatto con una persona che mi può dare del lavoro durante il sabato e la domenica, anche se i miei non si sono mostrati troppo d'accordo. Mi piace però rendermi il più possibile autonomo, sapere che le cose che faccio, giuste o sbagliate che siano, derivano soltanto da me, da una mia idea, dalla mia esperienza, dai miei desideri. Portare delle pizze a domicilio, peraltro, a me sembra un rapporto piuttosto onesto e trasparente come prima introduzione nel mondo del lavoro, e forse Cristina, se e quando potrò spiegarle meglio queste mie intenzioni, potrebbe essere anche contenta della mia scelta di non pesare troppo economicamente sulla mia famiglia. Qualche giorno addietro sono andato a vedere l’interno del posto dove preparano e sfornano le pizze, e ho conosciuto qualche ragazzo che, proprio come dovrò fare io, le consegna a domicilio. <<Non c’è niente di male>>, mi ha detto lui e anche gli altri tizi presenti; <<è un lavoro come un altro>>. Nessuno mi ha spiegato che quasi non c’è alcuna tutela, e che si deve correre il più velocemente possibile se si vuol mettere insieme qualche soldo, ma questo ovviamente già lo immaginavo.

I giorni addietro li ho trascorsi cercando di non pensare troppo a Cristina, però mi sono ritrovato diverse volte nei dintorni del mio liceo, a vagare con lo sguardo tra le tante facce usuali nell'orario di entrata e di uscita, nella evidente ricerca di vederla spuntare da qualche parte. Poi un mio compagno di classe, mentre mi parlava di non so cosa, mi ha chiesto d'improvviso: <<ma chi stai cercando?>>, dimostrando con quanta evidenza io stessi frugando tra i gruppi delle ragazze sopra al marciapiede, e così mi sono quasi vergognato del mio comportamento. Lo so che le cose non sono mai troppo semplici, e più si desiderano, maggiormente paiono sfuggirci, così ho pensato che per ottenere un risultato concreto dovessi per forza mettermi in gioco, pur con un certo tatto. Conosco di vista una ragazza che sta spesso insieme a Cristina, la sua amica del cuore si potrebbe dire, così ho deciso di provare ad arrivare a lei tramite l’altra. Ieri sono venuto già a questo chiosco all'aperto con la mia bicicletta, e speravo, anche se non ci fosse stata lei, di vedere almeno la sua amica. Ma non c'erano nessuna delle due, così ho deciso di tornare da queste parti ogni pomeriggio, almeno fino a quando non riuscirò ad incontrarla. In fondo, non sto chiedendo molto, ho riflettuto già da ieri; devo spingermi in avanti, penso, mostrare il mio interesse, magari suggerendo con il mio comportamento anche il possibile bisogno di cambiare idee politiche. Qualcuno mi ha detto che con certe ragazze questo metodo funziona, anche se ancora io credo molto nella semplice ed onesta verità.

 

Bruno Magnolfi