mercoledì 17 luglio 2019

Orario di lavoro.


         

            Compio i medesimi gesti ogni giorno, e qualche volta, quando qualcosa non va esattamente come vorrei, mi sembra persino impossibile che questo accada proprio a me stesso, senza che possa oppormi ad un fatto del genere, tanto che in certi casi mi prende addirittura un tremito, quasi una febbre, che mi lascia spossato e impossibilitato, almeno per una certa porzione di tempo, ad occuparmi di qualcos’altro. Tremo all’idea che possa cadermi di mano un oggetto qualsiasi, ma se in più quello è anche fragile, impazzisco al pensiero che possa rompersi sul pavimento in mille pezzi. Per questo uso sempre la massima attenzione in ciò che devo fare, tralasciando tutto quello che per qualche motivo non risulta strettamente indispensabile.
            Il momento migliore per me, specialmente nelle ore in cui sono in casa, è quando resto seduto senza fare assolutamente un bel niente, se non pensare alle mie cose, ed al massimo parlare da solo. Per questo appoggio sul tavolo lo specchio fedele, il mio fratello gemello, perché questo oggetto per me rappresenta tutto ciò che cerco dagli altri: un amico sincero che ascolta ciò che ho da dire, ed al massimo fa una debole smorfia sulla mia immagine riflessa, al momento in cui non si trova del tutto d’accordo con le parole che esprimo. La mia è una tecnica meravigliosa, quella per cui, qualsiasi cosa abbia in mente, passandola semplicemente al vaglio del mio piccolo specchio, riesco in questo semplice modo a comprenderne esattamente il valore e  anche quanto possa essermi utile. E’ sufficiente per me guardare l’immagine, e l’espressione che vedo nella cornice mostra realmente quello che penso, e quindi evidenzia in un attimo la verità più completa.
            Tra i corridoi degli uffici dove lavoro parlano sempre di calcio, e solo qualche volta di donne; io naturalmente non entro mai negli argomenti dei miei colleghi, mi limito a stare in silenzio davanti alle macchine automatiche per il caffè, e ad ascoltare senza troppa attenzione quello che dicono tutti. Mi tengono sempre da parte, forse perché non sono sposato, non ho una famiglia, e sanno che vivo da solo, e soltanto per questo immaginano che io sia abituato a non dire mai niente. Perciò mi lasciano stare, che poi è il risultato migliore che io possa ottenere da loro, visto che non ho interessi sportivi, e di donne fino a questo momento ne ho conosciute ben poche. Ci sono anche delle impiegate al mio piano di uffici, ma stanno quasi sempre per conto proprio in gruppi di due o tre, e non si fermano quasi mai a parlare con i colleghi maschili che sono certamente in numero maggiore. Non è facile far trascorrere bene tutto il tempo dell’orario di lavoro, ma in qualche modo sembra proprio che si possa riuscire anche in un’impresa del genere.
            Ed è proprio seduto alla mia scrivania che i gesti consueti diventano per incanto dei veri e propri automatismi, quasi delle azioni riflesse condizionate da una casistica di possibilità decisamente ridotta. Aprire un cassetto, prendere la pratica a cui si sta lavorando, individuare sulla carta gli elementi che maggiormente interessano, tutte attività perfettamente codificate che portano l’individuo che lavora nella pubblica amministrazione ad una alienazione completa dalle sue attività. E’ normale, dicono gli altri, si tratta di prendere tempo, nessuno fa fretta, tanto vale rimandare quanto è possibile, e cercare di svagarsi ogni volta che se ne sente la necessità. Perciò ci sono altri gesti: andare in bagno, alle macchinette per il caffè, nella stanza di qualche collega; oppure girare per i corridoi con qualche foglio dentro una mano, concentrati su qualcosa che neppure esiste, ed aspettare in questa maniera che anche questa giornata lavorativa abbia termine.

            Bruno Magnolfi

lunedì 15 luglio 2019

Lamentele assenti.



Nei giorni di festa resto in casa. Mi occupo di piccole faccende domestiche, e nelle pause mi siedo a pensare. Osservo davanti a me, dentro la sua piccola cornice di legno, l'immagine vuota che il mio specchio ripropone come sempre, e sento comunque che sicuramente niente di brutto potrà succedermi almeno fino a quando questa figura resterà insieme a me. Le parlo, naturalmente, e qualche volta le pongo anche dei piccoli quesiti, perché le risposte che riesco a ricevere dalla sua superficie lucida sono sempre molto utili, assolutamente in linea con quanto appare necessario. Ci sono spesso delle cose da decidere, iniziative da prendere, situazioni da affrontare per un motivo o per l’altro, ed è complicato farlo da soli, dover assumere su se stessi tutta la responsabilità di ogni caso che si presenta. Per fortuna ho lo specchio, che poi è il mio fratello gemello che mi guarda sempre con una certa lungimiranza, perché sa perfettamente che non prenderò mai una decisione importante senza interpellarlo.
Gli chiedo a voce alta se per caso debba essere maggiormente arrendevole con il mio capufficio, ad esempio, già ad iniziare magari dal primo giorno feriale in cui tornerò come sempre al mio posto di lavoro, e lui sa sempre con certezza cosa rispondermi, anche se a volte resta in silenzio, lasciandomi padrone di decidere sul caso specifico per conto mio. Non c’è niente di male penso, non può sapere tutto anche se io continuo a spiegargli ogni volta che rientro in casa tutto quello che mi è accaduto mentre ero fuori, specialmente durante le ore in cui sono rimasto in ufficio, nel nostro grande palazzo dell’amministrazione pubblica. Ci sono i colleghi che generalmente mi evitano, gli dico, e se strisciano vicendevolmente i loro cartellini identificativi ai tornelli, per entrare con comodità più tardi oppure per uscire un'ora o due prima, a me comunque non lo chiedono mai, proprio perché non si fidano affatto di me.
Anche il mio capufficio non si fida per niente dei miei modi, ed a me questo fatto non dispiace per niente, perché non sono uno che si comporta come tutti gli altri impiegati, e se secondo lui uno come me va guardato con un certo sospetto, e spesso lasciato semplicemente alle sue piccole manie, i suoi innocui passatempo, a me va benissimo. Già, perché siccome per occupare almeno un po' del mio orario, quando mi annoio come tutti davanti alla scrivania di lavoro, ho una collezione sterminata di matite colorate, alle quali rifaccio almeno una volta al giorno la punta, oltre a tenerle perfettamente allineate, e per tutti i colleghi questo è un segno evidente di stranezza e forse di diversità. Anche se qualcuno mi pone qualche domanda mentre sono insieme agli altri davanti alle macchinette per il caffè, io non parlo mai delle mie cose, e mi limito a sorridere e a tirare fuori giusto qualche monosillabo tanto per non apparire sgarbato.
Quasi tutti portano avanti un'altra attività, oltre l’orario in cui stanno in ufficio, forse per sentirsi almeno utili a qualcosa, penso io, ma a me questo non è mai interessato. Loro hanno delle famiglie da tenere assieme, io ho soltanto il mio fratello gemello da accudire e da lucidare ogni tanto. Parlano sempre di soldi, sembra che non ne abbiano mai abbastanza, e a me invece è sufficiente sedermi davanti al mio piccolo specchio prezioso per sentirmi già a posto, completo, come non avessi più bisogno di altro. Difatti non mi lamento di niente, e forse è proprio questo elemento che i miei colleghi non riescono affatto a digerire.


Bruno Magnolfi


mercoledì 10 luglio 2019

Margini sociali.


          

            Si presentano casualmente dei periodi in cui all’improvviso mi sento ai margini di tutto. Per certi versi non me ne dispiaccio neppure, immaginando sia la personalità più nascosta di me che in questi casi si fa strada per rivendicare un ruolo e mostrarmi qualcosa che forse in passato è parso sfuggirmi. Così prendo la mia macchina e dopo aver fatto qualche giro vado a parcheggiare in una delle stradine più vicine al centro storico della mia città, senza neanche preoccuparmi troppo quale sia. Poi vago a piedi per tutte le vie che mi si presentano davanti, prendendo a caso per un verso o per un altro, incontrando davanti a me la gente indaffarata in chissà cosa, e lasciando che le case, i muri, i giardinetti e i marciapiedi, scorrano lentamente sotto alla mia vista, fino a quando sento che le gambe sono stanche, ed i piedi dentro le scarpe iniziano a mostrarsi del tutto indolenziti.
            Quindi torno indietro, cercando di fare a ritroso il medesimo percorso iniziale, perdendomi inevitabilmente nel cercare di ricordare da dove effettivamente sia passato, fino a non avere più memoria neppure di dove possa aver posteggiato la mia auto. Mi pare di averla lasciata vicina ad un certo negozio, ed invece proprio lì dove credevo potesse essere, adesso non c’è più, ed allora torno indietro, cerco di rammentare meglio i pensieri che mi sono passati per la testa fino a quel momento, e tento di trovare un indizio utile che mi porti proprio al luogo esatto dove poter ritrovare ciò che in questo momento mi serve più di tutto, anche se alla fine devo rendermi conto che sono completamente inutili i miei sforzi. Osservo due tizi che con dei grossi martelli spaccano la porta vetrata di una farmacia, arruffano tre o quattro sacchi di medicinali sotto agli occhi sgranati ed impauriti dei commessi, ed infine se ne vanno rapidamente. La realtà corre in avanti penso, non sono certo i miei piccoli problemi quotidiani ad ostacolarla.
            Mi rendo conto in tutto questo trambusto che si è persino fatto troppo tardi, che devo tornarmene in fretta verso casa, non è più il caso che mi trattenga ancora lungo queste strade, anche perché sono sempre più stanco, ed ho naturalmente voglia di sedermi e riposare. Infine salgo su di un autobus che va dalle mie parti, ma all’interno non c’è nessun sedile libero, così resto in piedi accanto al finestrino, lasciandomi dondolare nel pensiero antipatico di dover tornare domani a cercare ancora la mia auto. Quando finalmente entro in casa il senso di solitudine che non mi ha mai abbandonato fino adesso, improvvisamente sembra mollare la sua presa, e non ho neppure bisogno di affrettarmi ad aprire il cassetto della scrivania per sapere che il mio adorato specchio è proprio lì, e che mi ha aspettato con pazienza per tutto questo tempo, come un fratello affettuoso. 
Probabilmente dovrei portarlo con me tutte le volte in cui non mi sento particolarmente in forma. Sarebbe sufficiente lasciarlo scivolare dentro una tasca penso, e poi tenerlo lì, magari protetto con un fazzoletto steso sopra la sua piccola superficie. Non è una debolezza la mia, è soltanto la giusta corrispondenza per sentirmi meno solo, sostenuto, incoraggiato nei miei comportamenti, e quindi non ai margini di quanto mi è dato di assistere tutto attorno al mio modo di interpretare la realtà. Il mio specchietto lucido e pulito è la mia sicurezza, la mia capacità di essere una persona come gli altri, il potenziale adatto per mandare avanti le mie cose.
          Stasera mi preparerò qualcosa da mangiare penso, sedendomi poi al tavolo della cucina proprio davanti a lui che continua a fissarmi senza dare dei giudizi. Non c'è niente di male nel cercare un po' di compagnia in un oggetto penso, ed in fondo se davvero sono giunto proprio al margine delle relazioni, non credo proprio che la colpa di ciò sia soltanto mia.

         Bruno Magnolfi

venerdì 5 luglio 2019

Interessanti argomenti.


            

            Sono una persona normale. Una donna come se ne incontra a centinaia in un qualsiasi supermercato. Eppure certe volte qualcuno mi dice che ho un modo di guardarmi attorno diverso da tutte le altre. Davvero, penso io; ma se generalmente non mi guardo neanche troppo in giro; casomai mi limito ad osservare qualcosa, a rendermi conto di quello che avviene, spesso senza neppure sapere se la mia analisi corrisponda in qualche modo alla realtà. Alcuni hanno provato anche ad insistere su questo argomento, tanto che ho iniziato a portare degli occhiali da sole. Però ci sono dei momenti in cui mi sento addirittura sbagliata in mezzo agli altri. Forse perché non presto troppa attenzione a quelle che reputo delle sciocchezze. Vedo le persone che mi circondano ed ultimamente mi sembrano spesso monotone, prive di personalità. Mi pare che tutti si limitino a ripetere le medesime cose superficiali, senza mai approfondire i dettagli.
Poi incontro un tizio che mi spiega perché non è d'accordo su quanto continua a ripetere la televisione. Mi pare interessante il suo punto di vista, così tolgo gli occhiali mentre lui continua a parlare. Ci sediamo ad un tavolino dentro un caffè, e lui prosegue a dire che le cose dovranno cambiare, e che non è proprio possibile che tutto stia evaporando in sciocchezze come sembra che avvenga. Sono d'accordo, non è possibile penso utilizzare soltanto una minima parte del nostro cervello; dobbiamo impegnarci gli dico, o altrimenti astenerci da qualsiasi commento. "Giusto", fa lui, "vedo troppa gente che parla senza neppure sapere di cosa, perché non conosce per nulla gli argomenti, ha soltanto delle opinioni, e purtroppo sono spesso basate sul niente".
Ci salutiamo, dico che è stato bello scambiare con lui le mie opinioni e trovarne di così simili alle sue, poi proseguo da sola la mia passeggiata fermandomi presso un piccolo negozio di panetteria. C'è un certo affollamento là dentro, così prendo un numerino sequenziale e mi metto da una parte ad aspettare il mio turno. Si dice a voce alta che c'è da stare allegri, che l'economia va a gonfie vele e le cose in breve si sistemeranno tutte quante. Qualcuno ride per ossequio mentre aspetta di essere servito, e tutti annuiscono anche se poco convinti da quanto è stato detto. Penso dentro di me che oramai coloro che parlano sono quelli che invece dovrebbero starsene zitti, perché ripetono soltanto le parole della propaganda, senza comprendere le cose in maniera obiettiva.
Infine è il mio turno e guardando sui cartelloni dei prezzi mi rendo conto che ci sono stati dei rincari, ma non dico niente e faccio i miei acquisti come avevo previsto. Il fornaio mi sorride in maniera ammiccante, mi conosce da tempo, e dice sottovoce che è sempre un piacere vedere una bella signora come me nel suo negozio. Sul momento non dico niente, ma dopo un attimo replico che purtroppo ultimamente là dentro si sentono dei discorsi farciti di parecchie sciocchezze, e lui cambia subito espressione, e dice che la sua clientela è quanto di meglio si possa desiderare. Pago senza replicare, saluto il negoziante ed infine esco, mentre qualcuno tra quelli rimasti probabilmente pensa le mie stesse cose, anche se non ha il coraggio di dirle.
Sul portone del mio palazzo incontro un vicino di casa che mi saluta, così tolgo gli occhiali per infilare la chiave ed aprire, e quello subito mi dice le stesse cose del panettiere. E poi insiste, dice che ho dei begli occhi e che non dovrei tenerli coperti e altre cose del genere. “Sono stanca” gli dico senza usare dei mezzi termini; “ormai siete diventati tutti identici, sempre pronti a dire le medesime cose, a fare gli stessi accenni, come se il mondo si potesse ridurre soltanto a quelle pochissime cose che vi girano dentro la testa”. Quello resta senza parole, ed un po’ a me dispiace; però credo che certe persone prima o dopo devono tornare a starsene in silenzio come facevano una volta. Almeno se proprio non hanno niente di interessante da dire.

Bruno Magnolfi