martedì 30 marzo 2021

Significati precisi.

 

            Oggi sono venuti a farmi una visita di cortesia certi parenti, così li ho fatti entrare in casa, ci siamo seduti, ho offerto loro qualcosa, poi abbiamo parlato del più e del meno, finendo immancabilmente per ricordare, con citazioni varie dei modi di dire o di fare, e anche rammentando a turno qualche piccolo aneddoto a loro attribuito, gli altri componenti, naturalmente ora assenti, della nostra grande famiglia, così come dicono loro: lo zio tale, la nonna instancabile, il nonno proverbiale, la biscugina emigrata, insomma tutti coloro che col trascorrere degli anni pare sempre siano stati i migliori e i più incredibili di tutti. Mi fa piacere in fondo mantenere i contatti con questi miei cugini, certamente sono da ritenere delle brave persone, anche se un po' troppo entranti e curiosi, almeno per me. Ad un tratto si sono affacciati al giardinetto sul retro, ed hanno salutato il mio vicino di casa, gesto questo che mi ha subito provocato irritazione, anche se ho trattenuto qualsiasi rimostranza nei loro confronti. Il mio vicino naturalmente non ha perso l'occasione per prodigarsi in sorrisi e discorsi magniloquenti sui suoi fiori e poi anche su di me, cosa che ha portato tutti a discorrere di qualsiasi argomento possibile per un tempo che a me è parso addirittura interminabile, tanto che ho dovuto interrompere tutti, a un certo punto, spiegando che purtroppo dovevo uscire di casa per un appuntamento, così in fretta mi sono liberato, anche se subito dopo ho dovuto dimostrare, se mai fossero rimasti in zona, che avevo da andare veramente in qualche posto.

            Ho preso la mia auto e mi sono fatto un giretto perciò, niente di particolare, giusto qualche strada del quartiere, per poi passare ad acquistare dei generi alimentari che nel momento in cui sono sistemati in dispensa, una volta o l’altra tornano sempre utilissimi. Quando infine sono tornato a parcheggiare la mia macchina nella strada dove abito, il mio vicino di casa, come già immaginavo, con la scusa di spazzare dalle poche foglie secche portate dal vento i due gradini davanti al portone condominiale della nostra palazzina, era lì che mi attendeva, sfoderando con un sorrisone il suo nuovo argomento acquisito: la simpatia manifesta, a suo spassionato parere, di tutti i miei parenti. Quello che temevo di più di fatto si è avverato: dare corda ad una persona insopportabile come lui, che non perde mai l’occasione per intrattenermi con le sue sciocchezze. Ho annuito naturalmente, ho spiegato che non li vedevo da diverso tempo, e che siccome non partecipo quasi mai ai pranzi rituali con la famiglia in occasione dei vari compleanni o per le festività maggiori, tendo in questo modo ad isolarmi da loro, anche se poi me ne dispiaccio. Ma subito ho pensato che il mio vicino non aveva il diritto di farmi parlare a ruota libera in questa maniera, per cui mi sono scusato e a testa bassa sono entrato nell’ingresso ed infine in casa mia.

Un impiccione, ho pensato in seguito con una certa irritazione, un vero ficcanaso che vuole sapere sempre qualcosa in più del dovuto sui fatti degli altri, sciaguratamente memorizzando con estrema rapidità tutto ciò che gli viene confidato, spesso e volentieri chiedendone conto in seguito, con quei suoi modi così untuosi e striscianti. Per cui ho sbattuto le mie compere dentro un armadietto e mi sono seduto sulla mia poltrona, ripensando a tutti i miei guai legati proprio all'avere un dirimpettaio con tale indole. In seguito mi sono dovuto rialzare per il nervosismo accumulato, ed allora sono uscito per un attimo nel giardinetto dietro casa cercando con lo sguardo proprio il mio vicino. Naturalmente lui era là come sempre a perdere del tempo, come fa addirittura troppo spesso. "Sono stanco", ho detto subito a voce alta, senza neppure riflettere alle conseguenze che il mio grido di dolore avrebbe potuto scatenare. Poi sono rimasto immobile e in silenzio. Lui mi ha guardato con stupore, poi lentamente ha lasciato allargare un leggero sorriso sul suo volto, ed a quel punto, in considerazione del mio comportamento sinceramente ambiguo, anch'io gli ho dovuto sorridere, come per togliere valore a quanto di negativo gli avevo appena urlato. Siamo rimasti così, a guardarci, quasi per un minuto o due, poi io ho voltato la faccia ed alla fine sono rientrato in casa. In fondo tutto quello che avevo intenzione di dirgli, lo avevo detto. Stava a lui adesso comprendere il significato più giusto da dare a tutta la faccenda.

 

Bruno Magnolfi

domenica 28 marzo 2021

Sottile parete divisoria.

 

            

            Lui in questo momento si trova dentro casa sua, dall’altra parte della parete che purtroppo abbiamo in comune. Lo immagino, ne sono sicuro proprio come lo avessi di fronte, mentre continua a trafficare intorno alle sue solite sciocchezze, e provo un sentimento quasi di repulsione verso tutto quello che riesce o non riesce a combinare nella sua giornata, rispecchiato con evidenza in questo suo perenne perdere del tempo che solo un pensionato con la sua indole è capace di innalzare a impegno, fino a farne una scienza vera e propria. Non mi decido neppure ad uscire nel giardinetto che si apre sul retro della mia abitazione, perché lui al solo vedermi potrebbe subito chiamarmi dall’altra parte della recinzione, e poi, attraverso la rete, prendere a parlarmi per ore delle medesime cose di sempre, come se a me davvero interessassero. Mi muovo con circospezione persino mentre rimango nascosto tra queste mie stanze di casa, in maniera da non permettergli di scoprire, provocando involontariamente qualche piccolo indesiderato rumore, la mia inequivocabile presenza dentro la mia abitazione, in modo tale da rendergli quasi insospettabili persino i miei comportamenti più ovvi e più abitudinari. Ci tengo alla mia privata solitudine, non vorrei mai che qualcuno tra coloro che mi conoscono fosse capace di inserirsi nella mia raggiunta intimità. Poi mi siedo, apro un libro scelto tra tanti, cerco di concentrarmi su qualcosa che non sia racchiuso tra queste quattro mura, anche se provo qualche fatica nel portare avanti questa operazione.

Anche il mio vicino di casa probabilmente sta leggendo qualcosa penso, o almeno lo presumo, ma sicuramente di una natura molto diversa dal mio libro. Ci possono anche essere delle piccole differenze nei comportamenti, minimi divari che rimangono comunque assolutamente incolmabili per quanto si cerchi di non dare loro troppa importanza, e poi forse lui, a pensarci bene, non possiede neanche sopra gli scaffali dei veri e propri libri, o se li ha non si è neppure mai provato nel leggerne qualcuno. E’ una persona senza pretese, un tizio come molti che si perde in tante piccole minuzie da osservare e di cui tenere conto, così come mi spiega certe volte quando ci incontriamo nell’ingresso condominiale che abbiamo in comune, o mentre passeggiamo nei nostri rispettivi giardinetti sul retro, e non riesce mai a dare la giusta importanza a cose che per me sono senz’altro più meritevoli di una certa attenzione. Peraltro non capisco proprio come si possa impegnarsi come fa lui nell'osservazione attenta del comportamento di una semplice farfalla, oppure nello studiare il percorso labirintico delle formiche sulla terra nuda, mentre si impegnano nel trasporto delle riserve di cibo fino alla loro tana segreta. Mi pare impossibile, ecco tutto. Un gettare al vento delle giornate intere che possono essere dedicate ad attività ben più importanti.

Mi distolgo poco per volta dai pensieri che nella mente mi si formano con spontaneità intorno al mio vicino di casa. Certe volte ho desiderato addirittura che se ne andasse, che cambiasse abitazione, ma alla fine mi è sempre sembrato che il suo esempio, pur negativo, fosse da considerarsi come un tipo di comportamento da cui prendere sempre le distanze, e quindi quasi una spinta per ognuno ad essere differente sia da lui che dai suoi atteggiamenti, lontano dai suoi modi di occupare la giornata, diverso, quasi come quegli elementi chimici che non si mescolano mai, non avendo proprio niente in comune, pur appartenendo di fatto ad una medesima categoria. Lo tollero, gli presto il sale oppure il caffè, quando rimane senza, e la stessa cosa fa anche lui nei miei confronti. Mi presto ad ascoltarlo quando certe volte dimostra di aver voglia di parlare con qualcuno, ma ciò non significa per niente che io ritenga di aver davvero qualcosa in comune con un personaggio di questa specie. E questo è dimostrato anche dal fatto che è quasi sempre lui a cercarmi, e che difficilmente avviene l'esatto contrario. Sono convinto che il mio vicino sia un individuo che poco per volta è stato lasciato solo da tutti quanti coloro che frequentava, ed io al contrario sono uno che ha sempre coltivato come qualcosa di fondamentale la propria solitudine. Il risultato nelle nostre rispettive giornate potrebbe apparire non molto differente a prima vista, ma nella sostanza so per certo che noi due siamo persone talmente distanti da apparire incolmabile la nostra separazione, anche se è soltanto una sottile parete a definirla.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 25 marzo 2021

Argomenti futili.


            Oggi, naturalmente con tutta la circospezione che ci vuole in questi casi, ho accostato l’orecchio a quel benedetto portoncino interno, perfettamente simmetrico al mio rispetto al pianerottolo, dell’appartamento dove abita il mio vicino di casa, al piano rialzato di questa palazzina condominiale lungo una strada silenziosa, piuttosto fuori mano, ma caratterizzata da tanti piccoli giardinetti recintati, sia di fronte alla via, che dietro alle case di due o tre piani ben allineate tra di loro, dipinte esternamente con diversi colori chiari, e le persiane invece verniciate  tutte di verde. Sono già un paio di giorni che non avverto alcun movimento nelle sue stanze, in considerazione del fatto che abbiamo anche una parete praticamente in comune, e persino scrutando ad orari diversi il retro delle nostre abitazioni gemelle, non sono riuscito mai a vederne nemmeno la sagoma. Silenzio, anche in questo preciso momento, come se lui fosse partito per chissà dove, senza neanche avvertire. Così sono rientrato in casa mia, ma dopo poco, mosso da una forte apprensione per quello che eventualmente possa essergli accaduto, mi sono presentato di nuovo sopra al pianerottolo per bussare leggermente con la mano su quel legno lucido di colore scuro, sotto alla targhetta plastificata che riporta a stampatello il nome appuntato e il suo cognome.

            Nessuna risposta, così sono tornato dentro alle mie stanze lasciando la mente girare attorno a diverse congetture, tutte poco verosimili. Qualcosa di strano sta accadendo, ho riflettuto: un improvviso malore che lo ha portato a presentarsi personalmente ad un pronto soccorso, ad esempio; oppure qualche parente che lo ha richiamato a sé per qualche importante ragione; o ancora il bisogno improvviso ed irrinunciabile di allontanarsi immediatamente da tutto, salvo tornare indietro tra qualche giorno, forse tra una settimana, rinfrancato e magari più soddisfatto di sé. No, non erano queste le ragioni per cui il mio vicino adesso era assente, semplicemente perché lui di una cosa del genere mi avrebbe puntualmente informato, come fa sempre, anche fin troppo. Avrebbe detto il mio nome avvicinandosi alla recinzione divisoria dei nostri giardinetti, ma senza gridare troppo, con le sue maniere calme e pacate, e poi mi avrebbe spiegato tutto quanto, ne ero più che certo, perché sarebbe stato questo il suo stile, il suo modo normale di comportarsi.

   Ho girato dentro casa mia senza riuscire a decidere di fare qualcosa che alleggerisse i miei pensieri. La mia giornata sembra quasi risucchiata interamente da questa piccola preoccupazione, ho riflettuto, non lasciandomi la possibilità di fare altro. Così ho preso un piccolo foglietto di carta su cui scrivere un messaggio da attaccare alla sua porta, ma mi è subito venuto da ridere, soprattutto perché non è il caso che lui si senta troppo controllato con le mie attenzioni. Perciò ho lasciato perdere tutto quanto, ho indossato la giacca rimasta appesa all’attaccapanni e poi sono uscito, quasi a dimostrare la mia indipendenza, sia nei suoi confronti, che di tutte le sue strane faccende. Ho girato per qualche strada del quartiere senza darmi neanche una meta precisa, e non ho incontrato neppure una persona con cui poter scambiare qualche parola, così alla fine sono tornato verso casa. Ho rallentato gli ultimi passi, quasi per dare un po’ di tempo in più al mio vicino di casa per farsi vedere come sempre, ma poi, dopo qualche sguardo lanciato attorno, ho girato la chiave nel portone e sono tornato a sedermi come sempre sopra al mio divano. Ho acceso la televisione, subito di nuovo spenta, ho preso un giornale per leggere, poi un libro, infine sono tornato ad osservare dai vetri il giardino dietro casa mia, ed è stato in questo preciso momento che ho avvertito dei rumori provenire proprio da quella zona. Lui era là, esattamente in giardino, che girellava adesso sul vialetto come se niente fosse, tra le rose fiorite e le altre sue stupide piantine, mostrando, con chiaro distacco da tutto, che non si era mai neppure sognato di muoversi dalla sua abitazione. Ho pensato subito di chiamarlo, di chiedergli qualcosa in più, e dimostrargli anche le mie ormai superate preoccupazioni, ma poi sono tornato con indignazione a sedermi sul divano del salotto: cosa mi interessa di ciò che fa oppure non fa questo mio vicino di casa, ho riflettuto; basta non venga di nuovo da me per imbastire qualche nuovo argomento di conversazione, e ad annoiarmi.

 

            Bruno Magnolfi  

martedì 23 marzo 2021

Dettagli di memoria.

 

            Oggi il mio vicino di casa mi ha chiamato per nome, facendo sentire la sua voce leggera dal  giardinetto sul retro della sua abitazione, confinante con il mio. Ho atteso un momento per essere proprio sicuro di aver compreso bene, quindi mi sono appena affacciato sulla soglia socchiudendo la porta vetrata che immette là dietro. Ho detto a voce alta che purtroppo ero impegnato in quel preciso momento, in questo modo prendendomi un po’ di tempo prima di tornare ad uscire per ascoltare sicuramente un altro dei suoi tanti stupidi argomenti con cui ogni tanto mi intrattiene. Non lo sopporto, questo è il punto, specialmente quando attacca con le sue considerazioni generiche sul mondo, oppure attorno alle sue piccole attività casalinghe. Ogni volta che ha da dirmi qualcosa, sembra che intenda mettermi al corrente di chissà quale segreto di stato, abbassando la voce ed usando frasi e parole circostanziate, prendendo anche le distanze da ogni affermazione, e limitandosi a riportare ciò che ha letto o sentito. Sono rientrato nel mio appartamento, ho fatto qualcosa per impegnare almeno un po' di tempo, poi dopo circa dieci minuti sono uscito in giardino. Lui naturalmente era lì che mi aspettava. "Mi dica pure", ho fatto a voce alta come per mostrare una certa determinazione nel mio comportamento. Ma a quel punto il mio vicino, invece di parlare, mi ha mostrato, allungando il braccio per conservare la giusta distanza imposta dalle autorità sanitarie, una piccola fotografia stampata su cartoncino, un’immagine in cui era ripreso lui stesso, molto più giovane di adesso, intento nell’osservazione di qualcosa fuori dal campo visivo dell’obiettivo.

            L’istantanea mi è parsa subito particolare, insolita, come qualcosa che non si riesce ad afferrare del tutto, e difatti non saprei per nulla spiegare il motivo di quella singolarità, in ogni caso ho subito accennato ad un sorriso di compiacimento, quasi che comprendessi perfettamente che cosa lui intendesse sottolineare nel mostrarmela; ed anche se nell’immediato non ho detto niente, il mio vicino, ritirando verso di sé il braccio con la fotografia, ne è sembrato subito molto soddisfatto. Forse, non avendola più sotto gli occhi, ho immaginato che forse avrei dovuto notare qualcosa sullo sfondo, ma lui ha detto che era stata scattata esattamente l’anno in cui aveva preso in affitto la propria abitazione, ed allora tutto mi è parso più chiaro. All’epoca io abitavo già lì, e così ho immaginato intendesse dirmi che noi due siamo vicini di casa oramai da molto tempo, perciò ho socchiuso gli occhi con espressione ulteriormente compiaciuta, cercando di dare alla faccenda la stessa importanza che sembrava darle lui. Poi però ha detto: “avevo ancora il mio gatto quell’anno”, e così mi sono sentito del tutto fuori luogo, visto che non avevo mai notato che lui avesse avuto un gatto in passato. Mi ha guardato un attimo con gli occhi tristi, ed io ho detto soltanto: "già", sottintendendo che così è la vita, oggi ci siamo e domani non più, riferito però al gatto.

Stavo quasi per rientrare, quando lui ha detto che quel gatto adesso gli manca, e che se fino ad oggi non ne ha preso un altro esemplare, è stato soltanto per evitare di soffrire di nuovo come quella volta. Ho detto che comprendevo i suoi sentimenti, ma subito mi sono sentito ridicolo, e poi avevo voglia di terminare in qualsiasi maniera quella conversazione secondo me assurda, così gli ho spiegato che avevo lasciato a metà delle cose di cui mi stavo occupando, e allontanandomi dalla recinzione divisoria dei nostri giardinetti, sono rientrato nella mia abitazione. Ho visto con la coda dell’occhio che lui è rimasto fermo ancora per un po’, nella stessa esatta posizione di prima, come se io fossi ancora lì di fronte a lui, ma infine si è deciso a girarsi e probabilmente ad occuparsi di altro. Ognuno ha i propri problemi, ho pensato. E nel corso degli anni certe volte si resta colpiti da qualche ricordo che appare incancellabile. Ma questo tipo di memoria non è condivisibile, tutti lo sanno, tanto che non capita mai di dovere far fronte a situazioni del genere. E comunque, anche se ci ripenso, rimango convinto di non averlo proprio mai visto, quel gatto.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 22 marzo 2021

Sarà tutto perso e inutile.

 

Spesso mi fermo ad osservarlo, il mio vicino di casa, naturalmente senza che lui possa accorgersi minimamente della mia presenza, nascondendomi con attenzione dietro la persiana di casa mia, oppure immobilizzandomi all'angolo del muro tra i nostri giardinetti confinanti, divisi per il resto da qualche metro di rete metallica, sul retro delle rispettive abitazioni dove mandiamo avanti le nostre esistenze parallele da una quantità di tempo quasi immemorabile. Lo scruto, lo studio, cerco di afferrare il senso dei suoi pensieri decodificando quei gesti consueti che gli vedo compiere più per abitudine che per necessità, almeno secondo me. Adesso che abbiamo tutti molto più tempo per starsene tra le mura domestiche, anche i particolari una volta irrilevanti appaiono improvvisamente, almeno per conto mio, un sicuro oggetto di curiosità e di interesse. Io cerco di scoprire soprattutto quali siano i motivi che spingono il mio dirimpettaio a mostrarsi quasi sempre così allegro, tranquillo, soddisfatto di sé, contento forse di quelle minime cose di cui si interessa. Ci deve essere un segreto dietro al suo comportamento immagino, così lo spio, proprio per riuscire a comprendere meglio e appieno, cosa io debba pensare di lui e quale giudizio darne. Perché alla fine, nonostante lo veda e lo conosca da parecchio tempo, mi pare tutto sommato un individuo sfuggente, estraneo, forse sconosciuto. Certe volte mi accorgo che riesce a trascorrere delle ore intere gironzolando nel suo giardinetto, e tutto questo soltanto per osservare, con minuziosità ed una lentezza quasi estenuante, i germogli delle poche piante che lascia crescere in un fazzoletto di terra circondato da uno stretto cordolo di pietre piane. Naturalmente a me pare impossibile perdere del tempo dietro a certe sciocchezze, però so quasi per certo che qualcosa mi sta ancora sfuggendo.

Quando mi vede lui naturalmente mi saluta, anche per dieci volte in una stessa giornata, aggiungendo subito quelle sue piccole frasi consuete: "come va?"; oppure: "oggi c'è il sole"; o ancora: "ormai è già venerdì", come se attendesse da me chissà quali risposte o inizi di conversazione. Io invece mi limito in tutti questi casi a fare verso il suo indirizzo una smorfia sorridente, senza poi neppure tornare a guardarlo, e lui fortunatamente non insiste con le sue osservazioni che per lo più ritengo persino insulse. Quindi riprende imperterrito ad occuparsi delle sue cose. Lo sento certe volte che sbatte qualcosa per terra oppure su qualche parete, ed è forse una propria maniera per mostrare che lui c’è, è presente, sta lì tra le sue stanze a perdere del tempo e ad inventarsi qualcosa che magari ritiene persino utile. Lo tollero, questo è il punto, perché so bene che con tutte le trovate che riesce ad adottare in qualsiasi momento, non riuscirà mai a mostrarsi agli altri come una persona completa e interessante. Certe volte ascolta della musica, ma lo fa senza esserne orgoglioso, anzi, tenendo il volume del suo impianto quasi al minimo, come si vergognasse delle proprie scelte, ed il fatto che quelle che ascolta appaiono tutte registrazioni ormai datate, ne fa un cultore di materiali vecchi, privi di freschezza e di originalità.

Infine incontro il mio vicino qualche rara volta anche mentre esce di casa, ed allora lo inquadro subito nei suoi modi particolarmente attenti ad ogni comportamento da adottare in mezzo agli altri, ad iniziare da quel vestiario che, si vede, ci tiene molto ad indossare, come avesse un profilo pubblico ben diverso e separato da quello privato. Mi sembra quasi ridicolo, devo dirlo con sincerità, in quella sua pretesa piccola eleganza, ridotta a dei termini discreti, senza sfacciataggine, come se il suo aspetto rispondesse perfettamente ad un canone preciso, secondo il quale i colori dell’abbigliamento, ad esempio, si devono accostare sempre con gusto, ed ogni dettaglio non appaia mai legato al caso. Vorrei quasi evitare di salutarlo, quando lo incontro dal droghiere  oppure presso qualche altro negozio della zona, mentre naturalmente ci teniamo a debita distanza, ma è più forte di me l'abitudine, così rispondo come sempre con il mio solito saluto al suo cenno composto, fingendo quella cortesia che sembra del tutto naturale, proprio come se fossimo due vecchi conoscenti.

 

Bruno Magnolfi



venerdì 19 marzo 2021

Disperso chissà dove.

 

          

            La terra è dappertutto. La sento scorrere tra le dita della mano: è scura, morbida, composta di tanti minuti frammenti vegetali e minerali. Mi muovo sulla scarpata accanto al torrente, dove cresce qualche ciuffo d’erba qua e là, ed osservo tutta la zona più vicina, estesa sul piano di campagna allontanandosi da me a perdita d’occhio, fino ad una striscia dove una nebbiolina impalpabile riesce come a sfumare e a confondere i colori della valle con l’aria e il cielo terso. E poi immagino subito la battaglia ingaggiata proprio là, sopra quel piano; lo scontro tra una moltitudine di uomini robusti, sicuramente decisi ed anche energici, protetti però un poco alla meglio, con gli occhi ben sgranati, con le mani ingombre di qualsiasi cosa in uso per offendere, ed i piedi piantati con forza proprio in quella terra, come se fosse quella tutta la loro possibile salvezza, il sostegno ed anche il riparo ad ogni loro immutabile destino. Tutte sciocchezze quelle della storia: ciò che conta è ora, si dice spesso; il resto è un deposito omogeneo di resti indifferenziati, penso anch’io. Però c'è qualcosa che mi chiama in questo vasto pianoro senza gli alberi, come una voce grave che scaturisca fuori direttamente dal composto umido sotto ai miei piedi. Resto in ascolto, come aspettandomi di sentire ancora un piccolo richiamo, un qualche lamento, un grido di dolore. Disperso in guerra, recita la dicitura messa a punto dai vari governi ad indicare chi è sparito dentro un vortice violento, forse morto ammazzato, ucciso dal nemico, forse nascosto sotto falso nome, magari rifugiato chissà dove, come un eremita, a vivere alla pari di un qualsiasi animale di boscaglia, pur di non essere parte di una cosa inaccettabile.

            Mi muovo leggermente nella mia silenziosa solitudine, poi vado a sdraiarmi sul campo più vicino, ad ascoltare come fosse un suono reale quel probabile miscuglio indistinto di grida e di voci confuse tra di loro, e a saggiare meglio e di nuovo il contatto con la terra, la sua solidità fissata da sempre in infinite superfici ricoperte dal tempo con altre e nuove superfici, e mi immagino alla fine anche la polvere millenaria accumulata, adagiata dalle stagioni poco per volta sopra tutto quanto, come una coperta calda. Rifletto su quegli uomini ormai vinti, insieme anche a qualcuno tra quelli vittoriosi, feriti a morte e finiti inesorabilmente a terra, per andare ad abbracciarsi là sopra e a confondersi infine tra di loro, per ritrovarsi poi, poveri corpi martoriati, affondati nella terra poco per volta, come navi sbattute dai marosi, con le loro armi, tutte le energie disperse, e gli ultimi pensieri dell’esistenza che d'improvviso sfugge loro in quell’ultimo attimo di presenza in questa vita, senza alcuna possibilità diversa. Disperso: infruttuose le ricerche, se davvero sono state fatte, nel ritrovare un giorno i poveri resti, pur avendoli cercati in mezzo a tutto quanto come si fa generalmente per un oggetto senza un vero valore e di rapido degrado, e poi abbandonato così, forse nel luogo più adeguato a diventare semplicemente terra per l’agricoltura, penso.

Ecco, questo è quello che adesso vedo proprio qui davanti a me, quello che sento con le dita in mezzo ai fini frammenti di tutto il materiale che compone questo terreno della campagna abbracciata dal mio sguardo. Poi riprendo il sentiero che senza fretta si inoltra fino alle prime case del paese, dove i vivi mandano avanti le loro attività con la consapevolezza dell’importanza del presente, spesso superiore ad ogni tipo di memoria. Per strada incontro una donna sorridente che volentieri mi saluta, ed io naturalmente rispondo subito al suo cenno, chiedendole se fosse a conoscenza, in mezzo a tutte quelle dolci colline, di quale vallata avesse visto trucidati quei poveri partigiani che in tempo di guerra si dice tentarono una sortita contro un gruppo di tedeschi acquartierati in quelle case poco lontano. “Non saprei”, dice questa donna soffermandosi un momento; “però ha ben poca importanza, tanto la terra li ha inghiottiti tutti, come non fossero neppure mai esistiti”. Scuoto la testa come per annuire alle sue parole, anche se non credo molto a quella conclusione. Quindi la saluto e poi proseguo. Questo è il caduto vero, penso adesso; colui che è stato dato per disperso, che è morto proprio anche per gli altri, e che noi tutti non siamo stati neppure capaci di immaginare veramente, neppure nel suo attimo finale.

 

Bruno Magnolfi  

venerdì 12 marzo 2021

Nessun disturbo.

 

            Mi sono ficcato in un angolo. Mi tengo le ginocchia e sto rannicchiato. Cosa m’importa di tutto il resto, sto qui da solo con le mie ossa, tanto non c’è nessuno che mi cerchi, che mi voglia, che abbia bisogno di uno come me. Non sono ubriaco, il fatto è che in questo momento non riesco neanche più a fare un ragionamento che abbia un minimo di logica, tanto vale che mi lasci andare, già sono dimagrito parecchio per i pasti saltati, e poi questa febbre che sento rialzare ogni volta che soltanto ci penso, sono certo sarà di sicuro proprio quella che mi porterà via. Nel mio rifugio di animale braccato oramai non c’è niente, soltanto delle scatole di cartone e qualche coperta, come servissero delle cose del genere a tenere lontano questo malessere che non accenna ad allentare la morsa. Però, anche se stessi bene, in fondo sarebbe la medesima cosa. Se vai in giro le persone per strada neppure ti vedono. Perché tu sei soltanto il niente, un elemento di qualche sondaggio, un fastidio per tutti, diciamolo chiaro, anche per coloro che lo negherebbero con forza se soltanto ne avessero voglia. Non mi va di andare in un ospedale, lì sarei di nuovo soltanto un numero, un corpo sdraiato su un letto in cui infilare degli aghi e su cui tentare cure che in seguito potrebbero soltanto servire a qualcun altro. Voglio starmene qui, con la mia febbre sudata, ad aspettare la fine che mi farà sfuggire a tutti i pronostici, a ciò che qualcuno sicuramente ha già deciso per me.

            Ho una bottiglia di riserva da qualche parte, ma ne ho preso soltanto un paio di piccoli sorsi, il resto lo tengo per i momenti difficili, perché tanto lo so che le cose non potranno altro che peggiorare per me. Potrei mettermi qui a ripensare al passato, convincermi persino che non ho alcun rimpianto, e se è andata così è perché non c’era nessun’altra possibilità per uno come me, e questo che sono diventato rappresenta semplicemente il meglio di tutto quello che avrei mai potuto fare. Però evito certi ragionamenti, non portano mai a niente di buono, perché tutto quello che conta davvero è soltanto il presente, il resto è soltanto un mescolo di nostalgie e sentimentalismi senza uno scopo. La mia febbre sale, la sento, ho la fronte sudata, ho voglia di chiudere gli occhi senza pensare più a nulla, anche se un minimo di me avrebbe ancora voglia di reagire, di scuotersi di dosso la malattia, di lottare, perché tutte le cose per me sono sempre state una terra di conquista, qualcosa da guadagnarsi a morsi di fame, come fossi un bastardo disperato giunto dalle steppe di chissà dove per accaparrarsi almeno qualcosa, un pezzo di pane, un cucchiaio di minestra, a giustificazione di tutto lo sforzo compiuto, della strada percorsa, di questa fatica infernale impiegata ogni giorno senza mai riposarsi, fino all’estremo, fino a ritrovarmi spossato, senza più forze, sfinito.

            C’è l’infermiera adesso che dice forte il mio nome nell’aria tiepida di questa camera, che cerca in qualche modo di scuotermi, di liberarmi almeno in parte da questa nebbia che è rimasta attaccata ai miei occhi, mentre a me verrebbe soltanto da ridere: non ci sarà alcuna salvezza sotto alle bianche lenzuola  di questo letto, non c’è futuro per me, perché non ho più voglia neppure di pensare a me stesso, di convincermi che sono persona, uno come tutti, e che posso ancora dire: sono qua, un individuo che possiede una personalità, una volontà, un proprio ragionare, perché non è vero. Sono soltanto quello che volete che sia, ma non è colpa vostra, sono le cose che stanno in questa maniera, e tutto è capitato senza un disegno preciso, come se il caso avesse voluto giocare con noi. “E’ ancora alta la febbre”, dice il dottore, “dobbiamo far questo, e poi anche quest’altro, e ancora provare”. Lasciate perdere, penso ancora io rannicchiato come sto dentro al mio corpo; non serve a niente darsi tutto questo disturbo, le cose si sono messe in questa maniera, non avverrà alcun miracolo, sarà molto meglio per tutti che io mi tolga dai piedi e lasci a coloro che restano un ricordo almeno positivo; oppure niente, perché tanto quello che è stato fino adesso è soltanto qualcosa da dimenticare, e il mio presente non riscatta nemmeno una parte del mio essere stato. Perciò arrivederci, penso con ironia, la mia febbre è la più forte di tutti, e sicuramente avrebbe vinto lo stesso, anche se non le avessi dato il mio aiuto per trovare la strada migliore e più facile.

 

            Bruno Magnolfi

sabato 6 marzo 2021

Verrà da solo.

  

"Sto bene", dico al telefono. "Davvero; ho qui tutto quello che mi serve, in questo mio appartamento; c'è il frigo pieno ed anche qualsiasi altra cosa mi possa permettere di tirare ancora avanti molto tempo, soprattutto per dedicarmi interamente alle cose che mi piacciono di più: leggere, studiare, lavorare, prendermi cura di me stesso, seguire in piena calma i miei interessi; e in questo modo posso anche lasciare queste giornate, in apparenza piuttosto vuote, trascorrere tranquillamente come sempre, senza provare dentro di me alcuna nevrosi, muovendomi avanti e indietro in queste tre semplici stanze in cui comunque non manca proprio nulla, e dove riesco persino a sentirmi soddisfatto, almeno certe volte". Poi passo ai saluti e chiudo la telefonata, quindi riprendo il mio lavoro di progettista sul grande elaboratore grafico a due schermi, senza alcuna angoscia, anzi con leggerezza. In fondo cosa m’importa di stare in uno studio pieno di persone che vanno e che vengono, quando ognuna di loro poi è pronta a gettare più di uno sguardo indagatore su ciò che stai facendo, magari senza dire neppure una parola, né in bene né in male, forse anche per evitare malintesi qualche volta. Non serve a nulla comunque avere a disposizione l'opinione degli altri se questa resta muta, e non è utile che tutti abbiano gli occhi per scrutare ciò su cui stai lavorando se poi non ti è possibile assolutamente fidarti del loro parere, almeno quando viene manifestato. Meglio da soli, e magari sbagliare inconsapevolmente.

Accendo la radio, e qualcuno da là dentro dice subito che il futuro in questo momento resta molto incerto, le cose non sembrano andare troppo bene, e molte persone ogni giorno stanno rimanendo indietro, sempre più indietro, inevitabilmente. Lo capisco ciò che viene spiegato così bene, non è un momento facile, e quando si verificano accadimenti di questo genere sono sempre i più deboli a rimetterci, e poi anche chi non è capace di cambiare, di modificare il proprio pensiero, di stare al passo con gli avvenimenti insomma. Lo studio di progettazione di cui faccio parte mi invia regolarmente i lavori di cui occuparmi, e salvo qualche telefonata di chiarimento, il resto scorre bene e senza grandi intoppi. Certo, rifletto, le cose potrebbero ingarbugliarsi da un momento all'altro, gli affidamenti e le gare farsi più rarefatte, il flusso di richieste venire meno poco per volta. Potrei restare senza commesse anche da un attimo a quello seguente, ed allora sarei costretto a mendicare il lavoro, spedire richieste, raccomandarmi a chi conosco, umiliarmi nell’accettare impegni inferiori, proprio come già stanno facendo in molti anche nel mio settore.

Non posso pensare però a tutti gli inconvenienti possibili, potrei perdere la serenità che mi serve per portare avanti ciò a cui sto lavorando, e quindi mi sento subito spinto a spegnere la radio, anche se poi mi limito a sintonizzarla su un diverso canale che in questo momento trasmette della musica. Devo stare tranquillo, mi ripeto ogni volta che qualcosa mi innervosisce; cercare la maniera migliore per sentirmi a mio agio, anche se non posso certo uscire dal mio appartamento. Cosa importa, continuo a ripetermi, ho delle vetrate luminose che mi permettono una vista stupenda su tutta questa città, mi ritrovo continuamente immerso in mezzo alla gente, alle case, alla fretta del traffico, alle attività che ciascun individuo si trova ad intraprendere in ogni momento, anche se non posso realmente vederle. Immagino però tutti quanti di corsa, come è sempre stato peraltro, alla ricerca continua di soluzioni possibili per i propri bisogni, come è giusto che sia.  

Poi vado a sedermi sulla mia poltrona preferita, e resto lì a lungo ad immaginare i prossimi mesi e gli anni: silenzio, rarefazione, la città che sempre più diviene semplicemente un contenitore di individualità, senza quasi permettere più alcuno scambio, mentre le persone deboli vagano per strada cercando di ritrovare le abitudini di un tempo, i luoghi ora deserti deputati una volta ad incontrarsi. Suona il telefono, mi alzo di colpo, corro a rispondere: non c’è nessuno dall’altra parte, forse è stato un errore, rifletto, probabilmente avvengono ogni tanto dei falsi contatti nella rete che gestisce le comunicazioni. Devo progettare penso, è il mio mestiere. Devo avere fiducia, spingermi in avanti, immaginare la mia città ancora viva, capace di raccogliere ogni stimolo per provare a migliorarsi. Il resto verrà da solo, poco per volta, ne sono certo.

 

Bruno Magnolfi