martedì 29 gennaio 2019

Invenzioni libere.




In serate come questa preferisco girare per strada da solo senza incontrare nessuno, con il giaccone abbottonato fin sopra al collo, le mani sprofondare dentro le tasche, il passo cadenzato e quasi indifferente. Non è che non trovi qualcosa da fare o che non abbia degli amici con cui magari fermarmi per scambiare quattro parole; è solo che niente mi va bene di tutto questo, e preferisco di gran lunga soltanto mandare avanti le mie scarpe, quasi per una sorta di automatismo, e possibilmente non pensare a un bel nulla.
Credo proprio che a nessuno interessi davvero quello che faccio, come mi guadagni da vivere, quale futuro forse stia cercando di mettere a frutto; alla televisione mi dicono continuamente di pensare a me stesso, di fregarmene completamente di tutti coloro che mi circondano, anzi, di sfruttare a mio vantaggio ogni possibile debolezza degli altri, in maniera che le cose girino meglio per me, proprio nel confronto con le altre persone. Quando poi giungono quelle rare volte in cui mi fermo nella piazza di questo paese, davanti al bar Soldini per essere precisi, e se decido di entrare all’interno del locale, so da subito di trovarci dentro soltanto dei disperati che si attaccano con volontà a quanto hanno intorno: alcuni senza riuscire neppure a comprendere appieno la loro condizione, altri invece, pur essendone a conoscenza, lasciandosi andare alla monotonia di ogni sera, forse per cercare di dimenticarla.
A me al contrario non interessa un bel niente dei loro problemi, perché sono distante da quelle persone, tanto che meno riesco a comportarmi come un animale sociale, meglio riesco a sopportare queste giornate a mio parere senza significato. Qualcuno dice di me che sono un po’ rustico, troppo sulle mie, e forse quando succede che mi viene fatto presente qualcosa del genere, magari con delle battute di spirito, provo subito un leggero dispiacere, anche se in ogni caso non posso certo essere diverso da come mi descrivono, soltanto per avere delle persone che coltivano per me un moto di simpatia. So che non è facile oggi rimanere neutrali: ci si deve schierare, è inevitabile, e trovare sempre la colpa di tutte le cose, indicare un nemico, e spiegare con poche parole per chi si possa mai spendere la propria fiducia. Alla fine mi sento un estraneo, le mie riflessioni restano sempre come al di fuori di quanto si dovrebbe pensare davvero. 
Infine mi decido ed entro nel bar. Un caffè ristretto, dico davanti al bancone, e subito mi si accosta uno che mi fa dei complimenti generici, e sostiene che era un pezzo che non mi si vedeva da quelle parti. Lo saluto, poi dico che non sono stato troppo bene in questo ultimo periodo, tanto per trovare qualcosa da dire, ma quello insiste e comincia a spiegarmi tutto quello che, secondo lui, mi sono perso della vita di questo quartiere. Vengo a sapere così che due ragazzi si sono scazzottati proprio là davanti, e che lo hanno fatto stupidamente per una ragazza, quella del negozio di merceria ed abbigliamento, la figlia di Marisa Carraresi, e che dopo questo lei sembra si sia dileguata e che non voglia più vedere nessuno dei due. Annuisco, tanto per dare importanza alla cosa, poi butto giù il mio caffè e lascio dei soldi accanto alla tazzina, spiegando al tizio che ho accanto che me ne vado perché ho qualcosa da fare. Esco così dal locale, mi guardo bene attorno, infine riprendo tranquillamente per la mia strada: cosa mi importa di questi stupidi pettegolezzi, penso; ci sono altre cose ben più importanti di queste; e se proprio per caso non ci fossero, bisognerebbe almeno sforzarsi per provare a inventarle.


Bruno Magnolfi 


giovedì 24 gennaio 2019

Sempre perdente.


            

            Non lo so, dico io; mi metto in un angolo, senza dare fastidio a nessuno. Al massimo chiedo se ci sia un tizio per caso che abbia una sigaretta anche per me. Quando poi rimango più a lungo dentro al bar del Soldini, trovo sempre qualcuno che mi offre anche qualcosa da bere; ma in certe serate durante le quali magari sono riuscito a rimediare qualche soldo extra, allora mi faccio versare due o tre bicchierini di fila dal cameriere, tanto per riuscire a darmi la spinta che serve. Non credo di dare disturbo, nessuno comunque si è mai lamentato della mia presenza.
            Non lo so, ce l’ho anche io un posto dove passare la notte: è un piccolo capanno di legno in fondo ad una strada che non porta da nessuna parte, dove mi sistemo rinvoltato ogni volta in mezzo a tutte le mie coperte, e dormo tranquillo, senza che nessuno generalmente si prenda la briga di mandarmi via. Cerco del lavoro ogni tanto, ma ogni volta che chiedo a qualcuno, quello scuote la testa, e dice sempre che non ce n’è. Però una volta la settimana o quasi, vado a dare una mano al legnaiolo che sta alla fine di questo abitato, e se c’è da scaricare un autocarro o anche il rimorchio del suo trattore, lui mi lascia fare, senza chiedermi niente, anche se poi mi mette sempre in mano un paio di banconote, senza aggiungere nulla. Io non lo ringrazio, non dico niente, ma giusto per non farlo sentire un po’ in imbarazzo, però siamo amici, ci fidiamo l’uno dell’altro.
Non lo so, ma qualche sera fa freddo, ed è allora che vorrei proprio andarmene da questo luogo poco ospitale, che tanto qua in mezzo non so proprio che farci. Mi piacerebbe andare da qualche parte dove fa un po’ più caldo, magari sul mare, e trovare qualcosa da fare, e metterci un briciolo di entusiasmo, tanto per provare a rimettermi in carreggiata. Non lo so, sono soltanto pensieri quelli che mi vengono in mente, però un giorno magari mi gira tutto in un verso e prendo davvero ogni cosa e poi me ne vado. Non mi piace molto parlare con le persone. Le parole servono soltanto quando vuoi riempire il tuo tempo, o prendere in giro qualcuno; per il resto basta scambiare un’occhiata con gli altri per capirsi davvero. Non lo so, ma io sono fatto così.
E poi non lo so, vado a mangiare ad una mensa una volta ogni giorno, e lì certe volte qualcuno di loro mi avvicina cortesemente per chiedermi se ho bisogno di qualcos’altro, se voglio fare una doccia, di qualche vestito, o di starmene un po’ in compagnia. Non ha importanza ragazzi, io penso mentre sollevo le spalle; tiro avanti bene anche così: mi conoscono tutti, non voglio dare fastidio, ma quelli insistono e allora mi fanno lavare, e dicono dopo che sembro più giovane, e qualcuno si offre per tagliarmi i capelli e la barba, ed io lascio fare quello che vogliono, perché tutto serve quando si vive in questa maniera, anche un aspetto decente.
Non lo so se qualcuno abbia di nuovo la voglia, come è successo una volta, di venire a farmi gli scherzi: mettersi davanti al mio capanno, vicino a questa mia cuccia dove ogni volta sto bello tranquillo, e d’improvviso dar fuoco a qualcosa lì accanto, tanto per farmi paura, magari per affumicarmi e costringermi ad uscire all’aperto. Non capisco, non dare fastidio a nessuno sembra proprio non sia più sufficiente, anche se in questo piccolo centro abitato ho compreso che qualcuno coltiva il disprezzo degli altri, ed io adesso non lo so per davvero, ma un giorno di questi dovrò proprio andarmene, oppure smettere di essere buono. Perché chi è più buono, proprio come mi sento io tante volte, e questo lo so per davvero, è sempre perdente.

Bruno Magnolfi

lunedì 21 gennaio 2019

Alla luce del sole.




15 gennaio
Mi sento sempre più confusa. Non capisco più come dovrei comportarmi. E’ come se i fatti di questi ultimi giorni mi inviassero continuamente segnali contraddittori. Non voglio starmene ferma a guardare, magari nell'attesa che tutto quanto per un colpo di fortuna insperato si vada chiarendo; voglio agire, sono convinta sia questo il mio momento, e che il mio futuro prossimo derivi esattamente da ciò che riuscirò a desiderare adesso.

16 gennaio
Il mio lavoro non è più tale. Adesso è una scelta fatta, un impegno preciso di esistenza, una prova delle mie capacità. Non devo ascoltare più nessuno intorno, se non me stessa e la mia sensibilità, pronta ad interpretare tutti i segnali che mi possono giungere.

17 gennaio
Tommaso non si è fatto più vedere. Non ha importanza, devo essere capace di rinunciare a lui, e di mettere a punto la capacità di fare a meno della sua intelligenza forse un po’ infantile. Farò qualche tentativo nei suoi confronti, ma niente di più.

18 gennaio
Non posso fingere con me stessa che non sia successo niente. Qualcuno si è comportato come se io fossi il premio per qualcosa, trattandomi da sciocca, e forse la colpa di tutto questo è stata la mia presunta ambiguità. Però non deve essere così, o meglio: non voglio che le cose siano poste in questa maniera. Per questo motivo ho deciso che per qualche tempo farò a meno degli altri, e mi comporterò come se non avessi bisogno assolutamente di niente, come se nulla ci fosse che mi interessa veramente, se non il mio lavoro, e rilanciare il negozio di merceria svecchiandolo da quella patina di risaputo da cui in qualche modo risulta ancora composto. Forse potrei voler bene a Tommaso, ma adesso proprio non riesco a capire se sia così, e probabilmente non mi interessa neppure troppo saperlo. Anche gli altri ragazzi che si ritrovano alle panchine della piazza magari hanno anche loro delle buone doti: sono simpatici, sanno stare in compagnia, spesso si pongono anche loro dei problemi come me li pongo io stessa. Andare a parlare qualche volta con questi ragazzi non mi comporta però nessun problema, non mi fa sentire in obbligo con nessuno, non sottintende nessuna scelta specifica. Uscire con Tommaso, o con Renato, o con chiunque altro, invece, mi incastona in uno spazio ristretto agli occhi di tutti, e non è questo quello che voglio, almeno in questo momento, anche se è mia necessità essere chiara con chiunque di loro, ed agire come sempre ho fatto alla luce del sole. Farò qualcosa in questo senso, nei prossimi giorni, e forse, se riuscirò anche ad avere tutto il coraggio che serve, chiederò un’opinione di tutto quanto a mia madre, con la quale in fondo trascorro ancora una parte cospicua del mio tempo libero, ed il cui parere è sempre stato in fondo onesto e moderato.

Bruno Magnolfi

giovedì 17 gennaio 2019

Spirito pratico.


      

            Certe volte non vorrei neppure uscire di casa. Accatasto i miei libri sopra al piano della scrivania, mi metto accanto tutti gli appunti delle lezioni in facoltà, poi le matite, i fogli di carta, i miei quaderni, e mi pare quasi che sia tutto lì, vicino a me, ciò che m’interessa maggiormente. Fuori dalla finestra la giornata di sole prosegue il suo corso come sempre, eppure, chino sopra al mio tavolo, io modello poco per volta il mio sapere, assumo la coscienza di quanto sicuramente potrà servirmi nel futuro, mando avanti il mio più forte convincimento, quello per cui tutto è migliorabile, e la positività potrà svolgere un suo ruolo, prima o dopo.
            La strada che si snoda là sotto è comunque un forte richiamo anche per me; un insieme eterogeneo di elementi negativi e positivi che gridano spesso la loro urgenza, come la necessità che molti provano di mostrarsi delle vere persone, di sentirsi perennemente coinvolti in qualcosa, di essere chiamati tutti ad una scelta, pur sbagliata che possa dimostrarsi. Osservo sopra al davanzale qualcuno che cammina lungo il marciapiede, e non so decidermi a pensare quanto sia meglio svagarmi, piuttosto che continuare a riflettere ancora su tutte le mie cose. Poi chiudo i libri ed esco.
Intendo passeggiare, soffermarmi su qualcosa che attiri i miei interessi, ma non posso certo ridurmi a transitare sempre davanti al negozio della merceria, come solo un fissato potrebbe fare; cosi è meglio se prendo la bicicletta, per pedalare in silenzio senza grandi pensieri, e fare un giro verso la campagna circostante, spingermi magari fin dove iniziano i boschi rigogliosi, magari fermarmi sopra un poggio più in alto ad ascoltare il vento, ad osservare i merli che si rincorrono, guardare le pecore al pascolo se oggi ci sono, radunate in qualche campo poco lontano.
Poi torno indietro: non c’era niente che non conoscessi già lungo quei viottoli, tanto vale andarmi ad infilare tra le case del paese, nella ricerca di qualcuno che forse già conosco. In fondo mi piacerebbe anche incontrare di nuovo Renato, magari da solo, a distanza ravvicinata, senza un pubblico a sommuovere i nostri comportamenti, e fermarmi di fronte a lui con grande calma, anche con profonda serietà, e dirgli con voce leggera che non mi ha fatto niente quando mi ha colpito, perché niente avrebbe mai potuto farmi, visto che le nostre divisioni non esistono davvero, sono frutto soltanto di una maniera distorta di vedere tutte le cose.
Ho colpito la tua incapacità di tenerti da una parte, risponderebbe forse lui; quel tuo metterti in mezzo a qualcosa che sembrava già prendere per me una direzione favorevole. Non ce l’ho con te, non ce l’avevo neanche prima: è ciò che rappresenti il vero problema che poni adesso, quella presunta diversità superiore che manifesti in ogni attimo, lasciando sentire tutti noi soltanto dei poveri sciocchi. Clara è una ragazza che facilmente si lascia incantare da qualcosa che forse neppure comprende fino in fondo, subendo una fascinazione effimera dai tuoi comportamenti. Però è lei che in qualche modo simboleggia al meglio la nostra cittadina, non certo uno come te.   
Va bene, potrei dire io, in ogni caso ricorrere a dei mezzi estremi non lascia certo spazio a molte fantasie, e se tu hai deciso di porti in questo modo, sei tu che adesso ne paghi tutte le conseguenze. Clara credo sia una persona libera, sceglierà cosa desidera senza che siano i pugni o la violenza ad imporle qualcosa. Comunque hai ragione almeno su una cosa: io non mi sento parte attiva di questo paese, mentre lei lo è, a tutti gli effetti, e forse per questo motivo dovrà essere uno proprio come te a farsi avanti con lei, e magari ricordarle che lo spirito pratico è il migliore.

Bruno Magnolfi


martedì 15 gennaio 2019

Tutta per sé.


  

            Lei va sempre da sola fino alla scuola. O meglio, senza la mamma, oppure il babbo, al limite giusto con qualche compagna di classe vicina di casa che volentieri si affianca a lei durante quel breve tragitto. Però in certi giorni, con la sua cartella ben chiusa stretta dentro la mano, lei cammina in solitudine a passo cadenzato e gli occhi bassi, sfiorando quasi le case, come le hanno detto di fare, senza mai fermarsi, fino a quando non si ritrova a varcare il cancello, con tutti gli altri alunni dentro al cortile, e ad aspettare quel suono martellante della campanella, prima di salire le scale.
Marisa, la chiama in quei minuti il suo compagno di scuola preferito, e lei subito lo cerca con lo sguardo e gli sorride, scambia con lui le sue sensazioni di bambina, parlando della maestra, dei giochi, anche dei propri genitori, toccando con semplicità gli argomenti più comuni, prima di entrare in una classe purtroppo diversa dalla sua, che è già più grande di un anno. Qualche volta si sono tenuti la mano, di nascosto, e a lei è piaciuto parecchio, tanto che adesso, a distanza di oltre cinquant'anni, riesce ancora a ricordare perfettamente quei deliziosi momenti.
Poi la sua adolescenza è un lento passaggio quasi insignificante, percorso nel tentativo di ritrovare in qualcuno la stessa dolcezza provata negli anni della scuola elementare, fino ad arrivare a conoscere Ernesto, che diverrà suo marito, quasi come per una forma naturale di tutte le cose. Per lei innamorarsi è stato sempre cercare di riprovare delle sensazioni che nel passato avrà già conosciuto, o almeno tentare di avvicinarsi proprio a quello struggimento indimenticabile.
La scuola elementare è grande, piena di bambini entusiasti e divertenti; c’è anche la Martini in classe con lei, e tra loro ci sono così tanti alunni che riusciranno sicuramente a trovare la loro strada, ma ce ne sono anche di quelli che purtroppo non combineranno mai nulla di buono. Marisa adesso, quando si sdraia sul suo letto, nel buio solitario della camera rimasta la stessa da tanti anni, a volte li elenca nella sua mente, e li ritrova parecchi, come non fosse trascorso tutto quel tempo, come se fossero tutti ancora lì, a portata di mano. Poi torna a casa, dopo l’ultima campanella, dopo tutta la confusione dei bambini che escono correndo in mezzo al cortile, alla ricerca dei genitori o dei nonni, dopo aver salutato lui, di nuovo lì, a dirle: ciao Marisa, vediamoci dopo, ai giardinetti, posso aiutarti nei compiti che ti hanno dato da fare. Va bene, fa lei, siamo d’accordo.
In certi momenti, nella sua mente, lei sa che un’eclisse solare abbuia tutto il resto per una manciata corposa di anni, e la sua malcelata durezza dell’età adulta, è forse soltanto il bisogno di tenere nascosto da qualche parte dentro di sé, qualcosa di prezioso e di assolutamente non condivisibile. Quel bambino, di cui in seguito non vuole più ripetere neppure il nome, si perde più avanti, quando saranno più grandi, e lei non lo cercherà più, perché è assurdo tentare di cambiare qualcosa che il destino ha già definito, e non potrà mai neppure assomigliare a ciò che era stato.
Ciao mamma, dice Clara rientrando in casa; e di colpo tutti i bambini dentro di sé si prendono per mano e subito se ne vanno, fingendo di non essere neppure mai stati da quelle parti. Non si può neanche desiderare di sentirsi diversi, pensa Marisa certe volte. Si è così, bisogna piegarsi a quanto ci capita. Ho una storia ufficiale da raccontare, naturalmente, dice all’ombra di sé sotto al sole; ma anche una diversa, che vorrò sempre tenere soltanto per me.

Bruno Magnolfi


lunedì 7 gennaio 2019

Stanze quotidiane.


         

            Non so perché lei abbia accettato. Così come non capisco per quale motivo io, che non ne avevo minimamente voglia, le abbia chiesto di uscire insieme a me in questa giornata di festa. Però è andata così, quasi inspiegabilmente, ed io e mia figlia durante questo pomeriggio, come non succedeva ormai da tempo immemorabile, ci siamo spinte fuori con la nostra automobile per andare a farci una tranquilla passeggiata a piedi lungo le strade centrali della cittadina di cui facciamo parte. E naturalmente non potevo certo esimermi, in questo percorso senza alcuna meta prestabilita, dall’effettuare una breve visita al suo negozio di merceria, lungo la via principale, di cui lei porta sempre con sé la chiave, almeno per osservare con calma le variazioni agli arredi fatte apportare ultimamente proprio da Clara. Sono rimasta perplessa, inutile negarlo, anche se non ho fatto altro che apprezzare quanto è stato eseguito, sempre con naturali parole di elogio e di soddisfazione.
Mia figlia naturalmente si è prodigata subito a spiegare con parole e con gesti, a tratti quasi eccessivi, le scelte adottate, probabilmente nella stessa maniera che avrebbe fatto con chiunque, anche se io capisco benissimo, nello stesso esatto momento in cui lei tentava di convincermi, che neanche lei stessa era troppo soddisfatta del risultato che ha ottenuto. Ho pensato in silenzio, conservando un debole sorriso sulla faccia, che a volte si inseriscono anche troppe aspettative rispetto a quanto si vorrebbe vedere già finito, ed in certi casi in cui abbiamo impegnato persino troppa fantasia, i risultati non possono che apparire deludenti. Così quando siamo tornate sulla strada non ho neppure insistito troppo con dei complimenti ordinari e scialbi, che in questo caso sarebbero senz’altro sembrati anche falsi e fuorvianti. Forse per mia figlia in tempi diversi avrei immaginato un'altra vita, che non fosse quella di una semplice bottegaia di paese, ma questo è anche un pensiero da cui devo rifuggire ogni volta che mi si presenta, per evitare di riproporre alla mia memoria il percorso difficile e tortuoso che ha attivato tutto quanto.
Sono contenta, le ho detto in breve per chiudere la questione, le cose sembrano proprio si siano messe per il meglio, e nel passaggio di consegne dalla signora Martini fino a te, non sembra affatto che la clientela sia diminuita. Forse è presto per dirlo, mi ha risposto Clara, però le mie intenzioni sarebbero addirittura quelle di incentivare ulteriormente le vendite, svecchiando l'immagine di tutto il negozio e variando poco per volta sia gli articoli in esposizione, sia quindi l’età di tutti i clienti. Me ne sono rallegrata, questo è chiaro, però spero proprio che tutto questo non richieda nel futuro la disponibilità di risorse pecuniarie che non derivino direttamente dagli utili della piccola società che sostiene questa merceria. Io non firmerò mai nulla, in ogni caso, per avvallare coi miei risparmi delle scelte finanziarie in questo senso.
            Qualcuno ha salutato Clara, quando siamo andati al bar Soldini per sedersi ad un tavolino e prenderci un caffè, ma non mi è parso dalla qualità dei gesti e dalle parole di saluto messe in campo, che ci fosse in giro la persona che potevo immaginare di vedere. Così, tanto per mettere un pungolo a questo pomeriggio, ho chiesto a mia figlia chi fosse tra i ragazzi sulla piazza quello con cui lei si stava vedendo più assiduamente, ma Clara ha fatto soltanto un sorriso, ed ha chiuso frettolosamente con quello la mia curiosità. Deve essere qualcun altro, ho subito pensato, ma se parlassi intorno a questo argomento per qualche minuto ancora, probabilmente a lei le sfuggirebbe persino il nome, però non voglio certo apparire una curiosa sciocca, per cui mi va benissimo di cambiare l’argomento e di affrontare dei discorsi su tutt’altre cose. Più tardi perciò siamo rientrate a casa, senza grandi variazioni di tematiche, e quando alfine ci siamo messe comode, ognuna di noi due nella stanza che di fatto predilige, forse ci siamo sentite addirittura meglio.

            Bruno Magnolfi

sabato 5 gennaio 2019

Cambio d'anno.


          

            22 dicembre
            Trascorro ore di grande sofferenza in questi giorni, pur non riuscendo a comprenderne appieno neanche il motivo. Tanto che in certi casi non capisco neppure come possa poter sopportare, pur sforzandomi di mettere in mostra il mio solito ed invitante sorriso che spesso risolve tanti problemi, certe vecchie ed antipatiche clienti della nostra merceria, che sembra proprio si impegnino a giungere fin qui soltanto per mettere a dura prova le mie indubbie capacità di socievolezza e di pazienza. Il falegname ed il tappezziere sembra finalmente abbiano proprio terminato con i loro piccoli lavori di ammodernamento degli arredi del negozio, così come avevo chiesto loro di eseguire ormai da tempo, ma nonostante abbiano attuato quasi fedelmente ogni mia indicazione, adeguandosi al progetto generale ed anche ai disegni che avevo preparato, e lo abbiano fatto impegnandosi al massimo, proprio come avevo chiesto, soprattutto durante gli orari di chiusura dell’esercizio, adesso non mi hanno lasciato quell’entusiasmo che avrei voluto provare contemplando i loro risultati. Forse però è soltanto colpa mia che oramai riesco a provare maggiore soddisfazione dalle previsioni delle cose, che dalle cose vere e proprie.
            27 dicembre
             Tommaso per questi giorni di festa è andato insieme alla sua famiglia da una zia che abita lontano. Mi ha assicurato di voler approfittare di questo periodo, portandosi dietro tutti i libri e quanto gli serviva, per preparare un esame universitario che dovrà sostenere immediatamente al suo ritorno. Mi è parsa un’ottima idea razionalmente, anche se avverto ogni giorno di più la sua mancanza. Non vorrei sentirmi così legata alla sua presenza, e soprattutto non mi piace rendermi conto di avere necessità di qualcuno a sostenermi in queste mie giornate così ostiche. Ho sempre pensato che qualsiasi persona libera è solo colei che riesce a fare a meno degli altri, nel senso di avere la capacità di prendere qualsiasi decisione senza l’aiuto di nessuno. Però in questo momento mi prende spesso la paura sottile di allontanarmi un po’ da tutti, grazie a questo pensiero, e di mostrare un’indipendenza così totale che forse non è neppure data dalla mia vera natura.
            3 gennaio
            Con mia madre le cose posso dire che vanno meglio, nel senso che non abbiamo più litigato ormai da tempo, forse anche grazie a questi giorni festivi che abbiamo trascorso quasi totalmente in casa insieme, a parte il mio forte impegno lavorativo nella merceria. Non parliamo quasi più di nulla tra noi due, a parte le cose essenziali che definiscono la nostra convivenza in questa abitazione fortunatamente grande, dove possiamo fare contemporaneamente cose diverse, e se da un lato forse è questo il punto più dolente, probabilmente è pure quello che dall’altro ci fa anche andare più d’accordo. Lo so che lei a volte si sforza nel cercare di non mettersi in mezzo alle mie decisioni o ai miei pensieri, però comprendo come costantemente abbia su tutto ciò che faccio delle opinioni precise dentro la sua testa, e spesso anche solo misurare l’inflessione del suo sguardo, mi fa capire che non è affatto d’accordo con me. Che non sia più uscita la sera, e non abbia più fatto troppo tardi dopo l’orario del negozio, sicuramente le ha fatto piacere, anche se non ne sa il motivo. Non so, però penso che presto qualcosa dovrà cambiare inevitabilmente, così come senza neppure rendercene troppo conto, ormai abbiamo passato un altro anno.

            Bruno Magnolfi


martedì 1 gennaio 2019

Focaccia salata.


            

            Io abito assieme ai miei genitori in via Boito. In genere non esco molto di casa, mi piace rimanere nel mio angolo a sistemare con calma tutti i miei pensieri. Però al mattino sto sempre nel negozio di mio padre, che fa il fornaio, e che a seconda dei giorni della settimana lavora nel laboratorio per quasi tutta la notte, ed in parte anche al mattino, in negozio con me. Al pomeriggio invece lascio il banco delle vendite alla mia mamma, e così io posso fare ciò che più mi piace. Normalmente resto in casa in pratica da solo, rispettando il silenzio doveroso verso mio padre che si concede il dovuto riposo nella sua camera da letto, e soltanto verso le cinque generalmente esco in punta di piedi per raggiungere i miei amici nella vicina piazza del monumento. Poi resto lì seduto con gli altri, e ascolto le minute novità che vengono snocciolate dai ragazzi, oppure mi diverto ad ascoltare gli immancabili scambi di battute tra di loro. Tutti sulle panchine mi giudicano un timido, ma a me non interessa molto quello che dicono di me, basta che nessuno mi faccia domande troppo dirette, e che mi lascino in pace, senza tirarmi dentro ai loro problemi.  
            Stasera, da via Colombo, arriva improvvisamente questo tizio, Tommaso, che ogni tanto si vede alle panchine della nostra piazza, ma mentre attraversa lentamente, dritto verso di noi, Renato gli va incontro, come per sbarrare il suo passo. Non si dicono niente loro due, si guardano per un lungo attimo e poi basta, come se tutto fosse già chiaro, evidente, senza necessari approfondimenti. Renato prende l’iniziativa e colpisce l’altro, senza spiegazioni, facendolo cadere a terra, poi torna con espressione soddisfatta verso di noi. Nessuno ha niente da dire, nessuno si scuote, o si alza, o fa un minimo gesto di meraviglia. Sono fatti loro, sembra che sia il pensiero che attraversa la mente di tutti, a noi non deve interessare un bel niente.
            A me invece non piace quanto è successo, così aspetto qualche minuto in silenzio, quindi mi alzo dalla panchina, e come ricordandomi all’improvviso qualcosa da fare, me ne vado dalla piazza senza salutare nessuno, e giro attorno all’isolato riflettendo su quanto ho appena visto. Rientro in via Colombo da una stradina minore, e poi raggiungo il negozio dei miei genitori, ancora aperto, poco più avanti. Saluto mia madre che sta servendo qualcuno, le chiedo se tutto vada bene o se per caso abbia bisogno di aiuto. Poi torno sulla strada. Dopo un attimo arriva Tommaso da solo, con un fazzoletto sopra la bocca. Non mi guarda neppure, così mi supera con passo lento, ma io gli dico qualcosa da dietro, pronunciando delle parole che non so neppure io da dove mi giungano.
            Mi dispiace, gli fo, e lui si gira meravigliato. E’ da stupidi affrontare in questo modo i problemi, e lui annuisce. Si ferma, mi guarda, forse mette a fuoco meglio quanto cerco di dirgli. Difficile evitare di reagire, gli dico, ma credo sia da persone migliori. Ti ringrazio, mi fa, pensavo proprio che foste tutti uguali là in mezzo. Mi sbagliavo. Così mi stringe la mano, ed io la stringo a lui; poi non c’è altro da dire, così ce ne andiamo, ognuno dietro ai propri problemi. Forse non si dovrebbe essere troppo solidali con uno che non fa neanche parte della tua compagnia, però a me sembra giusto in questa maniera, ed adesso che ho fatto questo gesto mi sento meglio, mi pare di aver tirato fuori qualcosa di me stesso che normalmente tengo celato in mezzo a miei pensieri e alle mie giornate monotone, scandite dagli orari del negozio e della mia famiglia. Forse per qualche giorno non tornerò a farmi vedere dagli altri sulle panchine, ma non importa: tanto qualcuno dei ragazzi, quasi ogni sera, arriva fino al nostro forno per comperarsi del pane o anche della focaccia.

            Bruno Magnolfi