lunedì 30 settembre 2019

Reazione composta.



“Buongiorno”, dico per automatismo ad un paio di colleghi che stanno discutendo di qualcosa, mentre io scorro lungo il corridoio degli uffici. Poi appoggio la cartella dei documenti sopra la mia scrivania, a dire la verità quasi vuota, mi siedo per un attimo sopra la seggiolina di stoffa imbottita e subito mi sento stanco, privo di qualsiasi energia. Vorrei quasi tornare indietro, dire a tutti che non sto ancora bene, che ho sbagliato a rientrare al lavoro, non sono ancora perfettamente guarito. Poi mi calmo, guardo una piccola macchia sul muro davanti a me, forse una mosca rimasta là sopra da chissà quanto tempo, o magari un piccolo ragno uscito fuori con il caldo dell’estate e poi spiaccicato improvvisamente da qualche collega su quella parete.
Devo farmi forza, rifletto, resistere il più possibile e cercare di far scorrere la giornata, magari pensando a qualcosa che mi porti il più possibile lontano da qui. Guardo dentro ai cassetti alla mia destra ma ci sono soltanto le solite cose che conosco, poi mi concentro su un semplice registro cartaceo che da qualche settimana ho messo sul piano del tavolo senza decidermi mai a consultarlo. Ci sono degli elenchi di persone che risultano inadempienti, e per questo motivo devono essere accertate le reali condizioni in cui versano. Ma siccome l’elenco è ormai vecchio, probabilmente non corrisponde neanche più alla realtà. Fingo di lavorare insomma, ed intanto penso a qualche espediente per far trascorre tutto il tempo di questa giornata.
Si fa vedere nel corridoio il nostro dirigente, e dice che dobbiamo essere più precisi nella comunicazione dei dati che mettiamo a punto nel nostro lavoro. Tutti rispondono che non ci sono problemi, sarà fatto senz’altro, ogni richiesta sarà assolutamente esaudita. Lui ride, sa che dietro ai modi scherzosi di ogni impiegato le cose possono veramente tendere a migliorare, basta non prendere quei lavoratori che adesso ha di fronte con dei sistemi troppo severi, che probabilmente porterebbero soltanto ad un irrigidimento di ogni rapporto, fatto negativo per chiunque là dentro. Allora mi alzo dalla mia sedia, gli vado incontro, attendo che sia solo, lo saluto con seria cortesia, ed infine gli comunico che non sono tranquillo.
"Qualcosa non va", gli dico subito; "qua dentro ci perdiamo spesso in troppe stupidaggini, e poi ci ritroviamo il più delle volte a guardarci di traverso senza neppure sapere perché. E poi in certe giornate siamo anche stanchi, stufi della monotonia di questo mestiere". Lui mi guarda con espressione seria e un po’ sospettosa, dice che ogni malessere rimane un elemento del tutto personale, e come tale deve essere trattato, perciò se desidero iniziare a spiegargli quale sia la mia sofferenza, lui può anche ascoltarmi, ma se ho voglia soltanto di fare un discorso generico che valga per tutti, allora è semplicemente una perdita di tempo per me e anche per lui. Resto perplesso lasciando una pausa a seguito delle sue parole, e lui ne approfitta per guardare verso un altrove che in un attimo lo trascina verso un altro impiegato, forse dimenticandosi in un solo momento di quanto gli ho appena riferito.
Va bene, rifletto. In fondo non mi aspettavo da lui una vera reazione.

Bruno Magnolfi

  



giovedì 26 settembre 2019

Bidonate ordinarie.


         

            Le giornate si susseguono comunque. In certi casi mi sembra che tutto stia improvvisamente per crollare, e che sfortunatamente io mi sia spinto troppo in avanti, fino a raggiungere l’orlo di una specie di precipizio, oltre il quale niente sarà più come prima, e l’andamento di tutte le cose alle quali ho fatto persino l’abitudine dopo tutto questo tempo, sarà definitivamente stravolto. Invece non è vero: la conseguenza di qualsiasi giorno è sempre un altro giorno simile, ed all’ultimo momento molti problemi, come per magia, sembrano comunque risolversi, o perlomeno procrastinarsi automaticamente, rinviando tutto a chissà quando.
            Tiro un respiro profondo alzandomi dal letto, osservo le piccole cose che ho attorno, poi decido che la danza, in fondo, anche oggi può riprendere inizio. Ho probabilmente bisogno di una seria amicizia, di una persona per la quale nutrire fiducia, anche se messa in questa maniera la cosa appare forse un po’ troppo egoistica. Non posso fare a meno di una vita sociale, io come tutti, per questo credo che debba allentare la mia inibizione, la mia proverbiale riservatezza, ed aprirmi con gli altri, fare qualcosa che mi accomuni a qualcuno e mi faccia sentire una persona qualsiasi, molto più di quanto ho deciso da sempre di essere con la mia ricerca perenne di solitudine. 
            Mi guardo allo specchio mentre mi rado la barba, e non so neanche decidere che cosa sia meglio per me. Forse serve semplicemente saltare un giro di giostra, inventarmi qualcosa che mi porti rapidamente in una dimensione diversa da questa, dove chi mi conosce possa meravigliarsi immediatamente del mio comportamento, ed in virtù delle nuove condizioni iniziare a considerarmi davvero un suo simile. Il punto è che non lo so di preciso cosa sia meglio affrontare in questo momento, ma in ogni caso so che devo obbligatoriamente fare qualcosa. Adesso come ogni giorno sono pronto ad uscire, raggiungere il mio posto di lavoro ed affrontare come sempre il mio semplice dovere, perciò controllo l’orario e vedo che è proprio il medesimo di qualsiasi altro giorno. Le azioni da compiere sono le stesse, ciò che ho di fronte lo conosco perfettamente. Ma poi mi sdraio, chiudo gli occhi, prendo il telefono e comunico con due parole che non sto bene.
È vero, rifletto, il mio stato di salute mostra indubbiamente che qualcosa non va, e provo la necessità di avere cure urgenti, e so che al più presto dovrò assolutamente affidarmi alla medicina, a persone che riconoscono i sintomi, dottori che comprendono in un attimo quale sia la reale situazione, e riescono a prendere adeguati provvedimenti. Forse è anche questo il mio problema di fondo: non essermi mai fidato abbastanza degli altri, non avere reputato all’altezza qualcuno che una volta o l’altra magari avrebbe avuto semplicemente la possibilità di aiutami. Il capo del personale non dice niente: per lui sono un numero, un impiegato qualsiasi in meno quest’oggi sul posto di lavoro, così si limita a registrare la comunicazione ed infine chiude la mia telefonata.
Mi torna alla mente soltanto in questo momento la mia collega che non si è presentata all'appuntamento che avevamo fissato: forse è così un po’ per tutti, penso adesso; ogni giornata alla fine è composta da tante piccole disillusioni; bidonate che tiriamo a destra e a sinistra, a quello e a quell'altro, con una completa indifferenza, proprio mentre naturalmente ne riceviamo altrettante. Voglio essere così anche io, da ora in avanti.

Bruno Magnolfi

martedì 24 settembre 2019

Si è fatto tardi.


          

            Quando la sera si fa avanti e preparandomi per la notte tendo a spegnere tutte le lampade dentro le mie stanze, resta generalmente sopra alle pareti una lieve penombra data dalla luce dei lampioni lungo la strada di fronte, che riescono a far penetrare un debole chiarore tra le tende e le persiane delle finestre. Ed è in quella semioscurità che qualcosa, qualche volta, sembra come muoversi, magari senza che avvenga veramente. Si avvertono anche dei deboli scricchiolii ogni tanto nel silenzio di quell’ora; dei sottili rumori a cui normalmente non si darebbe mai alcuna importanza, ma che in quei momenti appaiono come le tracce di qualcuno che in punta di piedi e lentamente cercasse di spiare gli abitatori di questo mio appartamento, mentre loro come me restano magari seduti per conto proprio. Abito da solo in queste stanze, e certe volte trovo normale però lasciarmi suggestionare da qualcosa che sembra insistere a volermi fare compagnia.
In qualche angolo senz’altro c'è una parte di me all’interno di questa piccola casa, uno spiritello semplice e buono che autonomamente sembra voler accompagnare con cortesia le mie serate, spingendosi certe volte a seguire con remissività i miei piccoli problemi quotidiani, aiutandomi con la sua presenza a tirare avanti come meglio può. In certi periodi mi è parso di riconoscerlo spesso dentro l’immagine riflessa dello specchio, consegnandogli mentre lo osservavo la mia stessa faccia mentre mi guardava da là dentro, ma conservando al suo interno un diverso spirito; ed anche se da qualche tempo la sua presenza si è fatta un po’ più eterea, meno concreta, nonostante io tenda comunque a chiamarlo ancora come il mio fratello, ed invocandolo tutte le volte che ho bisogno di un parere obiettivo e maggiormente svincolato da tutte le mie fisime, so che lui c’è, da qualche parte, forse all’interno di un mobile o un oggetto.
Non è facile ritrovarsi soli, specialmente in qualche occasione. Si ha bisogno di un commento, di un giudizio, di una parola che riesca a trapelare da quel buon senso comune che spesso non è così scontato, e non viene mai fornito con spontaneità. Cerco sempre di ascoltare quello che dicono gli altri, anche quando parlano tra loro, e spesso mi ritrovo a formulare delle supposizioni che vorrebbero essere confermate o smentite da qualcuno che non posso essere io. Così mi restano dei dubbi, delle incertezze, dei quesiti non risolti che da un anno all’altro mi accompagnano come una pesante eredità che non credo neanche di meritare. Sul lavoro ci sono molti miei colleghi, ma con nessuno di loro sono mai riuscito ad approfondire una qualche conoscenza: tutti appaiono superficiali, disincantati, privi di qualsiasi interesse verso qualcosa che non siano le solite chiacchiere scambiate soltanto per far passare il tempo.  
Non posso chiedere niente a nessuno: so già che tutti mi prenderebbero ferocemente in giro, riderebbero di me, e in un attimo ogni mia questione posta seriamente diverrebbe strumento nelle mani di qualcuno per mostrarmi come lo zimbello agli occhi di tutte le persone che in qualche modo mi conoscono; così devo rassegnarmi ad essere né più né meno ciò che sono, e chiudermi sempre più in me stesso, anche se non lo vorrei proprio. Oggi quasi sempre riesco ad essere tranquillo, nonostante queste mie consapevolezze: mi guardo attorno, incamero dentro di me tutte le immagini che vedo, e le piccole informazioni che indirettamente mi arrivano dagli altri. Poi rientro in casa mia, dopo il lavoro, accendo le luci nelle stanze e scruto in giro se per caso non ci trovi qualche novità. Non si sa mai penso, magari mio fratello ha spostato qualcosa mentre ero via, o forse ha lasciato un semplice biglietto sopra al tavolo: ti ho aspettato, potrebbe dirmi, ma poi si è fatto tardi.

Bruno Magnolfi

lunedì 23 settembre 2019

Credere agli intenti.


           

Alla fine della mattinata di lavoro mi sento un po’ nervoso, come se non riuscissi a stare neanche un minuto di più seduto alla mia scrivania. Ho un appuntamento con una collega che conosco soltanto superficialmente, alla fine dell’orario di lavoro; forse per altri non sarebbe niente di speciale questa faccenda, ed anche io lo faccio giusto per andare con qualcuno a fare quattro chiacchiere con calma in qualche locale della zona. Peraltro ancora mi chiedo come mai questa mia collega abbia accettato il mio invito senza farmi delle domande, né porre qualche obiezione, considerato che anche per me è stato un puro caso essermi trovato nel corridoio da solo con lei. Non ho grandi aspettative per quanto potrà accadere, anzi credo proprio non ci potrà essere nessuno sviluppo, ma in fondo sono un uomo che vive da solo, e in ogni caso in questo momento mi basta stringere anche qualche semplice conoscenza per superare il malumore che mi porto dietro.
Suona l'apparecchio telefonico sopra la mia scrivania a fine mattinata, ma inizialmente non ho voglia neppure di rispondere, visto che la maggior parte delle volte sono semplicemente i colleghi di lavoro che si divertono a fare qualche scherzo. Alla fine però alzo il ricevitore come è mio dovere, e dico pronto. È lei, dal piano superiore del palazzo dove si trova il suo ufficio, e mi spiega in due parole che per non scatenare dei pettegolezzi ritiene meglio andare ad aspettarmi al caffè Cartabianca, un locale poco lontano dal nostro posto di lavoro. Rispondo che va bene, “verso le cinque sarò lì”, le dico in fretta, e lei riattacca subito, così mi guardo intorno come aspettandomi che qualcuno casomai avesse in qualche modo ascoltato la nostra conversazione. Tra questi uffici regna un indubbio covo di vipere, ed io non avevo riflettuto al rischio di farci parlar dietro, anche soltanto mostrandoci nell’uscire assieme dagli uffici, alla fine dell’orario di lavoro.
            Lei peraltro è una donna sposata, io la vedo da anni mentre entra o esce dall’edificio dove ambedue lavoriamo, ed indubbiamente, per come mi ha risposto, già da tempo nutre la voglia di intrattenersi senza impegno con qualche collega, magari soltanto per curiosare tra le opinioni che serpeggiano al mio piano, e non è per niente stabilito che abbia in mente una vera relazione. In ogni caso devo essere pronto ad ogni evenienza, e cercare il più possibile di stare al gioco, qualsiasi esso sia. Mi trastullo con qualcosa che vado cercando dentro ai cassetti, poi all'ora di pranzo scendo assieme agli altri nella sala mensa per mangiare. Parlano tutti di calcio, e a me che non interessa affatto, non resta che starmene in silenzio a guardare nel mio piatto.
            Penso che le cose per me possono farsi differenti se soltanto riesco ad instaurare dei rapporti amichevoli. Mi piacerebbe qualche volta andare ad un cinema in compagnia, oppure a cena con qualcuno. In fondo trovo che sia già sufficiente che mi mostri ai miei colleghi un poco più socievole, meno chiuso come forse sono sempre stato fino ad oggi. Mentre ci penso mi capita di sorridere di me stesso e dei miei proponimenti, perché gli altri che sono al mio tavolo mi guardano con un certo sospetto, ed uno mi chiede se per caso intorno a noi ci sia qualcosa di divertente che loro non riescono a vedere. Assumo la mia vecchia espressione di indifferenza, e senza rispondere lascio che ridano di me, se proprio ne hanno voglia.
            Quando arriva l’ora di andarsene dagli uffici, esco in fretta nel parcheggio, senza neanche guardarmi troppo attorno, avvio il motore della mia utilitaria, e mi indirizzo verso il caffè. Spengo il motore appena lì davanti, scendo, mi guardo attorno, poi mi decido ad entrare dentro al locale. Lei non c’è, così mi siedo ad un tavolo appartato ad aspettarla. Forse non verrà, penso. Troppo difficile un passo del genere. Troppo sciocco uno come me, pronto sempre nel credere a tutti.

            Bruno Magnolfi

giovedì 19 settembre 2019

Cambio di passo.


       

            Mi sono osservato di nuovo nello specchio, e mi sono reso conto che la mia espressione non sembra affatto cambiata, nonostante siano sopraggiunte delle importanti novità non tanto nell’andamento delle mie giornate o nel mio aspetto fisico, quanto all’interno di me, nella mia cognizione profonda delle cose. Ho deciso di essere diverso. Insomma, di provare a cambiare tutto ciò che da qualche tempo mi sembra ormai troppo fastidioso, superficiale, insopportabile. Credo che i miei comportamenti da qualche anno siano andati piegandosi sempre di più verso l’abitudine e l’ordinario, e all’improvviso tutto ciò adesso mi appare quasi inaccettabile. Questa consapevolezza dovrebbe comunque rispecchiarsi in una faccia differente, ho pensato subito, ma almeno per il momento non sembra proprio sia così. Anche il mio specchio fedele, sempre pronto in altri momenti a suggerirmi una via, dei comportamenti, alcune scelte da fare, adesso sembra inebetito, privo di qualsiasi aiuto nei miei confronti, come inerte di fronte ai miei propositi.
            La mia fino adesso è sempre stata una giornata minima, dipanata in mezzo a poche cose, delle quali la maggiore naturalmente è costituita dall'orario di lavoro da far trascorrere in mezzo a quegli uffici dell’amministrazione pubblica. Se quando sono entrato per la prima volta in quel grande palazzo non fossi stato spinto dalla situazione del momento a svolgere questo mestiere, non so cos'altro avrei potuto fare, penso ancora adesso, almeno certe volte. Non avevo mai coltivato una vera e propria professionalità, ed ho sempre pensato che il lavoro dovesse essere un orpello indispensabile ma marginale nella vita di una persona. Fino ad accorgermi che invece non è proprio così. Qualcuno dei miei colleghi certe volte finge ancora di ritenere la sua occupazione poco rilevante nella sua giornata; ma di fatto soltanto trascorrere un sacco del proprio tempo sopra quelle scrivanie, fa diventare tutti poco per volta come delle tessere di un grande mosaico.
            Per questo motivo alcuni si fanno strisciare il tesserino di riconoscimento nella apposita macchinetta da qualcun altro, e se ne vanno in giro liberi per i fatti propri, salvo restare in ufficio in giorni differenti e rendere il favore a coloro che si sono prestati a questo gioco. A me non interessa, anche se ne comprendo bene il motivo di fondo, quello che imprime in tutti una larvata sofferenza per tutto il tempo che buttiamo via tra queste scrivanie. Però io mi sento differente, non starei bene ad allontanarmi dall’ufficio in orario di lavoro. E forse è anche per questo che i colleghi mi guardano sempre con sospetto, perché sto sempre un po’ al di fuori delle loro congetture. Anche quando si ritrovano tutti alle macchinette del caffè a scherzare e a perdere del tempo, a me non interessa mescolarmi con loro, nonostante certe volte venga deriso proprio per questo.
            Anche io, come tutti comunque, non posso certo dire di ritenermi soddisfatto del mio posto di lavoro, visto che a nessuno interessa particolarmente quello che svolgo o che lascio indietro. Quando esco dal palazzo degli uffici però mi sento meglio, libero, leggero, pronto per fare chissà cosa, salvo alla fine ritrovarmi ad affrontare le stesse piccole stupidaggini di ogni giorno: fare gli acquisti, pulire e tenere in ordine il mio piccolo appartamento, pensare alla cena della sera; tutti elementi legati alla semplice sopravvivenza, almeno per uno che abita da solo come me. Adesso vorrei provare ad essere un poco differente, e magari solo aver pensato una cosa di questo genere mi fa già essere così. Cambiare, è il temine a cui mi sto riproponendo di dar seguito, anche se il magnetismo delle piccole abitudini è fortissimo, quasi non neutralizzabile.

            Bruno Magnolfi

martedì 17 settembre 2019

Inusuale scelta.


          

            Basta, mi sono detto. Devo uscire da questa situazione asfissiante in cui sono caduto. È sufficiente cambiare leggermente tutto ciò che mi è capitato di pensare fino ad oggi, e guardare al futuro in altro modo. Per prima cosa ho preso il mio piccolo specchio, quello che chiamo fratello, e l’ho nascosto in fondo ad un cassetto. Non tanto perché non voglio più vederlo ed usarlo, quanto perché non desidero che lui, in questo frangente, si immagini minimamente cosa cerco di fare. Voglio avere le mani libere, starmene da solo a meditare con serietà su ciò che vedo di fronte.
Così sono andato in ufficio senza la cravatta, vestito in modo semplice, la camicia fuori dai calzoni e senza indossare la giacca consueta. Alcuni mi hanno osservato in modo diverso dal solito, ma nessuno ha voluto esprimere dei veri commenti. Ed a metà mattina ho preso il corridoio con fare risoluto, e con un foglio in mano che giustificasse il mio comportamento, ho preso rapidamente le scale per raggiungere il piano superiore dell'amministrazione pubblica, quello dove gli impiegati sono quasi tutte donne. Naturalmente mi hanno salutato, anche senza far pesare troppo i loro sguardi, e qualcuna di loro sorridendo mi ha guardato e ha detto subito che mi trovava proprio bene, finalmente senza la giacca e la cravatta.
Sono andato fino in fondo al corridoio, dove ci sono le macchinette del caffè di quel piano, e come immaginavo ci ho trovato due impiegate che stavano chiacchierando con tranquillità. Ci siamo salutati e dopo un attimo una delle due è tornata nel suo ufficio mentre l’altra è rimasta a terminare la bevanda che aveva in mano. Così ho detto subito che avevo bisogno di un favore non di tipo lavorativo, e lei mi ha guardato come per farsi spiegare di cosa si trattasse. “Vorrei uscire con te uno di questi pomeriggi al termine dell’orario di lavoro, magari per andarci a prendere un aperitivo da qualche parte ed iniziare a conoscerci un po’ meglio”. Lei è rimasta in silenzio per un attimo, poi, dopo aver distolto lo sguardo come per cercare qualcosa attorno, mi ha risposto: “potrebbe essere anche domani, al momento che si va via da queste stanze”.
Ho detto subito che per me andava benissimo, e lei dopo un momento ha gettato il bicchierino di carta nel cestino e dopo un saluto è tornata verso la sua scrivania, lasciandomi la scia di un sorriso complice e amichevole. Non avevo mai fatto una cosa del genere fino a quel momento, però mi sono subito sentito bene, soddisfatto. Mi sono anche reso conto che dentro di me stavo ancora tremando, perciò sono tornato subito verso il mio ufficio, e poi mi sono messo a riguardare qualche pratica, giusto per non dover incrociare lo sguardo di qualcuno tra tutti i miei colleghi.
Quando finalmente è giunto il momento di strisciare il cartellino nella macchinetta, e poi di abbandonare il palazzo degli uffici, mi sono diretto verso il parcheggio dove avevo sistemato la mia utilitaria, ed ho subito visto che la mia collega avanti a me si stava intrattenendo vicino al portone principale a parlare con un’altra, perciò ho finto di aver fretta e le ho immediatamente superate, anche se ho immaginato che lei la stesse avvertendo dell’invito appena ricevuto, soprattutto per non farsi pizzicare il giorno seguente ad uscire quasi di nascosto dal lavoro insieme ad un impiegato come me, un comportamento sicuramente giudicato poco usuale e soprattutto molto sospetto.
Poi ho raggiunto il mio appartamento, ma contravvenendo a molte delle mie abitudini non sono andato affatto a tirar fuori il mio specchio per interpretare sulla mia faccia qualche commento stridulo, ed al contrario ho iniziato a pensare ad un locale non troppo vicino al palazzo dell’amministrazione, verso cui dirigermi il giorno seguente con la mia collega.

Bruno Magnolfi

lunedì 16 settembre 2019

Espressione.


           

            Non capisco; mi guardo attorno mentre cammino e qualche volta non so più neanche chi sono. Osservo nei dettagli la mia ombra fluttuante durante queste mattine assolate della domenica, o quando certe volte nei giorni feriali mi ritrovo nel parcheggio riservato agli impiegati, di fronte al palazzo dell’amministrazione pubblica dove lavoro, e mi pare che dentro a questa forma scura e curvilinea che vedo a terra, ci possa essere chiunque, senza una caratteristica riconoscibile. Mi fermo a riguardare bene quella macchia buia sull’asfalto, e mi pare a tratti addirittura di vederci dentro qualcuno che probabilmente neppure conosco, senza neanche una definita impronta di genere. Non so se è proprio qualche sconosciuto, quello che appare alla luce di questo sole di fine stagione, oppure se possa essere esattamente io, qualcosa di più simile a quello che riflette il mio specchio quando sono tranquillamente in casa mia. La mia faccia adesso ha qualcosa di femminile, inutile negarlo, anche se nessuno per il momento sembra accorgersene troppo.
            Forse anche nel mio modo di camminare o di esprimermi con gli altri c’è qualcosa su cui non ho mai riflettuto profondamente. Può darsi sia proprio per questo motivo che non ho mai avuto delle vere e proprie amicizie, soltanto conoscenze superficiali; magari perché l’ambiguità di qualcosa che chissà da quando traspare dalla mia persona, qualche volta è stata reputata inaffidabile, anche se non mi sono mai accorto di nulla. Nelle ultime notti mi sono ritrovato a svegliarmi di scatto dentro al letto, con dei pensieri foschi nella testa, delle idee decisamente oscure, qualcosa che al mattino però mi ha fatto subito sorridere, tanto mi è apparso sinceramente assurdo. Se mi guardo nello specchio ritrovo quasi sempre il mio gemello che mi guarda con il suo fare sornione, uguale agli anni passati, ed il pensiero che traspare dalla mia immagine di fratello e di congiunto, è sempre positiva, accondiscendente, capace di aiutarmi come sempre ha fatto.
            Mentre sono in ufficio ad occuparmi di qualcosa, osservo gli altri impiegati che cercano di far trascorrere il loro tempo in fondo ai corridoi, vicino alle finestre a fumare o a prendersi un caffè, tra le chiacchiere usuali, e certe volte qualche risata mezzo soffocata. Mi trovo quasi ad invidiarli, mentre rivestono perfettamente la loro identità, nel momento esatto in cui stanno assieme, solidali, consci del loro ruolo e dello sforzo di socializzazione che, sono convinto, deve essere effettuato per forza in un luogo precisamente come questo. Per quanto mi riguarda continuo a starmene da solo, isolato e taciturno, ma non per scelta, bensì per attitudine, per una assodata incapacità a sentirmi uno qualsiasi, uno proprio come tutti gli altri. Torno in bagno e dentro allo specchio la mia faccia ha la solita espressione di ogni giorno, incompleta, indefinibile, incapace di darsi una vera natura ed una soluzione a tutti i quesiti che prosegue a porre.
            Mi piacerebbe alzare la testa da questa scrivania, uscire dal mio piccolo ufficio mentre gli altri stanno ancora lì, nella perenne attesa della fine dell’orario di lavoro, e urlare senza indugio qualcosa che li scuota tutti quanti, che mostri ciò che non hanno mai visto fino adesso, li faccia sobbalzare sulle loro certezze sedimentate, scardini finalmente con una parola solo quel pensiero che hanno di me e persino di se stessi, mostrando un nuovo fine, un diverso traguardo, un modo di osservare tutto quanto che forse non avevano mai preso in considerazione, e mi tramuti improvvisamente in una persona inaspettata, differente dalle loro consuetudini, lontana dai modelli imposti tra questi corridoi. Ma poi rifletto subito che non ho proprio alcun interesse nel far questo.

            Bruno Magnolfi

venerdì 13 settembre 2019

Faccia così.


            

            Non so, continuo in questi giorni a guardarmi in tutti gli specchi che mi trovo in giro, oltre a quelli che ho in casa; vado chissà quante volte nel bagno dell’ufficio dove lavoro, ad esempio, proprio per ridarmi ogni poco una nuova occhiata, per assicurarmi se in quei pochi minuti sia cambiato qualcosa, o se tutto paradossalmente sia ancora rimasto come la volta precedente in cui mi sono guardato. Ci vedo sempre una donna nel riflesso di tutte le superfici belle lucide dove mi specchio, una femmina fatta e finita in quei lineamenti che peraltro dovrei conoscere bene; una faccia da signora, la fisionomia di un viso uguale identico al mio, soltanto in questo momento trasformato in quello di una donna che adesso può soltanto fingere di essere un uomo, anche se mi pare impossibile che sia avvenuta proprio in me una mutazione del genere.
            Non sono mai stato un effeminato, ed anche se non ho mai avuto un buon rapporto con tutte le donne, mi sono sempre sentito un uomo a tutti gli effetti. I colleghi di lavoro non si sono accori di niente, ma forse è soltanto perché loro mi conoscono da tanto tempo, ed oramai non fanno più caso a certi dettagli. Sono andato nel negozio dove generalmente faccio i miei acquisti, ed anche lì nessuno ha avuto niente da dire. Forse fingono, ho subito pensato; probabilmente non è interesse di nessuno rimarcare qualcosa che è già tutto stampato semplicemente sulla mia espressione del viso, perciò non ho dato importanza all’opinione che possono avere coloro che mi conoscono già.
            Ho pensato, per cercare una soluzione finale a questo dilemma, di andare da un ritrattista, un pittore che potesse mettere sopra una tela un disegno realistico di quello che vede quando mi guarda. Inizialmente ho immaginato di andare da qualcuno di quelli che si sistemano vicino a dei monumenti importanti della mia città e lavorano soprattutto con dei turisti di passaggio, ma poi mi è parso che il tocco professionale e dettagliato che volevo dare alla cosa venisse in qualche modo a mancare. Così ho cercato sopra gli elenchi dei pittori che copiano altri quadri, ed alla fine mi sono imbattuto sul nome di in un artista che dalle proprie caratteristiche sembrava proprio quello giusto. Gli ho telefonato quindi, ed ho preso rapidamente un appuntamento.
            Sono andato da lui di mattina, quando la luce è migliore, prendendo un permesso dal mio lavoro, ed ho trovato un appartamento elegante, con i soffitti alti e le finestre luminose, ed ho subito seguito il pittore dentro al suo studio. Gli ho detto che si sarebbe dovuto eseguire il lavoro in una volta soltanto, al più presto possibile, proprio per rendere la mia espressione di quel momento, e che per questo motivo era sufficiente un ritratto eseguito a carboncino, a mano libera. L’artista si è mostrato d’accordo, ed ha capito perfettamente ch doveva descrivere con i suoi tratti di matita esattamente ciò che vedeva, cercando il massimo di fedeltà all’originale.
            Non ha impiegato neppure troppo tempo mentre io mi tenevo ben fermo, con la faccia rischiarata da una luce morbida e naturale, cercando di non assumere nessuna espressione particolare, i muscoli rilassati, alcun pensiero dentro la testa, lo sguardo immobilizzato davanti alla mia persona. Lui ha lavorato senza dire neppure una parola, senza chiedermi altro, impegnandosi al massimo in ciò che stava eseguendo, e concludendo la sua tela all’improvviso, con un ultimo tocco qua e là, spiegandomi che adesso avrebbe incartato il disegno finito senza farmelo ancora vedere, e che io avrei dovuto guardarlo soltanto una volta da solo, in casa mia, con tutta la calma possibile. L’ho naturalmente pagato, e poi soddisfatto sono uscito da quel suo studio, ringraziandolo per la sua decisa pazienza e la sua grande, perfetta, stupenda comprensione.  

            Bruno Magnolfi

giovedì 12 settembre 2019

Idee di femmine.


         

            Forse, se non ci fossero costantemente intorno a me tutti questi colleghi uomini in ufficio, le cose potrebbero andare anche diversamente sia per me che per tutti gli altri. Invece le donne impiegate in questo settore dell’amministrazione pubblica, poco per volta si sono come ritagliate uno spazio proprio, sistemandosi tutte, grazie naturalmente all’avvallo un po’ sospetto dei nostri capi, ai piani superiori di questo palazzo, riuscendo in questo modo a non farsi praticamente quasi più vedere lungo i nostri corridoi. A noi maschi privi della controparte non resta così che perdere il nostro tempo davanti alle macchinette per il caffè, magari parlando di calcio, di sport, o superficialmente di politica, ed inventando qualche stupido scherzo e molte battute di spirito su quello o su quell’altro, che poi alla lunga purtroppo risultano sempre le medesime. Io, peraltro, che sono per natura un solitario, mi tengo spesso alla larga anche da questi colleghi, ed allora ecco che non mi resta che portarmi dietro qualcosa da leggere per passare meglio la giornata.
            Se ci fosse almeno da lavorare seriamente, penso certe volte; impegnarsi su qualcosa i cui risultati dessero qualche soddisfazione, probabilmente le cose andrebbero in un altro modo. In ogni caso la mancanza dell’elemento femminile tra di noi risulta forte, e specialmente per qualcuno quasi un dramma. Può darsi che anche in virtù proprio di questo motivo, quando torno a fine orario di lavoro nel mi piccolo appartamento dove vivo da tanti anni in completa solitudine, e riprendo, come sempre ho fatto, a far riflettere la faccia nel mio fidato specchio giusto per cercare compagnia, da un po’ di tempo mi pare di intravedervi adesso il viso di una donna. E’ come se il mio fratello gemello da sempre presente su quella superficie lucida, si fosse inventato da un po’ qualcosa di diverso, ed avesse maturato un’opinione su di me decisamente diversa dalla mia.
            Naturalmente non è cambiato il mio rapporto con lo specchio: proseguo come sempre a cercare là dentro il mio gemello, la personalità che lui riveste e che qualche volta purtroppo risulta sfuggente persino alla mia comprensione. Ci parlo con quell’immagine, e lascio che l’espressione che vedo dentro alla cornice mi risponda, mi suggerisca gli elementi che a me mancano, indichi qualsiasi cosa sia meglio per me e per le mie giornate. Però avere iniziato ad immaginare là dentro una faccia di donna, una femmina gemella di me, una parente stretta capace di essere contemporaneamente dentro e fuori dalla mia persona, è qualcosa che sta poco per volta rivoluzionando il mio modo di pensare tutto quanto.
            Quando sono al mio posto di lavoro adesso mi guardo attorno. Nessuno dei miei colleghi ovviamente sa del mio specchio e del mio compagno fedele che dà sapore alla mia solitudine. Ma che la mia immagine reale nascondesse l’elemento femminile, è qualcosa che va oltre qualsiasi immaginazione. Forse è soltanto un periodo passeggero penso; probabilmente tutto all’improvviso tornerà come si è sempre rivelato, senza lasciare alcuno strascico: è quello che spero. Eppure quella donna che mi guarda da dentro alla cornice mi lascia esterrefatto, mi meraviglia tremendamente, ma poi mi incuriosisce, e riesce a smuovere sentimenti che forse non sapevo neanche di avere. Perciò ho iniziato a dare la colpa di tutto all’amministrazione pubblica: se non si fosse verificata questa endemica mancanza di donne in ufficio, probabilmente tutto sarebbe diverso, e i miei colleghi si svagherebbero di più evitando di insistere a stuzzicarmi come spesso tendono a fare. In ogni caso non penso proprio di cambiare atteggiamento: sopporterò la situazione, come sempre ho fatto, lasciando scorrere il tempo lavorativo di ogni mia giornata, e dopo basta.

            Bruno Magnolfi

giovedì 5 settembre 2019

Solo questo.




Adesso lui cammina lungo le strade principali della sua città, sfiorando continuamente una moltitudine di persone che paiono rincorrere ognuna i propri desideri, come tutti scartando spesso gli ostacoli e aggrovigliando il proprio percorso individuale in maniera inestricabile con qualsiasi altro tragitto venga seguito. Vorrebbe tanto sentirsi uno come gli altri tra coloro che ad ogni passo va incontrando, ma è proprio quell'immedesimarsi continuo in ciò che gli passa per la mente a renderlo diverso, ed a mostrargli spesso quasi un itinerario differente.
Certe volte per lui è sufficiente ripensare a qualcosa accaduto anche molti anni prima, per sentirsi sempre leggermente inadeguato, e magari dispiacersi fino alle lacrime per qualche fatto negativo che forse gli è accaduto, oppure a cui in qualche modo si è ritrovato ad assistere. Ma, anche al contrario, per iniziare di nuovo a ridere per qualcosa di divertente che possa essergli successo, attingendo sempre alla sua inesauribile memoria. Così è costretto a fingere continuamente un'indifferenza che assolutamente non gli è propria, per riuscire a stare alla pari con qualsiasi altro individuo. E forse qualcuno si accorge delle sue difficoltà, e magari lo guarda storto, rimarcando così tutta la distanza che persiste.
In fondo però non ha molta importanza: ognuno conserva dentro di sé il proprio personale modo di essere, e chi riesce a comprendere adeguatamente questo aspetto è senz'altro molto più avanti di coloro che credono che tutti indistintamente debbano rifarsi ad un medesimo modello. Perciò lui adesso si sente tranquillo, almeno per certi versi, e se riesce senza grandi affanni ad entrare in un caffè che si apre lungo la sua strada, e ad ordinare qualcosa al cameriere, è soltanto perché in fondo sente già la mente sgombra, priva di reali preoccupazioni.
Ha imparato da un po’ di tempo a prendersi delle piccole pause nel corso della sua giornata, ed anche se il tentativo più importante per lui dovrebbe essere quello di alleggerire i suoi pensieri un po’ opprimenti, spesso comunque gli basta scambiare un semplice saluto o qualche parola di circostanza con chi incontra, per comprendere di essere immerso come tutti nella medesima realtà, e di poter collaborare al proseguo generale di ogni fatto che in qualche modo lo riguarda. Così snoda subito, ad un conoscente accanto a lui, un piccolo commento su quanto pubblicamente sta accadendo, e l’altro mostra subito di essere d’accordo con le sue idee, e che non ci sono divergenze rispetto al suo modo di riflettere. 
Ecco, tutto questo è già largamente sufficiente, e quel consenso che lui riceve in un solo attimo è proprio quello che gli basta per comprendere di essere effettivamente uno come tutti, e di poter muoversi liberamente tra le opinioni ricorrenti, scegliendo naturalmente quella che sente più vicina a sé. L’altro aggiunge in un soffio che le cose adesso potranno soltanto migliorare, e questa positività che una frase del genere riesce ad esprimere è talmente coinvolgente da far sentire immediatamente in loro due una affinità insospettabile soltanto fino ad un attimo prima, tanto che il loro saluto di commiato è già più amichevole, ed il riprendere ognuno i propri compiti del giorno notevolmente alleggerito. Essere soli è terribile, pensa lui adesso mentre riprende a camminare, anche per chi si trova semplicemente ad osservare quelle solitudini.


Bruno Magnolfi