giovedì 30 settembre 2021

Sostegno per me.


            Quando sono da sola nella mia stanza, mi prendono mille dubbi. Metto le cuffie allora, accendo il mio pianoforte elettronico, e poi metto giù alcune note e qualche accordo, con molta calma, tutto lentissimo, meditando ogni singolo suono che esce dalle mie dita. Non so bene verso dove io stia dirigendo tutte le mie energie, e la paura che provo di sbagliare completamente direzione certe volte quasi mi paralizza, mi rende incapace di sentire ancora in me quell’entusiasmo che è riuscito così bene a trascinarmi in avanti almeno fino adesso. Tra poche settimane si terranno gli esami di ammissione al Conservatorio, sono pronta a sostenerli, nonostante non sappia più neppure se sia davvero questo ciò che desidero intraprendere. Non posso neanche affrontare con Lorenzo un argomento del genere, so che mi influenzerebbero troppo le sue opinioni, così sono già diversi giorni che non gli rivolgo neppure la parola, nonostante sia il mio compagno di banco al liceo. Lui non insiste con me, sa come sono fatta, e mi accorgo benissimo del suo profondo rispetto per il mio silenzio. Però sta accanto a me, e certe volte mi piacerebbe voltarmi di scatto e poi baciarlo mentre lo guardo dentro gli occhi, lasciando a lui tutte le decisioni da prendere, quasi annullandomi. Potrebbe persino essere il mio ragazzo, se mai provassi il desiderio di averne uno.

            Ieri ho incontrato Simone, il figlio della nostra cuoca, mentre sostava qua davanti aspettando sua madre. Io stavo rientrando, ero quasi davanti al cancello di casa mia, e lui mi ha chiesto qualcosa sui miei studi di pianoforte, tanto per dire qualcosa, e a me guardandolo è venuto improvvisamente quasi da piangere, non sapendo proprio come parlargli, cosa rispondere, quali spiegazioni tirare fuori, come se il mio linguaggio all’improvviso fosse incomprensibile, a lui come a tutti gli altri. Simone ha notato subito il mio sconforto, perciò mi ha detto soltanto che non dovrei abbattermi, che ho del talento, che devo andare avanti, insistere, senza preoccuparmi d’altro. L’ho ringraziato, gli ho chiesto scusa, poi sono rientrata. Certe volte penso che questo per me sia uno dei periodi fondamentali. Da ciò che decido forse cambierà totalmente il mio futuro, ma non è che mi manchi la convinzione in ciò che desidero per me. Soltanto ci sono delle cose che mi sfuggono, a cui non so dare un seguito tra tutti i miei pensieri. Ma in fondo, pur con qualche incertezza, so che non vorrei fare a meno di nulla, e mandare avanti comunque ogni interesse, senza abbandonare alcun progetto. Così, quasi d’impulso, appena in casa, ho subito telefonato al caro maestro Bottai, e gli ho detto che dalla prossima settimana riprenderò ad andare a lezione da lui.

            Mia madre ha capito benissimo che sto attraversando un periodo complicato, e non insiste, non mi chiede niente, lascia che io faccia tutto da me sola. Chi mi preoccupa è mio padre, intransigente in tutte le sue cose, che tollera a malapena che io sappia suonare il pianoforte, secondo lui soltanto un passatempo, e che vorrebbe vedermi laureata magari in Legge, ad inseguire una carriera proprio come la sua, di affarista e incantatore di serpenti. Devo scegliere il futuro, anche se sono sicura già da adesso che dovrò compiere errori e passi falsi, prima di avere chiara la mia prospettiva. Poi ho iniziato a suonare qualcosa su una scala modale, spingendola così al limite da farle quasi perdere il centro tonale. Mi sento sempre più intrigata dai percorsi ardui, dalle scelte complesse, dall’espressione del carattere nelle cose a cui mi applico. Forse le mie opinioni mancano di maturità, devono ancora scontrarsi con la realtà vera, con ciò che agli altri forse è già evidente, ed anche suonare il pianoforte per qualche sparuto appassionato, piuttosto che avere davanti una platea di gente, potrà mostrare solo in seguito la profonda differenza nel percorso.

            Mi alzo e spengo la tastiera. Esco dalla mia stanza, percorro il corridoio con un libro in mano, infine vado verso lo studio di mia madre. Sta lì, mi guarda, mi sorride. “Non dire niente”, penso; “non hanno importanza in questo momento le tue parole. Però ho bisogno di sapere che ci sei, che stai dalla mia parte, in qualche maniera, e che quando le cose si faranno più difficili, saprai guardarmi ancora come adesso, e mostrarmi di nuovo tutto il tuo sostegno”.

 

            Bruno Magnolfi      

martedì 28 settembre 2021

Fatti che non mi riguardano.


            Nel corso degli anni, da quando ho messo i piedi per la prima volta qua dentro, ho maturato un comportamento, soprattutto mentale, che a mio parere si dimostra il migliore per resistere a lungo alla monotonia deprimente data dallo scorrere di giorni lavorativi identici l’uno all’altro, come tante fotocopie. Annullo me stesso, osservo le cose con gli occhi degli altri, ed anche se resto tutto il mattino nella mia solita postazione lungo il corridoio del piano terra di questo liceo, incoraggio sempre i ragazzi delle varie età che frequentano la scuola, nel venirmi a dire delle cose, anche le più sciocche o qualche volta anche assurde, che passano dalla loro testa. Conosco i liceali quasi tutti per nome, e certe volte chiedo a qualcuno come gli vadano le cose, tanto che quelli con cui ho più confidenza passano da me di propria iniziativa per parlare dei loro guai, oppure per confidarmi le storie che vivono, i loro problemi scolastici, o di famiglia, e molte volte anche per parlarmi degli attriti che purtroppo si registrano in classe tra loro e i compagni. Per tutti sono Mario, il bidello sempre presente in questa scuola, che forse ha un’età anche maggiore di quella dei loro genitori, ma che si comporta con ognuno dei ragazzi come fosse un fratello maggiore. Perché sono loro il mio mondo, ed io mi lascio assorbire interamente da quello che vengono a confidarmi.

            Durante l’orario delle lezioni, quando resto da solo al mio tavolo per rispondere ogni tanto al telefono, rifletto sugli aggiornamenti recenti che magari sono venuto a conoscere, senza che mostri mai interesse al pettegolezzo oppure ad una eccessiva curiosità, fornendo comunque ogni tanto, quando mi vengono richiesti, persino dei buoni consigli. Con qualcuno dei ragazzi naturalmente sono più in sintonia che con altri, ma ciò non toglie che nutra affetto per tutti, nessuno escluso. Il nostro istituto non è enorme, e gli alunni totali delle sezioni rientrano in un numero abbastanza contenuto. Certe volte viene Lorenzo da me, specialmente quando esce dalla sua aula per riprendere fiato durante l’orario di qualche insegnante pesante, e così, lungo il nostro corridoio un po’ anonimo, mi confida sottovoce quali siano gli ultimi sviluppi delle sue sperimentazioni musicali che affronta assieme al proprio gruppo di jazz. L’ultima volta poi mi ha spiegato che probabilmente entrerà nel loro quartetto un nuovo componente, una pianista con esperienza di musica classica, e che lui si sente addirittura entusiasta di questa possibilità, anche se mi ha riferito subito che non è una ragazza di questa scuola, e quindi non la conosco.

            A me fa molto piacere l’entusiasmo che Lorenzo mostra nelle cose che affronta, e spero davvero che tutto per lui proceda per il meglio. Non mi reputo molto intelligente, però ho un cuore e dei sentimenti, e certamente faccio il tifo per i ragazzi come lui, soprattutto per la loro intraprendenza. Ma oggi arriva questa ragazza, la signorina Neri, come la chiamo io, una tra le più timide e riservate che siano mai passate sopra questi banchi scolastici, e mi chiede se per favore io possa riferire a Lorenzo che lei sta ancora aspettando una sua risposta. <<Mi scusi>>, dico io, <<ma non potrebbe dirglielo di persona, visto che se non ricordo male siete anche vicini di banco?>>. Lei sorride senza guardarmi, dice che è soltanto un piccolo favore quello che mi chiede, giusto per evitarle di affrontare l’argomento in modo diretto con lui. Annuisco, anche se non comprendo del tutto il problema, però, mentre la ragazza si allontana, inizio a riflettere su quali possono mai essere le risposte che Lorenzo ha promesso di darle. Decido infine che proprio non lo so, o non ci arrivo, anche se alla prima occasione riporto al ragazzo esattamente quanto richiesto.

            Lui mi ringrazia, anche se sembra confuso, ed io naturalmente non pongo alcuna domanda, anche nell’attesa che sia direttamente Lorenzo, come è suo uso, a chiarire qualcosa su tutto quanto. Invece no, se ne va e poi basta, lasciandomi soltanto un grosso punto interrogativo. E’ soltanto questione di qualche giorno, penso tra me, poi in una maniera o nell’altra verrò certo a sapere tutto quanto, come sempre succede. E se proprio non sarà direttamente Lorenzo a venirmi a confidare cosa stia bollendo nella sua pentola, sarà magari qualcuno tra coloro che conoscono bene lui o la Neri a venirmi a dire qualcosa. E comunque non sarà certo Mario ad andare in giro a fare delle domande e a mostrarsi entrante, o peggio, curioso, dei fatti degli altri.

 

            Bruno Magnolfi   

venerdì 24 settembre 2021

Disagio da sciocchi.

 

            Mi accade a volte, durante l’attesa paziente del sonno ristoratore, mentre trascorrono quei silenziosi momenti in cui, con le luci già spente, resto coricato nel letto a sera tardi, che la mia mano sinistra vada a posarsi quasi per automatismo sopra le palpebre dei miei occhi ormai chiusi, quando le dita distese trasmettono alla mia espressione facciale, ormai già pronta al riposo, quel calore e quella protezione che forse durante il giorno è sembrata mancarmi. Sorrido a pensarci, in fondo è soltanto un gesto del tutto infantile, qualcosa a cui normalmente non darei neppure troppa importanza. Sempre che non avverta la necessità di racchiudere in quel comportamento automatico qualcosa di me che in quegli attimi pare come sfuggirmi. Il mio riposo poi non è neppure caratterizzato da nottate particolarmente agitate, oppure da una qualche forma di insonnia; sto bene, riposo bene, tutto si presenta per quanto mi riguarda in maniera quasi ordinaria, anche se la mia mano tiepida prosegue per parecchi minuti ad infondere in me quella sicurezza che sembra desideri per prendere sonno. Non sono il tipo di persona che si ritenga un intimista, oppure uno tra coloro che mostrano forme di evidente paura nell’affrontare a fronte alta le cose di ogni giorno: mi sento anzi, al contrario di molti, un vero combattente, un osso duro, uno che non si tira mai indietro quando si trova davanti qualcosa da fronteggiare.

            Allora ho pensato che questa specie di automatismo racchiuda in sé qualcosa che non faccia parte esattamente della mia personalità, e che forse deriva da qualche elemento che a me è più vicino, qualcosa che ruota intorno alla mia giornata ordinaria, e che senza provocare tra i miei pensieri una coscienza precisa di quanto sta accadendo, riesce a sfuggire comunque al mio controllo razionale, andando però ad inserirsi in una zona debole della mia sfera istintiva. Rifletto: un gesto di protezione verso un futuro che non so prevedere, forse. Oppure il simbolo del desiderio di chiudere gli occhi per non vedere qualcosa. Ma non saprei cosa, considerato che gli affari che maggiormente interessano me e le mie società sembrano procedere bene in questo periodo, e che la mia famiglia sembra unita e solidale attorno a me e al mio lavoro. Decido di parlarne con Rosa, mia moglie, appena possibile, non tanto perché nutro dei dubbi sui suoi modi di essere e di comportarsi, quanto per tentare di capire insieme a lei qualcosa di più, e per ascoltare la sua opinione.

            Così mi rigiro nervosamente nel letto, sposto la mano sinistra dagli occhi e vado a sfiorare leggermente un braccio di Rosa, mentre sta placidamente dormendo. Sbuffo leggermente per le preoccupazioni assurde che a volte mi pongo, poi mi volto di nuovo sistemando le lenzuola e cercando di prendere sonno al più presto, anche per non pensare più a tutta questa faccenda. Ma ad un tratto mi viene a mente mia figlia; Franca adesso non è certo più una bambina, ed anche se la sua giornata è quasi interamente dedicata al liceo, che prosegue a frequentare con ottimi profitti, preoccupata com’è soltanto dei propri studi, forse però è proprio da lei che mi deriva quest’inconscia preoccupazione, come se lei stesse iniziando a sfuggire in qualche modo dal ruolo a cui dovrebbe attendere, magari per via di una possibile infatuazione del tutto passeggera. Ci sono anche le lezioni di pianoforte per un paio di pomeriggi alla settimana, questo è vero, ma da quel settore non mi attendo nulla di particolarmente inconcepibile, anche se la sua fissazione di entrare in Conservatorio non mi ha trovato, almeno fino adesso, per nulla d’accordo.

            Ma certo, decido alla fine, devo assolutamente parlarne con mia moglie di questa impressione, e convincerla anche ad essere maggiormente presente con Franca, per comprendere meglio quali amicizie e compagnie di liceo possa aver iniziato a frequentare, non tanto per imporre chissà quali freni ad una ragazza brava e studiosa come lei, quanto per acquisire qualche esauriente informazione sui suoi comportamenti. Ci sono certe volte alcuni piccoli dettagli di una personalità che possono sfuggire persino allo sguardo più scrupoloso. Probabilmente potrebbe bastare anche soltanto parlare con Franca in maniera attenta e decisa, magari senza dare neanche troppo peso ad argomenti del genere, come per fare quattro chiacchiere, e in ogni caso valutando bene ogni risposta fornita a qualche domanda posta in modo adeguato. Potrei farlo io stesso, rifletto. Anche se riconosco che con la mamma potrebbe sentirsi sicuramente più a proprio agio.

 

            Bruno Magnolfi   

martedì 14 settembre 2021

Nessuna spiegazione.

 

            Stasera si sta tenendo una cena nel salone di pianoterra della nostra "villa dei Neri", alla presenza di diversi invitati, tutti ben vestiti, che rappresentano coloro che normalmente, ognuno a vario titolo, lavorano e gestiscono degli affari insieme a mio padre che siede a capotavola. Per l’occasione è stato chiamato in soccorso anche il figlio della cuoca, proprio per aiutare in cucina ed ovviamente anche servire le diverse portate, affiancando così la nostra abituale cameriera, e in modo da permettere ai due di effettuare una buona presenza di servizio intorno ai commensali. Per l’esecuzione di tutto ciò, gli è stata fatta indossare, in questa particolare serata, un'aderente livrea bianca con grandi bottoni che quasi lo rende un figurino perfetto, anche se forse non lo fa sentire esattamente a suo agio. Il mestiere lo conosce, questo è ben chiaro, ma probabilmente è più abituato a lavorare in certe pizzerie senza pretese, più che in qualche ristorante altolocato. In ogni caso ho visto che in diversi hanno lavorato sodo durante tutto il giorno per preparare e mettere a punto nella cucina i tanti piatti previsti, e per questo motivo la cena vera e propria sta procedendo perfettamente, se non fosse che io e mia madre, com'era peraltro del tutto prevedibile, ci ritroviamo leggermente a disagio in mezzo a più di dieci individui sconosciuti tutti di sesso maschile, esclusa la segretaria personale del mio papà, donna elegantissima e dai modi molto decisi.

            Il nostro pianoforte verticale, isolato in un angolo e forse lì rannicchiato per via dei tanti discorsi che vengono espressi con voce persino troppo alta, appare adesso quasi un mobile inutile, così lontano da quelle chiacchiere di lavoro che proseguono a richiamare molto interesse nella conversazione generale intorno alla grande tavola ben imbandita, anche se naturalmente per me risultano tutti argomenti di cui non so quasi niente, esclusi alcuni vaghi richiami alle frasi che certe volte sento pronunciare al telefono da parte di mio padre, in risposta a qualcuno dei suoi collaboratori, durante quelle tante e ripetute volte e negli orari più insoliti, in cui viene interpellato per qualche superiore ed urgente motivo. In questo momento comunque mi sento in qualche modo vicina al mio pianoforte, e parimenti forse vorrei essere voltata, da mani soccorrevoli ed insieme a tutta la sedia, verso un angolo lontano da questa tavolata, proprio come il nostro silenzioso strumento musicale, anche se la paura più forte che provo è quella che a mio padre venga in mente alla fine della cena di farmi esibire alla tastiera davanti a tutti i suoi ospiti, per allietare e coronare una serata sicuramente indimenticabile, come probabilmente vorrebbe che quelli spiegassero ad altri nei prossimi giorni, mostrando un’immagine positiva e fruttuosa.  

Comunque tutto procede come previsto, ed anche se non ho ancora detto una sola parola da quando mi sono seduta davanti alla tovaglia bianchissima, ugualmente mi sono ripromessa di rispondere soltanto a monosillabi, se mai a qualcuno venisse voglia di chiedermi qualcosa. Terminiamo, e come previsto mio padre, forse ormai a corto di temi e di frasi fatte, parte con delle argomentazioni, di cui peraltro non sa quasi niente, intorno alle mie spiccate qualità di pianista, tanto che per ovvietà qualcuno chiede subito di farmi esibire su quel benedetto pianoforte che nelle sue parole dovrei mirabilmente padroneggiare. Mi ero già preparata qualcosa di Duke Ellington, tanto per tenere tutti su dei toni allegri e orecchiabili, ma in considerazione della serata pesante che ho dovuto trascorrere, mentre mi siedo sulla panchetta ed apro il pianoforte, mi viene subito a mente di attaccare il Notturno in mib maggiore, tanto per mostrare quanto poco mi sia divertita fino ad ora, per proseguire poi con la sequenza IV di Luciano Berio, di cui ho qui la partitura completa, e rompere così qualsiasi atmosfera positiva.

<<Brava>>, dice così qualcuno mentre ancora sto suonando, e gli altri allora, come fossero stati rotti gli indugi, si lasciano andare in un piccolo applauso liberatorio, ed io naturalmente subito smetto, sorridendo e ringraziando come si conviene in casi del genere. Non suonerò mai più per gente così, decido in questo esatto momento: ci vuole empatia in certe cose, non forzata necessità di apprezzamento. Mi alzo mentre crolla completamente la mia importanza agli occhi di tutti, ma il figlio della cuoca invece prosegue a guardarmi diritto con un mezzo sorriso negli occhi: forse ha compreso quello che volevo suggerire a tutti quanti; e forse il mio giudizio generale è stato del tutto ricambiato dentro di lui, come non fosse neppure necessaria alcuna parola tra noi per spiegarsi.

 

Bruno Magnolfi

domenica 12 settembre 2021

Pianoforte scordato.

 

            <<Entri pure, signora Neri>>, dice la governante del maestro Bottai, una volta che ho finito di salire le diverse rampe di scale di quel palazzo antiquato ma ancora ricco di fascino, mentre mi introduce con un leggero ed usuale sorriso in questo appartamento un tempo sicuramente arredato con gusto ed in maniera piuttosto elegante, adesso però ingombro soltanto di una dignitosa ma vecchia mobilia. <<Il maestro è dentro al suo studio>>, mi dice ancora. Così, come quando sono venuta qua dentro già per la prima volta, vengo introdotta in una stanza ampia e luminosa, dove sopra a dei folti tappeti disposti sui pavimenti, probabilmente al fine di attutirne un po’ il suono per rispetto del vicinato, troneggia al centro, sistemato con cura sulla diagonale, un bel pianoforte scuro e lucido a mezza coda, sicuramente di gran marca, su cui il Bottai già di mattina sta preparando le opportune lezioni per gli allievi che si recheranno poi da lui nel pomeriggio. <<Buongiorno>>, gli dico. <<Sono venuta per regolarizzare gli ultimi pagamenti delle lezioni di Franca>>, spiego con una certa titubanza, nella convinzione di disturbare un po’ questo anziano signore sempre curvo sui propri pensieri, e nella speranza però di potermene andare alla svelta.

            <<Si accomodi>>, fa invece lui con determinazione, indicando una sedia lì accanto. Quindi mi fissa per un tempo forse superiore alla norma. <<Signora Clara>>, dice poi con voce flebile riferendosi alla governante rimasta nel corridoio, <<potrebbe portarci del caffè, per favore, sempre che la signora Neri ne gradisca>>. Annuisco, ma mentre mi sistemo la giacchina attillata, comprendo subito che il maestro probabilmente mi deve parlare di qualcosa che al momento non so e non conosco, e questo pensiero non mi risulta per niente rilassante. <<Franca è molto brava>>, esordisce di colpo il Bottai, e questo, in maniera più che ovvia, mi fa tirare immediatamente un piccolo sospiro di sollievo. <<Però è anche estremamente intelligente e curiosa; e forse per questo motivo sta spingendo i suoi interessi musicali sempre più lontano dai miei insegnamenti. Si intende: ho cercato il più possibile di assecondare le sue ricerche armoniche sul pianoforte, ed ho anche provato a farle studiare delle partiture più complesse del solito, maggiormente ardite, quasi atonali; ma non le è bastato, ed adesso credo che si sia creata una distanza incolmabile tra le nostre diverse sensibilità musicali. Tanto da avere l’impressione che proseguire ancora, anche se per puro esercizio, con le esecuzioni delle sonate di Schumann, di Chopin, o anche dello stesso Liszt, sia diventata per lei una forma di incomodo, forse una noia, non so, magari quasi un fastidio che io naturalmente non posso e non intendo ulteriormente tollerare>>.

            Resto di stucco, mantengo lo sguardo immobile sull’espressione seria e grave che leggo sopra la faccia del maestro Bottai, mentre arriva la tazzina di caffè che ricevo dalle mani della signora Clara, senza per questo riuscire ancora a formulare neppure una parola. <<E, cosa resta da fare?>>, chiedo gentilmente alla fine con un filo di voce, nell’attesa sicura di una sentenza che mi giungerà sicuramente sgradita. Lui prende tempo, osserva qualcosa nell’aria, si volta verso il suo pianoforte come a cercare da quella parte l’ispirazione migliore per una soluzione che forse neppure vorrebbe. <<Dobbiamo interrompere>>, dice alla fine con una certa chiarezza ma a bassa voce, come un medico che stesse diagnosticando ad un paziente la forma più grave delle malattie che possono colpire l’organismo di un individuo. <<Vedremo più avanti se ci saranno le condizioni per riprendere la preparazione di Franca all’esame di ingresso per il Conservatorio>>. Butto giù appena un sorso del mio caffè, poi appoggio la tazzina su un mobiletto lì accanto, e tiro subito fuori dalla mia borsa la busta con dentro i soldi pattuiti, quasi per rompere ogni indugio ed accettare incondizionatamente le decisioni già prese.

Mi alzo subito dopo dalla mia sedia, ma il maestro forse vuole dire ancora qualcosa, sollevandosi in piedi anche lui come alla ricerca delle parole più adatte. <<Non so cosa vorrà farne in futuro sua figlia delle proprie conoscenze pianistiche che ha maturato da me, ma qualsiasi cosa possa essere, il mio augurio migliore che posso farle, è che tutto ciò la porti verso dove è suo desiderio, e che non abbia a dispiacersene mai. Resto ancora qualche secondo con lo sguardo incollato sul maestro Bottai, quindi lo ringrazio, gli stringo la mano e mi volto per andarmene via. Almeno Carlo, sarà contento adesso, rifletto mentre scendo frettolosamente le scale: in fondo lui non ha mai visto di buon occhio queste lezioni private di musica.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 6 settembre 2021

Ascolto emozionale.

 

Mi rendo conto che i miei pensieri spesso non sono molto rassicuranti nei confronti di chi mi incontra. Sto qui, mi guardo attorno, in genere cerco di essere più o meno come gli altri, eppure sono anche cosciente che dentro di me qualcosa tende continuamente a sfuggire ad un'immagine di tranquilla normalità. Nei miei itinerari non mi lascio influenzare da qualcuno in particolare, anche se è ovvio come ci siano dei maestri che più di altri hanno indirizzato fin dagli inizi le mie scelte, e così vado avanti come sempre è successo lungo la mia strada, affrontando le giornate con una calma determinazione, e se poi non riesco ad avere esattamente un comportamento simile a tutti coloro che mi stanno attorno, è soltanto perché in fondo sono preda di una personalità piuttosto introversa, e preferisco la maggior parte delle volte tenermi distante dalla gente. Non pretendo che qualcuno si metta d'impegno per comprendere qualcosa dei miei modi, non ne sento affatto la necessità. Piuttosto vorrei si conoscesse il percorso, a mio parere costellato di difficoltà, che fin da subito ho intrapreso nel tentativo di riuscire in seguito ad esprimere compiutamente tutto me stesso.

Questo è esattamente quanto mi piacerebbe poter dire di me forse tra dieci oppure anche quindici anni, quando tutto quello a cui adesso, che sono poco più di un ragazzo, mi sto preparando con un certo sacrificio, mostrerà finalmente un suo vero senso esplicito, un significato che qualche volta in questo periodo pare sfuggire persino a me stesso. E’ una riflessione alla quale comunque mi preparo fin da subito, perché so che sarà questo il modo giusto per seguire una strada che si mantenga su una linea del tutto personale, un tracciato che mi faccia sentire libero fin da ora nei miei comportamenti, ma che allo stesso tempo sia cosparso di determinazione. Ho scelto uno strumento a fiato per esprimermi, questo mio meraviglioso sassofono soprano, ed ho deciso che la musica da abbracciare per me non sarebbe mai stata banale, pur nell’ambito già abbastanza di nicchia in cui ho scelto di suonare. Lo so che sono circondato da una scarsa comprensione, perlomeno in questo momento, ma tutto ciò non ha poi molta importanza, lo ribadisco, perché so che sarà soltanto in seguito, quando il mio modo di essere avrà raggiunto una reale maturità, che allora si potrà dare un giudizio più compiuto su tutte le mie scelte.

Alla mia età generalmente si vive alla giornata, senza starsi a preoccupare troppo di ciò che potrà essere il futuro; ma per me è diverso, quello che conta del presente è la sua potenziale proiezione nel domani, e quando oggi sento il suono uscire da dentro al mio strumento, so che sarà quello a dirigere nei prossimi anni ogni mio passo, come se in qualche maniera la mia strada fosse già segnata, qualsiasi cosa possa accadermi. Naturalmente, durante tutto questo sforzo, ho sempre tentato di trovare dei compagni di percorso che abbiano nella mente più o meno i miei stessi ideali, e sono molto contento in questo momento di essere uno dei componenti di un quartetto jazz con il quale io e gli altri stiamo mettendo a fuoco le linee guida di ciò che dovrà essere nel prossimo futuro il mondo musicale dentro al quale muoverci, spesso spronando noi stessi, anche tecnicamente, nel tentativo continuo di migliorare il nostro ruolo, e soprattutto far maturare le idee migliori che riusciamo ad avere in corso d’opera, mentre modifichiamo poco per volta la struttura della musica che cerchiamo di suonare. Ascoltiamo tutto ciò che fanno gli altri gruppi, affiniamo ogni dettaglio delle nostre proposte, e soprattutto proviamo e riproviamo tutti i pezzi che mettiamo assieme con una fiducia sfrenata nei risultati a cui prima o dopo potremo finalmente giungere.

Comunque non mi lascio mai prendere dalla tecnica del mio strumento quando suono: pretendo sempre dalle mie dita, mentre mettono in azione le chiavi del sassofono, quasi un prolungamento della voce e del mio stesso respiro, e che queste diano un seguito semplice e fedele al pensiero che continuamente scava dentro la mia testa, come se non ci fosse nient’altro di importante, solamente la possibilità di trasmettere qualche emozione in chi ha voglia di seguirla.

 

Bruno Magnolfi