domenica 31 marzo 2019

Egoismo stretto.


       

            La sera, rimanendo spesso a casa, sono quasi riuscito a recuperare uno spazio più mio, di cui in altri periodi credevo sbagliando di non averne proprio la necessità. Invece ascolto la radio, guardo qualcosa dalla finestra, rifletto sopra le mie cose, cercando qualche soluzione ai miei problemi. Insomma respiro una dimensione intima di cui credevo non avere bisogno. Poi sento suonare il campanello alla porta. Apro, ed è la mia vicina di appartamento che viene ad aggiornarmi su una recente riunione di condominio. Le chiedo di entrare, ma lei è restia, anche se dopo le mie insistenze accetta di farsi preparare un caffè, ed alla fine si siede al tavolo della stanza.
“Era un pezzo che non ti si vedeva in giro”, dice lei. Mi schernisco, non voglio dirle le mie cose, però avrei anche voglia di rivelare a qualcuno tutto quello che mi succede. “”Ho come cambiato lavoro”, faccio; “adesso sono un guardiano di giorno”. Ride, anche io rido. Le verso il caffè. “Ho bisogno di riprendere il ritmo però”, le dico. “Per adesso mi trovo un po’ come isolato”. Lei mi guarda, è giovane, abita ancora con i suoi, però ha capito benissimo il mio problema. “Potresti portarmi in giro, una sera di queste”, mi fa. “Certo”, dico io, “si potrebbe andare ad infilarci in qualche locale dove facilmente ci si dimentica dei propri guai”. “D’accordo”, fa lei, “basta che tu me lo dica il giorno avanti ed io mi faccio trovare pronta”.
Poi parliamo della vita sociale del nostro quartiere ed anche dei problemi del palazzo dove abitiamo, infine lei si alza, mi saluta, se ne va. Chissà cosa direbbero nel vicinato se solo sapessero che svolgo un mestiere così assurdo e di cui non conosco neppure io quasi niente, penso. In ogni caso, per quanto mi riguarda, ho smesso di preoccuparmi dei compiti che mi vengono assegnati, e di tutti i dubbi che mi prendono in merito a chi saranno mai i miei datori di lavoro, e soprattutto quali benefici tireranno fuori dai miei servigi.
Poi indosso una giacca ed esco, la sera è fresca, ma non si sta male in giro se non si hanno per la testa dei grossi problemi. Mi mangio una focaccia dentro a un bar, poi torno sulla strada con la mia lattina di birra in una mano. Farò un altro giro a piedi penso, e quando sarà l'ora giusta metterò in moto la mia macchina per tornare al parcheggio dello stadio, a controllare da lontano gli spostamenti del sorvegliante di notte che mi ha sostituito. Se solo avessi il suo numero di telefono potrei chiedergli un sacco di belle cose, ma credo proprio che i nostri cellulari siano sotto controllo da parte dei nostri datori di lavoro, e per qualche motivo che sia loro preciso desiderio far sentire ognuno di noi sempre in completa solitudine nel mestiere che porta avanti.
Così faccio un giro con la macchina, ma alla fine evito di farmi vedere davvero nei dintorni dello stadio. Cosa mi interessa penso, ci sono tante altre cose di cui occuparsi, quello del lavoro è proprio l'ultimo argomento da prendere sul serio. Scorro lungo i viali, armeggio con la radio, mi diverto a sorpassare le altre macchine, e alla fine senza neppure volerlo mi vado a ritrovare proprio dalle parti del campo da calcio, così entro nel parcheggio dello stadio a velocità abbastanza sostenuta, giusto per fare un giro e poi andarmene via. Però una macchina di fronte alla mia lampeggia con i fari, perciò rallento, mi guardo attorno, quindi mi fermo.
È la guardia di notte: scende dalla sua auto, mi osserva dal finestrino che apro, poi dice che è già stufo di questo lavoro, che a lui interessano altre cose, non può avvelenarsi la vita con certe stupidaggini. Lo ascolto, non so che cosa dirgli, forse ha ragione lui: affondare la curiosità dentro a questo fango denso non porta certo niente di buono. Tanto vale restare sugli aspetti personali, i propri interessi, l'egoismo stretto. Del resto non ci deve interessare proprio nulla.

Bruno Magnolfi

giovedì 28 marzo 2019

Andare via da qui.


       

            Mentre costeggio a bassa velocità con la mia macchina i grossi bestioni costituiti dalle corriere gran turismo belle lucide e brillanti sotto al sole, ordinatamente parcheggiate lungo il fianco dello stadio per file parallele, qualcuno mi chiama col mio nome. Mi fermo, aspetto che magari quella specie di urlo soffocato che ho avvertito si ripeta, proprio per essere sicuro di aver sentito bene quello che mi è parso, ma al contrario di quanto mi attendessi non avviene niente, neanche un movimento né un rumore insolito: nessuno sembra cercarmi, nessuno mi guarda, non c’è alcun seguito a quello che mi è sembrato di ascoltare. Ingrano la marcia e proseguo là davanti molto lentamente: chi mai può conoscere il mio nome, mi chiedo, visto peraltro che è anche la prima volta che vengo a svolgere durante il giorno questo lavoro di sorvegliante al parcheggio dello stadio.
Vado oltre e continua a non succedere proprio un bel niente, così fermo la mia auto non molto lontano dalla fila dei pullman parcheggiati, poi scendo e la chiudo a chiave, infine torno indietro a piedi, le mani nelle tasche e gli occhiali scuri sopra gli occhi. Un paio di autisti continuano con gli spazzoloni a pulire i loro mezzi, senza guardarmi, e da qualche parte si sente giungere una musica di moda, mentre un altro paio di persone parlano tra loro là nel mezzo. Non posso scoprirmi troppo, rifletto, perciò è meglio se mi lascio vedere giusto per qualche momento, ma senza rivolgere a nessuno la parola. Quelli al mio passaggio si voltano, analizzano in un attimo se io sia o meno una persona conosciuta, poi tornano con tranquillità alle loro cose.
Risalgo sulla mia vettura: sono sicuro che ci sono molte cose che mi sfuggono, ma fino a quando non riesco a comprendere le motivazioni che sembrano spingere tutto verso una stessa direzione, non potrò essere assolutamente in grado di comprendere quanto stia accadendo. Percorro tutto il parcheggio a velocità moderata ma come per andarmene, ne esco difatti girando dietro al grande edificio dello stadio, poi torno indietro dalla parte opposta, fermandomi nel punto più lontano da dove sono parcheggiate le corriere. Prendo il mio binocolo e cerco di vedere meglio se qualcuno per caso stia guardando dalla mia parte, ma non scorgo nessuno, così torno ad ingranare la marcia e a muovermi in mezzo all’asfalto.
Mi sono appuntato tutti i numeri di targa dei mezzi presenti da queste parti, perciò ne scrivo l’elenco in un messaggio del mio cellulare ed invio la comunicazione a chi di dovere. Dopo qualche minuto mi giunge una risposta: mi si chiede di controllare con attenzione un certo pullman, così mi apposto subito in maniera da poter vedere bene il bus incriminato. Per una buona mezz’ora non succede niente, ma ad un certo punto qualcuno avvia il motore, e la corriera indagata si sfila lentamente dalle altre e se ne va. Comunico immediatamente quanto va accadendo, ma non ricevo alcuna istruzione in merito. Potrei seguire il pullman penso, ma forse non è il caso che prenda delle iniziative senza essere autorizzato. Aspetto in questo modo ancora qualche secondo, infine gli sfilo dietro, almeno per vedere verso dove sia diretto.
Quando torno indietro so di aver lasciato la corriera dalle parti di piazza Libertà, mentre procedeva verso nord, e in questo modo, appena tornato indietro fino a giungere di nuovo nei dintorni dello stadio, comunico la mia nuova segnalazione. Ricevo a quel punto un messaggio lapidario. “non ha importanza”, mi si dice; “puoi terminare il tuo lavoro e andartene”. Getto ancora uno sguardo tutto attorno. Non vedo proprio niente di anomalo. Davvero penso, posso andar via.

Bruno Magnolfi

mercoledì 27 marzo 2019

Sotto completo controllo.


            

            Sono senza parole. Mangio, mi riposo, esco da casa, lavoro, tutto senza usare un’unica parola di troppo con chi incontro durante questo percorso. Svolgo ogni cosa che devo, nella maniera come mi hanno chiesto di svolgerla, e mi sento però così atrofizzato durante la scansione delle ore del giorno e della notte, che ritengo di essermi ormai ammalato, anche se non saprei neppure specificare di che cosa. Non ho più alcun vero interesse, se non quello di rendermi conto che tutto procede in avanti, e che io sono oltremodo fedele a quanto mi sono prefisso di rispettare. Forse la giornata nel suo svolgimento non è più neppure la mia, ma non posso oramai farci niente.
            Mentre affronto con questo spirito praticamente ogni momento che passa, mi giunge un messaggio sul cellulare da parte dei miei datori di lavoro, che sono tornati attivi e raggiungibili almeno per le comunicazioni. Si dice a chiare lettere che verrò spostato dal mio abituale luogo di occupazione, e che per il momento comunque dovrei andare a sorvegliare ancora il parcheggio dello stadio, ma stavolta durante il giorno invece che durante la notte. Non pongo domande, quello che devo sapere mi è già stato detto, perciò non rispondo neppure, visto che è dimostrato come loro riescono a sapere tutto di me, perfino quello che penso.
Non cambia niente rifletto, anzi, non dover andare di notte in quel parcheggio deserto a controllare poco più del niente, mi apre scenari diversi, e dovrò senz'altro rendermi conto di cosa mi si chieda davvero, vista la situazione. Decido di fare con la mia macchina subito un salto intorno allo stadio, in modo tale da rendermi conto se il parcheggio a quest'ora, in assenza di partite di calcio, sia usato e da chi. Giunto sul posto vedo che un numero piuttosto rilevante di corriere gran turismo stazionano ammassate in buon ordine su un lato dello spiazzo asfaltato, così mando un messaggio ai miei capi per accertarmi se devo inviare loro ogni volta targa e modello di questi grossi mezzi che poi sono gli unici presenti. “Certo”, mi viene risposto; “dobbiamo avere notizia di chiunque si trovi da quelle parti; e possibilmente anche che cosa stia facendo”.
Annuisco, poi faccio un paio di giri attorno allo stadio ed infine torno con calma verso la mia abitazione; forse tra gli autisti dei pullman che stanno lì generalmente a pulire le grandi superfici vetrate, ad aspirare la povere, e ad accudire i loro mezzi con una certa solerzia, c'è anche qualcuno che nasconde chissà dove e come, nella carrozzeria, qualche panetto di droga, svolgendo così ruolo di corriere tra una città e quell'altra. Non lo so, penso, però qualcosa sotto ci sarà pure, per doverne controllare ogni spostamento. In qualche maniera comunque credo di aver fatto carriera visto che il lavoro svolto di giorno risulta più facile e meno noioso che durante la notte.
Entro in casa e mi siedo, poi accendo la televisione. In fondo che cosa mi importa di tutto questo. Il mio lavoro lo devo portare avanti nella maniera migliore, a che cosa serva poi è una cosa che in generale non mi riguarda. Tra le notizie locali dei telegiornali non c’è niente che prenda in considerazione lo stadio e nulla che riguardi il narcotraffico, e così, giusto per il momento, non ho niente di cui preoccuparmi, o almeno credo. Giro la ricezione su un programma che sta trasmettendo una pellicola cinematografica che ho già rivisto, perciò mi lascio prendere da quelle immagini mentre abbasso del tutto il volume. Tra poco posso uscire di nuovo da casa, comprarmi qualcosa da mangiare, ascoltare qualche chiacchiera insulsa dei bottegai, sorridere a chi mi sorride e contraccambiare il saluto a chi mi saluta. Una vita normale, insomma, quasi come quella di chiunque non si lasci prendere troppo dal proprio lavoro: tutto sotto controllo perciò, l’importante è ricordarsi come sempre di non porsi mai troppe domande.

Bruno Magnolfi

martedì 26 marzo 2019

Perplessità.


     

            Oggi sono uscito per una piccola passeggiata con il Signor Solo, il mio cucciolo trovato di notte nei dintorni dello stadio, che con grande pazienza adesso mi tiene compagnia durante il giorno. Ho incontrato per strada parecchie persone, diverse hanno anche guardato il cane con un sorriso, ma nessuno ha chiesto come io stessi, o in che modo abbia pensato di risolvere almeno qualcuno dei miei problemi. Ai giardini infine ho sganciato il guinzaglio e mi sono seduto sopra una panchina, ma il Signor Solo non si è allontanato molto, limitandosi ad annusare le piante e le aiuole intorno. Infine è arrivato un signore con il giornale, si è seduto con calma accanto a me, e dopo qualche minuto, girando una pagina, ha detto come fra sé che intorno allo stadio ci sono dei movimenti sospetti durante la notte. “Forse ci sarà bisogno di fare dei controlli più accurati”, ha subito aggiunto. Poi si è alzato e senza dire altro è andato via. 
Così ho messo di nuovo il guinzaglio al mio cane e sono subito passato dalla più vicina edicola, ma sul giornale di informazioni cittadine di quella notizia che riportava il signore della panchina non ho trovato traccia. Perciò ho pensato che fosse un messaggio occulto, e che quel tizio, inviato dalla stessa organizzazione che fino a ieri mi aveva fatto lavorare come guardiano di notte al parcheggio dello stadio, adesso mi stesse come proponendo di rientrare in pista. Sono tornato a casa senza più togliermi il medesimo pensiero dalla testa: tornare immediatamente già questa notte fino al mio parcheggio, e lì cercare di incontrare, magari anche parlando con lui come collega, con il guardiano che mi ha sostituito, per tentare di comprendere così quale aria tiri adesso da quelle parti; perciò mi sono preparato una cena leggera e frettolosa ed ho seguito con attenzione diversi notiziari televisivi, senza peraltro apprendere ulteriori informazioni che mi interessassero.
Poi ho sistemato la mia solita borsa da lavoro con dentro tutti gli utensili che mi sono serviti nel passato, proprio come se andassi a lavorare ancora come sorvegliante del parcheggio, e in questo modo sono uscito da casa alla medesima ora in cui per mesi e mesi sono uscito, fino a qualche giorno fa. Non ho neppure dimenticato la pistola carica, non tanto per immaginarmi di averne davvero bisogno, quanto per sentirmi più protetto nell’affrontare pienamente qualsiasi situazione si fosse presentata. Quindi con calma ho percorso con la mia macchina le strade di sempre, evitando di passare dal solito bar e di fermarmi in qualsiasi altro posto, e sono giunto in vista dello stadio con perfetta puntualità rispetto al mio vecchio orario di lavoro.
Mi sono fermato su un lato poco illuminato del parcheggio e come sempre ho spento i fari; poi con il binocolo ho sorvegliato tutto quello che era possibile vedere dell’enorme spiazzo asfaltato. Mi sono concentrato su di una macchina ferma, molto distante da me, ma prima di avvicinarmi lentamente per controllare se ci fosse qualcuno a bordo, ho fatto trascorrere parecchio tempo, in modo da incuriosire l’eventuale guardiano al suo posto di guida. Difatti ad un certo punto mi è parso che qualcosa si muovesse, e nel momento esatto in cui stavo per accendere il motore della mia auto per spostarmi in una posizione più vicina, sono stato affiancato da una grossa macchina che mi ha puntato contro i fari, impedendomi di vedere chi si trovava all'interno.
“Da domani puoi riprendere il lavoro”, mi è stato detto a voce alta; “però ti occuperai soltanto della zona sud, perché dell’altra se ne occuperà un diverso sorvegliante”. Poi la stessa macchina ha spento i fari, e in uno stridio di gomme se n’è andata, impedendomi quindi di rendermi conto di qualsiasi particolare. Così, dopo qualche minuto, ho ingranato la marcia e mi sono avvicinato al mio collega, ma lui mi ha fatto cenno bruscamente che non dovevo mai andargli vicino. Allora sono andato via, anche se tutta la faccenda mi ha lasciato enormemente perplesso.

Bruno Magnolfi

lunedì 25 marzo 2019

Cancellazione della memoria.




Ho ricevuto un messaggio dai miei datori di lavoro, apparso improvvisamente sul cellulare proprio questa mattina. Dice: “abbiamo saputo del tuo vago desiderio di terminare con la guardiania notturna al parcheggio dello stadio. Perciò abbiamo deciso di sostituirti fin da stasera. Troverai come sempre la somma che devi avere sul tuo conto corrente”. Sono rimasto di sasso. Dopo po' ho provato ad inviare a quello stesso numero le mie rimostranze, ma già non era più attivo. Mi sono chiesto come potessero i miei capi aver soltanto immaginato queste mie limitatissime perplessità, e la mia appena adombrata ritrosia a lavorare negli ultimi giorni con il consueto impegno, ma non ho trovato alcuna risposta.
Ritrovarmi invece così, all'improvviso, libero di fare tutto quello che mi pare senza più rendere conto a nessuno, mi ha quasi procurato una vertigine, ma dopo che sono entrato in un bar per scolarmi una birra, mi sono reso conto che avevo ben poco da festeggiare. Con tutti i miei propositi veri e segreti di abbandonare una volta per tutte questo lavoro, con le difficoltà che sicuramente avrei avuto in qualsiasi caso nel farlo, la semplicità con cui sono stato rapidamente messo alla porta senza nemmeno la possibilità di difendermi, mi è parsa a dir poco eccessiva.
Così ho iniziato dopo poco a sentirmi decisamente abbattuto: scartato come un meccanismo difettoso all’interno di una qualsiasi fabbrica, negata la mia possibilità di esprimere personalmente una pur marginale opinione, impossibilitato ad avanzare almeno alcuni argomenti in difesa della mia integerrima attività, azzerato qualsiasi possibile tentativo di portare come mia positiva attestazione tutti quei mesi trascorsi lavorando sodo con impegno e con estremo profitto, considerata anche proprio l’assenza di qualsiasi critica, o anche di una minima opinione negativa, da parte dei miei datori di lavoro. Nulla, come non aver mai fatto niente di buono.
E poi ho cercato mentalmente qualcosa, in mezzo a tutto quello che ero riuscito a comprendere o a immaginare della struttura che mi aveva ingaggiato, per vedere se ci fosse qualche segreto da far giocare in qualche modo a mio favore, ma non ho trovato un bel niente, solo supposizioni mai comprovate da una pur semplice verità dimostrabile. Forse sotto ai miei occhi si è manifestato lo spaccio della droga ad alti livelli, forse qualche commercio ancora più losco, ma io non posso dire di aver intravisto almeno qualcosa al riguardo. Ho pensato comunque di fare un salto allo stadio nelle ore notturne, giusto per rendermi conto del personaggio che è già stato messo al mio posto, e magari parlarci, informarlo almeno della mia esperienza, dei miei dubbi, delle perplessità avute anche sugli strani movimenti da controllare in quel parcheggio.
Ma in seguito mi sono detto che proprio non ne valeva la pena, e che anzi in questa maniera avrei finito per rendermi del tutto ridicolo, quasi affezionato a qualcosa di talmente impalpabile da non risultare neppure troppo legittimo. Perciò ho cercato di dimenticarmi tutta questa esperienza, e per far questo non sono andato neppure a casa per riposarmi, continuando per tutto il giorno a girare a caso lungo ogni strada asfaltata di questa città. Infine mi sono gettato vestito sul letto, e per qualche ora mi sono scordato perfino il mio nome.

Bruno Magnolfi

domenica 24 marzo 2019

Ogni decisione.


          

            Per tutto il giorno ho pensato che questa sera sarà l’ultima volta che mi recherò al parcheggio dello stadio, a far la guardia non so più neppure io a che cosa. Devo per forza concentrarmi e convincermi di questo, perché soltanto immaginare che da domani sarà proprio finita, che una volta per tutte sarò sollevato da questo impegno divenuto insopportabile, è per me in questo momento un sollievo davvero enorme. Non lo so seriamente se riuscirò ad essere coerente con questo pensiero divenuto in poche ore martellante, in ogni caso soltanto continuare a riflettere ad una cosa di questo genere, alleggerisce in modo completo ed incredibile tutta la mia mente, e fin da quando ho iniziato a convincermi di una possibilità del genere, mi sono subito sentito davvero molto meglio. Perché in fondo so di essere ancora una persona, e come tale posso ritenermi in ogni momento del tutto libero di decidere che cosa sia meglio per me e per il mio futuro, e anche soltanto progettare delle scelte sulla base del mio solo sentire, mi fa provare delle sensazioni che fino a ieri credevo ormai dimenticate. Via tutte quelle abitudini ingombranti, via questo proseguire con dei comportamenti divenuti quasi automatici: occuparsi in questo esatto momento di qualcosa come fosse per una definitiva ultima volta, rimette in gioco tutte quante le possibilità, rende ogni aspetto del mio tempo molto più vivibile, ricco di alternative, più vero.
Perciò ho percorso anche stasera proprio le medesime strade di sempre, però guardando tutto ciò che mi è sfilato attorno con occhi talmente nuovi e differenti, da arrivare con una grande leggerezza fino in prossimità di questo maledetto stadio di calcio, un luogo che ormai conosco in ogni suo centimetro, col suo grande anello di tribune immerso come sempre nel sonno dell'inattività notturna. Il parcheggio intorno sgombro di veicoli, i radi lampioni svogliati ed esili, tutto esattamente come ogni notte, eppure, pur riconoscendo come familiare qualsiasi angolo di questo posto, soltanto per la mia volontà profonda di non ritornarci mai più da queste parti, di smetterla una volta per tutte con questo assurdo lavoro di guardiano notturno, mi ha subito portato verso un sentimento quasi di improvvisa ed inedita nostalgia per tutti questi luoghi.
Accadono a volte certe cose per cui nulla in seguito può davvero essere ancora come appariva prima, perciò diventa persino inutile immaginarsi di poter tornare completamente indietro e dimenticarsi quanto è successo in un dato momento. Resta uno strascico, una traccia profonda, un segno indelebile che sempre tornerà in mezzo ai pensieri o nei sogni fatti con grande leggerezza, quando si dorme profondamente con le briglie della propria fantasia libere e sciolte. Inutile cercare di scrollarsi di dosso in una volta sola tutto quanto; ci sarà ancora ciò che si è stratificato al nostro interno, torneranno a galla  prima o dopo tutte quelle sensazioni che ci siamo illusi di aver cancellato in una volta sola. E forse si chiameranno incubi, perché richiederanno quell'attenzione e quell'impegno che credevamo illusoriamente di aver lasciato dietro le nostre spalle.
Poi la notte è trascorsa come sempre, l’alba mi ha chiamato verso il termine del mio orario di lavoro, così ho rimesso in moto la mia auto, forse ho sbadigliato al nuovo giorno e sono tornato alle mie cose ordinarie, senza pensare niente, tranquillo, privo di qualsiasi ulteriore riflessione. Non devo prendere decisioni affrettate, mi sono detto soltanto una volta sulle scale del mio condominio: perché adesso non so più a cosa risolvermi, ma in ogni caso continuerò senz’altro a credere che ogni decisione può davvero essere presa, qualsiasi essa sia.

Bruno Magnolfi

giovedì 21 marzo 2019

Dichiarazione di solitudine.


           

            Chissà cosa farà di particolare quest’oggi, pensa probabilmente di me la mia vicina di casa; lei è la stessa che con una apparente indifferenza qualche volta mi guarda uscire dal nostro comune palazzo condominiale, spiando dalla sua finestra in facciata, sia i miei comportamenti - studiando il mio passo, misurando la fretta, calibrando molti dei miei modi di fare - come sicuramente anche quelli di diverse altre persone che abitano in questo edificio. Andrà chissà dove, pensa senz’altro, anche durante questo grigio pomeriggio, svagandosi in lungo e in largo tanto per cercare di dimenticarsi del suo pesante lavoro notturno, che durante la tarda serata lo richiamerà come sempre al suo dovere di dipendente. Una disgrazia vera e propria quella di rendere i propri servigi proprio nelle ore in cui tutti possono rilassarsi e permettersi di riposare. Non era così che andavano le cose per lui qualche anno più addietro, ma allora tutto sembrava parecchio differente, e lo si poteva vedere in giro persino con qualche bella ragazza, o al bar qui vicino a fare lo spiritoso, mentre beveva qualcosa in compagnia di qualche altro sfaccendato come lui.
            Adesso è come calata, su questo nostro insolito coinquilino, la più completa solitudine, tanto che qualche volta mi sono quasi preoccupata del suo comportamento così terribilmente da individuo depresso: sempre vestito alla buona, quasi senza alcun riguardo, e con quel modo di guardarsi subito attorno appena arrivato in strada, quasi si aspettasse ogni volta di trovare qualcuno ad attenderlo con delle brutte intenzioni. Chissà cosa mai sarà avvenuto nella sua vita per portarlo a cambiare i propri modi di essere in questa maniera; forse soltanto alcune piccole cose: il bisogno cronico di quattrini, la necessità endemica di lavorare, la distanza evidente da chi possa davvero aiutarlo, dalle persone che contano insomma; difficoltà apparentemente momentanee, ma che con il tempo si sono per forza dimostrate del tutto permanenti, anche oltre qualsiasi previsione.
Lui, a giudicare dall’esterno, è senz’altro una brava persona, ne sono più che sicura, pensa ancora la vicina di casa mentre mi guarda andar via: cortese, rispettoso, quasi gentile quando ti incontra; però certe volte sono proprio le condizioni in cui ci si trova, senz’altro - le congiunture intorno alla tua persona, il momento particolarmente difficile, la disgrazia di non avere nessuno intorno a darti una mano - che ti fanno d’un tratto diventare quasi uno diverso, anche se proprio non vorresti cambiare. Sembra incredibile che si possa con facilità assecondare qualcosa che soltanto qualche settimana più addietro sembrava impensabile. Eppure è così, ne troviamo continue dimostrazioni. Perciò non mi meraviglio di niente, e attendo con i gomiti appoggiati sopra al mio davanzale, mentre osservo tutto ciò che si muove qui attorno, che tutto riprenda una sua propria logica, un senso che tutti noi molte volte sembra abbiamo smarrito.
Magari potrebbe persino essere facile - per lui intendo - riprendere una vita più sciolta, più semplice, come qualcosa che lo riporti ad essere un tipo socievole, tranquillo, senza tutti quei sotterfugi che sembra voler mettere avanti a qualunque altra cosa. Forse basterebbe trovasse un lavoro diverso, un’attività per cui non essere obbligato a trascorrere fuori casa ogni notte. Ma in fondo chi mai sono io per permettermi di pensare delle cose del genere: sono soltanto una vicina di casa, una donna che saluta ogni volta che incontra qualcuno lungo le scale, senza mai chiedere niente; una che apparentemente conosce proprio tutti in questi paraggi, che forse non sembra farsi mai del tutto i fatti propri, ma che alla fine si sente sola nella stessa maniera come si sentono tutti gli altri; magari soltanto perché nessuno la cerca, nessuno si preoccupa davvero per lei; e poi forse perché non c’è alcun individuo che possa dichiararsi davvero un suo buon amico.

Bruno Magnolfi

martedì 19 marzo 2019

Incomprensibile capacità.


        

            Ci sono certi giorni in cui mi sembra che tutti i miei spazi di manovra poco alla volta si stiano riducendo. Proseguo ad andare in palestra e fare allenamento fisico, tanto per occupare giusto quel paio d’ore all’interno di tutta la mia giornata sempre così vuota, ma in ogni caso lo faccio cambiando continuamente gli orari e le giornate della settimana, in modo da non incontrare troppo spesso tutte quelle persone che al contrario di me sono più abitudinarie. Giro molto in macchina, poi, percorrendo molte strade di questa città anche piuttosto distanti da casa mia, e fermandomi ogni tanto in qualche piccolo supermercato casuale, dove cerco di acquistare tutto quello che mi serve. Fingo di star bene insomma, anche se a fine giornata non mi sembra affatto vero.
            Mi piacerebbe soprattutto avere un incontro chiarificatore con coloro che mi fanno lavorare ogni notte per sorvegliare il parcheggio dello stadio, ma quando penso a questa eventualità mi viene subito da sorridere: non sarà mai possibile una cosa di questo genere immagino, e molto probabilmente dovrò rassegnarmi ad avere dei rapporti di lavoro solamente con un gruppo di fantasmi posti dietro ad un numero di telefono variabile, abilitato solo a spedire e a ricevere messaggi. Quando termino il mio turno di lavoro osservo l'alba, che sembra riesca certe volte come a far risorgere persino questo spiazzo desolato, e so di avere davanti a me tutta una giornata intera per mettere insieme idee, progetti, modifiche sostanziali ai miei comportamenti. Mi getto a capofitto nel nuovo giorno, e mi sembra quasi di poterlo dominare, e in qualche modo di esserne padrone.
Allora giro in lungo e in largo per le strade ancora fredde di tutta la città, mentre rifletto su come impiegare anche oggi tutto il tempo libero che mi viene regalato, nonostante di lì a poco il sonno mi colga in modo forte, tanto da farmi rientrare per forza nel mio appartamento a riposarmi. Vorrei sfuggire a questa morsa che mi stritola, ma non posso certo permettermi di arrivare a sera per l'orario di lavoro già stanco o poco riposato: devo essere lucido, cosciente, pronto a qualsiasi reazione possibile mi venga richiesta in questo ruolo che ho accettato.
Porto sempre con me questa pistola carica, naturalmente con la sicura inserita, ben nascosta nel piccolo sottofondo di una borsa dove tengo molte delle mie cose, ed in questo modo mi sento più sicuro. Un paio di volte sono anche andato in un luogo isolato di campagna, proprio per fare delle esercitazioni di tiro, e devo dire che ne sono rimasto abbastanza soddisfatto. Devo riconoscere che mi manca l’affetto di una compagna qualche volta, o anche di un amico, qualcuno a cui magari rivelare qualcosa di questa vita stupida che cerco di mandare avanti. Non riesco a concepire quasi più il senso delle mie giornate, salvo gettarmi dentro ad ogni attimo mi si presenti davanti, come qualcosa soltanto da affrontare e mai da comprendere o interpretare.
Vorrei anche andare a visitare qualche museo importante, prossimamente; oppure qualche mostra d’arte, di quelle che sembrano sempre sulla bocca di tutta la città, e cercare sulle tele di qualche maestro indiscusso quello che sembra mancarmi qualche volta. Sono sicuro sia là dentro il risultato finale di molti miei malesseri; proprio lì, l’inizio e la fine della mia giornata; dentro quelle stanze quasi sacre la spiegazione vera di quanto sta accadendo attorno a me. E forse, in mezzo a qualche sottigliezza stilistica che probabilmente non riesco neppure a comprendere, potrei trovarci la spiegazione di tutto quello che mi sta accadendo, magari elaborato in figurazioni estrose che neppure assomigliano alle mie vicende, ma che forse rivelano comunque al loro interno il mio stesso malessere, questa mia febbre, la mia stessa incapacità di comprensione delle cose.

Bruno Magnolfi 

lunedì 18 marzo 2019

Tutto com'è.




La mia macchina sta ferma a circa sessanta metri dal lampione più vicino. Da questa posizione poco illuminata vedo qualcosa che si muove su di un lato del parcheggio, a circa tre o quattrocento metri da dove io mi trovo. Prendo il mio binocolo, sono le quattro di notte, metto a fuoco la posizione che mi interessa, ma là dove mi pareva di aver quasi visto una persona a piedi, adesso sembra non ci sia più niente. Posso essermi sbagliato, o forse è solo passato da queste parti un vagabondo senza meta, che se n’è andato subito. Mantenendo lo sguardo sullo strumento ottico, lascio vagare i miei occhi lungo tutto il perimetro di questo spiazzo che ho di fronte, poi mi concentro di nuovo sullo studio mobile televisivo ancora posteggiato accanto all’edificio dello stadio. Da qualche giorno nutro il sospetto che là dentro si possano tenere, chissà poi da chi e a quale scopo, delle riunioni estremamente segrete, anche se la mia è soltanto un'ipotesi. In ogni caso quest’incontri non avvengono mai durante la notte, o almeno nel periodo temporale in cui io sorveglio questa zona; ma forse la mia è soltanto immaginazione.
Qualche macchina generalmente arriva da queste parti, ma ognuna si ferma giusto un attimo, o anche per niente, e poi rapidamente se ne va. Infine intravedo di nuovo una figura umana a piedi. Adesso la inquadro abbastanza bene, sembra quasi un tizio che sta facendo una normale passeggiata. Lo tengo d’occhio, la sua traiettoria pare costeggiare lo stadio, senza mantenere una direzione più precisa. Inizio a scrivere sul mio quaderno la segnalazione che devo eseguire, con orari, dettagli, e quant’altro riesco a registrare; poi scrivo tutto sinteticamente sul display del cellulare e alla fine spedisco un semplice messaggio. Da un paio di settimane ho iniziato a fotocopiare regolarmente il mio quaderno; lo faccio dando corso ad una semplice sensazione: è come se la mia attività si mostrasse tutta in queste pagine, in qualunque caso.
Mi pagano, certo, ma riesco a capire sempre meno per quale motivo io debba svolgere questo assurdo mestiere, e soprattutto a che cosa serva. Metto in moto la mia macchina lasciando i fari spenti, come sempre, poi mi muovo con lentezza restando all’interno delle zone meno illuminate del parcheggio. L’uomo sembra proprio andarsene per i fatti propri, ma ad un tratto devia verso lo studio mobile televisivo, tocca qualcosa sul cassone bianco, poi prosegue senza fermarsi, lungo la sua strada. Attendo qualche minuto, mi avvicino anche io al grosso furgone, scendo dalla mia auto ed osservo ogni dettaglio di quel mezzo. Non c’è niente, nulla minimamente da registrare. Mi sento quasi rammaricato di tutto ciò, ma come sempre risalgo a bordo della macchina e mi sposto da tutt’altra parte.
Non avviene niente, riporto come sempre sopra al mio quaderno, o almeno mi pare; e poi rifletto subito che forse dovrei trovare un posto ben sicuro per custodire tutto quello che scrivo da quando faccio il sorvegliante del parcheggio; un luogo non riconducibile direttamente a me, un nascondiglio insomma, e poi dire a qualcuno di cui posso fidarmi che là dentro, tra quelle pagine fitte, c’è tutto il succo di quello che in un anno è avvenuto o meno lungo questi paraggi, sempre nel caso potesse mai succedermi qualcosa di spiacevole. Forse in queste carte c’è anche qualcosa in più, anche se io in questo momento ancora non riesco a comprendere che cosa sia.

Bruno Magnolfi

domenica 17 marzo 2019

Soltanto musica.


        

            Sto sdraiato sul letto. Non voglio spostarmi da qui. Sento una musica che giunge da qualche appartamento vicino, e mi sembra di essere in qualche stanza diversa dalla mia, a godermi questo fresco, e la musica, e anche il pomeriggio tranquillo. Sono pronto a portare avanti tutte le cose, certamente, e ad essere comunque quello che sono, di nuovo, come ogni giorno. Ed anche ogni notte, quando tutto ritorna all’inizio, all’origine, al principio di ogni mio male.
Mi tormenta l’immagine di qualcuno che tiene serrati e muove tutti i fili, ed io che obbedisco. Ma non c’è niente da fare, devo procedere, anche se non mi piace. La musica adesso è soltanto un ronzio in quattro quarti, ma per me è già sufficiente.
Mi rigiro su un fianco, forse mi piacerebbe essere da qualche altra parte, però va bene anche così. Con gli occhi spalancati mi proietto giù dalla finestra fino alla strada, fino ad osservare i clienti seduti ai tavolini all'aperto del bar che frequentavo soltanto fino a due o tre giorni fa. Adesso lo evito, ne va della mia sicurezza, però mi immagino un paio di belle ragazze che si scambiano le loro impressioni ridendo e controllando i messaggi sui loro cellulari.
Stanno sedute, tranquille, sorseggiano ogni tanto una birra, poi forse parlano anche di me, di come oramai non mi si veda più da queste parti; un tipo simpatico, magari un po’ troppo riservato, ma pronto a stare allo scherzo, preciso, uno di noi. Si guardano attorno, alla ricerca di novità, o di un viso noto tra tutti questi rompiscatole che continuano a guardarle bramosi.
Vorrei scendere da voi, tento di spiegare a mezze parole. Ma non mi è facile, non adesso, perlomeno. Loro comprendono, sorridono mentre guardano di nuovo i loro cellulari. Non c'è niente di male, è facile aspettare, basta star qui, senza porsi particolari domande. Però si avvicina qualcuno, dice qualcosa, loro lo guardano; si, dicono, possiamo venire con te, certamente, da qualche altra parte, va bene, non importa se lui non mi si è ancora fatto vedere, sarà per un'altra occasione, non c'è alcuna fretta, non c'era neppure un appuntamento preciso.
Si alzano, ridono, sono subito pronte. Urlo qualcosa dalla mia posizione, ma non serve a un bel niente, anche se potrei forse scendere di corsa e cercare di impedire che tutto si compia. Ma in fondo, che cosa mi importa, potrei dire: sono qui, con questa musica strana che risuona tra i muri, ed il bello è che mi allieta ascoltarla, è come se fosse una parte di me, qualcosa che mi induce a restare, a trattenermi ancora su questo giaciglio, almeno fino a quando è possibile.
Saluto tutti mentre li vedo andarsene via poco alla volta; ho voglia soltanto di starmene fermo e da solo, a seguire gli accordi di questo pezzo che a tratti sembra quasi un crescendo, ma poi ripiega e torna all'inizio, ogni volta senza risolversi in niente. Forse sono anch'io come una musica senza capo né coda, dico alle ragazze mentre continuano a ridere. Potrei rincorrervi, partecipare al vostro sentirvi lontano da tutto, ma ho scelto di stare in un diverso contesto: qualcosa che non richiede il pensiero, niente di ciò che siamo già abituati a considerare.
Perdo la testa dietro questa musica insolita, è se come nascesse direttamente dentro di me, dalle mie mani quasi appoggiate su una tastiera di pianoforte, a far correre le dita agili e rapide avanti ed indietro, e cullarmi con loro su queste corde metalliche martellate lievemente e con grazia, come sapessi perfettamente quanto il loro vibrare sia capace di modificare le cose, e lasciare che tutto si riesca a modellare sulle onde incrociate delle vibrazioni che escono. Ma è una musica quella che sento, soltanto una musica.

Bruno Magnolfi

giovedì 14 marzo 2019

Semplice niente.




Nel parcheggio dello stadio di calcio, dove ogni notte svolgo il mio lavoro di sorvegliante notturno, è riapparso oggi lo stesso furgone per le riprese televisive che avevo già notato qualche tempo fa. Che io sappia non si dovrebbe tenere nei prossimi giorni nessuna partita che ne possa giustificare la presenza anticipata, così ho fatto un controllo: sono sceso dalla mia macchina ed ho osservato tutto molto attentamente. Non è di nuovissima fabbricazione, però le gomme sono buone, e come le altre volte sembra parcheggiato e chiuso con grande attenzione. Non ci sono cavi elettrici che lo collegano al corpo dello stadio, e niente fa pensare che all'interno ci siano davvero delle attrezzature televisive, a parte una vecchia parabola satellitare pieghevole piazzata in bella mostra sopra il cassone, e naturalmente la scritta sopra la fiancata: “RS television”.
Ho fatto la solita segnalazione inviando un messaggio tramite il cellulare al numero che mi è stato indicato, ma come le altre volte non è successo un bel niente. Non penso ci sia qualcosa di sospetto sotto a questa faccenda, comunque non riesco a spiegarmi il motivo per cui questo mezzo venga piazzato costantemente da queste parti durante giornate in cui non si svolgono manifestazioni sportive. In ogni caso non sono fatti miei, e non è certo il mio lavoro quello di andare oltre le segnalazioni che invio al numero che mi è stato fornito.
Piuttosto, sto continuando intensamente a pensare quale sia la maniera migliore per uscire di scena da questo grande buco nero in cui sono caduto. Resta il fatto che non sia tranquillo per nulla del lavoro che faccio, e che i miei capi sicuramente portino avanti dei traffici come minimo loschi sotto al mio naso. Anzi, il disturbo più grosso è proprio quello dato dal fatto che, molto probabilmente, io venga utilizzato, nella mia più completa inconsapevolezza, per tenere proprio sotto controllo una zona per certi versi importante per loro, probabilmente da annoverare nell’ambito della droga, e che non ci sia realmente nessun vero interesse in termini di sicurezza sociale per pagare una persona che tenga sott’occhio di notte un piazzale d’asfalto, come invece avevo pensato in un primo momento.
I soldi mi arrivano regolarmente sul conto bancario, e gli unici rapporti che continuo ad avere con quelle persone che peraltro non ho neppure mai visto, sono dati da un numero di telefono a cui spedisco i messaggi contenenti le segnalazioni che accerto; numero che una volta ogni qualche settimana viene sostituito da un altro, senza che ne comprenda il motivo. Per questo non posso permettermi di frequentare una donna, un amico, o un qualsiasi conoscente. Vorrei tanto parlarne a qualcuno della situazione in cui mi sono venuto a trovare, ma è facile pensare che se aprissi bocca su questo argomento, mi metterei in una situazione veramente spiacevole.
Così vado avanti, certe volte anche senza pensare davvero qualcosa, proprio per provare a digerire un po’ meglio tutta questa situazione imbrogliata. Resta il fatto che sono particolarmente sensibile ad ogni variazione di schema, proprio perché è forse da lì, da qualche novità, che può arrivarmi una possibile soluzione. Perciò continuo a guardare questo studio mobile televisivo; anche se finora non mi è servito assolutamente ad un semplice niente.

Bruno Magnolfi 

mercoledì 13 marzo 2019

Moderata cortesia.


           

            Qualche giorno fa sono passato davanti ad una palestra, e mi sono chiesto se non fosse il caso di iscrivermi ad un corso, tanto per cercare di riempire i vuoti di tempo che mi lascia il mio lavoro notturno. Mi sono fatto dare delle semplici informazioni, e la signorina dietro al banco mi ha chiesto le generalità, così le ho fornito sia un nome falso, che un indirizzo diverso dal mio, tanto per sviare qualsiasi curiosità indesiderata. Pagata la quota in contanti, nessuno mi ha fatto delle difficoltà, tanto che al primo appuntamento mi sono presentato alla palestra con la mia sacca degli indumenti esattamente come tutti gli altri, e sono subito stato trattato come uno qualunque.
            Nessuno mi ha più chiesto niente, e la sensazione di apparire esattamente come un’altra persona in mezzo a tutti, mi ha fatto subito sentire a mio agio, come mi fossi rifatto una verginità. Nello spogliatoio maschile poi, qualcuno parlava di varie cose, e ad una battuta di spirito lanciata da un tizio a voce alta, il mio vicino di armadietto si è voltato sorridendo verso di me, come a cercare una certa complicità. Naturalmente non gli ho dato alcuna confidenza - almeno per il momento mi sento meglio a stare sulle mie - anche se appare chiaro che prima o dopo dovremo pur scambiarci qualche impressione reciproca. Comunque ho la fortuna di poter variare facilmente sia gli orari, che i giorni settimanali di frequentazione della palestra, perciò in questa maniera sarà più difficile per me incontrare sempre le medesime persone, e con questo sistema posso restare, nei confronti di coloro che incontro più costantemente, quasi un estraneo.
            Il mio lavoro di sorvegliante notturno invece prosegue come sempre, e dopo il furgone parcheggiato di fianco allo stadio di calcio, che adesso però è sparito, non si sono presentate molte altre novità. La palestra comunque riesce a rilassarmi, a farmi spendere le energie e calmare il nervosismo che accumulo costantemente; e poi anche solo tenermi lontano da casa il più possibile, per me è diventato un comportamento quasi necessario.
“Ho visto che hai la macchina”, mi ha detto qualche giorno dopo il mio vicino di armadietto, senza che ci fossimo neppure mai presentati. “Mi daresti un passaggio per favore?”. “Certo”, ho detto subito per non apparire scortese. “Vado verso la zona dello stadio di calcio, se a te va bene”. “Si, più o meno”, ha detto lui; poi mi ha dato la mano spiegando di chiamarsi Carlo, ed io mi sono presentato con il nome fasullo che avevo fornito alla palestra. Ci siamo vestiti, abbiamo rifatto le nostre rispettive sacche, poi siamo usciti insieme. Lui ha detto che era in corso uno sciopero dei mezzi pubblici, ed io ho annuito.
Mi ha spiegato di lavorare in un grosso laboratorio di elettronica, e che se mi fermavo davanti ad un caffè mi avrebbe offerto qualcosa. Ho rifiutato per non dargli troppa familiarità, chiarendo che ero già in ritardo per il lavoro, e lui fortunatamente non mi ha chiesto neppure di che cosa mi occupassi. L'ho lasciato lungo una strada che mi ha indicato, ha detto scendendo in quale giorno sarebbe tornato alla palestra, ed io mentalmente ne ho annotato tutti i dettagli, proprio per evitare di incontrarlo ancora, almeno in tempi troppo ravvicinati.
Però in fondo mi è piaciuto quel ragazzo, ed alla fine devo anche dire che non mi ha posto neanche troppe domande imbarazzanti, e questo senz'altro l'ho apprezzato, anche se questa è una riflessione soltanto mia. Però devo impegnarmi comunque nel mostrare il maggiore distacco possibile, ed evitare in questo modo di allacciare delle amicizie: il mio lavoro ormai non lo permette, e per il momento non ho proprio altre possibilità. In seguito poi vedremo: qualcosa dovrà pur accadere prima o dopo, ed io sono certo che questa situazione presto si dovrà sbloccare.

Bruno Magnolfi

lunedì 11 marzo 2019

Praticamente ogni giorno.




Ho bisogno di parlare. Di spiegare a qualcuno il mio stato d'animo. Più mi guardo intorno e più mi rendo conto invece di essere da solo, e di non avere la possibilità di fidarmi di nessuno. Sono caduto in una situazione pazzesca, in cui svolgo un mestiere così pericoloso da non poterne parlare con anima viva, e tale da farmi allontanare da tutti coloro che sono miei conoscenti.
Persino il mio appartamento è diventato un luogo poco sicuro, tanto che continuo a pensare di cambiare velocemente abitazione, anche se non sono poi così convinto che una mossa del genere possa servire davvero a qualcosa. Le mie azioni sono tutte sicuramente controllate, e in una fase come questa se sbagliassi qualcosa la pagherei duramente.
Per assurdo il posto dove mi sento maggiormente a mio agio è proprio sul lavoro. Sto fermo nel parcheggio dello stadio e segnalo per messaggio sul cellulare tutte le macchine che si fermano da quelle parti, compreso il furgone dell'emittente televisiva parcheggiato oramai da settimane a fianco delle tribune e in modo da non procurare fastidi.
Per tutto il tempo che io resto in quei paraggi a svolgere la mia attività, reputo che niente mi possa accadere. Non mi lascio andare a sonnecchiare neppure per un minuto durante tutta la notte, e continuo ad inviare le segnalazioni che servono, ogni volta che ce n'è la necessità, mandando avanti il mio lavoro con scrupolo, senza lasciare mai niente al caso.
Poi, quando torno nel mio appartamento, praticamente dopo l'alba, le cose si fanno subito diverse. Potrei essere avvicinato da qualcuno di un'organizzazione ostile a quella da cui sono pagato, potrei senza volerlo aver pestato i piedi a qualche persona che conta, potrebbe anche darsi il caso che io da un attimo all’altro non serva più ai miei capi, e che comunque oramai io sappia troppe cose per lasciarmi libero di andare dove voglio. Se mi metto a pensarci, le mie preoccupazioni aumentano, piuttosto che lasciarmi più tranquillo.
Perciò cerco di svagarmi, di liberare la mente da tutto ciò che in questo momento la opprime, ed il luogo migliore, dove mi sento più a mio agio, è dentro ai centri commerciali, dove ci sono talmente tante persone in una volta sola, da farmi credere facilmente di essere una di loro, e di potermi perdere in mezzo a tutti dimenticando persino chi sono. Così vago senza meta in mezzo alla gente ed in mezzo a tutte le vetrine illuminate, senza peraltro che abbia nessun acquisto da fare, e mi dimentico momentaneamente dei miei irresolubili problemi.
Quando rientro a casa, apro il portone condominiale con grande attenzione, poi controllo fermandomi ad ascoltare eventuali rumori lungo le scale del mio palazzo, ed infine, prima di entrare nel mio piccolo appartamento, attendo un attimo fuori, una volta aperto il portoncino, in modo da non chiudermi dietro l’unica via di fuga. La signora del piano superiore mi ha visto l’altro giorno mentre facevo queste manovre, e si è soffermata a guardarmi, incuriosita dal mio comportamento. Potrebbe essere lei una di quelle persone pronte a tradirmi, ho pensato, magari proprio stamani o più tardi; una di quelle che per qualche biglietto di banca è disposta a spifferare delle informazioni su tutti i miei comportamenti, senza neanche provare in seguito alcun rammarico: come una cosa normale, una cosa qualunque che si fa quasi senza pensare, di quelle che si compiono sostanzialmente ad occhi chiusi, e praticamente ogni giorno.

Bruno Magnolfi

domenica 10 marzo 2019

Serenità perduta.




            Va bene, ho sbagliato, lo confermo. Risulta però altrettanto chiaro come la maggior parte dei miei giorni io li passi in casa senza vedere quasi nessuno, almeno da parecchio tempo a questa parte. Così come è evidente che quando io mi trovo a camminare per la strada, mi volga indietro ogni pochi metri per rendermi conto se per caso qualcuno stia volontariamente seguendo i miei passi. Non sono più tranquillo come lo ero una volta, provo apprensione per chiunque mi capiti di incontrare, perché mi sento perennemente spiato, osservato, controllato.
Con uno stato d'animo del genere ci vuole niente a prendere un abbaglio. Così quando ho avvistato quell'uomo che mi stava osservando in maniera insistente, ne ho subito avuto paura, e quindi mi è tornato naturale dopo poco mettermi a correre disperatamente lungo la strada, anche se l’ho fatto soltanto per sfuggire alla sua vista. Mi ha detto il barista del locale che era invece un vecchio amico che io non ero stato capace di riconoscere, e che si è sentito ovviamente umiliato e dispiaciuto per avermi spaventato in quella maniera. Aveva chiesto di me dentro al locale, ed io non lo sapevo; poi forse voleva farmi una sorpresa, oppure rendersi conto se lo riconoscevo, tutto qua.
Non devo più andare dentro quel bar, mi sono detto. Devo restare in casa per tutto il tempo che riesco a resistere, e poi per le necessità impellenti devo anche cambiare i miei itinerari: recarmi in altri negozi, in botteghe distanti da casa mia, magari dove non sono mai stato fino ad oggi, e cambiare barbiere quando mi serve farmi radere, perfino fare benzina in un diverso distributore di carburante. Ne va della mia esistenza, devo assolutamente dimenticare qualsiasi vecchia abitudine.
Dopo l'ultima partita di calcio in casa della squadra cittadina, di tanti mezzi che stazionano a fianco dello stadio dove io lavoro come sorvegliante, con sopra in evidenza le parabole e le altre attrezzature per garantire la diretta televisiva sui vari canali, è rimasto solitario un autocarro bianco, forse nell'attesa del prossimo incontro sportivo. È ben chiuso, ed il rivestimento deve essere a prova di qualsiasi rumore, visto che all'interno di questi mezzi spesso c’è un telecronista che porta avanti la diretta. È da solo, ma non sembra dare alcun fastidio, visto che sicuramente dall'abitacolo sono stati tolti i microfoni, i monitor, gli elaboratori e quant'altro possa interessare qualche ladro.
In ogni caso io lo tengo d'occhio come tutto il resto che sta qua attorno, visto che il mio mestiere di sorvegliante notturno riguarda tutto il parcheggio, e quando l’ho visto, come d'accordo con i miei capi, ho subito comunicato loro per messaggio sul mio cellulare la marca, il modello ed il numero di targa di questo grosso furgone, anche se poi loro non mi hanno fatto sapere niente di specifico al riguardo. Potrebbe addirittura verificarsi il caso che dopo la prossima partita l'autocarro resti a stazionare ancora lì, forse costituendo per l'emittente televisiva proprietaria, una specie di studio fisso da utilizzare ogni settimana.
Potrebbe essere, a me non cambia niente, anche se rimane nella parte più vicina alle tribune, la zona meno illuminata di tutto il perimetro. In fondo a me non interessa niente di tutto questo, mi piacerebbe soltanto starmene un po’ più tranquillo, e da quando mi sono reso conto che con ogni probabilità dietro ai miei capi si nasconde semplicemente una grossa organizzazione dedicata al traffico degli stupefacenti, non posso certo dire di aver trovato la serenità. In ogni caso vado avanti a sorvegliare quanto mi è stato richiesto, a fare il mio lavoro insomma, anche se tengo gli occhi sempre bene aperti, e proseguo a guardarmi attorno il più possibile, nel dubbio che qualcosa possa degenerare. Prima o dopo.

Bruno Magnolfi

giovedì 7 marzo 2019

Contare un bel niente.


       

            Devo smetterla con questo mestiere, praticamente non ne posso più. Questa frase poco per volta è diventata il pensiero che in questo periodo maggiormente mi gira dentro la testa, anche se sono sempre prontissimo a lasciarmi prendere semplicemente dalle abitudini, e quindi ad accantonare questo concetto con grande facilità, ricominciando con indifferenza a fare ogni volta le cose di sempre, compresa naturalmente l'attività del sorvegliante di notte. Ma qualcuno giù al bar, senza sapere neanche di che cosa davvero mi occupi, parlando con me proprio del più e del meno, mi ha spiegato con superficialità che esistono individui ingaggiati opportunamente per controllare le piazze di spaccio degli stupefacenti, e dentro di me a queste parole si è come accesa una lampadina.
Forse sono proprio io che senza saperlo controllo la zona dello stadio, e in un solo attimo questa riflessione mi è apparsa qualcosa di evidente. Per me si sempre trattato soltanto di identificare delle macchine che girano attorno a quel parcheggio quasi deserto, ma so che ai miei capi serve ogni mia segnalazione per capire cosa stia succedendo in ogni momento là in mezzo. Evidente: loro come dei grandi trafficanti di queste sostanze hanno tutto l’interesse a conservare la zona perennemente sotto ispezione, ed è perciò che vogliono passare al vaglio chiunque si avvicini da quelle parti. Adesso poi che ci penso anche meglio, in fondo tutto questo non è neppure molto diverso da quello che già immaginavo, anche se presupponevo uno sfondo più etico, qualcosa che riguardasse solamente la sicurezza di tutti. Mi sento un piccolo ingranaggio dentro un meccanismo dominato da gente mafiosa e malavitosa, ed in questo momento riesco a comprendere benissimo il motivo per cui i miei capi non si sono mai fatti vedere da me.
Adesso ho paura, si tratta di un mondo che non conosco per niente, anche se comprendo benissimo quanto sia dominato dagli enormi proventi che vengono trattenuti nelle tasche di chi tira tutte le fila. Non esiste scrupolo in questo settore, lo so per certo, perciò sono a rischio, ed un semplice passo falso per me in qualsiasi momento potrebbe essere del tutto fatale. Non mi lasceranno mai uscire da questa situazione i miei capi, perché oramai, anche se non li conosco per niente, so troppe cose di loro, ed al minimo dubbio su di me, oppure anche sui miei comportamenti, saranno senz’altro pronti a farmi sparire dentro qualche gettata di calcestruzzo, senza neppure darmi una spiegazione qualsiasi. Sono dentro ad una circostanza posta al limite, ma in questo momento non saprei proprio cosa fare, se non proseguire come se nulla fosse.
Anche le stesse persone che incontro certe volte in maniera casuale qui al bar, e con le quali mi intrattengo a chiacchierare senza mai farmi troppi problemi, forse sono soltanto degli individui che mi tengono d’occhio, pedine in una scacchiera dove tutto è dominato e gestito. Mi guardo attorno: i miei atteggiamenti da persona qualsiasi forse fino adesso sono stati semplicemente tollerati, ma non è neanche detto che possa continuare così. Magari da qualche parte si è già deciso un’uscita di scena per me, una sparizione improvvisa nel momento in cui qualcuno si è fatto troppe domande su quello che faccio, oppure ha ascoltato qualche sciocchezza tirata fuori da me in maniera superficiale, proprio riguardante quello stesso lavoro che fino a questo momento ritenevo qualcosa di pulito, un’occupazione come tante, senza troppi segreti.
Devo fuggire, è più che mai necessario, anche se non saprò mai se sarà utile farlo, o se al contrario un gesto del genere potrà forse innestare una serie di ulteriori curiosità intorno a me e anche ai miei comportamenti. Se mi vorranno trovare, magari chissà dove, riusciranno a farlo abbastanza facilmente, lo so per certo; ma soltanto se la mia figura potrà essere tollerata, forse mi lasceranno perdere; proprio come uno che non conta, che non ha mai contato un bel niente.

Bruno Magnolfi

mercoledì 6 marzo 2019

Dedicato al niente.


         

            C’è qualcuno?, ho gridato uscendo appena dalla mia macchina ferma, rivolgendomi verso una zona assolutamente poco illuminata dai lampioni, in questo enorme parcheggio accanto allo stadio del calcio. Non c’è stata alcuna risposta, soltanto il solito silenzio tracciato dal debole brusio costante della città di notte; però ho anche avvertito un leggero rumore da qualche parte indefinibile, così sono rientrato dentro la mia vettura, ho messo di nuovo in moto, ed ho subito acceso i fari, ingranando la marcia ed orientando la direzione della macchina verso quella zona che mi pareva più sospetta. Mi è parso certo che qualcosa stava comunque succedendo, ed è cosi che cercando di conservare una certa razionalità, ho preso la mia pistola da dentro il cassettino del cruscotto. Lentamente sono andato avanti con i finestrini abbassati per ascoltare ogni ulteriore rumore, e poi, illuminando quanto potevo con i fari, mi sono concentrato su ogni metro del campo visivo di fronte a me. Ma non è successo niente, né ho notato cose particolarmente strane.
Allora ho fatto il giro completo del parcheggio, e quando mi sono ritrovato nella zona maggiormente illuminata dai lampioni, ho spento i fari della mia auto e ho rallentato fino quasi a fermarmi; poi mi sono fermato difatti, e sono sceso dalla mia auto per rendermi conto dell’aria fresca e di ogni altro dettaglio attorno. Forse mi piacerebbe succedesse qualcosa di importante. Passo ogni notte su questa distesa di asfalto senza nulla, ne conosco ogni particolare, scruto costantemente con gli occhi bene aperti in mezzo a queste tenebre, mettendo a fuoco qualsiasi sciocchezza possa presentarsi anche in lontananza, ma non succede quasi un bel niente in queste notti, giusto qualche macchina che ogni tanto si ferma qui, ma quasi per sbaglio.
Mi piace comunque questo buio, mi fa sentire abbastanza protetto qualche volta, anche se è ovvio che lo temo, perché è proprio da lì che potrebbero uscire fuori i pericoli maggiori per la mia persona. Svolgo un mestiere pericoloso, è più che evidente, anche se fino ad oggi non mi sono mai ritrovato in situazioni particolarmente difficili, o in cui è stata messa in dubbio la mia incolumità. In ogni caso ho sempre la mia pistola carica, anche se i miei capi neppure sospettano che io porti un’arma sempre con me. Certe volte ho avuto anche paura dei carabinieri oppure della polizia. Potrebbero passare di qui, fermarsi davanti alla mia auto per un controllo e chiedermi che cosa stia facendo a fari spenti in questa zona dove non c’è niente. Non potrei certo spifferare a loro tutta la verità, considerato che alla fine non so neppure con certezza per chi io stia lavorando. Potrebbero perquisirmi, per uno scrupolo tutto sommato possibile, e trovare facilmente la mia pistola con la matricola limata, ed allora le cose si metterebbero davvero male per me e il mio mestiere.
Quando parlai di questa possibilità ai miei capi, sempre tramite un messaggio dal mio cellulare, loro mi risposero però di avere delle amicizie influenti nel settore, e che non ci sarebbero mai stati per me dei problemi seri. Però non sapevano della pistola. Per questo cerco sempre di riporla da qualche parte dentro la mia macchina dove non si veda e non si trovi facilmente, pur restando abbastanza a portata di mano. Forse dovrei disfarmene, ho riflettuto qualche volta, anche se poi mi sentirei meno sicuro. Però fino ad oggi non si sono mai presentati dei problemi seri per me, e forse mai si presenteranno. Devo trovare più fiducia nella mia persona penso: cercare di avere soltanto delle idee più che positive, e immaginare il mio lavoro come un mestiere qualsiasi, un’attività proprio come tante, che non deve procurare per forza un mare di guai; e che in ogni caso resta per ora l’unica cosa a cui riesco a dedicare tutto questo tempo.

Bruno Magnolfi

martedì 5 marzo 2019

Facciata schietta.


      

            Trascorro generalmente la giornata cercando di comprendere che cosa posso fare per migliorare quello che faccio, e soprattutto quello che sono. Poi mi rendo conto che soltanto dedicandomi a qualcosa di essenziale potrei forse trovare la soluzione a tutte le mie domande, e siccome in questo periodo non riesco a fare altro che quel poco di cui mi occupo, ogni debole teoria che riesco a mettere in piedi è miseramente destinata al nulla. Così mi amareggio, senza riuscire mai a tirarmi fuori da questa trappola che ormai è diventata il perditempo dei miei giorni.
Quando esco di casa mi pare certe volte di dover affrontare un nemico oscuro e sfuggente, anche se allo stesso tempo mi sento attivo, pronto a rispondere alle avversità che eventualmente si potrebbero presentare. Infine vado a rilassarmi sulle solite sedie del bar qua vicino, a sfogliare un giornale e senza preoccuparmi troppo delle altre cose, se non farmi una birra o due, e all’ora giusta mangiarmi dei tramezzini chiacchierando con qualcuno.
C'è una ragazza con cui ho parlato uno di questi giorni, così le ho chiesto il numero di telefono, ma quando ho provato a comporlo durante i giorni seguenti mi sono accorto che era perennemente irraggiungibile. Così ho lasciato perdere, però lei si è fatta vedere di nuovo nel bar che frequento, anche se quel giorno andava estremamente di fretta, perciò mi ha detto soltanto di riprovare a chiamarla, perché sembra che il suo telefono per l'appunto fosse stato riattivato. Non mi interessa, ho pensato subito dopo averla vista uscire; non posso stare dietro ad una persona così strana e sfuggente, ed anche il barista mi ha lanciato una smorfia, come a sottolineare che secondo lui era meglio per me lasciarla perdere una persona di quel genere.
Poi la sera scorsa però mi ha chiamato lei, mentre avevo già iniziato il mio turno di notte come sorvegliante dello stadio, e mi ha fatto decisamente piacere sentirla, anche se normalmente non dovrei distrarmi troppo sul lavoro. Mi ha raccontato svelta un sacco di cose, e che era contenta di sentirmi, poi le ho dovuto dire che non potevo stare troppo all’apparecchio, così si è scusata e ha detto che comunque ci saremmo risentiti presto. Oggi ho girellato a lungo davanti al solito locale con il cellulare in mano: ma di lei nessuna traccia. Poi le ho spedito un messaggio di saluto, tanto per vedere se rispondeva, ma non è successo niente.
Ha ragione il barista penso, è inutile che io cerchi di stare dietro ad una persona di questo genere: perdo tempo e basta, non arriverò mai a nulla e soprattutto non riuscirò neanche a capire le motivazioni che possono spingere una persona come lei a comportarsi in questo modo. Invece mi ha risposto, anche se dopo parecchio tempo, e mi ha inviato a sua volta un breve messaggio vocale in cui la sua voce, immersa in una certa confusione di qualche posto pieno di gente, diceva che era contenta dei miei saluti e che sperava di rivedermi presto.
Forse dovrei farmi avanti ho subito pensato. Magari chiederle qualcosa sulla sua vita: che lavoro svolge, o anche dove abita, e poi casualmente passare forse qualche volta sotto casa sua, magari per incontrarla in modo involontario, e in questo modo capire meglio di che cosa si occupa durante la giornata. Ma penso che non farò un passo di quel genere; sarebbe troppa la mia ingerenza nella vita di una persona come quella ragazza. Così credo che mi limiterò a spedirle qualche messaggio ogni tanto, giusto per vedere se per lei sembra importante tenere accesa l’amicizia con una persona come me, oppure no. Se andranno avanti le cose come spero, le chiederò un appuntamento tra una settimana o due, a cui mi presenterò esattamente come sono, senza modificare nulla di me, proprio per mostrarle ancora, in questo modo, tutta la mia schiettezza.

Bruno Magnolfi

lunedì 4 marzo 2019

Signor Solo.


       

            Oggi mi sono messo qui, su questa sedia, quasi senza volontà. In fondo perché mai dovrei mostrare voglia di fare qualche cosa: il mio lavoro scorre come sui binari, la mia giornata prosegue in avanti senza che mi impegni particolarmente, i miei interessi in pratica si limitano soltanto a frequentare questo bar di fronte a casa mia, giusto per mettermi a chiacchierare con qualcuno dei ragazzi che trovo qui dentro il locale. Il resto è soltanto tempo che scorre senza sosta.
Anche la notte, quando sono fermo nel parcheggio che devo sorvegliare, mi limito a guardare l’orologio una volta ogni tanto, ed ogni volta che lo guardo le lancette sul quadrante sono sempre più indietro di quello che vorrei, anche se poi ritengo che il tempo tutto insieme stia andandosene anche troppo in fretta, in una maniera che spesso tende a esasperarmi.
Prendo il caffè insieme ad un tizio che conosco, poi esco dal bar che è quasi vuoto a quest'ora della sera, salgo rapidamente in macchina e quasi senza volontà ancora una volta mi avvio con calma verso lo stadio dove rimarrò fino alle prime luci di domani mattina. Nessuna novità, sul mio cellulare non appare alcun simbolo di messaggio, i miei capi non hanno niente da comunicarmi, le cose vanno avanti come sempre, anche stanotte dovrò segnalare modelli d'auto e numeri di targa di qualcuno che staziona qua, in questo identico e immobile parcheggio.
Mi piazzo nel solito posto a fari spenti, ma col motore acceso perché fa piuttosto freddo, poi sotto ad un lampione poco distante osservo qualcosa che si muove. Sto fermo, guardo meglio ciò che ho notato al margine del mio campo visivo, ma in un attimo quello strano fagotto viene verso di me, come mi avesse quasi fiutato. È un cane difatti, un piccolo cucciolo simpatico che si avvicina velocemente alla mia macchina come se la conoscesse. Apro lo sportello, lui mi guarda un attimo, poi appoggia le zampe davanti sul pianale, come a chiedere il permesso di salire.
Gli accarezzo la testa, lui scodinzola, poi si acciambella rapidamente sul sedile accanto al mio, come per scaldarsi in piena comodità. Lo lascio fare, in fondo non dà noia a nessuno, prima di andarmene da qui lo farò scendere penso, e dopo basta. Gli parlo, gli chiedo qualcosa come potesse quasi rispondermi, lui mi guarda e poi scodinzola ogni tanto, quindi si gira e torna ad acciambellarsi sul sedile. Signor Solo, potrei chiamarlo, che poi è la stessa condizione che abbiamo tutti e due, ed è per questo in fondo che cerchiamo di farci compagnia, almeno stanotte.
Poi ingrano la marcia, e sempre a fari spenti mi sposto dalla parte opposta del parcheggio, mentre passa un'auto che comunque se ne va nella notte per i fatti suoi. Infine esco un attimo dall’abitacolo, apro lo sportello dalla parte del Signor Solo, ma lui non ne vuol sapere affatto di scendere, vuol rimanere dentro, anche se scodinzola, e poi annusa e lecca la mia mano in segno evidente di amicizia. Non so che cosa devo fare, però questo cane mi piace, e mi pare un’ottima compagnia in questa notte fredda e assurda, come peraltro sono tutte le altre. Arriverà la primavera e il caldo penso, arriveranno ore più piacevoli, anche per un sorvegliante di parcheggio come me.
Poi mi ricordo di avere dei biscotti, così li prendo dal sedile posteriore e ne porgo uno al Signor Solo. Lui mangia famelico, mi guarda, ne vuole ancora, si capisce che è tanto tempo che non mette qualcosa sotto ai denti. Quindi si scuote e alla fine lancia un piccolo ululato, quasi il segnale che dimostra la sua momentanea felicità, così quasi per istinto gli rispondo anche io con un piccolo ululato. Siamo amici, è inutile negarlo, e se il Signor Solo mi ha scelto in questo modo, significa che uno strano destino ha deciso di farci incontrare in questo posto, e non posso certo io, che non conto proprio niente, mettermi contro a quanto è stato stabilito.

Bruno Magnolfi

domenica 3 marzo 2019

Sufficiente integrità.



Potrei andarmene, ho pensato. Prendere tutto e poi voltare pagina, senza neppure guardarmi indietro. In fondo non ci sarebbe niente di troppo strano, spariscono in tanti ogni giorno, per uno in più non ci farebbe caso proprio nessuno. Una di queste sere potrei gettare il cellulare che mi hanno dato i miei capi dentro l'acqua di un fossato qua attorno, senza alcun ripensamento; poi fare una corsa in macchina fino ad una città tra quelle più vicine a questa, tanto per far perdere tutte le mie tracce, quindi salire sopra un treno, il primo che passa, o quello che per direzione riesca ad ispirarmi maggiormente. Lontano potrei andare; all'estero magari, dove rifare tutto quanto cominciando daccapo ogni passaggio, senza alcuna zavorra.
La mia esperienza forse potrebbe essere utile in un altro paese, qualcuno magari potrebbe apprezzare alcune spiegazioni sostanziali su come si controlla una porzione di città, come si tiene sott'occhio qualche caseggiato, degli incroci di strade, dei viali interi. Magari potrei cercare di vendere i miei servizi a qualche agenzia che si occupa di spionaggio, o cose di questo genere, sventolando in faccia a tutti la pratica che sono riuscito a mettere insieme durante tutto questo tempo, controllando notte dopo notte i dintorni di questo odiato e famoso stadio di calcio.
Però potrebbe essere difficile trovare le persone giuste alle quali mostrare le mie capacità e con le quali intessere dei rapporti di lavoro; potrebbe essere complicato comprendere nel dettaglio le esigenze reali di alcuni personaggi a me sconosciuti, trovati chissà come in posti peraltro molto diversi da quello in cui mi sono fatto le ossa. Potrebbero non riuscire neanche a prendermi sul serio, e non comprendere appieno le potenzialità che posso offrire: immaginandosi magari di avere davanti soltanto un disgraziato in fuga, senza alcun salvacondotto, magari con un passato oscuro alle proprie spalle, e solo il bisogno di raggranellare qualche soldo.
Certo, bisognerebbe cominciassi adesso a studiare una vera e propria pista di fuga, trovare già da ora i contatti più adeguati, avanti di muovermi da qui e prima di qualsiasi altra cosa da mettere in mezzo, e in un secondo tempo presentarmi con grande sicurezza chissà dove, la mia pistola in tasca che mostra sempre serietà di intenti, il binocolo per le osservazioni custodito in una borsa, gli occhiali scuri da individuo irriconoscibile sopra la fronte, ed un vestito estremamente decente, che riesce a dare spessore e qualità a tutto il passato di chiunque. Però difficile sarebbe in questo modo cancellare completamente tutte le mie tracce. I miei capi potrebbero non gradire affatto questo mio voltafaccia, ed anche se non si sono mai fatti riconoscere da me, si potrebbero preoccupare di quanto sarei disposto a dire su di loro.  
Potrei ritrovarmi nei guai anche in un posto estremamente lontano da qui, con il passato che mi insegue ed un presente senza alcuna certezza. Perciò devo trovare delle soluzioni prima di muovermi, questo è il punto; risolvere ogni dettaglio escogitando dei sistemi che mi lascino tranquillo, perché è la tranquillità l'elemento più importante, sapere che puoi startene in un posto senza che nessuno abbia da ridire. Per adesso mi conviene stare calmo, mandare avanti il mio mestiere come sempre, ed aspettare che maturino le idee giuste prima di fare qualsiasi altra cosa. Però potrei intanto chiedere in giro qualche informazione utile: non c’è niente di male nel fare delle domande, specialmente se si chiedono le cose soltanto per curiosità, senza un interesse vero. Comunque vada a finire mi sento già proiettato in un fase nuova, questo è il punto saliente; e non ci sarà neppure bisogno che cambino davvero molte cose, se questo entusiasmo che sento adesso riuscirà a mantenersi integro per un tempo sufficiente.


Bruno Magnolfi