lunedì 27 dicembre 2021

In accordo.


            Naturalmente certe volte sono caduto, con grande ed immediata disperazione. Però ho sempre trovato la maniera per risollevarmi, anche se in qualche caso ho dovuto faticare parecchio per farlo. Non so perché penso tutto questo, proprio adesso che siamo quasi arrivati alle porte di Rennes, e questi margini stradali degli ultimi chilometri, senza troppe caratteristiche di rilievo, sembrano scivolare via senza alcuna asperità, come aprendosi accoglienti al nostro passaggio, forse per incoraggiare maggiormente proprio il nostro arrivo. Il motore del camper gira tranquillo come da quando siamo partiti, e mentre io proseguo a guidare con impegno e attenzione, gli altri sono tutti dietro a leggere, a parlare, o a perdere del tempo. Ci potrebbe accadere qualcosa, penso; però è più facile che tutto scorra via tranquillo, proprio come questo asfalto, e per tutte le prossime notti troviamo ancora qualche luogo silenzioso dove sistemarsi, senza dare troppo nell’occhio. Dobbiamo fermarci ad un supermercato, per fare qualche acquisto, poi attraverseremo la città ed infine spegneremo il motore lungo qualche stradina sterrata, riparati da una macchia di alberi fruscianti.

            <<C’è ancora molto, Toni, per arrivare in città?>>, dice all’improvviso Renato, affacciandosi per un attimo alla cabina di guida. <<Tranquillo>>, gli fo; <<fra dieci minuti si entra tra le case>>. A me piace guidare, e se non sono proprio stanco gli altri mi lasciano volentieri al volante di questo scatolone a noleggio, come se fossi l’esperto timoniere di un vascello in alto mare. Comunque penso che una volta fatti gli acquisti ci potremo fermare da qualche parte per mangiare qualcosa e riposarci, ed in seguito io lascerò volentieri la guida a chi degli altri tre ne avrà voglia. Mia moglie sembra intenzionata ad arrivare sulla costa prima di sera, ma a me non sembra una buona idea, visto che in quel caso avremo ancora per il pomeriggio un sacco di strada davanti a noi. Ieri avevamo pernottato nei pressi di Bourges, ed io non mi ero sentito tranquillo, considerato che il luogo scelto per fermarsi a cenare e a dormire, appariva un po’ troppo isolato, senza riferimenti chiari e vicini. Forse è la mia apprensione che mi fa immaginare sempre qualcosa di tremendo appena dietro l’angolo, lo riconosco; però penso che sia sempre meglio immaginarsi anticipatamente le avversità, piuttosto che subirle in pieno senza aver fatto nulla per prevenirle.

            Infine avvisto un bel supermercato con un parcheggio spazioso accanto alla strada, così entro dentro manovrando con calma, scelgo il posto più adatto ed infine spengo il motore. Gli altri si guardano attorno, mi fanno vedere che hanno già preparato una lista di cose che ci possono servire, ed il nostro cane deve assolutamente farsi un giretto. Ci dividiamo i compiti, io resto sul camper per controllare i liquidi e la scorta d’acqua per il bagno, Lina fa un giro col cane, e mia moglie insieme a Renato entrano nel negozio per fare gli acquisti. Però c’è qualcosa nell’aria che ancora non mi convince: è come se si cercasse di tenermi al di fuori da una decisione che loro tre hanno già preso. Non va bene arrivare nei luoghi dopo il tramonto, ho già spiegato in altre occasioni: non si riesce mai ad avere un’idea precisa di dove ci sistemiamo, e questo sicuramente è un problema. Forse loro si annoiano di questa mia semplice prudenza, ma io credo che soltanto con una certa dose di buon senso le cose potranno filare lisce per tutti questi quindici giorni di gita.

            Apro il cofano motore e controllo il livello dell’olio, poi guardo se per caso ci fosse una manichetta per l’acqua da qualche parte. Torna Lina col cane, dice che Ettore appare leggermente stravolto, però ha fatto subito i propri bisogni, ed adesso è quasi pronto per ripartire. Poi sale in cabina, dal lato del passeggero, ed io mi accosto al finestrino mezzo aperto e le chiedo se per caso qualcosa non vada per il verso giusto. Lei mi guarda con un mezzo sorriso un po’ ambiguo, e poi dice che va tutto bene, che non vede l’ora anche lei di arrivare sulla costa della Bretagna. Tiro fuori la carta dalla tasca dello sportello, le mostro che abbiamo davanti troppi chilometri per poter trovare un posto decente dove pernottare, e Lina dice che di sicuro ho pienamente ragione. Ci accordiamo sulla strada migliore da prendere, poi si decide che la cosa migliore sarà fare una tappa prima di giungere a Saint Malo, e domani mattina andarcene in giro lungo la costa. Tornano gli altri ridendo chissà di cosa, naturalmente carichi di buste, e poi dicono subito che loro sono assolutamente d’accordo, su qualsiasi decisione abbiamo deciso di stabilire.

 

            Bruno Magnolfi   

domenica 19 dicembre 2021

Vaghe certezze.


            Sopra gli scaffali della mia libreria, ma anche sul piano dello scrittoio, ultimamente si sono accumulati in modo disordinato decine di spartiti; e poi manuali di armonia e di teoria musicale, fino ad ammonticchiarsi là sopra anche numerose dispense attorno alle possibili interpretazioni delle note, insieme ai tanti altri libri, di qualsiasi tipo, riguardanti naturalmente il pianoforte e le guide pratiche per suonare del jazz. Ogni tanto cerco di consultare qualcosa tra tutte quelle pagine che ho acquistato con la mia bramosia di saperne di più, ma adesso ho la certezza che non avrò mai la possibilità materiale di studiare la maggior parte di quelle nozioni che sono riportate su tutta quella carta stampata. Non avrò mai il tempo che servirebbe per comprendere i tanti punti di vista, questo ormai mi è chiaro, perché le cose intorno a me purtroppo hanno preso a viaggiare ad una velocità superiore alle mie umane possibilità, ed io, specialmente in certi giorni, mi sento presa e risucchiata nella corrente di tutto ciò che di brutto e di bello mi sta succedendo negli ultimi tempi, senza riuscire a trovare dentro me stessa la possibilità di dirigere in autonomia la proiezione di questo ciclone di eventi. Sono preda di qualcosa che a tratti mi sfugge, ed allora mi agito, mi ribello, cerco di reagire, mi volto all'indietro nella speranza di decifrare meglio i miei passi.

Viene da me la Teresa, la nostra infaticabile cuoca, e con un’espressione severa, quasi senza dire neppure una parola, mi consegna una piccola busta ben chiusa, come se all'interno fosse contenuto un segreto o il risultato di chissà quale profonda riflessione. Prendo la lettera, la ringrazio, anche se non saprei neppure di cosa, poi, rimasta da sola, la apro con accuratezza ed anche con un minimo di titubanza. È un messaggio di Simone, suo figlio, che si scusa di quanto accaduto, e in due parole sostiene di non sapere neppure lui come sia potuto succedere tutto quanto. Dice che adesso ha un lavoro fisso, ed infine mi ringrazia per non aver spifferato a nessuno il suo nome. Infilo subito quel foglio di carta in mezzo ai miei libri, in un luogo sicuro, e poi rifletto che in fondo non avevo neppure ripensato negli ultimi giorni a quella faccenda, forse solo perché oramai è diventata a mio parere soltanto una storia spiacevole da archiviare, senza nessuna spiegazione da cercare. Piuttosto, adesso che suonare con il gruppo jazz di Lorenzo mi ha preso tutto l’entusiasmo possibile, non vedo l’ora di ritrovarmi con gli altri ragazzi per provare ancora quei brani, e registrare più volte tutti quei pezzi che abbiamo composto, fino a quando non si mostri evidente l’aver tirato fuori il meglio possibile del nostro quintetto.  

L'insegnante di Lettere oggi mi ha fermato nel corridoio della scuola, durante una pausa della mattinata, ma soltanto per dirmi, quasi sottovoce, che lei si sentiva orgogliosa dei miei piccoli successi musicali, pur provando una certa inquietudine per le tante strade a cui stavo dando prosecuzione. L’ho rassicurata come potevo, e lei mi ha detto comunque che i miei risultati negli studi non avevano mostrato comunque alcuna battuta di arresto; poi ha aggiunto che l’ultimo compito scritto mostrava, in mezzo alle mie parole, una maturità di pensiero che in precedenza forse non avevo mai manifestato. Quindi ci siamo salutate, ed ho lasciato di nuovo che Lorenzo, all’orario di uscita da scuola, mi accompagnasse fino alla fermata del mio mezzo pubblico. Lui lungo la strada ha parlato delle solite cose, ed io l’ho ascoltato con una certa attenzione, pensando distrattamente se fosse proprio lui il ragazzo con cui dare inizio ad una storia sentimentale. Ma subito dopo ho capito che questa idea non mi sembra proprio la migliore, anche se tutto in questo momento sembra spingerci l’uno verso l’altra. Probabilmente ha ragione la nostra insegnante: troppe cose si sovrapporrebbero confondendo in ambedue tutte le idee e gli entusiasmi; e forse era proprio questo che lei fra le righe mi stava suggerendo parlandomi nel corridoio. <<Ha ragione, signora Sarti>>, ho detto allora tra me stessa mentre dondolavo seduta sul mio mezzo pubblico. <<Il mescolarsi indistinto di tutte le idee non è un buon segnale. Bisogna far forza sulla nostra mente per cercare le cose migliori, piuttosto che lasciarsi andare alle tante forti emozioni>>. Poi sono rientrata a casa dei miei, ed ho salutato come sempre la mamma, prima di entrare nella mia stanza: <<sono ancora piccola>>, ho riflettuto dopo un momento; <<ci sarà tutto il tempo, da ora in avanti, per trovare delle certezze maggiori>>.

 

Bruno Magnolfi    

            

giovedì 9 dicembre 2021

Invenzioni legittime.


            Sto qui, accanto al mio pianoforte, ad osservare di nuovo la luce del giorno, che poco per volta si fa calda ed obliqua, nel trascorrere lento e costante del pomeriggio. Ieri è venuta da me la signorina Neri, a prendere una prima lezione riguardo a Chopin ed alle sue cosiddette “ballate strumentali”, nel tentativo legittimo e scoperto di comprendere maggiormente l’intenso approccio individualistico del grande pianista alla sua musica, ora che per lei, penso io, la tastiera si è fatta quasi soltanto fraseggio e dialogo rispetto alle timbriche e alle sonorità degli altri suonatori di differenti strumenti con cui adesso si intrattiene. Mi ha portato un ritaglio di giornale, dove si parla in termini favorevoli della recente serata di musica tenuta dalla formazione jazz - di cui la Neri fa parte - in un piccolo locale della città. Ho letto con curiosità quelle parole giornalistiche, ed anche se alcuni termini devo dire mi sfuggono, per il resto sono molto contento che questa ragazza, pur non lasciando lo studio classico del pianoforte, abbia trovato la forma che meglio si adatta alle proprie esigenze espressive. Naturalmente non ho mostrato con lei quasi nessun apprezzamento per questo percorso intrapreso, limitandomi soltanto ragionevolmente a prenderne atto.

            Adesso però sorseggio una tisana calda che mi ha servito la mia fedele Clara, e rifletto meglio sul percorso musicale di questa ragazza, così legato alla sua personalità decisa, combattiva, forte, come se le sue scelte fossero sempre delle vere e proprie sfide. La sua presenza mostra spesso però anche una certa timidezza, ed il suo essere particolarmente schiva, in qualche caso, la fa sembrare quasi poco sociale. Comunque, la signorina Neri ha imparato rapidamente molte cose intorno al pianoforte, ed oltre a possedere nelle mani oramai una tecnica eccellente, ha messo bene a frutto le idee nella sua testa, per capire in fretta quale fosse la propria strada da intraprendere. Non voglio essere un vecchio parruccone legato ai soliti, medesimi percorsi, ed anche se per me la musica rimane quella che ho suonato ed insegnato per decenni, però comprendo bene come i tempi che viviamo adesso abbiano proposto, nel corso specialmente degli ultimi periodi, alcuni modelli che neanche io posso spingermi del tutto ad ignorare.

            L’allargamento, durante tutto il periodo romantico, dell’area tonale della musica, fino all’estremo utilizzo, oltre alla selva in pentagramma di diesis e di bemolle, delle stridenti dissonanze, ed anche poi di quegli accordi che rendono il percorso armonico del tutto imprevedibile, ha fatto in modo che la forma si identificasse sempre di più con l’individualismo più sfrenato, con il sentimento, con la personalità stessa dell’autore. Questa ragazza adesso, con il suo piccolo bagaglio di libertà, è esattamente questo che cerca di minare nelle fondamenta, togliendo qualsiasi importanza agli elementi psicologici trasformati in dei fantasmi artistici dai grandi autori del passato, figure proprio come lo stesso Chopin. La musica, secondo lei, ha senso solo nel dialogo strumentale che si riesce a sviluppare, sembra affermare quando pur affronta certe partiture. Meglio ancora quando, partendo magari da una base, si improvvisano dei temi estemporanei colmando reciprocamente con gli altri musicisti i vuoti delle frasi, e stimolando in tutti continue invenzioni sonore. Ecco, questo è l’elemento originale portato avanti da qualcuno, e tutto ciò viene sviluppato anche da questa ragazzina, senza affatto disconoscere però i principi fondanti della musica seria.

            Non so, resto perplesso, non so cosa pensare: la musica deve mostrarsi specchio della realtà, in qualche maniera, questo è certo. Però devo anche rendermi conto che non è questo un processo semplice, tanto che il materiale sonoro che deriva da certi principi, non è affatto popolare, e se non fosse apprezzato da una cerchia seppur ristretta di affezionati a questo genere, sarebbe destinato rapidamente all’oblio, e ad una totale indifferenza generale del pubblico. Forse tutto ciò è soltanto frutto di questi anni, in cui si vive spesso solo per opposizioni, e ad ogni certezza se ne pone subito un'altra, magari neutralizzando in questo modo qualsiasi possibile risultato. Anche la musica jazz ha un’origine confusa, e dei trascorsi a dir poco complessi, tanto che non sembra si sappia neanche più in quale modo identificarla. Così guardo ancora il sole che tramonta, sopra le case: ci saranno nuovi sviluppi, penso, mentre sento il correre rapido del tempo; devo ormai accogliere l’idea che la musica che ho amato e suonato fino alla vecchiaia, sarà d’ora in avanti soltanto quella del passato, cristallizzata così all’interno della sua epoca; il resto però, voglio pensare forse per comodità, deve essere ancora tutto da inventare.

 

            Bruno Magnolfi

 

martedì 7 dicembre 2021

Sonni tranquilli.


            Oggi sono tornato nella casa di mia madre, dopo aver trascorso diversi giorni da un amico che fortunatamente mi ha potuto ospitare, inventando con lui delle scuse per tenermi lontano dalle domande e da qualche possibile problema. Lei per telefono mi è sembrata la medesima di sempre, mi ha chiesto soltanto quando mi sarei rifatto vivo, ed io le ho detto semplicemente che stasera, al suo ritorno dal lavoro, forse mi avrebbe trovato nella mia stanzetta. Credo che tutto oramai si sia risolto, e che Franca, come le avevo chiesto, non abbia fatto il mio nome con nessuno. La mia uscita da cretino, probabilmente, deve essere passata solo come uno scherzo di cattivo gusto e basta, su cui nessuno d’ora in avanti vorrà tornare sopra. Posso starmene tranquillo, penso, e riprendere con le mie cose di sempre. Anzi, devo dimenticare alla svelta questa brutta pagina di cui dovrei ancora vergognarmi, e riprendere subito con le mia vita normale. Prendo così la mia utilitaria e vado a parcheggiare poco lontano. Poi tiro fuori le chiavi ed entro dal portone condominiale, salendo subito, ma senza fretta, le svariate rampe di scale. In casa mi appare tutto identico, così accendo la televisione e mi sistemo sulla solita vecchia poltrona. Prendo una birra dal frigo e resto in attesa.

            Quando torna mia madre sembra la solita, appoggia le sue cose, toglie la giacca, si infila scarpe comode. Poi viene verso di me, e con tutta calma, e a bassa voce, dice soltanto: <<come hai potuto solo pensarla una cosa di quel genere>>. Per me è uno schiaffo sul viso: non so cosa rispondere, balbetto qualcosa, non mi aspettavo, certo, che lei fosse riuscita a sapere ogni cosa; così mi chiedo come sia stato possibile, mi tiro su in piedi, ma sono molto confuso, cerco di reagire anche se non ci riesco. Poi mi stringo le braccia, non so dove guardare, scoppio a piangere; lei prosegue ad osservarmi, ed io, in questo momento, quel suo giudizio severo quasi non riesco a sopportarlo: <<ho sbagliato>>, dico in fretta; poi però vorrei sparire, non essere mai tornato a casa. <<Sono stato uno stupido>>, le dico ancora, non so neppure adesso per quale motivo; <<soltanto dopo però, me ne sono davvero reso conto>>. Lei va in bagno, e a me per un momento resta il dubbio su come sia riuscita a sapere tutto quanto, ma in considerazione della calma dimostrata, e anche di tutto il resto, forse ci è arrivata da sola, senza che nessuno le abbia suggerito il mio nome.

            Sono stato persino prevedibile, penso mentre tengo ancora la faccia tra le mani. Un clamoroso errore, una pensata idiota, un gesto ignobile che adesso dovrò pagare, in qualche modo. Lei esce dal bagno e va a sistemare qualcosa dentro la cucina, poi gira per casa in silenzio, come se io non fossi presente; perché è certo, non ha bisogno di altre parole, quello che doveva sapere ora le è apparso perfettamente chiaro, confessato da me appena in un attimo, ed io adesso posso soltanto mettermi in un angolo e cercare di non dare più alcun disturbo. Domani mi darò una bella ripulita, penso; mi metterò i vestiti migliori, troverò un’espressione seria e affidabile, ed andrò con pazienza a cercarmi subito un lavoro, qualcosa che possa durare almeno qualche mese. In fondo ho un po’ d’esperienza, e di camerieri nei ristoranti hanno sempre un gran bisogno. Si tratta di abbassare il più possibile la testa, ed accettare tutte le condizioni che mi verranno poste, nient’altro. <<Stai tranquilla mamma>>, dico tra me, <<non ti darò più preoccupazioni>>.

            Non so proprio cos’altro fare: vorrei dirle che adesso è tutto alle spalle, che farò tutto quello che serve per essere migliore; poi lei sibila qualcosa passando: <<buonanotte>>, dice, e si rinchiude in camera sua, anche se è ancora presto. Resto a guardare qualcosa alla televisione, infine spengo tutto e vado a coricarmi nella mia cameretta. Devo tirare fuori il meglio possibile da dentro di me, penso. Devo dimostrare che sono un uomo, una persona che riesce a distinguere adeguatamente il bene dal male. Per tanti anni fino ad oggi mia mamma ha dimostrato la sua tempra, le sue capacità; devo seguire le sue orme adesso, tocca a me trovare la strada migliore, quella che in tutti questi anni lei mi ha indicato, quella che forse fin’ora ho soltanto finto di voler intraprendere. <<Si fa sul serio adesso, mamma>>, dico ancora tra me; <<puoi dormire tranquilla>>.

 

            Bruno Magnolfi

sabato 27 novembre 2021

Istinto da evitare.


            Sto già nella mia cameretta, a sistemare le ultime cose per domani, avanti di coricarmi, e riguardo distrattamente un piccolo disegno a matita che ho fatto ieri, tra un servizio e l’altro, in questa villa dove svolgo praticamente l’attività di tuttofare. I coniugi Neri probabilmente si trovano nella loro camera da letto, vista l’ora, proprio dalla parte opposta della villa, e qui da me non giungono rumori. Invece è proprio la signora che arriva di corsa trafelata a chiamarmi, a un certo punto: <<Caterina, per favore, vieni subito>>, mi fa. Infilo le scarpe alla svelta e le vado dietro lungo il corridoio. Il signor Carlo è lì, nell’ingresso, con il telefono in mano, che sembra quasi pazzo mentre cerca di assumere un contegno, o trovare una soluzione a qualcosa, non saprei.  <<Ma che succede>>, chiedo sottovoce alla signora, senza comprendere niente dalla scena. <<Stai con noi>>, fa la signora sul punto di piangere, <<magari ci sarà bisogno di te fra non molto>>. Suonano da fuori, vedo dei lampeggianti, aziono il cancello automatico in fondo al vialetto, dopo che il signor Carlo mi ha chiesto di far entrare subito all’interno di casa le forze della Polizia. Giungono dentro la villa in tre, e rivolgono ai Neri una fila di domande, ma non sembrano affannati, anzi: cercano di riflettere, di comprendere qualcosa che non appare neanche a loro del tutto chiaro. Sembra sia giunta una telefonata di qualcuno che sta tenendo in ostaggio la signorina Franca, ma a me sembra quasi uno scherzo, stento perfino a crederci. Loro prendono degli appunti, installano subito delle apparecchiature elettroniche sul tavolo del salone, e intanto si tengono in contatto con la centrale o con qualcuno che è rimasto fuori sul loro mezzo, con certe altre attrezzature tecniche.

            Non si sa bene cosa si stia aspettando, trascorrono dei minuti tesissimi, ma uno di loro dice ad un tratto che il cellulare pur spento della ragazza è localizzato molto vicino, e addirittura in avvicinamento. Non passa molto che giunge in fretta dal cancello della villa uno dei poliziotti rimasti fuori, proprio insieme a Franca, seria e pallida, ma assolutamente in piena salute. La signora Carla perde ogni controllo e si lancia immediatamente ad abbracciarla mentre piange e trema senza alcun ritegno, ma anche il signor Carlo non riesce ad essere particolarmente razionale. Franca viene fatta sedere, dichiara di stare benissimo e che è stato soltanto uno stupido scherzo di un ragazzo mezzo ubriaco di cui adesso non ricorda neppure il nome. Le vengono rivolte ancora alcune domande da parte dei poliziotti, ma poco dopo, vista la loro inutilità nel trattenersi ancora, riprendono rapidamente tutte le strumentazioni e se ne vanno, riservandosi di interrogarla meglio domani mattina nella sede del Comando. Preparo subito una tisana rilassante per tutti quanti, e i signori Neri adesso sembrano ad ogni attimo come sul punto di ridere per niente, o di parlare sguaiatamente a voce alta, quasi gridando, nel tentativo forse di placare la paura che si sono presi.

            La signorina Franca invece sembra non avere neppure troppa voglia di star qui: dice soltanto che l’esibizione del suo gruppo di jazz, in quel locale dove suonavano stasera, è andata molto bene, anche se purtroppo le è stata rovinata la soddisfazione da questo scherzo idiota. Suo padre le tiene una mano e la guarda senza riuscire più a staccare gli occhi dal suo viso, e sembra come poco fa una persona del tutto diversa da quella che conosco. Poi dice che per lui quelle telefonate sono state terribili, e che in un attimo ha sentito di perdere tutte le certezze su cui ha sempre fatto forza. <<Devi essere più accorta>>, dice alla figlia, <<e imparare a diffidare delle persone che non conosci bene>>. Franca annuisce, ha lo sguardo a terra, ma non sembra troppo abbattuta, piuttosto è come se stesse facendosi più adulta al’improvviso, direttamente sotto gli occhi di questi suoi spauriti genitori. Quindi tutti a letto, è persino troppo tardi, un buon sonno farà soltanto bene.

            Metto a posto le cose, porto le tazze sporche in cucina, riordino le sedie smosse, poi mi ritiro anche io nella mia cameretta. Negli occhi però conservo quelle espressioni spaventate che ho visto questa sera: potrebbero essere i soggetti giusti per un bel disegno, penso, o anche più di uno; qualcosa da iniziare subito, immediatamente. O magari no, rifletto meglio: perché prima deve forse trascorrere almeno un po’ di tempo, in modo da far acquisire, a questi miei pensieri di adesso, una posatezza che adesso non ho, e in maniera che siano capaci di perdere la carica di un segno troppo affrettato. Sarebbero soltanto dei frutti acerbi, altrimenti; persino troppo istintivi.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 22 novembre 2021

Senza una briciola di saggezza.


            E’ fatta la frittata. Proprio adesso, ora che mi sono giocato tutto e ho perso. Non posso neppure tornare a casa, almeno fino a quando non capirò quali siano i risultati, lì pronti ad aspettarmi. Devo dormire nella mia macchina, evitare luoghi conosciuti, sparire agli occhi di chiunque, e poi attendere. Attendere un segno, un gesto, un risultato. Sono nelle mani e nelle parole di una ragazzetta, che può fregarmi tutto, oppure può salvarmi, senza che io sappia minimamente cosa farà. Era spaventata, lo so, comprendo il suo stato, e appena rientrata in casa forse ha sibilato subito il mio nome; oppure no. Suo padre avrà voluto sapere ogni dettaglio, le avrà estorto sicuramente tutti i particolari, abituato com’è a conoscere tutto quello che succede; oppure no. Resisti Franca, penso; non dirgli niente delle mie stupidaggini, non fare il mio nome, inventa qualcosa: un amico ubriaco, uno scherzo scemo, una sciocchezza senza conseguenze; oppure no.

            Non lo so; il mio è un delirio. Volevo stare vicino a questa ragazzetta, capire tutto di lei, come se fosse chissà chi, come se tra le note del suo pianoforte ci fosse stato fin dall’inizio il mio destino, come se lei fosse lì per aver compreso tutto anche di me e di ogni altra cosa, come se potesse lei spiegarmi, farmi capire, dirmi, proprio lei, quali scelte compiere. E poi non ho più resistito, e allora: <<Franca>>, le ho detto; <<passa attraverso di te il mio futuro; e il mio riscatto di persona destinata al niente; di uno stupido, proiettato in mezzo a tutti come un numero. Tu che hai la testa e anche tante altre possibilità, fai uno sforzo adesso, porgimi una mano>>. Sembrava facile, e invece era soltanto un trabocchetto, l’avvisaglia di una scorciatoia falsa, impossibile, soltanto assurda. Mi sono fermato, <<questo adesso lo devi almeno riconoscere>>, perché mi sono reso conto d’improvviso che la mia scorciatoia avrebbe soltanto fatto male a tutti.

            Adesso puoi inventarti un pezzo nuovo sul tuo pianoforte, magari con dei suoni lenti, dolci, armoniosi, che mostrano la vertigine di una mente disgraziata come la mia, che normalmente porta tutto fuori strada, senza volersi abbassare al suo destino innato. Lentamente, si perde ogni razionalità, si vaga per un cammino di cui non si comprende neppure il senso, e ci si perde, perché non si può far altro. Forse era già prevista un’interruzione brusca tra il nostro tentare di conoscersi, perché il corto circuito tra ragazzi così diversi come siamo noi, arriva rapido, senza che neppure lo vogliamo. Adesso puoi semplicemente rovinarmi, e far mettere alla porta anche mia madre, che lavora a casa tua da tanti anni. Non so neppure con chi io stia parlando, forse con me stesso, per mettere in fila tutti i miei guai. Perché con Franca non potrò più parlare, questo almeno appare chiaro. Non potrò più neppure avvicinarla, qualsiasi cosa accada. 

            Per un attimo, giusto poco fa, mi sono sentito quasi un guerriero, insieme a lei al mio fianco, come se la vittima potesse stare dalla parte del carnefice. Mesi e anni trascorsi a costruire qualcosa che serva nel futuro, e poi azzerare di colpo ogni futuro, questo ciò che si è verificato. Ho creduto per un attimo nel riscatto di tutto questo tempo dentro un gesto solo, e nel massimo del gesto sono caduto, forse per il mio stesso orgoglio. Chissà come doveva andare tutta la faccenda dentro la mia testa, adesso non riesco più neppure a stabilirlo. Ma so soltanto che da forte come mi sentivo, ho raggiunto in quell’attimo il massimo possibile della debolezza, consegnando me stesso nelle mani di questa ragazza, che forse ha semplicemente scambiato con me qualche parola qualche volta, e magari anche soltanto per pena o cortesia, considerata la diversità profonda che ci ha sempre separato. Sono nelle sue mani, comunque, e mi ci sono messo da solo.

            Chiudere gli occhi, e far trascorrere in un attimo tutto il tempo che mi serve per diventare un altro, per modificare la struttura di tutti i miei pensieri, e togliere da dentro di me quel dolore che a volte provo per non riuscire ad essere pacato, serio, senza quei colpi di testa che mi caratterizzano. Vorrei essere un anziano, adesso, uno di quelli che girano osservando con attenzione tutto il mondo, e poi portare con me, proprio come loro, quella piccola saggezza che mi manca, quel senso delle cose giuste, fatte bene, che non mi faccia mai restare nella bocca l’amarezza che ho provato già in certe situazioni; la stessa che, in questo momento, sembra quasi il sapore vero della mia esistenza.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 18 novembre 2021

Rapita e liberata.

 

            Adesso che lei è qui, accanto a me, proprio dentro la mia macchina, continuano a venirmi in mente una gran quantità di pensieri assurdi, insieme a certe idee addirittura malsane, insensate, e poi perfino a dei guizzi rapidissimi di pura pazzia. Naturalmente cerco di scacciare velocemente dalla mia testa tutte queste scariche di adrenalina, ma loro sembrano prenderla d’assalto, e poi la circondano, la riempiono, la paralizzano quasi, e a me non permettono neanche di riflettere nient’altro. Guido nervosamente l'utilitaria attraverso la città, lei ha già chiesto qualcosa sulla musica che tutti abbiamo ascoltato nel locale, forse soltanto per parlare un po’, ed io le ho risposto con parole isolate, frammentarie, come fossi fortemente concentrato su altri argomenti. Invece mi è piaciuto molto tutto il concerto di stasera, soprattutto l’incredibile capacità che ha mostrato Franca nello stare concentrata su quel suo pianoforte, ed infilare un suono dietro l'altro come se non avesse mai fatto altro che jazz in tutta la sua esistenza. L'ho amata mentre suonava, ho sentito di riuscire a respirare la medesima aria sua, come per una immedesimazione diretta in lei, nel suo talento, nel suo plasmare i suoi suoni, con quella incredibile sensibilità così reattiva nei confronti degli altri ragazzi del suo gruppo. Ma non posso dirle tutto questo, non troverei neppure le parole adatte, e poi devo essere freddo adesso, come se lei fosse per me una persona quasi del tutto estranea.

            Svolto rapidamente verso la periferia mentre guido, e Franca si accorge immediatamente che non siamo sulla direzione giusta, però non dice niente, lascia che sia io casomai a spiegarle tutto, perché è evidente che dovrò darle a un certo punto almeno una giustificazione di quello che sto facendo. Accelero, sono nervoso, lei si accorge benissimo del mio stato alterato, così mi chiede sottovoce, ma quasi con indifferenza, verso dove ci stiamo dirigendo, anche se io non le rispondo subito, e attendo ancora un po’, come per guadagnare tempo. Infine ci lasciamo alle spalle le ultime case di città con i lampioni stradali fiochi e radi, e dopo qualche altro metro, vado a fermare la mia macchina vicino ad un distributore automatico di benzina, dove c’è abbastanza luce, ma non si vede in giro anima viva. <<Devo rapirti>>, sbotto senza guardarla mentre spengo il motore. Lei ride nervosamente. <<Stai scherzando>>, mi dice. Le getto un’occhiata: <<purtroppo non ho scelta>>, le faccio; <<tu rappresenti tutto ciò che io non sono; quindi devo osservarti, studiarti, capire molte cose di te; e poi farmi dare un bel po' di quattrini dalla tua famiglia>>.

            <<Sono stanchissima>>, fa lei; <<dai, per favore, portami a casa>>. Io intanto scendo dalla macchina, rapidamente prendo il suo zaino dal sedile e ne tiro fuori il cellulare. Compongo il numero, e camuffando la mia voce dico in fretta a chi risponde che Franca sta bene, ma non può tornare a casa. Poi riaggancio. <<Ti stai rovinando>>, dice Franca conservando una calma che adesso mi colpisce. <<Ti prenderanno subito, non potrai mai riuscire in una cosa di questo genere>>. <<Zitta>>, dico a voce alta mentre cerco di riflettere su quale sia il prossimo passo. Ci vorrà mezzo milione, penso, si potrebbe fare tutto in fretta, e già per domani ogni cosa tornerà al proprio posto. Lascio partire una seconda telefonata verso lo stesso numero, e adesso mi risponde il padre di Franca, lo riconosco subito, così dico alla svelta che deve mettere insieme la cifra che ho pensato, il prima possibile, avanti che a Franca succeda qualcosa di spiacevole. <<E nessuno provi a chiamare la polizia>>, sottolineo svelto; <<altrimenti succederà l’irreversibile>>. Poi riattacco.

            Franca adesso è spaventata, ha capito benissimo che faccio sul serio, che il meccanismo ormai è scattato, e che non posso più tornare indietro. Piagnucola tenendosi la faccia con le mani, e a me dispiace molto vederla così, mi piacerebbe quasi dirle che era uno scherzo, che è tutto a posto, che adesso può smetterla di piangere. Sono spaventato, non so neppure io cosa sia meglio fare, mi sento in una posizione in cui ogni scelta si fa più complicata. Per un attimo avevo pensato che le cose si sarebbero dipanate con facilità, come per una serie di suggerimenti concatenati l’uno all’altro, ma non è vero. Rientro in macchina, avvio il motore, e a tutta velocità arrivo fino alla villa dove abitano i genitori di Franca. Mi fermo a quasi cento metri, le dico di scendere, e che sia lei ad inventare qualcosa di plausibile, che non faccia troppo male a nessuno di noi. Franca prende lo zaino, il cellulare, la custodia con la sua tastiera; poi scappa verso casa sua.

 

            Bruno Magnolfi         

martedì 16 novembre 2021

Pronta a difendere tutto.


            Il mare era tranquillo quel giorno; un vento leggero di bonaccia sonnacchiosa sembrava essere stato capace, durante la notte, di calmare poco per volta qualsiasi moto ondoso, lasciando in quella mattinata di sole la superficie dell’acqua come una tavola azzurra, una distesa aperta e leggera, soltanto una dolce massa trasparente e rinfrescante per gli occhi. La fotografia che ho tra le mani risale a diversi anni più indietro, ora mi ricordo esattamente il momento: ero con Franca, in una di quelle giornate autunnali piene di luce, quando in spiaggia non ci va più quasi nessuno, e noi due a quell’epoca ci eravamo regalate due giornate per noi, un fine settimana senza pensieri, lontane da tutto, sistemate in una pensione ancora aperta lungo quel litorale. Camminavamo senza scopo sulla battigia, si rideva di sciocchezze, lei era ancora la mia bambina, forse l’ultima volta che mi è sembrata davvero così, e a me giungeva dal largo del mare l’impressione di essere davvero felice, spensierata, senza il tormento di alcuna preoccupazione. <<Mamma>>, diceva Franca correndo sopra la sabbia, <<è tutto così bello oggi; vorrei non cambiasse mai nulla>>. Le sorridevo, la prendevo per mano, poi andavamo a sederci accanto ad una barca capovolta. Osservo ancora quella foto semplice, scattata da un signore con il suo cagnolino, incontrato per caso, e provo lo struggimento di qualcosa che in seguito è quasi sfuggito ai miei desideri.

            Forse mi aveva già avvertito qualcuno, dicendo che la crescita inesorabile di Franca avrebbe scatenato in me un progressivo senso di solitudine, ma non avevo immaginato fosse davvero possibile, o almeno non con quella forza che in seguito si è dimostrata. Lo so, sono le sue scelte, anche quel prendere le distanze da ciò che la sua famiglia le rappresenta, l’imparare a camminare da sola, senza più alcun sostegno, in assenza dei troppi legami che renderebbero in seguito tutto ancora più difficile. Però è doloroso osservarla sganciarsi poco per volta dai suoi genitori senza poter fare nulla per evitare questo passaggio. Con questi pensieri riguardo ancora un momento la foto, ed infine la vado a riporre insieme alle mie cose, in mezzo alla nostalgia che sempre mi procurano i miei più intensi ricordi. Per certi versi sono stata proprio io ad incoraggiarla nel perseguire a fondo i propri interessi, come qualcosa per cui valga la pena combattere, e Franca ha fatto esattamente così, nonostante suo padre non avesse mai evitato di mostrarle le sue reticenze.

            Riconosco che lei ha avuto fin da piccola una sua forte personalità, ed anche se a me piacerebbe oggi poterla ancora guardare in una certa maniera, mi devo convincere che oramai Franca è una donna, una persona che ha compreso perfettamente i meccanismi maggiori che regolano la realtà, ed io non ho da raccontarle quasi più nulla per indirizzare di nuovo i suoi desideri, come fosse ancora bambina. Devo accettare quindi, non posso fare altro. Il problema è suo padre. Carlo mi ha già spiegato varie volte di non essere troppo contento dell'andamento che hanno preso le cose, ma con lei per adesso si è limitato a sbuffare qualche volta e niente di più; però io avverto che nell'aria si stanno addensando le nuvole classiche di un gran temporale, uno di quelli che in un attimo ti bagna interamente di pioggia e di vento, nonostante l'ombrello. Ho cercato già di mediare, naturalmente, ma tutto ciò che posso fare capisco benissimo che non sarà mai sufficiente ad evitare lo scontro. Non riesco a far fronte in una maniera adeguata alle cose che vedo, questo è il punto; perciò tendo sempre di più a darmi forza per mezzo dei sentimenti che già conosco, quelli che riguardano il passato della mia famiglia, come per farmi schermo verso quanto forse ci aspetta.

            Franca poi non mi racconta quasi più niente di quello che fa quando esce da casa. Si reca al liceo, poi al Conservatorio, e anche dal maestro Bottai qualche volta; ma poi fa le prove con questo gruppo di jazz, come fosse una pianista già navigata, una musicista piena di capacità e d’esperienza. Ci si è buttata in mezzo a questa faccenda, come fosse la sua vera strada, ed io non so più dirle niente, non riesco neanche a chiederle qualcosa a riguardo. Trascorre molto tempo fuori dalla nostra abitazione, e Carlo ha già cominciato col dire che sta tralasciando i suoi studi liceali, che ha preso una strada sbagliata, che è necessario farla riflettere. Non lo so, non mi aspetto niente di buono prossimamente; in ogni caso Franca è mia figlia, ed io sarò sempre pronta a difenderla.

 

            Bruno Magnolfi  

venerdì 5 novembre 2021

Piccole soddisfazioni.


            Giro la mano che la sorregge, osservo con occhio clinico la lucentezza e i riflessi del metallo, quindi decido di dare a tutta la superficie un’altra passata col panno imbevuto di crema, almeno nei punti più in vista. Lucidare la tromba è diventata per me un’ossessione, nonostante certe volte sia molto attratto dal lasciare lo strumento alla sua natura opaca, sporca, vissuta, come fosse costituita soltanto di suono, e non di materia. Ma in me c’è anche il desiderio di tirar fuori, sempre e comunque, la sua voce migliore possibile, quel timbro caratteristico che cerco di mettere a punto in solitudine e con grande pazienza, adattando in varie maniere il mio labbro all’imboccatura, sperimentando con calma le diverse impostazioni, come le dita sui pistoni, e mettendomi alla ricerca delle vibrazioni che magari mi sembrano ogni volta quelle più adatte. Suono la tromba quasi sempre con una sordina leggera ben innestata, gustando appieno la risonanza di tutto il suo corpo, e comunque, quello che non mi piace per niente del mio strumento, resta proprio la sua natura squillante, per cui sono cosciente di soffiare dentro al canneggio quasi cavalcando un reale controsenso, nello sviluppare cioè la sua preziosa capacità di essere anche morbida, soffusa, persino delicata. Comunque posso tentare da solo qualsiasi esperimento, ma quando mi ritrovo in sala prove a fare musica insieme agli altri ragazzi, tutto improvvisamente mi appare diverso.

            Perché la propria personalità sullo strumento da sola non basta, non riesce a mostrare la confluenza di idee e di pensieri che è necessaria per raggiungere la fusione di tutti gli intenti in uno stesso manufatto sonoro. Noi suoniamo del jazz attuale portato all'estremo, una sorta di dialogo musicale complesso, senza uso di suoni elettronici, adoperando per ogni brano qualche manciata di regole armoniche le più varie, in certi casi anche adottate da epoche diverse dalla nostra, che poi seguiamo e rispettiamo, tentando però in varie maniere di superarle, sempre in un'alternanza continua di spinta verso un possibile limite. L'introduzione del pianoforte, come strumento centrale e principe della musica occidentale, all'interno della nostra formazione, forse era già nell'aria da qualche tempo, ma nessuno di noi sapeva bene come riuscire a collocarlo adeguatamente tra le nostre sonorità. Poi è arrivata Franca, e in un attimo ha risolto ogni dubbio. Lorenzo crede ancora di essere stato lui a presentarci questa brava pianista dagli studi classici, ma non è del tutto vero. Il fatto è che inconsapevolmente ne sentivamo tutti la mancanza, perché era come se non avessimo ancora il perno esatto attorno a cui far ruotare tutto il resto.

Naturalmente non sapevamo bene come avremmo reagito individualmente noi del gruppo, così come non era scontato che una ragazza sensibile e anche attenta come lei potesse davvero inserirsi adeguatamente in questa formazione. Ma già i primi risultati sono apparsi ottimi, ed anche le registrazioni che abbiamo fatto in sala prove per analizzare in seguito l’ascolto dei materiali, lo ha dimostrato ampiamente. Lo sforzo più grande a cui siamo chiamati adesso è quello di superare la spinta individualistica di ogni componente, e di piegare i suoni e i fraseggi di ciascuno verso un risultato ancora più collettivo. Franca ha compreso al volo la nostra filosofia, e l’ha subito abbracciata appieno, rivestendo benissimo il ruolo che dagli inizi le avevamo richiesto.

Lorenzo la guarda con degli occhi particolari qualche volta. Si nota che è attratto da lei, dal suo padroneggiare quella tastiera, dalle sue conoscenze musicali, ma anche da quei modi eleganti e pacati, da persona che ama stare in disparte, tirando fuori comunque un proprio notevole temperamento appena iniziamo a suonare. A me personalmente, e devo dire anche agli altri ragazzi, non interessa poi molto se quei due intrattengono tra loro una relazione speciale oppure no, considerato che sono anche compagni di classe all’ultimo anno del liceo; a me basta che siano sempre così seri e determinati quando vengono a suonare con il nostro gruppo, anche perché, se non sbaglio, la formazione così composta come risulta adesso, potrebbe attirare un discreto interesse e una forte curiosità al momento di portare la nostra musica in qualche locale cittadino. Qualcuno ci noterà nei prossimi tempi, ne sono praticamente sicuro; e questo senza dubbio sarà per tutti noi il motivo più saliente di una grande soddisfazione.

 

Bruno Magnolfi      

mercoledì 3 novembre 2021

Nervi saldi, possibilmente.

         

            Va persino troppo bene, almeno per il momento, penso. I ragazzi hanno accolto Franca in una maniera quasi entusiastica nel nostro gruppo, e a dire la verità le sonorità e l'importanza basilare di un pianoforte in una formazione come quella di cui sono soltanto il batterista, ha quasi rivoluzionato davvero la maniera che fino a questo momento avevamo noi di fare musica. Però non mi aspetto che vadano avanti sempre così le nostre cose: prima o dopo qualcuno punterà il suo dito proprio su di me per incolparmi di aver portato un elemento destabilizzante tra di noi, e di questo poco per volta me ne sono praticamente convinto. Perché è evidente che se non troviamo la maniera migliore per darsi un energico sostegno l'un l'altro, e di mostrare la massima solidarietà tra di noi, soprattutto scegliendo più saggiamente i propri spazi sonori, qualche volta capiterà che uno o due tra di noi si sentirà praticamente giustificato a tirare fuori qualche gelosia in merito al proprio strumento, dando corda alla sensazione inevitabile di apparire un po’ in secondo piano rispetto al tempo trascorso, quando suonavamo soltanto in quattro: una reazione che potrà anche farsi seria se non riusciamo subito a tenerla sotto controllo. Questo penso.

            Credo peraltro di essermi messo in una situazione piuttosto difficile caldeggiando l’ingresso di Franca nel gruppo, e purtroppo soltanto adesso inizio a rendermene conto del tutto. Lei comunque è serena come non l’ho neppure mai vista da quando ho iniziato a conoscerla, e probabilmente si tirerà subito da parte se solo riesce ad intuire il suo possibile intralcio al percorso del gruppo, anche se sa perfettamente di non esserne causa diretta. E poi può darsi pure che superato il primo momento di entusiasmo per suonare davanti ad un pubblico di attenti ascoltatori, sia forse capace di mostrarsi meno partecipe delle nostre prove e dei nostri appuntamenti, considerato soprattutto anche gli impegni che sicuramente avrà nel futuro per seguire adeguatamente il suo percorso di studente del Conservatorio. A me piacciono sempre di più, sia il suo modo di fare, sia il carattere che mostra; e poi la grinta che tira fuori, la sua generale maniera d'essere, il suo inedito sorriso di adesso; ma anche di questo sono costretto a conservare in me una certa segretezza, per non apparire di parte in ogni scelta che adotto. Penso poi che anche a scuola le cose tra noi evidenziano la necessità di restare il più possibile riservate, soprattutto nei confronti dei nostri compagni di classe, specialmente i più impiccioni, che non cessano mai di porre delle domande spesso insidiose. Poi naturalmente c'è la nostra insegnante di letteratura, la cara signora Sarti, sensibile e attenta, che non ha mai sottaciuto, devo dire, la sua simpatia per il nostro banco scolastico, mio e di Franca, pur restando sempre imparziale nei suoi giudizi su tutti noi.

            Insomma, credo che la situazione si sia fatta piuttosto complessa, penso. Ma forse è proprio questo esattamente il momento di tenere il più duro possibile sulle nostre decisioni. Certo, personalmente vorrei essere più libero di manifestare i miei apprezzamenti, e forse mi dispiaccio parecchio di non poter esporre i sentimenti che provo, però poteva essere immaginabile fin dall’inizio che si evolvesse tutto in una situazione del genere, anche se per me non c’era altra strada per esaltare la vicinanza con Franca, almeno penso. Oggi la osservo mentre siamo in classe, al liceo, nascosto dietro ai miei occhiali da lettura, e mi sembra d’improvviso la persona che più desidero, quella per cui sono disposto a mettere in gioco quasi tutto, persino la mia batteria. Poi ci ritroviamo di nuovo con i ragazzi in sala prove, e allora devo ascoltare la musica che suoniamo con il distacco che serve, fino a sbottare e a prendermela proprio con lei, anche più del dovuto, quando mi sembra che il suo accordo arrivi in ritardo sulla battuta, oppure che il suo pianoforte imposti quasi una gara con le mie percussioni. Devo tenere i nervi saldi, penso allora. Mostrare tutta la capacità di stare dalla parte migliore, quella che non si lascia mai prendere dalle emozioni gratuite. Ma non è facile, lo ammetto, e non so proprio per quanto tempo potrà durare in questa maniera.

 

            Bruno Magnolfi   

         

lunedì 1 novembre 2021

Incolmabile distanza.


Mio padre fino a questo momento si è mostrato completamente indifferente alle mie attività musicali. Persino il fatto che io sia riuscita a superare l'esame di ammissione al Conservatorio, almeno per ciò che ha fatto vedere, non gli ha provocato alcuna reazione; che poi mi sia addirittura inserita in un gruppo di jazz, e con quello tenti prossimamente di suonare in qualche locale cittadino, forse gli ha suscitato addirittura un senso di silenziosa ripulsa, mescolando insieme in questo sentimento tutte quante le mie attività di pianista. Non ha importanza, già mi aspettavo qualcosa del genere, in ogni caso non voglio farmi influenzare dai suoi sottaciuti giudizi, né in un senso e neppure nell'altro. Porto avanti le cose che mi interessano, perseguo ciò che credo importante, senza tralasciare naturalmente tutto il resto. Ieri ho incontrato di nuovo Simone, il figlio della nostra cuoca, e mi è sembrato abbattuto, come se le cose non gli andassero bene. Non gli ho fatto nessuna domanda diretta, comunque, e lui non ha cercato di spiegare niente di sé. L'ho invitato al jazz club però, spiegandogli che finalmente avrei suonato là dentro col mio gruppo, giusto il prossimo venerdì. Mi è parso interessato, ha detto persino che forse ci sarà.

Anche a mia madre ho accennato che le prove col gruppo erano andate molto bene ultimamente, e che avendo ormai una buona decina di pezzi già pronti, eravamo stati invitati a suonare in un locale specializzato in musica dal vivo del nostro genere. Lei mi ha guardato senza riuscire sull'immediato a formulare un giudizio preciso; poi ha detto però che si sentiva orgogliosa delle mie scelte, e che sperava fossero proprio queste le cose in cui credevo davvero. Sono tornata nella mia stanza a provare qualcosa sul mio piano elettrico indossando le cuffie, ad improvvisare su qualche scala più difficoltosa, poi però ho smesso ed ho ripreso in mano i libri di testo del liceo. Con Lorenzo abbiamo deciso di cambiarci di banco, in maniera da non essere continuamente distratti dalla nostra voglia di parlare sempre di musica. Comunque non mi dispiace per niente sapere che lui sta adesso un paio di file dietro di me, che può vedermi quando gli pare, e magari immaginarmi ogni tanto mentre inseguo con degli accordi sulla tastiera quei difficoltosi tempi dispari della sua batteria mentale. Ci sentiamo molto più vicini adesso, devo dire, naturalmente grazie al fatto di suonare nello stesso gruppo di jazz, questo è il punto; e quindi per evitare che qualche insegnante più attento a certi dettagli iniziasse a prenderci di mira, abbiamo deciso di allontanarci, anche se solo su un piano squisitamente formale.

Mi sento bene, questa è il dato che ritengo più importante. Quando conosco adeguatamente le cose di cui si parla sono subito più sicura di me, e riesco così ad essere anche tranquilla. Le lezioni in Conservatorio sono già iniziate al pomeriggio, e almeno per il momento non mi sembra niente di difficile, anche se ho chiesto, nel caso manifestassi qualche problema, un aiuto da parte del maestro Bottai, che si è mostrato subito disponibile come sempre. Forse in tutto questo quadro, manca qualcosa di importante, ma per il momento non voglio pensarci, e lascio che le cose procedano come per conto proprio, dopo tutte le scelte che ho fatto. Quando sono vicina a Lorenzo mi sento quasi tremare: lo avverto, ogni volta che gli parlo, sempre più simile a me, come avessimo un canale speciale di comunicazione, e poi adoro la sua batteria, tramite lui mi pare addirittura che tutti i ragazzi che incontro siano improvvisamente migliori di come mi sembravano soltanto ieri. Lo ascolto chiacchierare ogni tanto, al cambio degli insegnanti, ma per me sembra quasi inutile con lui usare le parole ordinarie. Abbiamo un nostro linguaggio noi due, quella musica in cui fino ad oggi abbiamo mostrato di credere più che in tante altre cose.

Non so cosa potrà succedere nei prossimi tempi, ma oramai ho abbandonato l'idea di pensare al futuro, cercando di vivere il più possibile questo intenso presente. Resta mio padre, che attualmente sembra parlarmi, quando siamo a tavola, soltanto con dei monosillabi; ma non ha molta importanza: ho sempre sentito di essere molto diversa da lui, prima o dopo lo strappo più forte si sarebbe pur dovuto  manifestare. Non ritengo di fare niente di male: coltivo le mie scelte, cerco di dare corso alle cose in cui credo, penso che questo sia il massimo per le mie possibilità. Poi qualche volta osservo mia madre di nascosto: non posso certo essere come lei, rifletto; c'è una distanza formidabile tra noi, qualcosa che a me pare giusto si manifesti proprio in questo momento, quasi come un divario incolmabile.

 

Bruno Magnolfi


giovedì 28 ottobre 2021

Giornata ordinaria.


            Mi sento depressa, ultimamente. Però se anche ci rifletto con grande attenzione, non trovo dei motivi troppo evidenti per sentirmi esattamente così; piuttosto mi appaiono agli occhi tante piccole cose che un poco per volta sono riuscite a togliere molti dei miei sostegni umorali, contribuendo a questa mia vaga sofferenza. Perciò anche stamani esco da casa già malinconica, guidando da sola la macchina, anche se non ho proprio niente da fare a giro in città, se non svagare la mente. La signora Teresa mi chiede se sarò rientrata per l’ora di pranzo, ed io le dico di non preoccuparsi, che al limite quando torno mi arrangio da me con un piatto freddo. Forse è proprio questa stessa abitazione a farmi sentire a disagio: troppe stanze, la servitù che pare continuamente voler controllare tutto quanto, certe volte persino i pensieri. Carlo anche oggi non tornerà prima dell'ora di cena; e Franca, al rientro da scuola, consumerà qualcosa per pranzo in soli cinque minuti, senza neppure guardarsi attorno, per poi sparire come al solito nella sua stanza. Nessuno sembra aver bisogno di me, della mia presenza. Fintanto che mia figlia era piccola, sostanzialmente avevo un ruolo abbastanza preciso; adesso invece il mio compito è come svanito nell’aria, e Franca pare ormai una ragazza che sa prendere autonomamente le sue decisioni.

            Finita la giostra perciò, e posso andarmene a guardare le vetrine dei negozi del centro, dall’estetista, o ad incontrare qualche amica pettegola, tanto per riempire la mia giornata. Con mio marito le cose procedono come sempre, considerato che lui passa ogni minuto completamente immerso dentro ai suoi affari, e da molto tempo, di queste faccende, io e lui non se ne parla neanche, tanto sua moglie ne sta completamente al di fuori. Così perdo spesso le ore magari ad osservare il nostro giardino attorno alla villa, oppure a parlare di sciocchezze con la cuoca o la cameriera. Però spesso esco, proprio come in questo momento. Vorrei trovarmi qualcosa di coinvolgente di cui occuparmi, ma non è facile scegliere dal nulla un interesse che risponda in modo adeguato a delle aspettative del genere. Quando avevo vent’anni facevo la segretaria, ed il lavoro che portavo avanti mi piaceva davvero; se ci ripenso mi pare di aver perso qualcosa quando ho deciso di occuparmi soltanto della mia famiglia, però Carlo ha voluto così, ed io non ho saputo mai oppormi alla sua volontà. Adesso non ho neppure una persona vicina a cui parlare di queste cose, per cui mi restano soltanto questi pensieri, che proseguono a tamburellarmi dentro la testa.

            Non mi manca niente, proseguo a dirmi, però qualche volta mi sembra di vivere semplicemente in una gabbia dorata, dove pare ci sia tutto ciò che mi serve, meno qualcosa però di assolutamente essenziale, anche se non riesco a comprendere con esattezza cosa sia. Poi comunque mi svago, entro in qualche negozio per degli acquisti, e mi perdo nel misurare i miei gusti personali nei confronti di quanto mi viene proposto. Oppure certe volte mi vedo con un’amica dei tempi giovanili, ed andiamo in una sala da tè a parlare dei vecchi tempi o di qualche novità tra le persone che frequentavamo da ragazzine. Certe sere ci facciamo anche servire qualcosa di forte, ma non vorrei mai cadere nel vizio del bere: mi sembra del tutto inadeguato per una persona come io sono: una madre di famiglia, una signora, una donna perbene, a tutti gli effetti. Però tengo sempre una bottiglia nascosta in casa da qualche parte, e in certe serate un po’ grigie qualche bicchierino mi aiuta, mi rende quella leggera allegria che a volte mi pare di avere smarrito.

            Poi lavo i denti, naturalmente, e mi sciacquo la faccia, così quando rientra il mio Carlo, sono fresca e anche pronta per ascoltare tutto quanto possa aver voglia di dirmi, sempre che sia suo desiderio parlarmi, piuttosto che andare avanti con quelle sue inevitabili telefonate di lavoro. Mi è impossibile dirgli qualcosa di me, in queste condizioni: i miei problemi non possono stare sul medesimo piano delle sue attività; ed allora mi sento triste, malinconica, desiderosa soltanto di augurare la buonanotte alla mia Franca, e poi addormentarmi rapidamente nel grande e confortevole letto coniugale, azzerando così qualsiasi pensiero.

 

            Bruno Magnolfi 

          

mercoledì 20 ottobre 2021

Spingersi oltre.


            Dopo che ho finito di lavorare, già piuttosto tardi anche stasera, sono salito da solo sul mio macinino, tanto per farmi un giro in macchina e scolarmi un paio di birre che mi sono portato dietro, recuperate dal ristorante dove in questo periodo sostituisco un cameriere ammalato. Non ho assolutamente una meta, vago con calma guardando la notte sulle finestre chiuse delle case attorno alla strada che percorro, e in questo momento sembra quasi tutto immobile, come se proprio a nessuno, escluso me, venisse mai in mente di farsi un giro a quest'ora tra le strade illuminate dai miei fari e dai lampioni del quartiere. Infine vado a fermarmi davanti alla casa dove abita una tizia che conosco, tanto per vedere se fosse ancora sveglia e avesse voglia di raggiungermi. Le invio un messaggio e lei mi risponde; attendo un buon quarto d'ora, e infine eccola, silenziosa e sorridente. Si parte, e dopo poco andiamo a fermarci in un parcheggio in alto, da dove si vede un pezzo di città e di cielo stellato. Ci accendiamo le sigarette e si parla sottovoce, come per non disturbare.

            <<Lavoro saltuariamente, e mia madre cucina dentro una villa di signori>>, le dico. <<A me certe volte sembra impossibile che ci sia stata assegnata quest'esistenza minore, queste giornate quasi senza un vero scopo>>. La ragazza mi guarda, sorride; lei fa la cassiera in un supermercato, domani le tocca il turno del pomeriggio, e sembra che si accontenti di quello che ha, almeno così dice. Cambio argomento, sparo qualche stupidaggine tanto per ridere, poi, mentre scoliamo in fretta le nostre birre, ci prende il freddo pungente delle notti di tramontana. Rimetto in moto col riscaldamento subito avviato, dico che in serate come questa vorrei fare il pieno ed andarmene avanti fino a dove arrivo, magari in un posto di mare, a gustarmi la linea dell'orizzonte quando spunta l'alba. Lei non è il tipo di persona che pensi minimamente a cose come queste, non dice niente ma nella sua mente si è formato ormai un giudizio negativo, così ingrano la marcia e la riporto davanti all'abitazione dove vive con i suoi. Ci salutiamo, e a me provoca dolore restare di nuovo in solitudine, senza comunque decidere di tornare a casa e di andare a letto.

            Forse è colpa mia, penso, che non ho coltivato in questi anni neppure un sogno che fosse almeno alla mia portata. Probabilmente adesso potrei lottare per qualcosa, e così avrei magari una  speranza, uno scopo da raggiungere, e non soltanto questo scorrere ordinario di giornate identiche. Poi penso alla Franca, la figlia dei padroni di mia madre, ed al suo pianoforte, che sembra quasi un prolungamento di sé quando lo suona. Se ci rifletto lei è il mio mito, una che potrebbe tirare a divertirsi e basta, con tutto che è soltanto una ragazza, e invece si sottopone a studi, continui esercizi, prove su prove, cercando sempre la strada propria, tra tutte quelle note. L’ho ascoltata qualche volta, e mi ha lasciato una incredibile impressione, come se sotto alle sue dita ad un tratto si rompesse la membrana che divide le persone, e i suoi suoni andassero diritti a parlare di sé, dei suoi pensieri, delle sue emozioni. So che suo padre tenta di ostacolare il suo amore per il pianoforte, come se fosse qualcosa di sbagliato, una perdita di tempo e di energie. Ma so anche che lei andrà avanti imperterrita dietro alle proprie idee, perché è questo ciò che sente, e quanto lei desidera.

            Tra me e Franca non ci potrebbe mai essere una distanza maggiore di così, se proprio ci penso; eppure certe volte la sento quasi vicina, proprio come se stesse facendo qualcosa che in qualche modo riscatta l’esistenza anche delle persone sbandate come me. Io non so far niente, solo sentirmi amareggiato, e poi dare la colpa ad una cosa oppure all’altra, senza decidermi a cambiare. Adesso comunque faccio il pieno di carburante ad un distributore automatico in periferia, e poi spingo la mia macchina lungo la superstrada fino al mare, tanto per dimostrare che qualche volta so fare anche io una cosa che desidero. In fondo sono soltanto un mucchio di sciocchezze quelle che mi attraversano la mente, e la cosa migliore che posso fare qualche volta è smetterla di riflettere su questo, utile solo per infliggermi torture. Devo essere me stesso, penso, ed aprire il più possibile la mia personalità verso qualcosa che valga la pena in seguito di spingermi in avanti, e proseguendo sempre, se possibile, senza mai provare alcun rimpianto.

 

            Bruno Magnolfi 

sabato 16 ottobre 2021

Differenze di senso.


            Spesso mi trattengo in facoltà anche se sono da solo, una volta terminate le lezioni. Magari vago un po’ in silenzio nella biblioteca di istituto per rileggere con calma qualche dispensa, ma di fatto accarezzo già tra quelle mura le idee ingarbugliate che mi girano come sempre dentro la testa, e che mi portano ad immaginare il momento in cui sarò a casa dei miei, nella mia stanza, nel riprendere in braccio questo basso acustico. Qualcuno non mi prende sul serio quando spiego che suono questo strumento in un gruppo di jazz, perché tutti sono abituati al contrabbasso per questa musica, oppure al basso elettrico, ma a me non interessa niente, con l’uso di un paio di guanti leggeri riesco subito ad ottenere un suono caldo e corposo dalle mie cinque corde rivestite di bronzo. Certe volte nella mia stanza mi raggiunge Lorenzo, questo batterista ancora ragazzetto, magari anche per sostenermi mentre cerco di migliorare qualche passaggio dei nostri pezzi. Non ci conosciamo da molto tempo io e lui, però abbiamo una stessa sensibilità musicale, così quando gli faccio sentire qualcosa, lui sa dirmi subito in maniera fruttuosa che cosa realmente ne pensa.

            La musica possibile credo sia stata suonata già tutta negli ultimi decenni del secolo scorso, però concentrarsi nello sviluppare anche soltanto alcuni di quei vecchi materiali, spinge chi suona come me a vedersi aprire di fronte degli spazi musicali enormi, tanto da sentirsi portato ad andare sempre più avanti. Il mio basso risponde fedele ai miei stimoli quando lo suono, ed anche se non cerco di sfoderare chissà quale tecnica, mi sento spesso soddisfatto da quanto riesco a proporre agli altri del gruppo. In una formazione come la nostra il basso è un sostegno essenziale, e specialmente in certi pezzi tutto sembra girare attorno alle linee che riesco a disegnare con le mie timbriche. Per questo non ero del tutto d’accordo quando Lorenzo mi ha parlato con entusiasmo di questa pianista classica che avrebbe potuto venire a suonare con noi. Non ne vedevo del tutto la necessità, tanto più che con cinque componenti le cose ovviamente si complicano, ed anche da un punto di vista armonico per me suonare il mio basso si fa decisamente un po’ più difficile.

            Però nel momento in cui lui mi ha portato una registrazione di questa Franca mentre suona da sola sulla tastiera un pezzo proprio, mi sono reso conto che tutto con lei potrebbe essere davvero migliore. Il pezzo che questa ragazza ha messo insieme proprio per il nostro gruppo, appare subito estremamente complesso, però la sfida ad infilare tra i suoi accordi i miei suoni di basso, mi ha quasi elettrizzato solo ascoltando la registrazione, dando un impulso nuovo e inaspettato alle mie corde e ai miei suoni. Naturalmente dovremo attendere il momento in cui saremo tutti insieme in sala prove, quando cercheremo di amalgamare i nostri diversi strumenti, conservando comunque la matrice originale del gruppo. Attendo con impazienza quel momento, anche se so già per certo che sarà un esperimento dai risvolti piuttosto interessanti.

            Poi torno a casa con il mio zaino pieno di libri e di appunti, e subito dopo arriva Lorenzo, giusto per dirmi che oramai è tutto pronto per giovedì. Finalmente conosceremo questo fenomeno di pianista, penso io, e così si potrà vedere come organizzare la musica che verrà fuori insieme a lei. <<Non so se ho fatto bene a proporla>>, dice però adesso Lorenzo. <<Anche se non ci trovassimo troppo a nostro agio con lei, in seguito sarà sempre più difficile dirglielo, considerato che Franca ha anche un carattere chiuso e introverso>>. La musica è incontro e confronto, penso. Non è proprio possibile, al punto in cui siamo, preoccuparsi di sfumature che appaiono quasi senza alcun senso. Dobbiamo andare avanti, provare le soluzioni migliori, mettere insieme esattamente quelle idee che ci sembrano più adatte alla musica nostra, e questo è un percorso che può essere intrapreso soltanto lavorando per tentativi, scartando volta per volta ogni errore. Lorenzo mi guarda mentre accordo finemente il mio basso: è lui comunque quello che ha più entusiasmo di tutti, rifletto; e il nostro percorso può essere anche determinato da qualche intuizione naturalmente, mentre in ogni caso cerchiamo di essere sempre noi stessi nei fitti fraseggi che si riesce a produrre: alla fine è la nostra sensibilità da inserire nel gioco quella che conta, ed è la stessa che in un ambito musicale come quello che abbiamo scelto, farà sempre e comunque la vera differenza.

 

            Bruno Magnolfi   

domenica 10 ottobre 2021

Emozioni azzerate.

 

            Durante la mattinata decido di appoggiare il piccolo manuale che mi ha prestato Lorenzo, ormai un po’ di tempo fa, sopra al suo banco di scuola. Non dico niente, non lo guardo, i miei movimenti sono estremamente calcolati, perché quella sospensione rimasta tra di noi in questi ultimi giorni è ormai sempre più tangibile, e in ogni caso adesso non ho necessità di dirgli niente, se non confermargli, ma forse inutilmente, la mia evidente disponibilità. Lui finge disinteresse, cerca qualcosa dentro al suo zaino, si gira indietro, smuove i quaderni e anche le matite, infine riprende a tamburellare con le dita agili, come fa sempre. Poi si accorge del suo manuale di armonia jazz davanti a sé, e rapidamente ecco che lo fa sparire. <<Allora>>, mi dice, <<cosa facciamo?>>. Lascio trascorrere un minuto o due mentre ancora stiamo aspettando il prossimo insegnante in questa lunga pausa per il cambio di materia, ed alla fine mormoro soltanto, ma quasi con poca convinzione, che mi sento pronta. Lui tamburella, non mi guarda, è il mio compagno di banco, potrebbe essere il mio amico del cuore, forse però proprio noi due in questo momento mostriamo d’essere i ragazzi più distanti tra di loro, rispetto a tutti quelli che stanno qui nella nostra affollata aula scolastica. <<Per noi va bene>>, dice. <<Anche il prossimo giovedì>>, aggiunge.

            Torno a respirare, anche se riesco a non farmi accorgere della tensione che provo, e così con indifferenza rispondo subito svagata: <<perché no?>>, come se adesso avessi scelto proprio quello tra i miei tanti impegni di quel giorno indicato. Mi ha risposto al plurale, registro però con un attimo appena di ritardo, probabilmente nel gruppo ne hanno parlato a lungo e con opinioni diverse. Magari ne è nata persino una discussione, qualcuno avrà avuto probabilmente da ridire, e forse Lorenzo, anche per non apparire di parte, avrà detto che a lui non interessa affatto far le prove con questa mozartina, come probabilmente mi chiama in gergo. Vorrei piangere, non so neppure di preciso per quale motivo farlo, però desidero avere la forza di un vero omino, e in ogni caso è tutto a posto, rifletto, l’operazione intrapresa forse va avanti come previsto. In questi giorni sul mio piano elettrico ho tirato giù una traccia su cui lavorare con la formazione jazz di Lorenzo, se qualcuno vuole: una struttura complessa di accordi che sostengono una melodia quasi cromatica; ma non riesco ad inserirci un tempo credibile di batteria e neppure un giusto giro di basso.

Non so neppure se gli altri abbiano la capacità di leggere a vista una partitura, in ogni caso adesso non ha alcuna importanza, mi basta sapere che tra poco potremo tutti iniziare a nuotare nella medesima acqua, controcorrente senz'altro, ma col muso rivolto dalla stessa parte. Poi Lorenzo si gira per un attimo verso di me, ed anche se sembra incredibile, lo fa per sorridermi. Lo guardo un momento senza alcuna espressione, non so a cosa intenda fare riferimento, però adesso tutto mi piace, il freddo polare sembra accennare a stemprarsi, le cose pur complicatissime iniziano a prendere una forma più precisa. Giovedì sarà una giornata bellissima, penso, anche se non mostrerò mai ad anima viva il mio entusiasmo: arriverò fino alla sala prove con un mezzo pubblico, trascinandomi dietro la mia tastiera elettronica, poi faremo rapidamente le presentazioni, e poi tutto potrà iniziare a scorrere anche meglio di come abbiamo già previsto, sono sicura.

Le lezioni nella nostra classe di liceo vanno avanti anche stamani come sempre, fino alla campanella di fine orario, e Lorenzo come suo solito non mi dice più nient’altro, forse rispetta il mio bisogno di stare da sola in questo angolo del banco. Forse sono io che lo tengo a distanza, rifletto, ma non posso certo fingermi diversa da come sono per davvero. Qualcosa sta cambiando, penso con convinzione mentre raduno le mie cose prima di andar via, anche se non devo assolutamente dare importanza a ciò che sembra rinnovarsi, per evitare di soffrirne quando tutto andrà inevitabilmente in mille pezzi. L’ultima fase, se mai avverrà, si mostrerà terribile, ma io non ne soffrirò, essendomi sufficientemente corazzata avanti tempo. Scendiamo le scale nella confusione generale di tutti i ragazzi, e Lorenzo è avanti a me, fino al momento di uscire dal portone e ritrovare l’aria aperta; poi si ferma, mi trattiene con una mano sfiorandomi il braccio, mi guarda per un tempo infinito, poi dice: <<sono contento>>. Adesso posso proprio piangere.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 4 ottobre 2021

Assolutamente sereno.

 

            Generalmente, insieme alla custodia rigida della mia tromba Getzen, infilo sempre anche un paio di sordine a me congeniali dentro alla solita sacca morbida con gli spallacci, una specie di zaino profondo, che una volta ben chiuso mi sistemo simmetricamente dietro le spalle, perché in questa maniera posso inforcare agevolmente la mia bicicletta per andare poi dove voglio. Sto bene quando giro per la città in questo modo, mi sento completo, e provo la sensazione di potermi fermare in qualsiasi luogo desideri, e se mi va di iniziare a suonare in qualsiasi posto il mio strumento, fosse pure sotto un qualsiasi lampione acceso in certe serate nebbiose. Col mio quartetto di jazz tendo a distendere molto ogni nota prodotta attenuata dalla sordina, e a procedere sempre in avanti per semplici semitoni, restando spesso all’interno di un’unica ottava, come se la mia fosse un’operazione di scavo, di ricerca del timbro e del suono più adatti al momento. Procedo normalmente su scale modali, ma spesso rompo gli schemi e vado oltre, fino allo smarrimento completo di qualsiasi tonalità. Il basso e la batteria sorreggono e sottolineano i tempi e i movimenti delle linee melodiche, ed il sassofono soprano intreccia con me degli aspri percorsi sonori, muovendosi quasi sempre su di un registro più alto.

            Ascolto molto le registrazioni dei grandi che portano avanti questo tipo di musica, e mi pongo sempre alla ricerca di uno stile che sia il più personale possibile, qualcosa che non venga scambiato facilmente con altro, in maniera da sentirmi sempre sulla mia strada. Ho studiato molto, ed oltre la laurea in musicologia ho seguito dei corsi specifici di jazz e di tromba, strumento a cui mi sono appassionato fin da ragazzo, tanto che alla fine mi sento bene quando suono, convinto nel mio sviluppare le idee musicali che porto avanti. Sono più adulto degli altri componenti della formazione di cui faccio parte, ormai ho quasi trent’anni, però mi trovo perfettamente a mio agio con loro, anche se il mio mestiere di insegnante di musica presso la scuola media, mi porta certe volte a considerare gli altri del gruppo come fossero i ragazzini di qualcuna delle mie classi. Ho avuto un istinto di repulsione quando Lorenzo, il batterista, ha proposto di far entrare nel nostro quartetto una pianista di musica classica interessata a nuove forme di musica. Però, subito dopo, la curiosità e la ricerca di altre sonorità, mi ha portato a mostrarmi in accordo sia con lui che con gli altri. La paura, naturalmente, è quella di trovarmi meno libero nelle mie improvvisazioni, di dover seguire delle regole armoniche più rigide, e lasciare al pianoforte degli spazi sonori molto ampi, anche se la voglia di provare a fare musica in cinque, ha subito prevalso sul resto.     

            I pezzi che suoniamo li abbiamo messi assieme poco per volta, elaborando alcune frasi melodiche, dei ritmi, certe scale armoniche e delle strutture che si sono rivelate a noi in corso d’opera, mentre le stavamo suonando, convincendoci a prenderne nota e a seguirne ogni sviluppo. Non so cosa possa accadere inserendo un pianoforte nel nostro organico: tanto più che la tastierista che verrà a provare con noi proviene da studi classici, non ha mai neppure suonato con una formazione come la nostra, e poi non sa quasi niente di jazz. Ma questo rende soltanto l’esperienza ancora più interessante. Sono sicuro che potremo persino fare delle cose molto diverse da quelle a cui noi quattro siamo ormai abituati, grazie all’influsso di una nuova sonorità così completa; ma se le cose riescono davvero a procedere, e i risultati sono pronti a dimostrarsi come un vero progresso delle nostre esperienze, lo vedremo solo con l’andare del tempo durante le prove. 

            Ho già suonato qualche volta in precedenza con un pianista e anche con musicisti diversi da questi ragazzi, e le cose non sono state mai molto proficue. Però adesso avverto all’interno del nostro gruppo attuale l’entusiasmo di accogliere questa nuova componente con il suo bel piano elettrico, e devo dire che ormai dobbiamo soltanto tentare. Resta il fatto che trovo normale variare gli organici delle formazioni di cui faccio parte, anche se per nessuna ragione vorrei perdere l’affiatamento e l’intesa che abbiamo raggiunto con questo gruppo. Però sicuramente quella di adesso sarà per tutti noi una nuova avventura, ed un nuovo piccolo tassello anche della mia personale esperienza, tanto più che con queste premesse, oltre ogni perplessità, anche riguardando ogni tanto la mia tromba fedele, mi sento assolutamente sereno.

 

            Bruno Magnolfi