venerdì 26 aprile 2024

Senza riferire niente a nessuno.


            Oggi sono uscito da casa nella tarda mattinata, quasi contrariamente alle mie abitudini, e nonostante fossi stato in piedi tutta la notte per lavorare nel solito albergo come portiere di notte, adesso mi sentivo bene, pressappoco in perfetta forma. Volevo fare degli acquisti di varia natura, e per questo motivo mi sono infilato subito nel grande mercato rionale coperto, alla ricerca di quanto mi serviva. Ho scorso lungo i molti banchi disposti in perfetta fila, ed ho apprezzato i mille colori delle merci esposte, soprattutto quelli della frutta e degli ortaggi. Poi mi sono accorto, con la coda degli occhi, che c’era un ragazzo che mi seguiva, e quando mi sono voltato per guardarlo meglio, mi sono reso conto che era la mia solita ombra, io stesso, cioè quello che ero io quasi quarant’anni fa. Mi sono fermato per osservarlo, e lui mi ha osservato scrupolosamente da una distanza di diversi metri, restando fermo anche lui, ma con un’espressione sopra la faccia uguale a quella di colui che adesso non si sta affatto divertendo, continuando ad inseguire, per così dire, il proprio futuro. <<Paolo>>, gli ho detto allora; <<Credevo ti facessi vedere soltanto nel caso in cui fossi da solo; ma qui siamo in mezzo ad un sacco di gente, che cosa cerchi di fare, di dimostrare che sei vivo, che sei in carne ed ossa, che hai la capacità di camuffarti da persona, anche se sappiamo bene noi due che sono soltanto le mie memorie che riescono a farti manifestare?>>. Come sempre lui ha alzato le spalle guardando qualcosa vicino a sé, poi ha atteso che io riprendessi a muovermi tra i banchi per sfilarmi dietro di nuovo. Quando sono tornato a voltarmi, comunque, era già sparito, anche se qualche cliente del mercato mi stava osservando, avendo notato il mio parlare da solo.

            Mi sono fatto riempire dai negozianti un paio di buste di verdure appetitose, ho pagato quanto dovuto, poi ho ripreso la via verso casa, sicuro che non sarei rimasto a lungo da solo. Già salendo le scale condominiali per giungere al mio piccolo appartamento, lui era là, dietro di me, con la sua solita indifferenza. Poi ho aperto l’uscio ed ho lasciato che Paolo entrasse con me, senza trovare niente da dirgli. <<Ti sei ridotto piuttosto male>>, ha fatto lui dopo un po’; <<Mi pare che tu non sia riuscito a fare molta strada, nonostante lo sgomitare incessante>>. Con calma ho iniziato a sistemare gli acquisti, senza guardarlo, poi ho subito messo sul fuoco qualcosa, ed infine ho replicato sottovoce che la colpa di tutto questo era soltanto la sua, con quei suoi modi da ragazzo solitario, incapace di stare con gli altri e di chiedere anche una minima cosa a chi lo aveva avuto vicino nei suoi anni di ragazzo. <<Forse>>, fa poi lui senza accusare il colpo; <<In ogni caso io ho sempre manifestato una mia personalità, senza mai arrivare a dei compromessi con gli altri. Credo sia un valore essere capaci di questo, e tu oggi dovresti esserne orgoglioso, piuttosto che cercare delle responsabilità nel tuo passato>>. Annuisco, tanto su questo tema non avrò mai la possibilità di avere una sua approvazione.

Mi muovo per la cucina cercando il coperchio per una pentola, e mi accorgo che lui è già andato via. Sono convinto che non riuscirò mai a liberarmi di questa sua presenza, e soprattutto di questa sua continua insistenza nell’infondere in me il senso di colpa che io vorrei almeno condividere in parti uguali insieme a questo ragazzo. È come se lui mi spingesse ad accollarmi tutte le responsabilità possibili, laddove io da tempo mi sono ormai rassegnato a vivere delle giornate normali, senza aspirare a niente di particolare, accontentandomi semplicemente di quello che ho. Perciò me la prendo con lui, con i suoi strani desideri di riscatto, quasi avesse bisogno di venire a istigare dentro di me la possibilità di una vendetta nei confronti di tutto quello che lui ha dovuto accettare e subire a testa bassa, nei suoi anni lontani da ragazzo sbandato quale era. Secondo lui, dovrei sentirmi irritato da tutto ciò che sta adesso intorno a me, e non dovrei in nessun caso accettare tutto ciò senza almeno un moto di ribellione, subendo quel che mi è toccato di portare avanti. Non lo so, forse una parte di me prosegue adesso a dargli ragione, ma nel complesso non credo sia il caso di inacidirsi troppo se le cose sono andate in una certa maniera.

Mi trovo a riflettere, qualche volta, a quello che avrei potuto tentare di fare qualche anno addietro, quando tutto era ancora possibile; ma non si può certo vivere di rimpianti, e se in questo momento non trovo più l’entusiasmo per affrontare delle nuove avventure ed intraprendere dei diversi percorsi di vita, mi pare tutto estremamente normale. Ma questo ragazzo non si accontenta che io sia così, e forse è possibile che dentro alla sua testa prosegua come a ribollire qualcosa, qualcosa che sta ben radicato tra i suoi pensieri, e credo che lui non abbia mai riferito a nessuno.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 22 aprile 2024

Dalla parte avvantaggiata.


            La mamma ha detto che mio padre è stato trattenuto in Germania per delle ragioni amministrative. Non ho domandato niente, non mi è proprio parso il caso di chiederle altro, anche perché mi è sembrato già tutto chiaro, pur non comprendendo completamente quelle parole, fidandomi a naso del suo tono di voce rassicurante. Un paio di volte mi è capitato di entrare all’interno del rimorchio vuoto dell’autocarro di mio padre, e mi è parso assolutamente enorme, ho pensato perfino che si sarebbe quasi potuto giocare là dentro una partita al pallone, in quattro o cinque. Lui mi ha detto che veniva riempito ogni volta di ogni genere di pianali di merci e di scatoloni, e poi toccava alle sue capacità di guida portare tutta quella roba in giro per il mondo. Mi è sempre apparso incredibile che una persona da sola riuscisse a far spostare e a far marciare quell’enormità, ma poi ho visto qualche volta mio padre che faceva delle piccole manovre con il suo autocarro, e alla fine tutto mi è sembrato quasi normale, anche se ovviamente difficilissimo. Infine, lui è tornato a casa, ha detto a me e alla mamma che erano state trovate delle persone dentro al cassone del suo autocarro, e che lui era stato incolpato di traffico dell’emigrazione clandestina, che non so bene cosa possa significare, anche se mio padre in ogni caso è riuscito a dimostrare di non sapere nulla di quella gente.

            I miei compagni di classe hanno iniziato in questi giorni a darsi di gomito soltanto nel vedermi arrivare, e a nessuno di loro comunque è presa più la voglia di ridere in mia presenza, come certe volte era accaduto, forse perché all’improvviso, quanto successo a mio padre, pur innocente, ha proiettato la nostra famiglia in un mondo del malaffare da cui resta doveroso prendere le distanze. Ma più che scansarmi, i compagni hanno iniziato ad avere per me una specie di strano rispetto, quasi che fossi stato riconosciuto, una volta per tutte, come uno che sa stare al mondo, e che non ha paura di superare le regole del normale comportarsi. Non mi sono dato delle arie per questo, ed ho continuato a tenere il comportamento di sempre, anche perché tutta questa fase non è durata neppure molto tempo. Mio padre poi ha ripreso a trasportare le merci con il suo autocarro, proprio come aveva fatto da sempre, ed io mi sono chiesto diverse volte in che maniera fosse possibile per gli emigranti farsi portare in giro per tutte quelle strade infinite, rannicchiato tra degli scatoloni fetenti dentro un rimorchio. Mi sono svegliato di soprassalto nel sonno con un senso di claustrofobia, certe volte, ed ho iniziato ad apprezzare ancora di più l’aria libera da essere respirata.

Adesso, mentre vado a prendere servizio come sempre nell’albergo dove lavoro, mi pare che la mia famiglia non abbia detto quella volta tutta la verità. Forse c’era stata della connivenza da parte di mio padre nel far varcare il confine a quei clandestini, o forse lui a quell’epoca era stato costretto da qualcuno, magari da qualche forza oscura, a nascondere quella gente dentro al suo rimorchio. Mio padre ora non c’è più da molti anni per poter discolparsi, e mia madre sta dentro ad una casa di riposo, avendo perso del tutto la propria memoria. Il dubbio perciò mi rimane, anche se mi sembra abbastanza normale che al giorno d’oggi si possa vivere persino sul confine della legalità. Il mio presente, invece, forse proprio per questo, è fatto di nulla, ed io che sono già stato una volta e a lungo in prigione, non posso commettere degli altri errori; perciò, mi accontento di quello che ho, senza pretendere altro. Quando è stato il mio momento, anche io ho cercato di mettere assieme un po’ di soldi, senza guardare in faccia chi mi stesse attorno: ma in seguito ho pensato che quella non fosse per nessuno una strada minimamente corretta, restando comunque un modo di vivere alle spalle degli altri.

 Quando sono stato in galera, ho conosciuto da vicino dei veri clandestini che nella loro vita hanno anche attraversato delle frontiere e delle nazioni nel tentativo di migliorare la propria esistenza, la maggior parte delle volte non riuscendo affatto nell’impresa. A nessuno ho mai detto ciò di cui era stato incolpato mio padre tanti anni prima, ma questo senso di colpa nei loro confronti è sempre rimasto dentro di me, anche se riconosco quanto mio padre probabilmente non avesse avuto un vero ruolo attivo nella faccenda. Nell’albergo dove lavoro da anni come portiere di notte, giungono spesso dei turisti stranieri, e a me capita di guardarli in qualche caso anche con un certo sospetto, come fossero un insieme di individui fortunati, capaci di girare in qualsiasi paese del mondo senza dover dare conto a nessuno dei loro spostamenti. Le tante popolazioni delle nazioni, rifletto a volte, sono divise in molti settori diversi, chiaramente, ed essere nati e vissuti nella parte più fortunata, è senz’altro qualcosa che pone facilmente su un piano di privilegio, anche se non si può certo disprezzare obbligatoriamente chi non sta dalla parte più avvantaggiata.

 

Bruno Magnolfi

sabato 20 aprile 2024

Per poco tempo.


            Mio padre, questo fine settimana, non è tornato a casa. La mamma sembra tranquilla, non ha fatto cenno alla sua assenza, ma io immagino che ci siano dei problemi a cui adesso lei non vuole minimamente accennare. Stamani sono andato a scuola come sempre, ancora più rassegnato nel mio ruolo di bambino silenzioso e solitario, schivo, si sarebbe detto in seguito, praticamente un isolato, quasi al limite della patologia. Come al solito nessuno mi ha detto niente, ed io ho raggiunto il mio banco assegnato appena dopo il suono della campanella di inizio delle lezioni. La maestra ha fatto l’appello come ogni giorno, poi mi ha guardato a lungo, come desiderasse dirmi qualcosa, ma senza trovare la cosa giusta da dire, ed infine mi ha chiesto di accomodarmi davanti alla lavagna per scrivere là sopra qualcosa con il gesso. Alcuni numeri, qualche operazione matematica, cifre che gli altri intanto ricopiavano sui loro quaderni a quadretti. Poi mi ha fatto una domanda della quale non conoscevo la risposta, perciò sono rimasto in silenzio, imbarazzato, davanti a tutti che intanto già si davano di gomito. Ma lei ha detto di tornare a sedermi, dando poca importanza alla mia lacuna, e da questo semplice ed insolito comportamento ho capito che qualcosa stava seriamente cambiando.

            Quando sono tornato a casa, dopo la scuola, ho chiesto alla mamma quale fosse il motivo per cui il papà non era tornato a casa dai suoi lunghi viaggi di lavoro con l’autocarro, ma lei si è limitata ad alzare le spalle e a non rispondere niente, come se non avesse delle notizie sicure su questo argomento. Ho subito immaginato che presto si sarebbe iniziato a parlarne anche tra i miei compagni, e questa situazione sarebbe diventata rapidamente un motivo in più per canzonarmi e prendermi in giro, così ho cercato di preparare già una risposta adeguata da dire. Nel pomeriggio sono andato nel negozio dei generi alimentari per fare alcuni acquisti per la mamma, ma nessuno mi ha chiesto niente. In seguito, ho fatto un giro fino alla piccola piazza di questo paese, e lì ho incontrato due compagni di scuola che si scambiavano delle figurine di giocatori di calcio. Hanno riso, vedendomi arrivare, ed io ho capito subito che già loro avevano chiaro che mio padre ormai non abitava più a casa nostra, così mi hanno voltato le spalle ancora ridendo, e se ne sono andati per i fatti loro. 

            Durante la notte, mentre stavo nel mio letto cercando di dormire, ho fatto incursione nel mondo dei grandi, piombando d’improvviso davanti a me stesso ormai adulto nel momento in cui lui sta svolgendo il suo lavoro di portiere di notte di un albergo, e dopo qualche minuto, in attesa che mi chiedesse qualcosa, gli ho fatto presente che mio padre era assente da casa. <<Non ricordo cosa fosse accaduto>>, ha spiegato lui, <<forse un semplice contrattempo con l’autocarro, un guasto, una merce non ritirata, qualcosa del genere>>, ed io ho annuito nel rendermi conto che neanche lui forse aveva desiderio di farmi preoccupare. C’era una donna, seduta nella caffetteria dell’albergo, una persona vistosa, abbigliata in un modo eccentrico, che mi ha lanciato comunque un gran sorriso, anche se non mi ha chiesto nulla. Quando mi sono svegliato, ho capito che non era proprio il caso di preoccuparmi, e che, se i miei compagni di classe avessero deciso di prendermi in giro una volta di più per questa faccenda di mio padre, io non li avrei assolutamente assecondati, limitandomi ad ignorare le loro battute spiritose. Il mio compagno di banco invece ha voluto strafare, e durante la ricreazione ha detto agli altri, con voce alta, che <<nemmeno suo padre vuole più stare con lui>>, mentre mi volgeva le spalle. Ho atteso che si girasse verso di me per esaminare la mia espressione, e a quel punto gli ho mollato un pugno sulla faccia, quel medesimo gesto che tenevo represso in me da tanto tempo.

            Naturalmente lui è andato a terra, e gli sanguinava anche leggermente la bocca, così ha iniziato immediatamente a piangere e a lamentarsi. È intervenuta svelta la maestra, ma visto che tutti avevano iniziato a dire che era stato solamente un incidente, lei ha fatto rialzare da terra il mio compagno di banco, si è resa conto che in fondo non c’era niente di grave, giusto un taglietto sul labbro, e così ha fatto a tutti una raccomandazione generica e basta, senza preoccuparsi di me. Non capisco perché tutti gli altri non abbiano immediatamente infierito contro di me, ma forse ciò deriva dal fatto che all’improvviso si sono resi conto che io, se lo desidero, posso essere diverso da chi risulta capace soltanto di incassare in silenzio quello che loro vogliono, e che, se proprio mi va, riesco anche a ribellarmi e a menare, se è il caso. Credo così di avere facilmente ottenuto una piccola forma di rinnovato rispetto, anche se, già me lo immagino, questa nuova veste non durerà molto tempo.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 18 aprile 2024

Troppo nervosismo.


            Al mattino, dopo le sette, una volta lasciate le eventuali consegne al personale che giunge a quest’ora per sostituirmi, mi sento leggero uscendo dall’ albergo dove svolgo il ruolo di portiere di notte, come se all’improvviso si aprisse per me una vera e nuova giornata tutta da inventare e da vivere, anche se poi non è del tutto così. Durante la notte appena trascorsa è tornata la donna che spesso vaga in questo quartiere, una prostituta, come lei stessa ama definirsi, anche se di un tipo eccentrico e un po’ particolare. Con i suoi modi eleganti e disinteressati, mi ha bussato leggermente alle vetrate, verso le tre, ed io naturalmente le ho aperto subito. <<Buonasera>>, mi ha detto nell’attesa che la invitassi ulteriormente ad entrare. E proprio come la volta scorsa, io ho lasciato che si accomodasse in caffetteria, nello stesso momento in cui mi sono prodigato a prepararle una calda bevanda. <<Sempre da solo; sembra un po’ triste>>, mi ha detto lei senza neanche dare troppa importanza a queste parole. Io le ho annuito con un debole sorriso, poi mi sono appoggiato al bancone nell’attesa che proseguisse a spiegarmi magari qualcosa di sé, ma in quel preciso attimo, dalla zona del ricevimento, ho visto arrivare Paoletto, il mio me stesso che certe volte si materializza uscendo dai miei ricordi d’infanzia. La donna si è voltata, probabilmente seguendo il percorso del mio sguardo, ma non ha visto niente, naturalmente, anche se io le ho subito spiegato come, stando sempre da solo, mi capitasse certe volte di parlare direttamente con i miei ricordi, al punto da visualizzare davanti a me la mia stessa persona, ancora immersa nei lontani periodi trascorsi. <<Ma è naturale>>, ha detto subito lei; <<altrimenti la solitudine diventa troppo opprimente>>, ha concluso.   

            Ma, subito dopo, Paolo si è avvicinato alla donna, e lei si è voltata, e lentamente gli ha detto di non preoccuparsi, e che si trovava lì soltanto di passaggio, <<giusto il tempo di prendere un caffè e salutare quest’uomo>>, ha spiegato con un sorriso, ed il ragazzo silenziosamente ha annuito, proprio come se conoscesse già questa persona, e non ci fossero assolutamente problemi addirittura nell’apprezzarne la presenza. <<Anche io vengo fin qui certe volte, ma soltanto per rammentargli gli errori in cui è incappato>>, ha detto lui con un tranquillo modo di fare e di parlare. <<E poi lui è uno che ancora tenta di dare a me la colpa di molte cose che gli sono accadute>>, ha aggiunto Paoletto, <<senza rendersi conto minimamente che non può continuare ad attribuire ad altri i suoi errori>>. Naturalmente io sono rimasto estremamente sorpreso da questa improvvisa presa d’atto dei suoi convincimenti, così, riprendendomi rapidamente dallo stupore, ho subito replicato: <<Ma no, ma vede signora, lui non sa di che parla, e forse non si rende minimamente conto di come stanno davvero le cose, perché appare oltremodo evidente che è stato il suo comportamento scellerato dei tempi della scuola a farmi proseguire in seguito lungo una china che più tardi non sono più stato capace di tenere in pugno, tanto che le cose in seguito sono andate via via solamente peggiorando>>.

            La donna non ha ribattuto niente, come se trovasse disdicevole dire qualcosa adesso contro di me, pur conservando un’opinione probabilmente vicina a quella di questo ragazzetto senza creanza, che intanto si era voltato di spalle, e sembrava quasi cercare la maniera migliore per andarsene in fretta. <<Certo>>, ho ripreso a dire tanto per rompere quel silenzio imbarazzante; <<ho sicuramente compiuto degli errori nella mia vita; però la genesi di tutto quanto deriva da allora, da quei modi di essere a cui in seguito sono stato costretto ad attenermi, almeno da un certo momento in avanti, anche per delle semplici ed evidenti ragioni di coerenza>>. Mentre dicevo così, però, mi sono accorto che a nessuno ormai interessava quello che stavo dicendo, tanto che il ragazzo, senza aggiungere altro, si era infilato nella saletta attigua sparendo alla vista, mentre la signora, come se avesse fretta di andarsene, si è alzata dallo sgabello della caffetteria, ed ha solo detto: <<grazie, per il caffè>>, guardandomi negli occhi con intensità, almeno per un attimo. Poi ha raccolto la sua borsetta, e si è incamminata verso l’uscita. <<Spero di rivederla>>, ho detto io rapidamente cercando la maniera per farle dire ancora qualcosa, o trattenersi un altro momento, ma lei ha sorriso, e poi se n’è andata.      

            Sono rimasto a rimuginare tutto quanto per il resto della nottata, e quando alla fine del mio turno di lavoro è giunta la prima ragazza, un’impiegata del ricevimento, invece di augurarle buongiorno mi è uscito dalle labbra soltanto un bofonchiare insulso, di cui forse mi sono anche un po’ vergognato. La giornata che aspettavo, di fronte a me, è apparsa subito piuttosto compromessa, una volta uscito dall’albergo, ed anche se non avevo affatto voglia di farlo, mi sono messo a camminare senza una meta, cercando la maniera di farmi sbollire il nervosismo che d’improvviso sembrava essersi parecchio accumulato dentro di me.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 15 aprile 2024

Senza compromessi.


            Negli ultimi tempi, quando mi trovo da solo a tarda ora, praticamente senza avere niente da fare, qui al ricevimento dell’albergo dove svolgo il ruolo di portiere di notte, alcune volte mi impongo di camminare lentamente attraverso i vari ambienti del piano terra,  dove si apre il vasto ingresso, la caffetteria, una saletta per il tè, ed anche altri locali, con gli occhi sempre ben chiusi, cercando di ricordare perfettamente l’ubicazione dei mobili nello spazio, ed anche la struttura del resto, evitando naturalmente di sbattere contro qualcosa. Non so bene per quale motivo mi trovo a compiere questi esercizi, però mi sembra in questo modo di affinare ad esempio la sensibilità nei confronti dei più piccoli rumori che avverto, e poi anche di allenare la memoria, oltre allo sforzo di visualizzare dentro di me ogni particolare di questo luogo. E altrettanto naturale che io attenda, da un attimo all’altro, anche di sentire giungere d’improvviso, uscendo fuori come fa sempre da chissà dove, il mio piccolo amico che viene spesso a trovarmi, facendosi vivo come sempre dalla rassegna dei ricordi che conservo di quando ero piccolo. <<Ciao>>, gli dico subito appena lo sento arrivare, perché non ho neppure necessità di vederlo, tanto la sua presenza è forte; <<Stavo giusto cercando di concentrarmi al massimo, tenendo gli occhi chiusi, per avvertire la tua possibile presenza>>. <<Certo>>, fa lui, <<adesso sembra quasi che tu non ce la faccia più a startene da solo>>, mi dice con ironia.

<<Ma no>>, faccio io, <<non è per questo; è che ogni tanto ho voglia di rammentare i tempi della scuola, belli o brutti che siano stati>>. Lui mi guarda un momento, adesso che tengo i miei occhi spalancati, poi dice: <<Come se tu riuscissi ad essere nostalgico dei tempi andati, quando avevi la mia età>>. Rifletto un momento, in effetti non sono mai stato nostalgico, e se spesso mi sono ritrovato a riflettere su quegli anni è soltanto per cercare di comprendere meglio da dove sono cominciati i miei tanti errori. <<Come fai ad essere qui con me tutte le volte che lo desideri?>>, gli chiedo; <<e poi com'è possibile viaggiare nel tempo con questa facilità, tanto più che gli abiti che in questo periodo ti porti addosso, non mi pare di averli mai avuti, ad esempio>>. Lui sorride, poi fa una specie di giravolta su sé stesso, ed infine arriva la risposta: <<Io sono dentro di te, sei tu che mi chiami, è la tua mente che crede sempre di vedermi, ma sono soltanto i tuoi pensieri e i tuoi ricordi che compongono la mia figura e ciò che faccio, è soltanto questa la spiegazione giusta>>.

Mi volto, non avevo compiutamente riflettuto ad una cosa di questo genere, credevo che questo ragazzetto che ho di fronte potesse quasi esistere di vita propria, non che fosse composto da quello che la mia immaginazione mi fa credere di lui. <<Va bene>>, gli faccio; <<e cosa sai raccontarmi di diverso da quello di cui sono già a conoscenza?>>. Lui ci riflette a lungo, sembra quasi cercare tra i suoi pensieri qualcosa che posso aver tralasciato quando avevo la sua età, ma che adesso potrebbe risultare importante, o addirittura decisivo. Invece dice semplicemente: <<Sono andato al piccolo parco dei divertimenti, poco lontano dalla scuola, giusto ieri pomeriggio, e mentre stavo sopra l’altalena a dondolarmi lentamente senza fare altro, ho sentito alle mie spalle un movimento, proprio in un attimo in cui immaginavo di starmene da solo. Diversi ragazzi dietro di me, in silenzio e senza dire niente neanche tra loro, hanno rapidamente iniziato a spingermi, tanto che l’altalena ha acquistato subito velocità, al punto che mi sono trovato di colpo nell’impossibilità di scendere. Ridevano, si eccitavano allo scherzo, e poi continuavano a spingere ad ogni oscillazione, tanto che oramai ero quasi sicuro che sarei caduto da un momento all’altro. <Chiedi pietà>, ha urlato uno di loro senza che io sia stato capace neppure di riconoscerlo, mentre intanto, pur volando altissimo, proseguivo a mantenere quel silenzio che credo sia la mia caratteristica. Poi ho deciso di gettarmi di sotto, anche per non sentirmi più schernito, tanto che mi sono spostato in avanti reggendomi soltanto oramai con le sole mani alle catene dell’altalena, ma è stato proprio allora che quei ragazzi probabilmente hanno avuto paura che mi facessi male sul serio, e che forse in seguito potessi denunciare a qualcuno l’accaduto, perciò sono scappati via, lasciandomi a volteggiare per un altro minuto o due, fino a quando sono riuscito a fermarmi strisciando i piedi a terra, e infine a scendere>>.

Io lo guardo con attenzione, non ho alcuna memoria di un particolare di questo genere, e penso che magari questo ragazzo se lo stia inventando, ma per non passare da sciocco gli dico che adesso che me ne ha parlato ho un vago ricordo di quel preciso pomeriggio. <<Nessuno voleva stare con te>>, gli dico in fretta, e lui mi guarda, con una strana smorfia sulla faccia, quasi un sorriso. <<Non mi importava niente di quegli idioti>>, fa lui, <<ed anche se complottavano sempre qualcosa contro di me, io cercavo di essere me stesso e basta, senza mai giungere a dei compromessi>>.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 11 aprile 2024

Proprio per questo.


            Non mi interessa tenere un comportamento sempre adeguato alla mia età ma che allo stesso tempo tenga conto della mia naturale crescita nei prossimi anni. Sono un bambino di quarta elementare, purtroppo senza un vero amico con cui scambiare qualche parola, e spesse volte mi trovo da solo, ad esempio durante il sabato e la domenica, quando mia madre insiste affinché io esca il più possibile da casa, anche se molte volte non so neppure dove andare. Gli altri compagni mi scansano durante il resto della settimana, dicono che sono uno di cui non ci si può mai fidare, anche se non credo sia vero. Ma a me non interessa, vadano pure a ritrovarsi nei soliti vari gruppetti per giocare con la palla, scambiare le figurine, o per parlare sottovoce seduti sui gradini di qualche casamento. Preferisco non avere nessuno intorno a me, piuttosto che dover adeguare il mio comportamento ai loro modi. Qualche volta comunque ho riflettuto su come saranno le giornate per me tra dieci oppure vent’anni. Probabilmente dovrò scoprire prima o dopo qualcosa che mi interessa per davvero, una vera passione insomma, e a quel punto saprò perfettamente come comportarmi, e intorno a che cosa impegnarmi a fondo, anche se per adesso è tutto un’immensa nebulosa.

Poi giunge la zia a farci una visita, e siccome mio padre non c’è perché sta in giro chissà dove con il suo autocarro, lei mi prende per mano e mi porta a fare un giro per il paese, noi due soli. Mi fa molte domande, sembra quasi che non abbia mai conosciuto prima un bambino come me, nonostante lei viva in una città grande, tanto che io, dopo le prime risposte, inizio già ad essere stufo di tutto questo parlare. Forse la zia si accorge che sta davvero esagerando e allora adotta un’altra tattica, ed inizia a correre per gioco, magari per vedere se anche io ne ho voglia. Dopo poco arriviamo in via delle matite, ed io le indico la mia scuola, anche se lei la conosceva già. <<Di pomeriggio è chiusa>>, le spiego, <<però a me piace qualche volta venire qui anche se non c’è nessuno>>. Lei mi lascia parlare adesso, ed io pur di non sentirla ancora tirare fuori le sue domande insopportabili, preferisco dirle delle cose sciocche ed evidenti, che non hanno mai fatto male a nessuno. La zia mi ascolta, sembra interessata ai miei argomenti, poi mi fa la domanda che già mi aspettavo: <<ma tu ci vai volentieri a scuola?>>, dice, come se fosse qualcosa mai sentito prima.

Le sorrido, mi sento indeciso se dirle tutta la verità, oppure ripiegare su qualcosa che la rassicuri e chiuda rapidamente l’argomento. Alla fine, alzo le spalle e guardo qualcosa per terra, che nel mio vocabolario significa che vado a scuola perché semplicemente è il mio dovere, ma fosse per me potrei assolutamente farne a meno, soprattutto per non incontrare come ogni mattina i miei compagni di classe, tutti insopportabili. La zia mi guarda, prende tempo, riflette qualcosa, senza ancora dire niente, ma alla fine, invece di farmi una nuova domanda, tira fuori quella che forse crede sia la sua carta vincente: <<Dovresti iniziare a suonare uno strumento musicale>>, mi fa, come se fosse una cosa semplice e priva di problemi. Accantono immediatamente l’idea, scuotendo la testa, però sento che qualcosa nella mia mente si è come smosso, quasi che fino ad adesso una cosa del genere fosse talmente irraggiungibile da non doverla prendere neppure in considerazione, ma adesso che ho ascoltato queste parole con le mie orecchie, forse significa che sono più vicino a cogliere davvero un’opportunità del genere. Parliamo subito d’altro, ma dopo un’altra lunga pausa di silenzio, tiro fuori anche io la mia carta: <<Mi piacerebbe suonare la batteria>>, le dico, e lei rafforza: <<Ma certo, meno teorica, più istintiva, quasi estemporanea>>, dice di slancio.

Poi torniamo a casa, non so a che cosa sia servita questa chiacchierata, però mi ha fatto piacere stare un po’ con mia zia, che adesso peraltro sta già ripartendo, anche se non saprei dire per quale motivo preciso. Le giornate non cambiano, tutto prosegue come sempre, e i miei problemi con tutti gli altri ragazzi si mantengono invariati. La saluto, naturalmente a modo mio, lasciandomi abbracciare un po’ e stringendomi nelle spalle. Forse, fra qualche anno, sentirò forte il desiderio di raggiungerla nella sua città, soprattutto per uscire da questo piccolo paese, per lasciarmi alle spalle tutti quei rapporti di amicizia mancati, insomma quelli che non sono mai riuscito ad allacciare. Mi sento un po’ più solo adesso, come se lei mi avesse fatto presente di colpo che per me ci sono tutte le possibilità per stare insieme agli altri, anche se devo decidermi a strappare via qualcosa, e lasciare alle mie spalle qualche ingombro che ancora non so, che non capisco cosa sia. Ma ci penserò, nei prossimi giorni, ed alla fine, rifletto, è probabile la zia fosse venuta fino qui proprio per questo.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 8 aprile 2024

Qualcosa da spiegare.


            Ormai è tardi, e quindi tutti i clienti di questo albergo sono già rientrati nelle loro camere, tanto che ad un portiere di notte come sono io non resta altro che rimuginare sulle proprie cose, e poi perdere tempo girellando tra gli spazi del ricevimento, quelli della caffetteria, ed anche tra gli ampi divani dell’ingresso, con la sua elegante porta vetrata che si apre proprio su una piazzetta storica della città. Mi sento la testa vuota e leggera, quindi evito di pensare ancora ai tempi della scuola e alle faccende legate a quel periodo, convinto che d’improvviso, una di queste notti, scapperà di nuovo fuori dalla mia mente l’immagine di quel ragazzetto coi calzoni corti che all’epoca non sapeva comportarsi adeguatamente con i suoi compagni, tanto da trascorrere la maggior parte del tempo in solitudine. Si avvicina invece una donna alla porta dell’albergo, la vedo mentre con lentezza si accosta ai vetri e poi bussa leggermente con le nocche di una mano. Si comprende al volo dall’abbigliamento che si tratta di una prostituta, ma il fatto che tiene sulla testa un cappello piuttosto stravagante, e che poi porti una borsetta infilata ad un braccio di una certa inedita eleganza, mi incuriosisce subito, al punto che, mentre mi avvicino alla porta, premo il pulsante di sicurezza che fa scorrere immediatamente ai lati le due grandi vetrate. <<Buonasera>>, dice lei per prima, e poi attende sulla soglia che io faccia la mia mossa, che le chieda qualcosa magari, oppure le proponga una piccola conversazione superficiale e senza impegno. Invece io resto in silenzio, non con uno sguardo indagatore su di lei, ma concedendole la possibilità di dire ciò che crede, limitandomi a sorriderle.

            <<Non le creo fastidio>>, dice la donna con un certo tatto, ed io, che non so bene che cosa risponderle, la invito con un gesto della mano ad accomodarsi, come se fosse la benvenuta in ogni caso. <<Le posso offrire un caffè>>, le dico con voce pacata. <<Ma certo>>, risponde lei come se fosse venuta fin qui soltanto per questo, ma non dando comunque troppa importanza alla cosa. Poi si accomoda in caffetteria, ed io manovro subito la macchina, e lei senza guardarsi attorno si siede e dice subito che nel passato aveva l’idea di fare soldi in fretta, ma alla lunga quelle intenzioni sono del tutto tramontate tra i suoi desideri. <<Non mi interessa più nulla di tutto questo, ed adesso mi incontro ancora con gli uomini, ma solo quando mi va, e spesso lo faccio a titolo gratuito, considerato che mi basta scambiare con loro quei pochi minuti di intimità, e magari scambiare qualche parola con chi ha voglia di raccontarmi di sé>>. Annuisco con serietà, anche se rimango stupito di questa apertura iniziale, pur comprendendo che lei stia tentando di chiarire immediatamente tutte le possibili domande che potrebbero nascere nella mente di una persona come me. Resto colpito, in ogni caso, e in un attimo mi sento fuori luogo, come se le sue esperienze e le sue prese di posizione nella vita fossero estremamente al di sopra di qualunque congettura personale io avessi mai fatto.

            Lei ringrazia prendendo la tazza del suo caffè che adesso le porgo, ma si vede che non è per conversare se adesso si trova qui di fronte a me. Non riesco a formulare alcuna domanda, e neppure a dire qualcosa per riempire questo silenzio insolito della notte, che sembra allo stesso tempo ci abbracci ambedue, e contemporaneamente ci sovrasti. Lei mi guarda, senza sorridere, senza espressione, ed io mi sento piccolo di fronte ad una donna così, tanto che vorrei quasi inventare una scusa per tornare dietro al banco del ricevimento, e riprendere in questo modo il ruolo che mi è più congeniale. <<Lei ha dei rimpianti?>>, mi chiede invece questa donna interessante, lasciandomi tutto il tempo che desidero per riflettere e quindi risponderle con calma. <<Forse>>, dico io; <<però credo che la mia personalità si sia formata tutta piuttosto precocemente, ai tempi della scuola elementare, e che per questo qualche volta ancora me la prendo con quel ragazzetto che dovevo essere in quel periodo, come se avesse colpa lui di quello che in seguito sono diventato>>. La donna mi guarda, forse comprende benissimo tutto questo, ma evita qualsiasi facile giudizio, e lascia anzi che io possa aggiungere qualcosa, se solo ne avessi la voglia. Restiamo in silenzio qualche altro minuto, ma non avverto alcuna distanza tra me e lei, tanto che mi avvicino a lei per un attimo, e poi le sfioro una mano, quasi per ringraziarla di essere giunta qui, in questo luogo desolato.

            Lei sorride un attimo, abbassa lo sguardo, poi riprende la sua borsetta, appoggia la tazzina vuota e dice che adesso è meglio se va via, ma mentre si alza aggiunge: <<in fondo, quello che ci volevamo dire, ce lo siamo già detto>>, e così si avvia verso la porta vetrata. <<Arrivederci>>, le dico in fretta quasi per cercare di trattenerla ancora per un attimo, ma lei non si volta, dice soltanto: <<mi rivedrà, certo, se solo lo desidera>>, ed io aziono l’apertura. Vorrei quasi piangere mentre la osservo scivolare lenta nella notte cittadina e allontanarsi con tranquillità, ma non saprei proprio spiegare il motivo per lasciarmi andare ad una cosa di questo genere.     

 

            Bruno Magnolfi