mercoledì 28 dicembre 2022

Nient'altro da dire.


Vado sempre avanti, imperterrito, anche nel momento esatto in cui, questa giornata qualsiasi che pare snodarsi veloce e ordinaria di fronte a me, prosegue soltanto ad inseguirne una ulteriore, del tutto identica, durante la quale insisto a girare con la bicicletta a destra e a sinistra lungo tutte le strade principali del mio paese, conoscendo oramai a menadito ogni indirizzo di casa presso cui devo fermarmi, sollevare poi con un dito il coperchio della cassetta postale, e quindi scaricarvi dentro la busta affrancata, sfilandola con gesto usuale tra le altre dalla mia borsa capiente, nella anticipata certezza, almeno in qualche occasione, che la ricezione di questa sarà magari apprezzata, oppure per niente. Quasi un semplice automatismo, uguale forse ai saluti che scambio con coloro che incontro, nel compimento di un percorso che si assomiglia ogni volta, con poche eventuali modifiche tutte normalmente previste. È il mio mestiere, niente di diverso, al punto che conosco già alla perfezione dove fermarmi, con quale piede sorreggermi in equilibrio davanti ad una certa abitazione, o dove sostare un momento, per suonare un campanello per una raccomandata con ricevuta. <<Grazie Gino>>, mi dicono tutti, anche se in certi casi appare sufficiente un cenno di saluto, oppure un buongiorno scolpito nell’aria, senza bisogno di insistere troppo, per non rallentare la mia pedalata.

Mi ha invece fermato, davanti all'ufficio postale, proprio mentre stavo tornando dalla solita gita, quel sindacalista marito di Renza, giusto per salutarmi con cortesia e poi chiedermi, assumendo un'espressione più seria, quali potessero essere i punti dolenti del mio lavoro. <<Non saprei>>, ho risposto io dopo averci riflettuto un momento mentre riordinavo le mie cose, e lui subito ad insistere che forse poteva essere l’insopportabile caldo estivo, oppure le intemperie d’autunno a mettermi in situazioni difficili, e poi il super lavoro da affrontare in determinati periodi, o il pericolo di dover muovermi sempre per strada, costretto a mettermi al riparo dagli automobilisti distratti e anche dagli altri veicoli. <<Ma è il mio mestiere>>, gli ho detto; <<niente di particolarmente diverso da ciò che ognuno si possa immaginare, e che non si può certo pensare adesso di modificare>>. Il sindacalista è sembrato riflettere, ha detto che magari deve studiare più attentamente il mio caso, comprendere meglio quali siano, e se mai ci fossero, dei momenti davvero critici nello svolgimento del mio servizio. Poi, io ho riposto come sempre la mia bicicletta sul retro dell’edificio, e dentro la borsa ho notato che erano rimaste solo quattro affrancate da consegnare nelle frazioni fuori dal centro abitato, così sono salito sull'utilitaria che resta sempre a disposizione del portalettere, ed infine ho proseguito il mio giro, pregustando il momento in cui mi sarei fermato con qualche conoscente nel solito caffè, a prendere qualcosa e a riposarmi un pochino, visto che ancora era piuttosto presto.

  Ho pensato che tutto sommato da quasi trent'anni porto avanti questo lavoro, e non mi ero mai ritrovato a pensare che fosse un mestiere giudicato da qualcuno un po' disagiato e forse persino pericoloso, come mi ha detto proprio quel sindacalista, tanto più che in tutte le mie attività di consegna postale gli aggeggi elettronici moderni non mi hanno mai potuto aiutare. Comunque, fino ad oggi, io mi sono accontentato sempre di quello che la vita mi ha offerto, anche perché personalmente non ho mai avuto molto altro da dare agli altri; ma adesso che una brava persona come il marito della Renza mi ha detto quelle cose, mi pare che i miei servizi, forniti a tutti i cittadini di Calci, e forse considerati anche troppo usuali e scontati, per la gente di tutto il paese che conosco e che incontro per strada, sia quasi immeritata, e che perfino molti di loro approfittino troppo di me, chiedendomi favori e servizi che non sono neppure previsti tra le mie attività. Se ci penso con una certa fermezza, mi pare che dovrei essere maggiormente fedele a ciò che è stato stimato per le mie mansioni, e riferirmi rigorosamente a quelle, anche per far apprezzare di più ogni gesto in cui spesso sono impegnato.

Quando infine rientro in ufficio, la nostra direttrice sembra guardarmi quasi con una certa meraviglia, consultando subito il suo orologio, quasi io mi fossi approfittato furbescamente di qualcosa per svolgere più velocemente il mio compito, laddove certamente ci sono dei giorni in cui tutto scorre rapidamente, ma ce ne sono anche altri in cui mi trovo purtroppo a fare più tardi del solito, com’è del tutto naturale. Non mi piace per niente comunque questo clima, ed anche se, dopo gli ammanchi allo sportello del pubblico, noi delle poste siamo stati guardati male da molti paesani, ugualmente non credo proprio che ci possa essere qualcosa da ridire sul conto di uno oppure dell’altro, escluso evidentemente il collega disonesto che è stato subito allontanato. Siamo una squadra, ognuno svolge il suo compito; non ci trovo nient’altro da dire.

 

Bruno Magnolfi

sabato 24 dicembre 2022

Canto per palcoscenico.


            <<Potrei, direttamente; si, potrei io stesso stare qui direttamente a sostenere che questo spettacolo è un vero assurdo, e che proprio non ha alcun senso affaticarsi tanto per portarlo avanti, e che per di più è immorale che si tenga impegnato un pubblico cortese e intelligente come quello che adesso è qui, davanti a me, a cercare con fatica di decifrare queste mie stupide parole, addirittura preso dallo sforzo di comprenderne magari il loro significato, ammesso che le mie parole ancora siano davvero capaci di averne. Perché spesso le mie parole sono persino scollegate tra di loro, non seguono neppure un reale filo logico, ed allora tutto si perde, e così resta soltanto la fatica di seguire una strada che poi non porta mai da alcuna parte>>.

<<Potrei dirlo io, si, farlo presente subito, già dall’inizio, e così rompere quel velo di foschia che racchiude tutto quanto, in maniera che si dica e si sappia una buona volta la verità, e non restino in aria dei concetti pieni di frasi ambigue, di paroloni vuoti, ricchi soltanto di elementi vaghi, incapaci persino di tradursi in una storia vera. Ma come si fa, mi chiedo, com’è possibile per uno come me, una maschera più che una persona, a venire qui e dire a tutti che sono il primo a non credere affatto in ciò che sto dicendo e facendo. No, non mi è proprio possibile>>.

<<Perché, vedete: io non so fare niente, non sono capace di occuparmi d’altro che di questo, e se decidessi che questo niente non vale nemmeno la pena di essere fatto, allora anche io stesso non sarei proprio niente; e quindi, anche se questa debole costruzione, questo castello di carte, che con un semplice soffio può venire giù da un attimo all’altro, sta ancora in piedi, ci riesce soltanto grazie alla vostra benevolenza, alla tolleranza tanto di moda, alla sopportazione insomma, e in ogni caso è comunque tutto ciò che io riesco a mettere assieme>>.  

<<Ho provato, naturalmente, più e più volte, a farmi venire in mente delle idee, a tentare di impegnarmi in qualcosa di diverso da queste emerite sciocchezze, ma i miei propositi ogni volta sono sempre ricaduti a terra come aquiloni senza vento. Forse qualcosa mi spinge ad andare avanti lungo questa strada, ho pensato allora; forse si tratta solamente di insistere di più, di non darmi mai per vinto, di provare nuovamente a farmi apprezzare per ciò che sono, senza manomettere o falsificare neanche una virgola di tutto quanto. E allora eccomi qui, anche se oramai si è ben capito che sono il primo non credere affatto in ciò che cerco di portare avanti>>.

<<Qualcuno, con una certa dose di ironia, mi ha suggerito persino di prendermi un periodo di riposo, una vacanza, hanno detto, e magari ripensare meglio a questa mia necessità di essere sempre, ogni volta, così sincero. “A volte basta qualche pennellata di falsità, senza esagerazioni, per far risaltare ogni dettaglio di tutto il quadro”, mi hanno spiegato. Ma io non sono così, non riesco a mostrare agli altri qualcosa in cui non credo veramente, non vengo a patti con certi mezzi discutibili, solo per far apprezzare di più i miei tentativi>>.

<<Perciò, alla fine, devo spiegarlo a tutti voi con grande schiettezza, la stessa che contraddistingue tutti i miei comportamenti: io, non ho niente da dire. E forse, proprio grazie a questa affermazione, dovrei subito starmene zitto, ritornare rapidamente in un angolo e cercare di scomparire il più possibile agli occhi degli altri. Ma come si fa, penso io, a ridursi in questo modo, come un mucchietto di stracci senza neppure una struttura vera per tenerli in piedi. Non posso abbandonarmi a questo, non riesco ad abbandonarmi fino ad un punto tale>>.

<<E allora vi chiedo solo una cosa, a voi che siete un grande pubblico degno di assistere a spettacoli meno miserevoli di quello che sto dando io in questo momento: vi prego, sopportatemi, lasciate che io sia quello che sono, nell’assenza di pregi e con la massa di difetti che mi porto dietro. In fondo non è un gran sacrificio per voi: è sufficiente che perdiate soltanto due o tre minuti del vostro tempo pur importantissimo, e subito dopo dimentichiate tutto, come se io non fossi neppure mai passato proprio da queste parti>>.

 

Bruno Magnolfi    

sabato 17 dicembre 2022

Perdita di tempo.


            Sto sempre dietro ad un paravento, lo so, me ne rendo conto; non ho niente di più da mostrare di me stesso, e forse non sarei neppure troppo capace di stare all’altezza di quello che mi trovo ordinariamente a compiere, se non fosse che il mio profilo è piuttosto basso, ed il minimo di risultato che ottengo dai miei blandi sforzi che a volte compio, dev’essere forzatamente per gli altri già sufficiente. In genere mi sento annoiato, e con ogni probabilità non avrei neppure voluto essere inserito in una realtà così monotona e del tutto priva di stimoli, se non fosse che era difficile per me collocarmi in una situazione diversa. Lo capisco, non ho avuto voglia di studiare negli anni scolastici, e mio padre, che aveva tanto insistito con me, non ha mai ottenuto alcun risultato, forse proprio per i suoi modi, oppure per quel suo pretendere e basta, ma adesso probabilmente non mi ricordo, e non saprei neanche dire. Mi rigiro nelle poche cose che penso, e mi pare che il tempo più importante per il mio futuro sia trascorso via senza che io abbia mai riflettuto adeguatamente su come impiegarlo. Il fratello di mio padre poi, ha steso una mano pietosa sulle mie spalle, e ad un certo punto, dopo che mi ero continuato a dibattere per un sacco di tempo nel cercare da solo certi lavoretti che purtroppo non sono mai riuscito a conservare e a rendere realmente duraturi, ha trovato ciò che per lui, e anche per tutti, era una soluzione assolutamente adeguata. Sono arrivato all’ufficio postale immaginando che anche in questo ambiente sarei rimasto ben poco, considerati tutti i miei trascorsi; invece, da questo lavoro, sembra proprio che nessuno mi manderà mai via, anche se non mi sono affezionato per niente alle attività che vi devo svolgere. Lascio andare avanti le cose un giorno di seguito all’altro, senza mai interrogarmi troppo su quanto sto facendo, come non ci fosse nessuna diversa soluzione per me, se non continuare così, ed accettare il mio ruolo.

            Questo paese di provincia è ancora più piccolo del mio, quello in cui sono nato, e che peraltro ho sempre un po' odiato, ma dove abito ancora, fortunatamente a pochi chilometri di distanza dal mio posto di lavoro, nelle due stanze poste sopra alla casa dei miei genitori. Al circolino dove vado spesso la sera, ci sono sempre le solite conoscenze lì pronte ad attendermi, e così tra coetanei si parla di cose leggere, si scambiano battute spiritose, ci si sfida alle carte, si beve qualcosa. Se dicessi a qualcuno di loro di non essere soddisfatto di me, si farebbero tutti una grossa risata, e poi basta: la vita è fatta in questa maniera, inutile star qui a lamentarsi o a tirar fuori cose che non si può certo modificare, potrebbero dirmi in un coro. Perciò seguo il mio turno, servo le carte, cerco di fare la giocata migliore a quel tavolo dove sembra che ridere e basta sia per ognuno la maniera migliore per tirare tutto in avanti. C'è stata qualche ragazza negli anni trascorsi, ma non c'è stato mai niente di serio, qualcosa magari più intenso che valesse la pena di essere spedito oltre le solite cose. Mi pare che tutto quanto sia poco accattivante, almeno per uno come me: sicuramente non mi sono mai meritato niente di particolare, però non ho neppure trovato intorno a me una situazione particolarmente incoraggiante.

Nell'ufficio postale dove lavoro si dipanano regolarmente gli elementi di un microcosmo completo, costituito da discorsi monotoni, gesti usuali, facce riviste con espressioni sempre un po' identiche, e discorsi che spesso non vale neppure la pena ascoltare. Smisto i pacchi e la posta, ogni volta che giunge il furgone da Pisa, ogni mattina, al momento in cui vengono scaricate da noi le presunte novità per un paese senza speranza come quello di Calci. Non ho niente contro questi bravi cittadini, è evidente; però sono io che non trovo niente da spartire con loro, così come con tutta questa provincia asfissiante, priva di stimoli, scarna di interesse, immobile e senza futuro. Per me era quasi una sfida essere capace di uscire con una ragazza del luogo, e quando si è concretizzata in un attimo questa possibilità, mi è parso, almeno per una serata, che qualcosa almeno potesse cambiare, e che la persona che vedevo ogni giorno dietro allo sportello dell'ufficio postale, potesse rivelarsi del tutto differente da ciò che avrei già potuto immaginare. Ma non è andata così, e tutto è rimasto esattamente come un colore diffuso sopra una tela incrostata di altri colori, mescolati tra loro in pennellate sovrapposte quasi senza criterio: un astratto, un dipinto senza capo né coda, difficile da interpretare, forse persino senza un vero significato, quasi un'assurdità, come qualcosa per cui è proprio inutile perdere ancora del tempo.

           

Bruno Magnolfi

martedì 13 dicembre 2022

Valore minore.


            Non mi sono mai preoccupata di quello che potrebbero pensare i miei colleghi dell’ufficio postale, nel momento in cui mi soffermo a parlare con i clienti che vengono allo sportello per compiere qualche banale operazione. Mi conoscono quasi tutti, oppure conoscono la mia famiglia, così mi salutano con cortesia, ed io chiedo loro come vadano le cose, della salute dei loro parenti, magari del motivo per cui da tanto tempo questo o quell’altro non si fa più vedere nella nostra agenzia. In molti, mentre stanno davanti allo sportello, proseguono a parlarmi di sé, dei loro problemi, dei piccoli guai ordinari che si trovano ad affrontare, e a me pare sempre qualcosa di importante quello che dicono. Mi sembra comunque una maniera cortese e doverosa di comportarsi la mia, e questo tentativo di fare almeno un po’ di conversazione, in generale porta tutti a farmi un sorriso, e a salutarmi con gioia, parlandomi volentieri delle loro cose, tanto che alla fine vanno via ben soddisfatti del servizio ricevuto, anche se è stato soltanto l’aver spedito una semplice raccomandata. La direttrice mi ha detto una volta che per lei va benissimo che io mi comporti così quando sto allo sportello, però senza mai esagerare, e poi le basta che non mi dilunghi troppo a chiacchierare quando c’è qualche cliente che attende il proprio turno. Ma non c’è mai troppa gente nel nostro ufficio, ed io da sola riesco a servire tutte le persone che vengono da noi nella mattinata. Il resto del tempo di ogni giorno poi lo trascorro con monotonia a casa dei miei, ad aiutare mia madre, specialmente da quando il mio papà si è ammalato, e non riesce più ad alzarsi dal letto, se non con grande fatica e sofferenza. Allora accenno ai miei genitori chi è venuto quel giorno all’ufficio postale e cosa mi ha raccontato, così loro si svagano ed hanno qualche notizia fresca di ciò che accade in paese.

            Forse dovrei aver frequentato di più qualcuno della mia età. negli anni passati, e magari essermi intrufolata in una cerchia di amici e di amiche con cui adesso uscire qualche volta, almeno alla domenica. Invece sono arrivata ad avere quasi trent’anni, e soltanto qualche vecchio compagno di scuola mi saluta con cortesia quando mi incontra per strada, oppure se si fa vedere alle poste per qualche commissione. Ma quasi tutti si sono sposati, ed hanno ormai la loro vita, mentre io sono rimasta ai loro occhi soltanto una zitella. Così, quando questo Alberto, di dieci anni più grande di me, un collega dell’ufficio postale che precedentemente neppure conoscevo, mi ha chiesto sottovoce se mi andasse di uscire con lui una sera, gli ho detto di sì, anche se non ho risposto subito, e l’ho lasciato, almeno per un po’, immerso nel dubbio. A mia mamma naturalmente ho raccontato una balla, poi mi sono fatta attendere con la macchina ad almeno cinquanta metri di distanza da casa mia, in maniera che nessuno sospettasse che quella sera mi vedevo da sola con un uomo, ma lui è stato cortese, mi ha portata in un locale di Pisa che già conosceva, in fondo poco distante dal nostro paese, e mi ha parlato di sé, delle sue giornate, del fatto che a volte si sente un po’ solo. Sostanzialmente mi è parso timido, già così come mi pareva in ufficio, ma in fondo ho apprezzato davvero il suo sforzo per avermi invitata, anche se non mi è sembrato avessimo molte cose in comune.

            Dopo qualche settimana, è tornato alla carica, e con un foglietto quasi incomprensibile lasciato piegato sul piano dello sportello a cui lavoro, mi ha chiesto di nuovo di fare un giro con lui, nella serata. Naturalmente gli ho detto di no, e così l’ho costretto in questo modo a chiedermelo ancora, nei giorni seguenti, almeno per un altro paio di volte. Non sono molto bella, me ne rendo conto, e di lui non sono neppure del tutto sicura che non abbia una fidanzata da qualche parte. Non abita nel mio paese, ma in uno vicino, così non riesco a sapere molto di lui. Sono una preda facile per uno come Alberto, è evidente, ed anche se la sua presenza viene a movimentare un po' le mie giornate, non voglio certe mostrarmi arrendevole. In più c'è da dire che nel nostro ufficio postale basterebbe una sciocchezza per lasciar comprendere a tutti che ce la stiamo intendendo io e lui, e da lì a farne notizia di popolo in tutto il paese, sarebbe proprio un attimo. Quando vado a lavorare, al mattino, lo trovo già lì che smista i pacchi, prima che venga aperto lo sportello per il pubblico. Lo saluto, certamente, ma senza guardarlo mai troppo, anzi tenendo nei suoi confronti quella leggera indifferenza che secondo me è assolutamente necessaria, fermandomi invece spesso a parlare con la direttrice e con gli altri, proprio come se Alberto, ai miei occhi, avesse un valore minore.

 

            Bruno Magnolfi

domenica 4 dicembre 2022

Vicino, così vicino.


            Io e Luciana, avanti l’inaugurazione della sua nuova trattoria, che peraltro oramai è quasi ultimata, ci siamo voluti regalare due giorni fuori città, in un rigenerante luogo di mare, giusto per rilassarci un momento e riprendere lo slancio di cui, nei prossimi tempi, avremo assolutamente bisogno per le nostre attività. Con la mia macchina, transitando lungo la costa toscana, ci siamo fermati a Talamone, in Maremma, dove ricordavo di essermi recato in completa solitudine già qualche anno addietro, e dove adesso ero curioso di tornare, anche per far visitare a Luciana un luogo incantevole, dove peraltro lei non era mai stata, e che, nonostante il pieno inverno, resta comunque un posto affascinante. Così ci siamo fermati nei pressi del delizioso porticciolo ai piedi del paese, e prese le giuste informazioni su un albergo poco più avanti, abbiamo trasferito le nostre poche cose in una delle tante camere libere in questa stagione. La giornata appariva bellissima, calma e piena di sole, così ci siamo subito concessi una piccola passeggiata a piedi sul mare, e quando ci è presa la voglia di noleggiare una barca per un giro fuori dalla baia, lo abbiamo fatto senz’altro, trovando persone gentili che hanno messo a nostra disposizione una piccola lancia con tutte le indicazioni necessarie. Cullati dalle onde, ci siamo subito sentiti in paradiso, ed allora mi sono ricordato del porticciolo militare dalla parte opposta dello specchio d’acqua davanti al borgo marinaro. 

            Per puro capriccio ho voluto fare un passaggio con la nostra barca proprio là vicino, e mi è parso che in quel momento non ci fosse proprio niente di interessante da rilevare. <<Sembra così strano che un luogo del genere sia destinato a dei traffici così pericolosi, e peraltro del tutto estranei ad un posto vocato a tutt’altro>>, ha detto Luciana guardandosi attorno. Ho sorriso, avrei voluto raccontarle lo strano incubo che avevo subìto durante la notte, a seguito del momento in cui mi ero imbattuto in un gruppo di militari che scaricavano una piccola nave carica di casse con bombe e proiettili, ma ho subito lasciato perdere. In certi casi mi perdo facilmente in qualche sciocchezza, ho pensato; come se, semplicemente, non assistendo di persona a quanto ci sembra maggiormente terribile, tutto ciò sia sufficiente a tenere tranquilla la nostra coscienza. <<Provoca angoscia sapere come certe parti di territorio siano destinate ad ordigni e a macchine da guerra>>, le ho detto come per chiudere l’argomento; <<in ogni caso è giusto esserne a conoscenza, così come è giusto essere a conoscenza del fatto che forse da qui partono addirittura delle armi che giungono in luoghi dove realmente si uccide, indipendentemente dalle motivazioni per farlo>>.

            Quindi ci siamo spinti verso il largo, e in poco tempo siamo arrivati fino allo specchio di mare davanti alla cittadina di Porto Santo Stefano. La giornata era ancora bellissima, perciò ci siamo scattati delle foto con lo sfondo del promontorio, ed in seguito siamo poi rientrati al porto e restituito il natante con motore fuori bordo al noleggiatore. <<Mi piace pensare che tutto stia girando in maniera positiva>>, ho detto a Luciana. <<Forse non sono mai stato particolarmente ottimista fino ad oggi>>, ho proseguito; <<però, da ora in avanti, le cose sembrano cambiare in modo veloce, e decisamente per il meglio>>. Lei ha sorriso, e nella luce calda della giornata mi è parso davvero che tutto stesse trovando la propria giusta sistemazione. A piedi siamo arrivati fino alla Rocca che sovrasta il caseggiato del piccolo paese, poi ci siamo presi un aperitivo in un locale poco lontano. <<Siamo persone insignificanti, confrontate a quello che avviene in ogni momento da ogni parte>>, ha detto lei forse in riferimento a quanto ci eravamo detti poco prima. Ho pensato che in questo modo Luciana provasse il desiderio di riappropriarsi di una logica maggiormente intimista, che poi è quella che ci caratterizza di più. <<Però non dobbiamo mai girare lo sguardo da un’altra parte, secondo me, anche se ci costa del sacrificio>>, le ho detto mentre osservavo il suo profilo nella luce del tramonto.

            <<Voglio parlarti di tutto quello che mi è accaduto, tutto quanto fino ad oggi>>, ho proseguito poi con espressione piuttosto seria. <<Desidero che tu assuma un’idea obiettiva su di me, il più possibile>>. Lei ha annuito, ha preso un sorso della sua bibita, poi ha risposto con semplicità che forse comprendere tutto è un compito probabilmente irrealizzabile, e che in ogni caso dobbiamo comunque tentare di formarci un’opinione su quanto è legittimo, su ciò che ci sfiora, quel che sentiamo vicino, che appare simile ai nostri stessi modi di essere; <<anche se tutto il resto non deve sembrarci mai qualcosa di estraneo, distante dai nostri pensieri>>. Mi è parso questo un ottimo proposito, così ho sorriso a Luciana, anche se in quel momento provavo dentro di me la dolce voglia del lasciarmi andare alla commozione, come mi trovassi di fronte a qualcosa che in fin dei conti avevo sempre desiderato, ma senza mai, proprio in nessun altro momento, essere riuscito a raggiungere.

 

            Bruno Magnolfi