lunedì 31 ottobre 2022

Senza troppe difficoltà.


            Mi manca Luciana. Purtroppo, le è presa un’infezione, mi ha detto suo padre, e così è stata ricoverata in clinica per una serie di accertamenti, e considerate le sue condizioni, fino a quando non si scoprirà esattamente da cosa deriva questo suo stato, non è neppure possibile farle una visita. Ho provato a telefonarle, ma non sempre può rispondere all’apparecchio, e così mi ha spiegato che sarà lei a chiamarmi, appena le sarà concesso. Vorrei essere più indifferente a certe cose, ma al contrario mi ritrovo continuamente a pensare a Luciana ed al suo dover stare ferma e distesa in un letto di ospedale, proprio lei che è abituata a muoversi e ad occuparsi di tante cose. Passerà, rifletto, questo momento negativo. Torneremo presto a vedersi e a parlare con piena sincerità tra noi due, proprio come avevamo fatto in questo ultimo periodo, anche se non abbiamo mai scambiato alcuna particolare intimità. In questi giorni ho smesso anche di andare alla tavola calda dove lei lavora, quando sta bene, proprio per non mettere suo padre in imbarazzo, e costringerlo in qualche modo a spiegarmi ancora una volta qualcosa sulle sue condizioni di salute. Preferisco starmene alla larga, non perché sia disinteressato alle notizie che la riguardano, quanto per la mia evidente abilità nel sentirmi immediatamente un ficcanaso, andando a curiosare tra i problemi degli altri, e nel dover ascoltare delle opinioni risapute che preferirei comunque sentire da lei stessa e dalla voce sua.   

            Poi, mentre sono in ufficio con tutto il daffare che fortunatamente tiene impegnata la mia testa, telefona Elisabetta. La scusa è quella di avere delle notizie che le mancano su un vecchio cliente che si era rivolto a noi qualche tempo fa, ed ora sembra si sia rifatto vivo con lei; ma dopo le immediate precisazioni, e qualche scarsa informazione oltre quelle che lei già conosce, e che comunque le fornisco, giunge alla fine la domanda attorno a cui ruota tutto il sacrificio che probabilmente le costa, ad una donna con il suo carattere, alzare l’apparecchio e comporre il mio numero. <<Come va?>>, mi chiede addolcendo impercettibilmente il tono della voce, con tutte le implicazioni che stanno dietro a questa sua richiesta. Resto sul vago, le spiego che in questo momento stiamo accumulando una serie di informazioni raccolte dai ragazzi che lavorano in esterno, e la vera difficoltà è soltanto quella di elencare, e poi svilupparle in ordine di importanza, tutte le notizie che siamo capaci di mettere insieme, per cercare di dare un seguito positivo a tutto quanto, fino a presentare naturalmente delle offerte ai possibili clienti. Mi pare di aver risposto degnamente, senza dare un’impronta troppo personalistica al lavoro, e restando anche abbastanza sul vago, proprio per non portare a confliggere la mia agenzia immobiliare con la sua, ma lei affonda subito su ciò che le interessa: <<E tu come stai?>>, mi chiede d’improvviso, facendomi intimidire per un modo di comportarsi che non le conoscevo, nonostante i tanti anni di attività svolti insieme a lei.

            Mi riesce di divincolarmi, inventando che c’è qualcuno in ufficio che sta chiedendo in questo momento proprio di me, e così appendiamo momentaneamente la telefonata, rinviando ogni eventuale chiacchiera ad un diverso giorno, dicendoci: <<Ci risentiamo>>, quasi come due vecchi amici, piuttosto che degli attuali avversari che hanno smesso da pochissimo di giocare per la stessa squadra. Quello che le ho detto comunque è assolutamente vero: i ragazzi stanno lavorando bene, anche se in mezzo a tutto quello che riescono a mettere insieme ci sono tante cose da scartare. Ed è questo ciò che sono chiamato a fare in questa fase, anche se sopra al tavolo ho già delle richieste di acquisto per alcuni appartamenti. Il mio socio fino ad oggi si è tenuto distante dall’agenzia, sicuramente per non intromettersi nella mia attività di direttore, ma sono sicuro che da un momento all’altro, visto che è lui ad aver messo il capitale per aprire questa azienda, farà una visita a sorpresa per vedere se cominciano ad arrivare i primi risultati. In tutto ciò mi sento sempre più da solo, e persino queste vetrine luminose che si affacciano alla strada mi sembrano troppo trasparenti per non farmi apparire quasi una marionetta nelle mani di un sistema che mi sta trascinando dove vuole. Comunque abbiamo messo in opera delle pareti mobili e opache dove più servivano, e già una serie di grandi offerte immobiliari ben illustrate richiamano dal vetro l’attenzione di chi passa sopra al marciapiede. Gli affari fioccheranno tra non molto, ne sono già più che sicuro; si tratta di non avere troppa fretta e di stringere sufficientemente i denti nella speranza che il momento attuale sia soltanto quello più difficile da dover attraversare, fino a quando tutto prenderà un suo corso, tranquillo, accettabile, senza troppe difficoltà, forse proprio così come poteva essere stato il mio lavoro per Elisabetta fino a ieri, se lei non avesse sempre mostrato il suo carattere scontroso ed individualista.  

 

            Bruno Magnolfi    

sabato 29 ottobre 2022

Scarse possibilità.


            Carlo, certe volte, aveva sostenuto che negli anni a venire sarebbe diventato inutile per noi impegnarsi a studiare ed imparare tutta una serie di nozioni come invece ancora dovevano fare. Tra non molto ogni informazione avrebbe avuto la possibilità di entrare nelle nostre menti per via elettronica, senza alcun sacrificio, praticamente come versare un liquido dentro un recipiente. Sandro annuiva, si mostrava praticamente d’accordo, ed io, anche se ero piuttosto perplesso, non avrei mai avuto il coraggio di dire che tutto questo non mi convinceva. Mi sembrava soltanto una maniera per squalificare in un attimo i più bravi, i primi della classe, quelli che, a differenza di noi, passavano le giornate chini sopra i libri. Ci mettevamo a sedere su un gradino di pietra, durante quei pomeriggi, sistemandoci uno a fianco all’altro, quasi senza la possibilità di guardarsi negli occhi, e si tiravano fuori così le proprie opinioni, certe volte anche le più stravaganti, generalmente senza mai replicare o mostrare un disaccordo palese, come se anche una qualsiasi enormità, detta però in quel cortile erboso dove non veniva mai nessuno a disturbarci, dovesse essere accolta come vera. Normalmente io mi limitavo ad ascoltare le opinioni dei miei amici, troppo timido com’ero nell’età della scuola elementare, per riuscire ad esporre qualcosa di sensato senza impappinarmi e quindi provare subito vergogna; qualcosa che magari potevo aver riflettuto per conto mio, senza alcun aiuto; però le trovate che tiravano fuori loro due mi affascinavano, anche se forse, almeno in certi casi, capivo che erano semplicemente delle invenzioni messe su ad arte solo per prendermi un po' in giro, e magari farmi fare la figura dello sciocco se mai avessi avuto il coraggio di riferirle a qualcun altro. Però, qualche altra volta, mi pareva che il tempo rallentasse parecchio, mentre parlavamo sottovoce davanti a quel fico polveroso e al muro scalcinato, durante quei pomeriggi in cui ci limitavamo soltanto a dire e ad ascoltare, proprio come volevamo noi, senza sfilare di corsa come sempre dietro al solito pallone, oppure a scorrazzare per tutto il nostro quartiere costituito quasi soltanto da vecchie case popolari.

       Le cose che venivo a sapere in quelle occasioni, al contrario di chi momentaneamente le sosteneva, a me rimanevano in mente per lungo tempo, come se avessi avuto bisogno di una attenta controprova per accertarne la loro inconsistenza, o per ritenerle addirittura false, tanto da riuscire facilmente in seguito a riconoscere le contraddizioni nelle quali facilmente cadevano i miei amici, nel momento esatto in cui, naturalmente in periodi successivi, arrivavano ad esprimere anche qualcosa di completamente opposto. Ritenevo di avere comunque un indubbio vantaggio sia su Carlo che su Sandro: riuscivo a stare anche per lungo tempo completamente in silenzio accanto a loro, magari meditando su ciò che sentivo dire, e formandomi cosi delle idee maggiormente riflettute. <<Se ti inserissero la spina nella presa della mente, tu cosa vorresti ti venisse riversato>>, chiedeva Sandro a Carlo già sorridendo. E lui rispondeva che gli sarebbe bastato tutto ciò che sapeva la nostra maestra, non una cosa di più. Sandro invece avrebbe voluto conoscere quel che era nella testa del pilota di un aereo, con tutta l'esperienza e il resto, così da riconoscere dall'alto ogni zona della terra, o sapere perfettamente cosa fare di fronte a qualsiasi difficoltà. Poi chiedevano a me, già sapendo che probabilmente non avrei saputo cosa dire. <<Gli animali>>, rispondevo invece io; <<sapere tutto ciò che riguarda gli animali: i loro comportamenti, le loro diverse maniere d'essere, anche di quelli più piccoli, e persino i segreti degli insetti. Come fanno le api a ritrovare sempre la strada, come possono i pipistrelli volare nel buio completo, tutte queste cose, insomma>>. Loro si guardavano, in quei casi, ed io mi sentivo improvvisamente solo, senza nessuna comprensione.

     Poi, con un cenno, si tornava sulla strada, uscendo dal nostro nascondiglio dietro quel largo caseggiato. A me non importava poi molto degli animali, se soltanto ci pensavo un po' più attentamente. Però mi piaceva molto curiosare nei comportamenti delle formiche, oppure nei modi che usava la nostra gatta di casa nel farsi comprendere quando aveva fame, o quando desiderava uscire fuori. La verità però era che non avrei proprio saputo cos’altro rispondere, se ci pensavo meglio: non aveva alcun senso, secondo me, sapere delle cose che non avevi meritato di sapere. Mancava il percorso, per giungere a quelle conoscenze gratuite, e quindi l'interesse reale ad avere nella memoria delle nozioni fredde. Poi però una volta parlammo della musica, e su questo ci trovammo d' accordo tutt'e tre. Qualche anno dopo Carlo imparò a suonare il flauto, e Sandro il pianoforte, mentre io avrei voluto tanto fare il musicista come loro, ma mi arresi quando i miei genitori dissero che la scuola per imparare a suonare uno strumento costava troppo. Così attesi a lungo che inventassero la maniera per padroneggiare la musica senza doverla neanche studiare, ma quando fui più grande mi resi conto che questo purtroppo non sarebbe mai stato possibile.

 

     Bruno Magnolfi

giovedì 27 ottobre 2022

Restituzione.


            Diversi anni addietro, durante una domenica come tante, mia moglie Laura ed io decidemmo di fare un giro in macchina fuori città, tanto per svagarsi, visto che le cose, tra noi due, già non sembravano andare troppo bene. Avevamo sentito parlare di un monastero sopra una collina verde neppure troppo distante, così giungemmo fin lì per visitarlo. Il posto era bellissimo e piuttosto affollato, ed il parcheggio accanto, quando arrivammo noi, era addirittura già pieno di vetture. Si fece un giro all'interno insieme ad altri, tutti accompagnati da una guida che spiegava ogni dettaglio, con pazienza e con professionalità. di ciò che era possibile comprendere da quei luoghi disadorni. Poi io fui distratto da qualcosa che mi incuriosiva, e in un attimo mi ritrovai completamente solo in quel dedalo di celle e di corridoi frequentati nei secoli passati soltanto dai frati di non ricordo più quale ordine preciso. Infine, entrai dentro ad una stanza, dove, con la fioca luce che penetrava da una finestrella, si intravedeva uno scrittoio ed una semplice sedia in legno, accanto ad una vecchia libreria contenente alcuni libri. Mi sedetti, ed iniziai a sfogliarne il primo che maggiormente mi attirava, rendendomi conto che per vederne bene le pagine dovevo avvicinarmi il più possibile a quella grata vetrata da cui si intravedeva all’esterno solo un cortile. Non si parlava, su quella carta ingiallita, di religione o di innalzamento verso il Signore, come facilmente si sarebbe potuto immaginare, ma di natura, e soprattutto di alberi, di boschi, di foreste, e anche di piccole coltivazioni. Immaginai che fosse stato scritto da uno dei frati del luogo, interessato allo studio della vegetazione circostante, ma mentre ne osservavo qualche pagina mi ritrovai tra le mani un vecchio foglietto scritto a mano che recitava: “Tutto si trasforma, e ciò che è vero oggi, non lo sarà per sempre”.

            Naturalmente rimisi a posto con rapidità il libro ed il resto, proprio così come avevo trovato quelle cose, e quando uscii dalla stanzetta presi lungo uno stretto corridoio, ed alla fine, seguendo le voci che mi giungevano smorzate, mi ritrovai comunque con gli altri. Laura si era preoccupata, è naturale, però ebbe immediatamente verso di me un moto di rimprovero, soffocato soltanto per il rispetto al luogo, e per la presenza di tante altre persone, anche se la nostra guida non si era accorta affatto della mia breve mancanza. Le dissi soltanto, per giustificazione, che avevo visitato una stanza un po’ appartata, ed avevo trovato un vecchio libro che mi aveva incuriosito. Alcuni giorni più tardi, ripensando a quella visita, mi resi conto che non riuscivo a ricordare le parole esatte di quella frase che avevo trovato quel giorno dentro al libro, anche se il senso mi era rimasto impresso nella mente. Mi innervosii, iniziai a scrivere su dei foglietti quello che mi pareva maggiormente simile, ma dalla mia mano venivano fuori soltanto frasi differenti, che non avevano la nettezza che avevo letto quel giorno in quell’appunto. Probabilmente quel frate che aveva voluto fermare sulla carta il suo pensiero, proprio osservando la natura attorno a sé, era giunto rapidamente a quelle semplici parole, ma non aveva voluto scriverle in un luogo accessibile, se non in mezzo alle pagine di un libro dove soltanto un appassionato di botanica avrebbe potuto leggerle, sicuramente condividendone il significato.

            Mi sentivo un privilegiato per essere riuscito forse ad arrivare al senso più nascosto della vita di un semplice frate, e dopo altri sforzi riuscii finalmente a rimettere insieme con esattezza le parole che avevo trovato dentro al libro. Riconoscevo che quella frase era banale, e forse non voleva neppure indicare niente di particolare, eppure ero attratto da quelle parole, tanto che iniziai a scriverle anche io ogni tanto su qualche foglietto che chiudevo in un cassetto, o che abbandonavo in qualche luogo. Quando infine mi prese la voglia di tornare a visitare il monastero, inventai una scusa con Laura, e durante una giornata festiva mi spinsi con la mia macchina fino a quella collina che ricordavo piuttosto bene, tanto da mettermi in fila, insieme ad altri, per visitare di nuovo quegli interni, anche stavolta accompagnato naturalmente dalla guida. Ricordavo la stanza, tanto che al momento giusto del percorso rimasi appositamente ultimo tra tutti, e quando vidi la vecchia porta di legno socchiusa, la spinsi per entrare. Dentro c’era un uomo anziano, seduto allo scrittoio, intento ad appuntare qualcosa alla luce di una debole lampadina che schiariva solamente il piano e il foglio su cui si stava impegnando. Lui alzò gli occhi per guardarmi, forse sorpreso, magari per dirmi che stavo sbagliando itinerario, ma io lo precedetti, recitando quella stessa frase che oramai conoscevo bene.

            Lui non replicò, soltanto annuì con la testa, come se conoscesse bene il senso di quelle semplici parole; poi attese soltanto che uscissi dalla stanza, e lo lasciassi nuovamente solo. Mi sentii subito leggero, sollevato: avevo restituito le parole al loro luogo, ed era sufficiente.    

 

            Bruno Magnolfi

martedì 25 ottobre 2022

Incertezze.


            Stasera c’è Mauro, il titolare dell’esercizio, a servire dietro al bancone riscaldato della rosticceria-tavola calda dove ormai vado quasi sempre. Con una certa titubanza gli chiedo semplicemente di servirmi, in una vaschetta da asporto, del pollo arrosto con delle patate, e lui, senza neppure che lo chiedessi, mentre si comporta con la solita professionalità, dice a mezza voce che sua figlia Luciana oggi è rimasta a casa, che purtroppo non sta bene, e forse per qualche giorno non potrà venire nel locale a dargli una mano. <<Mi dispiace>>, commento con una certa sorpresa; <<speriamo che guarisca alla svelta>>, proseguo vergognandomi un po’ per l’affermazione scontata. Poi prendo la busta che lui mi porge, e quindi pago quanto dovuto, anche se appena esco dal ristorante sento prendermi la voglia di passare da lei, da Luciana, e chiederle di persona con maggiore precisione come si sente. Purtroppo, non ho il suo numero di telefono, non abbiamo mai avuto bisogno di scambiarci i recapiti fino adesso, considerato che ero sicuro di trovarla ogni sera nella rosticceria dove lavora, e che qualsiasi appuntamento in questo ultimo periodo, da quando ci vediamo, lo abbiamo sempre preso così, di persona, senza provare il desiderio di telefonarci. Però so dove abita, e a quest’ora in casa evidentemente non c’è neanche suo padre, potrei quasi tentare di suonarle il campanello, aspettandomi magari che possa affacciarsi alla finestra di quel suo primo piano. Salgo rapidamente sulla mia utilitaria e percorro quelle poche strade fino a casa sua, ma una volta lì mi prendono dei dubbi, e soprattutto mi sembra di essere decisamente troppo invadente. Potrei tornare indietro e farmi dare il numero dell’apparecchio da suo padre, così da poterla chiamare senza disturbarla troppo, però è passato già un po’ troppo tempo, apparirei soltanto un indeciso.

            Resto sotto le sue finestre a lungo, stazionando là nell’attesa di chissà che cosa, ma alla fine rifletto che quella della malattia forse è soltanto una scusa inventata da suo padre magari per coprire altre faccende di cui non devo venire a conoscenza. Giro attorno a quei palazzi due o tre volte, ma alla fine parcheggio ed arresto il motore della macchina. Scendo, mentre la vaschetta con il mio pollo si raffredda, e mi avvicino ai campanelli a fianco del portone. Suono brevemente, e poi attendo, ma sembra che niente si muova nell’appartamento di Luciana. Non insisto, probabilmente non è in casa; oppure sta talmente male che non può neppure arrivare a una finestra o chiedere al citofono chi possa essere a quell’ora. Vado via, decido che domani tornerò alla rosticceria e mi farò dare il numero di telefono da suo papà, chiedendogli naturalmente se posso disturbarla. Mi dirigo verso casa mia, non ritengo di avere altro da fare che stendere la tovaglia in cucina e mangiarmi il pollo freddo. Però non sono tranquillo, mi pare quasi che la mia scampanellata abbia potuto lasciare degli strascichi di cui in questo momento non so neppure giudicarne l’importanza. Ho sbagliato, penso: avrei dovuto chiedere subito a Mauro se fosse possibile telefonare a sua figlia, e così avrei potuto gestire meglio la faccenda, e forse sentire finalmente all’apparecchio la voce di Luciana.

            Mi è passata completamente la voglia di mangiare, ed anche se ormai è tardi per qualsiasi decisione, continuo a riflettere sulla motivazione che mi ha portato a rimanermene completamente immobile, senza fare niente. Però è vero che suo padre avrebbe anche potuto suggerirmi, nel caso avessi voluto parlare con Luciana, che non ci sarebbe stato da far altro che comporre il numero che intanto lui, appuntandolo su un qualsiasi pezzo di carta, mi avrebbe passato sul bancone, anche per togliermi dall’inevitabile imbarazzo in cui mi ero trovato. Probabilmente però lui non sa che non ci siamo mai scambiati i numeri, io e lei, e quindi forse ha dato persino per scontato che appena uscito dalla rosticceria avrei chiamato Luciana, anche per darle una parola di incoraggiamento, se lei ne avesse mai avuto bisogno. In tutti i casi il risultato fa acqua da ogni parte, e l’unica cosa a cui posso appellarmi, se lei venisse a sapere che non mi sono interessato affatto del suo stato di salute, sarebbe che non volevo arrecarle alcun disturbo. Infine, dopo aver dato un morso alla coscia di pollo che ormai non è più neanche appetibile, torno ad indossare la giacca ed uscire da casa, per scendere rapidamente le scale, salire in macchina, e poi tornare alla rosticceria, dove suo padre sta per chiudere e mostra un’espressione di sorpresa nel vedermi. <<Non trovo più nella rubrica il numero di Luciana>>, gli dico col fiatone, e lui allora me lo detta, con tranquillità, leggermente sorridendo, spiegandomi che se decido di chiamarla anche stasera, a lei sicuramente non può far altro che piacere. <<Ciao, Luciana>>, le dico dalla macchina, mentre dall’emozione mi pare che potrei mettermi a piangere. <<Adesso sto meglio>>, fa lei. Ed io non so se è per la mia telefonata, o per la sua salute.

 

            Bruno Magnolfi    

lunedì 24 ottobre 2022

Percorso compiuto.


A volte mi sento inutile. Non ha alcuna importanza che svolga un mestiere, che riesca a pagare l’affitto di casa, le bollette, e mandi avanti come sempre ho fatto tutte le altre incombenze. La mia giornata sembra comunque che non abbia alcun senso: compio le cose che chiunque probabilmente farebbe al mio posto, senza che riesca almeno ad evidenziare in questo percorso una mia personalità propria, delle capacità ben specifiche, dei comportamenti che si mostrino se non altro utili agli altri, o di cui gli altri possono esserne in qualche maniera avvantaggiati. Soprattutto mi manca qualcuno con cui condividere sia le poche gioie che mi capita di provare, sia i tanti tormenti a cui vado soggetto. Con questo pensiero prevalente stamani scendo con calma le scale condominiali del mio appartamento, come d’abitudine, la mia fedele cartella di pelle con me, la giacca migliore che possiedo sopra le spalle, la cravatta annodata correttamente, e la faccia sbarbata con cura. Oggi inizio un nuovo lavoro, un ruolo diverso, una figura professionale più in vista, ma anche qualcosa che ancora non so di preciso neppure come potrà dimostrarsi, o a quali difficoltà mi potrà esporre, ma che promette, almeno sulla carta, un futuro migliore di quello che fino a ieri avrei mai potuto immaginare. Eppure, mi sento terribilmente esitante mentre mi muovo incontro alla nuova giornata, e non riesco a trovare dentro me stesso quell'entusiasmo di cui forse in questo esatto momento avrei una grande necessità. Magari, pur di non fare questo salto nel vuoto, preferirei salire rapidamente su di un taxi, farmi portare fino alla stazione ferroviaria centrale, e da lì, senza neppure pormi troppe domande, imbarcarmi sul primo treno che parte verso una destinazione straniera qualsiasi.

Mi fermo quasi spossato sul portone del mio palazzo, ancora prima di affrontare la strada: c'è il solito vicino che staziona lì accanto sul marciapiede, e subito mi saluta, mi fa i complimenti per l'eleganza che sfoggio stamani, poi riprende la solfa della signora che al piano terreno lascia scorrazzare il suo gatto da tutte le parti. Sorrido, mi fermo, ma gli dico che non ho molto tempo, anche se mi comporto come se desiderassi fortemente di essere trattenuto il più possibile con i suoi discorsi perlopiù inconcludenti. Mi racconta qualcosa di sé, delle proprie opinioni sul vicinato, del parere che ha messo a punto sulla recente politica approvata dal governo, ma fortunatamente alla fine mi lascia andare per la mia strada, considerato che forse aveva già esaurito, anche piuttosto in fretta, i suoi principali argomenti. Mi guardo attorno, la giornata appare normale, la gente che circola è la stessa che si incontra ogni mattina, eppure ogni dettaglio su cui fisso lo sguardo mi pare degno di un’attenzione che fino a questo momento non avevo mai avuto. Non mi sento nervoso, eppure questo attimo di passaggio sono sicuro che segnerà nei miei anni un confine preciso, sempre più definito nel corso del tempo, qualcosa di cui ne avrò il ricordo, per chissà quanti anni, proprio in virtù di questa data precisa, come un segno netto sul calendario che delimiterà un prima ed un dopo, senza che a questo punto possa fare niente per evitare che tutto quanto debba ormai verificarsi.

So perfettamente che la mia discreta esperienza in questo campo, appena seduto nel nuovo ufficio, prenderà rapidamente le redini dei miei comportamenti e delle scelte da compiere, e non avrò alcun bisogno di fermare i miei pensieri su di un particolare oppure sull’altro: tutto fluirà senza intoppi, le cose inizieranno a scorrere facilmente sopra la mia scrivania, e a me non resterà altro da fare che registrare nella mia mente ogni più piccola decisione, ogni direttiva, qualsiasi preferenza affidata ad un comportamento oppure ad un altro, fino a definire una logica che sia in qualche modo la migliore e più vantaggiosa possibile. Eppure, mi sembra quasi incredibile poter dimostrarmi all’altezza proprio di un compito di questo genere. Così, proseguo per adesso a respirare l’aria fresca di questa città, e mi pare che sia esattamente l’ultima che mi è concessa e di cui poter godere, considerato che tra non molto tutto assumerà un sapore differente, una nuova colorazione, una densità che probabilmente non ho mai conosciuto fino ad oggi.

Alla fine, sempre con la mia camminata indecisa, giungo rapidamente in prossimità dell'agenzia immobiliare "F. & A.", che poi non è molto distante da dove abito; rallento ancora l'andatura che ho tenuto, e poi mi fermo, osservo le vetrine ancora un po' vuote degli uffici che da ora in avanti dovrò dirigere, infine tiro fuori le chiavi e disattivo l'allarme prima di entrare. Ecco, ci sono, tra poco giungeranno anche gli altri, mi guardo attorno in uno spazio che mi appare ancora tutto da definire, poi vado a sedermi, osservo i dettagli, le superfici pulite, asettiche, praticamente perfette; e so d’improvviso che la maggior parte di tutto il percorso oramai appare compiuto.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 21 ottobre 2022

Direzione casuale.


            Oggi all'ora di pranzo mi sono fermato in birreria per mangiare velocemente un panino e buttar giù una rossa piccola alla spina. Nel locale, in quel momento, c’erano soltanto dei ragazzi a scherzare tra loro attorno a un tavolo, così Lorenzo si è subito fermato da me per fare due parole e chiedermi come mi andassero le cose. <<È il mio ultimo giorno di lavoro>>, gli ho detto secco ma sottovoce, scuotendo leggermente il capo in avanti, come a confermare quello che dicevo; <<Non perché cambio mestiere; vado soltanto in un’altra agenzia immobiliare a prestare servizio>>. Lui mi ha guardato perfettamente in silenzio, forse con una certa meraviglia, e d’altra parte non gli avevo mai detto niente fino ad oggi di tutti i miei propositi; così ha meditato qualcosa tra sé, poi mi ha chiesto soltanto: <<ed Elisabetta come l’ha presa?>>. Ho sorriso timidamente. Non mi aspettavo neppure una domanda di quel genere, però mi è parso subito un ottimo argomento. <<Bene, mi sembra; ha già trovato una persona abbastanza esperta che mi sostituirà, ad iniziare già da domani, e quindi pare proprio che non avvenga un eccessivo terremoto nella sua azienda>>. Lui allora ha messo via con calma qualche bicchiere pulito, ha sistemato ancora qualcosa sotto al suo bancone, poi però mi ha chiesto: <<e cosa vai a fare nella nuova immobiliare; le stesse cose di adesso, mi immagino>>. A questo punto, anche per prendere tempo, ho affondato un morso nel mio panino tiepido, ho guardato per un attimo il piano del banco davanti a me; poi gli ho detto: <<Non proprio; dovrò assumere il compito di direttore di tutta la baracca>>. Lui si è fatto una breve risata, non perché non credesse a quello che dicevo, o mettesse in dubbio le mie capacità nel ricoprire un ruolo del genere, quanto perché desiderava riconoscere in questa maniera la grossa svolta che stavo dando al mio lavoro. Mi ha stretto la mano, sempre ridendo, e ha detto che si sentiva felice del passo che stavo per compiere, e poi anche che questo salto di qualità uno come me lo meritava proprio.

Non ha neppure voluto, in nessuna maniera, che pagassi la mia consumazione, ed alla fine è uscito veloce da dietro la sua solita postazione dietro al banco, e mi ha abbracciato, come soltanto un vero amico probabilmente può fare. Quando poi l'ho salutato, e sono uscito dalla sua birreria, mi sono sentito felice fino quasi alle lacrime: non soltanto Lorenzo aveva apprezzato completamente le mie decisioni, ma le approvava assolutamente, come mai forse ero stato apprezzato fino ad oggi. Ed era esattamente ciò che, senza saperlo fino ad ora, desideravo proprio sentirmi dire da uno come lui, considerato che in tutto questo grande cambiamento del mio percorso lavorativo, quello che fino adesso non avevo mai cercato da nessuno, sbagliando ovviamente, era esattamente un sostegno sincero. Quando poi sono rientrato in ufficio per finire di preparare le mie cose da portare via, ho trovato Elisabetta che si stava asciugando gli occhi, e Carla che nel momento in cui mi ha visto ha preso la sua borsa ed è uscita dall’agenzia, senza dirmi assolutamente niente mentre mi passava accanto, ma dandomi un’occhiata a dir poco molto esauriente. Mi sono seduto, ho aperto uno alla volta tutti i cassetti, ed ho iniziato a sistemare le poche cose che desideravo prendere, mettendole dentro una busta che mi ero portato dietro. <<Scusa>>, ha detto allora Elisabetta; <<è che non riesco a sopportare le separazioni; è più forte di me>>. Così mi sono interrotto per un momento senza trovare purtroppo nessuna parola da dirle che avesse un vero senso, almeno in quel momento.

Però, in un lampo, mi sono passati per la mente alla rinfusa tutti quei periodi difficili trascorsi fin dall’inizio, sempre caratterizzati da un grande malumore, grazie al suo carattere scorbutico ed al suo perenne bisogno di non dare mai alcuna importanza agli altri, durante i quali ho dovuto quasi giungere, in certi casi, ad impormi di sopportare quella situazione e a tirare avanti con il mio lavoro senza farmi mai distogliere dai miei veri scopi. <<Anche a me dispiace>>, ho detto poi senza aggiungere nient’altro, tanto che, finito di svuotare quei cassetti e di riporre le altre cose personali che avevo accumulato nella mia scrivania in tutti questi anni, mi è parso inevitabile alzarmi dalla mia poltroncina con braccioli, andare per un attimo accanto a Elisabetta, stringerle la mano da sopra al piano della sua scrivania, ed infine silenziosamente andarmene, lasciando alle mie spalle quei singhiozzi al momento sinceramente anche poco comprensibili. Per strada mi è sembrato di sentirmi decisamente meglio, sollevato da qualcosa che col tempo era sicuramente diventato un carico sempre più pesante da portare avanti, anche se mi risultava adesso ancora poco chiaro il comportamento di chi lasciavo alle mie spalle. Infine, sono salito sulla mia utilitaria, ho chiuso lo sportello, e dopo un attimo ne ho avviato il motore, senza però sapere esattamente verso dove dirigermi.

 

Bruno Magnolfi     

mercoledì 19 ottobre 2022

Soltanto uno che sbaglia.


            <<Sono andata a vedere da fuori la sede della tua nuova agenzia immobiliare>>, dice Luciana, dopo che mi sono seduto per mangiare qualcosa nella rosticceria-tavola calda dove lei lavora insieme a suo padre. <<Sembra grande, spaziosa, direi quasi importante, in grado di fare una concorrenza spietata a tutte le altre in città>>. La guardo per un attimo sorridendo; <<ma no; c’è mercato per tutti>>, le dico con semplicità; <<forse a qualcuno daremo un po’ di fastidio agli inizi, ma si tratta di specializzare le possibili offerte, in maniera che ogni agenzia riesca a coltivare una propria clientela>>. Lei appoggia un braccio sul tavolo, mi guarda negli occhi per qualche momento mentre rimango con la forchetta a mezz’aria. <<Dovremo festeggiare, uno di questi giorni>>, mi dice allora sorridendo, prima di rimettersi in moto e raggiungere la sua solita postazione, dietro all’enorme bancone riscaldato, per servire un cliente. Annuisco da solo, mentre divoro un ottimo arrosto. Mi pare impossibile essere giunto ad una fase del genere: tra pochi giorni inaugureremo la sede, abbiamo già assunto quattro ragazzi che inizieranno da subito a raccogliere le informazioni immobiliari su tutto il quartiere e anche oltre, naturalmente con un criterio preciso già stabilito, ed in seguito proseguiremo anche per via telefonica a cercare appartamenti posti in vendita, e anche da affittare. Ogni notizia sarà vagliata da me, ed applicando, almeno inizialmente, delle percentuali più basse rispetto alle altre agenzie, dovremo riuscire ad entrare in fretta nel circuito generale delle compravendite in questa città. A quel punto, io e Fernando valuteremo perfino se si renderà necessaria una segreteria che smisti e controlli ogni elemento in arrivo e in uscita nei nostri uffici.

            Se ci penso attentamente mi sembra di subire una veloce trasformazione praticamente in un’altra persona, nell’arco di questi pochissimi giorni; come se mi stessi adattando rapidamente a diventare qualcuno che ancora non ho neppure ben chiaro dentro la mente, ma che sta già reclamando una sua autonomia, dei modi di essere e di comportarsi ben differenti da tutte le mie abitudini trascorse. Forse anche Luciana si sta già rendendo conto che le mie preoccupazioni dei prossimi tempi saranno ben superiori a quelle ordinarie, e forse persino lei cambierà atteggiamento nei miei confronti, anche se non so stabilire in che cosa o in quale maniera. Da un lato mi sento elettrizzato da tutto ciò; dall’altro, la preoccupazione di non essere all’altezza di quanto succede, mi porta quasi a cercare dietro di me una possibile e concreta via per la fuga. Fernando al contrario è tranquillo. Continua a dirmi che è tutto sotto controllo e che ogni passaggio prosegue secondo i suoi piani, tanto che tra poco mi consegnerà nelle mani ogni elemento dell’attività, e lui non cercherà per nessun motivo di prevaricare le mie decisioni lavorative. Peraltro, ha già deciso che passerà dall’agenzia non più di una volta ogni quindici giorni, in maniera da non intralciarmi, e nel momento in cui avvertissi la necessità di un consiglio, naturalmente potrò telefonargli in qualsiasi momento, senza problemi.

            Quasi mi disturba tutta questa attività che ho di fronte, io che fino ad oggi mi sono adagiato poco per volta su tante sciocche abitudini, ma questo futuro nascente in fondo è l’esatta prosecuzione di ciò che ho imparato a fare anno dopo anno: trattare con i clienti, far visionare gli appartamenti, trattare sui prezzi, convincere qualcuno del buon affare che sto per proporre. Niente di illecito, tutto sotto i raggi del sole, anche se i miei guadagni personali, fino a questo momento, sono stati ben poca cosa rispetto al volume di denaro scambiato. Adesso, anche in virtù delle simulazioni fatte provare da Fernando presso un ufficio specifico addetto alle statistiche, sembra che le cose cambieranno in maniera radicale, e quindi lo faranno anche per quanto riguarda me, dandomi la possibilità di un tenore di vita un po’ differente. Non so, non provo grandi necessità di variazioni personali. Certo, mi fa piacere affrontare un passo in avanti nella mia carriera, ma non è certo per orgoglio che ho accettato tutto questo. Credo che ogni variazione, anche di una certa importanza, debba comunque procedere tramite uno sviluppo piuttosto naturale, e oramai nel mio caso, restare ancora confinato come dipendente in una agenzia di piccole dimensioni, era qualcosa che sicuramente andava scosso, magari con un deciso strattone improvviso, anche se fino a quando tutto non sarà davvero concretizzato davanti ai miei occhi, non riterrò che le cose siano cambiate davvero. 

Quando ho parlato a Luciana di tutto questo, lei si è mostrata contenta per ciò che iniziavo ad affrontare, e mi ha anche incoraggiato, nel momento in cui le ho detto che era successo tutto per caso, e che probabilmente non avrei mai tentato da solo questa strada. <<Bisogna buttarsi>>, mi ha detto subito. <<Restare indietro, solo perché non si ha il coraggio di provare, è solo da sciocchi>>. Va bene, ho pensato. In fondo non mi ritengo proprio uno sciocco; al massimo uno che sbaglia.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 17 ottobre 2022

Finzioni necessarie.


            L’incarico, concesso ad un’importante agenzia addetta alla selezione del personale, una volta pubblicate alcune inserzioni mirate, è diventato immediatamente operativo, e si è così dato inizio allo svolgimento dei relativi colloqui per l’individuazione dei soggetti più adatti all’inserimento dei candidati negli organici dei nuovi uffici dell’immobiliare; ed io, per mio conto, ho già informato Elisabetta che dovrò prendermi un paio di pomeriggi liberi per incontrare, e quindi eseguire la scelta finale, quei candidati risultati più adatti, naturalmente rendendomi di controparte disponibile, nel proseguo del periodo di preavviso al licenziamento, per affiancare la nuova figura professionale che dovrà sostituirmi nel mio vecchio posto di lavoro, così da instradarla a mia volta nei suoi compiti futuri. Elisabetta, nel ricevere a mano la mia sofferta lettera di dimissioni, sull'immediato non ha avuto niente da eccepire, com'era peraltro del tutto prevedibile, tanto che in quella stessa mattina della settimana scorsa lei ha poi continuato a svolgere tranquillamente, alla scrivania dell’ufficio, le proprie funzioni, come qualsiasi altro giorno. Però, al momento in cui ho preparato le chiavi e le planimetrie, come mio solito, per recarmi ad un appuntamento con alcuni clienti desiderosi di visionare una casa, ho inteso dire da lei, pur senza avermi ancora guardato: <<spero che resteremo in contatto>>, come parlasse però con qualcuno al telefono, senza neppure sollevare gli occhi dallo schermo del suo terminale. Ho fatto trascorrere qualche secondo, mentre ero in piedi impugnando già i manici della mia cartella e pronto per uscire. <<Lo spero anche io>>, le ho sillabato allora sottovoce, quasi commosso, immaginando lo sforzo che lei stava affrontando.

La sede della nuova agenzia immobiliare "F. & A.", all’angolo delle due strade principali di tutto il quartiere, adesso praticamente è quasi pronta, e Fernando, mio socio in affari e finanziatore, appare ben soddisfatto nell'essere riuscito a far rispettare i tempi agli operai e a tutte le maestranze, e nel consegnare a me, prossimo direttore dell'azienda, il lavoro perfettamente completato a regola d'arte. Io e lui ultimamente ci siamo visti parecchie volte, soprattutto per decidere le soluzioni finali di quegli uffici, ed abbiamo anche pranzato assieme, in diverse occasioni, continuamente parlando di come impostare tutte le cose che riguardano la nostra società, e del futuro dell’agenzia. Oggi, d’improvviso, mentre passo dalla sede per osservare l’effetto che fa la nuova insegna, e rendermi anche conto di ciò che eventualmente può ancora mancare per rendere l’ambiente il più possibile accogliente e piacevole, Fernando mi spiega che sua sorella gli ha detto al telefono di salutarmi cordialmente, dopo questa manciata d’anni dalla nostra separazione, come se fosse una cosa normale non essersi quasi più sentiti da allora, se non tramite avvocato. <<Ti ringrazio>>, gli ho detto, <<ma forse c’è qualcosa che non comprendo>>. <<Vedi>>, ha detto allora lui sorridendo, <<le cose per Laura sono andate molto bene ultimamente, dopo che ha deciso di prendere in mano l’azienda agricola della nostra vecchia zia, quella che mi pare abbia conosciuto anche tu durante il vostro viaggio di nozze, nella Maremma toscana. Tanto che adesso si sente quasi in debito verso di te>>.

Sono rimasto di sasso; dopo le vicende relative al divorzio non sembrava ci fosse alcuna possibilità di conservare un minimo di relazione tra me e Laura, ed ora, di colpo, appariva quasi che io stessi cercando in tutti i modi un riavvicinamento verso di lei. Non era così, suo fratello Fernando sapeva perfettamente come stavano le cose, ed anche di essere stato lui a cercarmi, tanto che io fino ad allora non sapevo neppure chi fosse, visto che nella mia vita non lo avevo neppure mai incontrato, al momento in cui si era presentato nella agenzia di Elisabetta, o forse nella birreria di Lorenzo, adesso non ricordo perfettamente. Sono rimasto in silenzio, in fondo non avevo niente da dire né da sapere, le cose erano andate in una certa maniera, ed il fatto di ritrovarmi in affari proprio con il fratello della mia ex-moglie, era frutto solamente della più pura casualità. Lui non ha aggiunto altro, ed io ho lasciato correre via qualsiasi pensiero dalla mia mente, come se la mia concentrazione avesse il proprio punto focale soltanto nell’avvio del nuovo lavoro, ed in nient’altro. Ma quando alla fine, dopo aver parlato d’altro, sono rimasto finalmente da solo, ho iniziato a riflettere meglio su tutto quanto, e mi è giunto il sospetto che l’arrivo di questo signor Fernando nella mia vita lavorativa, fosse soltanto una maniera per risarcirmi di qualcosa che avrebbe anche potuto essere mio. Non era così, non poteva assolutamente essere così, eppure tutto questo all’improvviso sembrava un altro avvelenamento di qualcosa di positivo che stava capitando. Avrebbe anche potuto essere, questo Fernando, una persona qualsiasi, mi chiedevo, senza bisogno di rappresentare la famiglia della mia ex-moglie? Forse dovevo soltanto tenere i nervi maggiormente saldi, ed approfittare di ciò che mi veniva offerto, senza provare la necessità di torturami la mente. Eppure, qualcosa adesso strideva, non potevo certo fingere.

 

Bruno Magnolfi    

sabato 15 ottobre 2022

Differenze marginali.


            Avevo meno di dieci anni, quando mi prese una malattia lunga e antipatica, tanto che riuscii a tornare a scuola solamente dopo diverse settimane. In quel periodo ero sempre stato a letto, per cui una volta in piedi mi sentivo debole, e quando rividi qualche compagno che correva per entrare in classe, mi sentii subito incapace di stare minimamente allo stesso pari. Salutai la mamma, infine, e mi avviai anche io lungo le scale dell’edificio, subito preoccupato sia di quello che adesso avrebbero potuto dire di me gli altri bambini, che della improbabile cortesia, da parte loro, di avermi lasciato il posto libero al mio banco; ma anche incerto che i piccoli rapporti di amicizia che avevo elaborato con fatica prima della malattia, fossero rimasti proprio tali. Mi ritrovai di fronte ad una completa indifferenza sia nei confronti di quel mio rientro a scuola, sia dei miei trascorsi problemi di salute, e dopo poco che mi ero seduto in un banco qualsiasi rimasto libero, mi resi conto che tutto sommato era proprio come se dall'aula non mi fossi mai assentato, e forse, per certi versi, anche come se fossi ancora assente. Tra i miei compagni, in quegli anni, c’era sempre qualcuno che tendeva a prendermi un po’ in giro e a farmi degli scherzi. Troppo da solo, troppo silenzioso, troppo diverso da tutti per poter essere lasciato in pace seduto al proprio posto come uno qualsiasi. Così, una volta ritornato, le cose ripresero esattamente dallo stesso punto. Ricordo che restai in silenzio per quasi tutta la mattinata, ed anche durante la lunga ricreazione, a quei due o tre che mi chiedevano ridendo che cosa mi fosse capitato, non risposi quasi niente, alzando le spalle come se in fondo non lo sapessi neppure io con precisione. Qualcuno disse, ma soltanto per scherzare, che avevo avuto il colera, e che dovevo essere tenuto un po’ a distanza, ma tutti gli altri presero per seria quella informazione, ed iniziarono a comportarsi esattamente così.

            Era buffo sentirsi allontanato da tutti gli altri, però quasi mi piaceva sentirmi diverso da loro, fino a fingere di avvicinare di colpo qualche gruppetto, per vedere quei compagni scappare quasi come fossi un vero appestato. L’insegnante si accorse di questa situazione, così mi chiamò a sé per dimostrare a tutti gli altri che non c’era alcun pericolo nel toccarmi e nello starmi vicino. Naturalmente i bambini dell’aula continuarono a comportarsi nella stessa maniera di prima, anche perché era divertente per loro scansare un coetaneo con cui non avevano avuto alcun rapporto per così tanto tempo, ma anche a me non dispiaceva troppo incarnare colui che era differente, portatore di virus, ammalato quasi cronico, strano, praticamente un extraterrestre. L’anno scolastico si concluse più o meno in questa maniera, anche se un mio compagno di classe, molto timido e silenzioso, durante uno di quei giorni si avvicinò lentamente a me solo per dirmi pacatamente che a lui facevo schifo, anche se non sapeva spiegarne esattamente la ragione. Ebbi quasi pena di lui, non so perché, forse solo per tutto quanto il contesto, comunque gli dissi che le sue erano parole strane, e che non mi ferivano, se era questo il suo intento.

            Lui non disse niente, anche se fu l’unico ad avvicinarsi spontaneamente a me in quei tre mesi che mancavano alla fine dell’anno scolastico. Ad un certo punto pensai che avrei potuto persino giudicarlo amico mio, salvo rendermi conto che probabilmente a lui non importava niente di me, e che senz’altro era solo attratto dal fatto che io venivo continuamente scansato quasi da tutti. In quel periodo cominciai a sporcarmi la faccia ed anche il grembiule con dei pezzetti di terra bagnata, e anche con frammenti di carta fradicia, proprio per esagerare il senso di disgustoso che potevo esercitare almeno su chi era più in vista nella classe. Ma rimasi perplesso quando mi accorsi poco dopo che il mio amico aveva iniziato a fare su di sé la stessa cosa, forse per emulazione, oppure per una specie di strana solidarietà, anche se a tutt’oggi non saprei dirlo; fino a quando venne sua madre a parlare con la nostra signora maestra, e tutto parve prendere una diversa piega. Mi sentii colpevole di averlo trascinato per una china che non era neanche la sua, così alzai la mano dal mio banco per chiedere di parlare. La maestra mi disse di mettermi in piedi e di alzare la voce, ed io spiegai di fretta che la colpa era solamente mia, che avevo esercitato una brutta influenza su di lui, e che di sua iniziativa il mio compagno non avrebbe mai fatto cose del genere. La faccenda finì lì, senza ripercussioni particolari per nessuno, ma le difese che avevo preso per il mio compagno ebbero immediatamente un seguito sul resto della classe, i cui componenti presero a trattarmi finalmente come uno di loro, uno che aveva dimostrato del coraggio per stare all’altezza di una situazione a loro parere già molto difficile. Nessuno, così, durante quegli ultimi giorni di scuola, mi tenne più troppo a distanza, anche se adesso non ricordo di aver dovuto registrare una grande differenza.

 

            Bruno Magnolfi

mercoledì 12 ottobre 2022

Comunicazione negata.


            Certe volte mi capita di camminare per strada e di incontrare delle persone di cui normalmente non ho alcuna memoria, e che invece, al contrario, forse per la mia faccia, oppure per la mia corporatura, o per i miei modi stessi, si rammentano di me almeno per qualcosa, al punto che immediatamente mi salutano, in qualche caso anche con calore, e magari si fermano di fronte, per chiedermi con gioia come mi vadano le cose. Sono i miei clienti, generalmente, coloro che hanno acquistato o preso in affitto una casa o un appartamento tramite l’agenzia per cui lavoro, ed ai quali ho fatto visionare le stanze, chissà quando, comunque prima che si decidessero. Per me, dopo tutti questi anni di lavoro presso un ufficio immobiliare sito nel quartiere, sono soltanto delle figurine di carta in mezzo alle planimetrie, immagini passate per un attimo come davanti ad una luce brillante, e poi ripiombate rapidamente nel buio più totale; però mi rendo conto che per loro, molto spesso, io rappresento un momento di una certa importanza nella loro esistenza, e quindi non riescono proprio a mostrarsi indifferenti nei miei confronti. Li saluto a mia volta, rispondendo con una certa gentilezza, dando già per scontate le loro motivazioni, e lascio che mi spieghino, in poche parole, così come desiderano, ciò che passa loro per la testa in quel momento, sorridendo e stringendo subito la mano che mi porgono. Mi fa piacere essere riconosciuto così, quasi con un ruolo sociale definito, anche se non ho mai avuto con nessuno di loro alcun reale rapporto, tanto da non ricordare, nella maggior parte dei casi, neppure una faccia, un nome, oppure un’espressione. Però io incarno una personalità riconoscibile, e come tale devo comportarmi, spesso fingendo di rammentare ogni particolare, ed annuendo con vivacità alle loro parole di saluto e di vera cortesia.

            Sembra impossibile che tutto avvenga comunque su una superficie così poco definita, e che ognuno di noi conservi per sé i propri problemi, le speranze, i dubbi sul futuro. Posso conoscere facilmente tanta gente, ma è esattamente come se non percepissi nulla dei veri pensieri da cui ognuno tra tutti si sente preso. Manca un dialogo, manca la comprensione, mancano i collegamenti stessi che fanno sentire ogni individuo meno solo nel proprio percorso. Vale anche per me, che non riesco mai a spiegarmi opportunamente neppure con chi mi conosce già da molto tempo, e verso cui la maggior parte delle volte devo trattenermi dal rivelare i miei veri pensieri, celandoli a tutti per non essere travisati o mal compresi. Mi fermo spesso da Lorenzo, durante i pomeriggi avanzati, nella sua birreria dove si scambiano con facilità pareri ed opinioni su tutto ciò che accade. Non parlo mai molto con lui, però credo che da dietro al suo bancone di legno, abbia assunto poco per volta la capacità di comprendere al volo quello che mi passa per la testa, tanto da interpretare spesso con una semplice occhiata, oppure con un’espressione, le mie più contorte riflessioni. Lo considero un amico, anche se per lui naturalmente sono un cliente come tanti, uno che passa volentieri dal suo locale, forse soltanto per reclamare a sé uno sguardo di solidarietà sui propri guai.

            Quando mia moglie chiese la separazione, cercai di capire con tutte le mie forze ciò che non era andato per il verso giusto nel nostro matrimonio durato pochi anni, ed infine mi detti una spiegazione che stava comunque nell’elenco di tutte quante le possibilità, però senza mai riuscire a comprendere davvero che cosa realmente era successo. Incomunicabilità, questa forse era in quel momento la parola giusta che abbracciava nel suo insieme il nostro semplice insuccesso, magari nascosta dietro tanti piccoli screzi quotidiani privi forse di qualsiasi importanza. Purtroppo, credo che l’abitudine lavorativa ad avere relazioni sociali estremamente superficiali, mi abbia portato poco per volta ad essere arido con gli altri, e se tutto ciò negli anni scorsi ha avuto un peso persino nei rapporti con la donna che ho sposato, figuriamoci che cosa possa mostrare con chi mi tocca imbattermi oggi in maniera del tutto casuale. Adesso cerco di essere attento il più possibile nel commentare le cose che a Luciana le va di dirmi, le poche volte che ci troviamo per uscire assieme. Molte cose non comprendo di lei, inutile negarlo; però non forzo i tempi, non aspiro a spiegazioni facili e veloci; mi ritiro nel mio angolo e attendo di capire i suoi silenzi, magari a distanza di un giorno oppure due, naturalmente dopo attenta riflessione solitaria. Con lei mi trovo bene, anche se ammetto che ci sono tante lacune tra di noi. Però non voglio darmi per vinto, e semmai una di queste volte ci risolveremo a non vederci più, voglio comprenderne a fondo il motivo questa volta, per sapere ciò che lei si attendeva proprio da me, e che io sono stato capace di negarle.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 10 ottobre 2022

Inevitabilmente estranei.


            Stasera sono andato a cenare alla tavola calda “da Mauro”. C’era Luciana a servire ai cinque tavoli che compongono la saletta di questa rosticceria, ed io mi sono seduto a quello appoggiato alla parete di fondo. Poco dopo, gli scarsi clienti presenti se ne sono andati, e lei è venuta da me a fare un po’ di conversazione, come sempre. <<Tra poco lascerò il mio lavoro>>, le ho detto quasi sottovoce, <<per andare a svolgere mansioni superiori in un'agenzia immobiliare più grande, dalle prospettive ottime. Ma sono teso, preoccupato, dovrò cercare di dare il meglio di me stesso, e non sarà una cosa facile>>. Lei mi ha guardato, e poi ha detto di essere sicura che tutto sarebbe andato bene, e che in fondo meritavo proprio un miglioramento di questo tipo. Ho sorriso, però mi ha fatto piacere ascoltare quelle parole; poi le ho chiesto se ci saremmo visti ancora per i prossimi lunedì, quando lei è libera, oppure se aveva altri programmi e si era stufata di portarmi al cinema. Ha riflettuto un po’, quindi ha detto che le andava ancora bene, ma che avrei dovuto scegliere io il prossimo spettacolo da vedere. Ho annuito, poi mi è venuta voglia di dire che avremmo anche potuto farci un giro in macchina ascoltando la musica alla radio, per esempio. Lei allora si è alzata senza replicare, è andata nei locali sul retro per chiedere se per caso avessero bisogno di lei, poi è tornata proprio quando un cliente tardivo è arrivato per farsi incartare qualcosa per asporto. <<Come vuoi tu>>, mi ha detto alla fine. <<Forse potremmo addirittura festeggiare il tuo nuovo lavoro, se ti va>>.     

            Poi le ho pagato il conto, e quindi mi sono avviato per andarmene, ma Luciana mi ha accompagnato fino sul marciapiede di fronte al locale; in silenzio, mi ha accarezzato leggermente una mano, ed alla fine mi ha anche stampato un piccolo bacio sulla bocca, come non aveva mai fatto fino a quel momento. Mi sono sentito felice come un ragazzino, tanto che le ho sorriso quasi vergognandomi non so neanche io di cosa, mentre mi allontanavo lungo la strada rischiarata da un lampione. Ho pensato che se non riesco a comprendere ciò che pensa chi mi sta almeno più vicino, sono ancora più solo di quello che appaio, e con Luciana devo essere paziente, e cercare di capire i suoi tempi e le sue difficoltà. Non avevo voglia di tornare subito a casa mia, ma sentivo la necessità di dire ancora a qualcuno del mio lavoro, e del momento che stavo vivendo. Così sono entrato in un caffè dove non vado quasi mai, e mi sono semplicemente appoggiato al bancone, come se volessi fare una bevuta veloce e poi andarmene per i fatti miei. La ragazzina che serviva mi ha sorriso, ed io le ho chiesto qualcosa di alcolico. Quando mi ha servito un intruglio a base di gin, le ho chiesto se fosse molto tempo che lavorava in quel locale, e lei mi ha risposto di no, e che non sarebbe neanche rimasta molto, considerato il tipo di clientela burbera e scortese di quel luogo. <<Anche io sto cambiando posto di lavoro>>, le ho detto; <<Però adesso sono in tensione, perché tutto è successo quasi per caso, senza che io abbia fatto nulla per questa variazione>>.

            La ragazza mi ha sorriso; forse ha pensato che fossi proprio uno scemo per preoccuparmi di qualcosa che non ho neppure faticato per riuscire ad ottenere, e così mi sono ritrovato a pensare anche io la stessa cosa. Lei intanto ha servito altri clienti, e quando è tornata da me le ho subito pagato la bevuta, alzandomi dallo sgabello per andarmene. <<Auguri, allora>>, mi ha detto lei in fretta, mentre metteva via qualcosa, ed io l’ho salutata con un semplice gesto della mano. L’aria fuori pareva rinfrescata, e avviandomi verso il mio appartamento mi sono stretto nella giacca, sprofondando con le mani nelle tasche. Impossibile adesso lamentarsi, anche se forse un po’ mi sono abituato a farlo, certe volte anche per delle cose che non sono del tutto negative. Devo parlare con Elisabetta, dirle che mi dispiace molto andarmene dalla sua agenzia, e che non è stata del tutto mia la volontà di farmi compiere questo passo. Forse provo sempre un po’ paura per ogni novità, ma in ogni caso devo riuscire a farle presente in qualche modo che vorrei restassimo in contatto io e lei, e che probabilmente, non lavorando più assieme fra qualche settimana, potremmo anche riuscire a parlare con maggiore sincerità, e sentirci più vicini di quanto non siamo stati fino ad ora. No, non è possibile, ho pensato; non riuscirò mai a dirle cose del genere. Così le consegnerò semplicemente la mia lettera di dimissioni, aspetterò inutilmente che mi dica qualcosa, poi lasceremo scorrere nervosamente questo periodo di preavviso; ed infine, diventeremo estranei, com’era inevitabile accadesse.

 

            Bruno Magnolfi 

domenica 9 ottobre 2022

Ciò che fa al caso mio.


Il mio socio stringe i tempi. Ogni volta che ci vediamo ha qualcosa di nuovo che gli gira nella testa, e poi non lascia in pace neanche per un momento gli operai che lavorano alla realizzazione della sede dell’agenzia: se ne sono appena andati quelli che, peraltro in tempi rapidissimi, hanno ristrutturato i pavimenti e le pareti, e già se la prende con gli addetti agli impianti e con chi deve consegnare e posizionare i mobili e le scrivanie. A me sembra che tutto fili come un treno, ed adesso che ogni progetto si sta concretizzando, ho quasi paura del futuro e di quel che appare al mio orizzonte. Avrei continuamente voglia di telefonare a qualcuno, non tanto per parlare di quello che mi sta accadendo, quanto per scaricare questa tensione che si sta accumulando dentro me. Lorenzo da dietro al bancone della sua birreria mi ha osservato diverse volte in questi giorni con un'espressione incerta e vagamente sorridente, di chi ha compreso alla perfezione che sta accadendo una vera rivoluzione nelle mie giornate, ma non mi ha chiesto niente, lasciando forse a me i tempi e la volontà per spiegare qualcosa, semmai ne avessi l'intenzione. Carla è arrivata puntualmente. Ci siamo seduti ad un tavolo d’angolo con due caffè, e mi è sembrata un po’ nervosa, ma è riuscita ad attendere il momento giusto, a parte i convenevoli e le scuse, per iniziare a parlare di ciò che più desidera. Ad Elisabetta non importa poi molto che io abbandoni l’agenzia dove ho lavorato per alcuni anni. Troverà qualcuno che mi sostituisce. Però non sa darsi pace, così almeno dice la sua amica, per non essere riuscita in tutto questo tempo a farmi presente i suoi veri sentimenti verso di me.

Spalanco gli occhi, incredulo. <<Non mi sono mai accorto di niente>>, le dico vergognandomi immediatamente della stupidità di questa osservazione. <<Elisabetta ha una personalità tremendamente chiusa>>, dice Carla. <<Anche con me si è confidata soltanto recentemente, però mi è parso terribile che tu in qualche modo non venissi messo a conoscenza di ciò che nella sua nascosta sensibilità, lei è stata capace di elaborare. Naturalmente non sa niente di questo nostro incontro di stasera, e in ogni caso lei sarebbe anche capace di tenersi per sé tutto quanto, senza rivelare niente a nessuno>>. Prendo un sorso del mio caffè, mi guardo attorno quasi ad agognare una via di salvezza da una situazione che mi sta apparendo vagamente oppressiva, ma tento subito di essere pratico, cercando di comprendere cosa mi dovrò aspettare nei prossimi giorni da tutto questo. <<Forse lei è quasi contenta che tu adesso lasci libero il posto di lavoro. Vedi>>, prosegue Carla, <<per Elisabetta vederti tutti i giorni senza riuscire a dirti niente, è quasi diventata una vera sofferenza, e probabilmente spera che nel prossimo futuro non perdiate i reciproci contatti, al punto da sentirsi libera di essere magari più sincera verso di te>>. Annuisco, in fondo mi sta facendo un favore, rifletto, accompagnandomi così verso la trasformazione totale dei miei rapporti lavorativi, anche se i prossimi giorni, quando dovrò consegnare la lettera con cui rassegno ufficialmente le mie dimissioni, saranno senz'altro i momenti più difficili di tutto questo lungo periodo in cui ho lavorato insieme a lei.

<<Elisabetta è innamorata di te>>, affonda Carla forse anche per scuotermi, visto che non trovo ancora niente da chiedere o da puntualizzare. <<Però proprio per questo riesce soltanto ad essere scostante e fredda ogni volta che tu entri nella sua agenzia>>. Vorrei andarmene, adesso; provo la necessità di starmene da solo, di riflettere con calma tutto quanto, di tentare la comprensione di qualcosa che neppure minimamente mi sarebbe apparso mai possibile. Non parlo, anche per la paura che ho di riuscire soltanto a balbettare, e così di mostrarmi debole, insicuro, insensibile, incapace persino di guardarmi attorno e di vedere gli altri nella giusta luce. Carla termina il suo caffè, non sembra voglia trattenersi oltre, la rivelazione che voleva fare è giunta a segno, non sente il bisogno di proseguire oltre e magari agitare ulteriormente l’arma nella ferita che è riuscita ad aprire. Resto seduto mentre lei si alza, però la saluto stringendole la mano, come un patto, quasi come se io fossi improvvisamente già un’altra persona, e rimango per un po’ da solo a questo tavolo. 

Infine, pago i caffè a Lorenzo, e lui, impegnato con altri clienti, guarda verso un'altra direzione, mentre io cerco disperatamente di aggrapparmi al suo viso, ai suoi lineamenti definiti; esco dal locale come fossi un fantasma senza alcuna materia, quasi aleggiando sopra al suolo, e attendendo da un attimo all'altro di scomparire come un semplice sbuffo di vapore. Sulla strada prendo d'istinto la direzione verso casa, anche se non so più quale sia la decisione migliore per il mio caso.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 7 ottobre 2022

Serata d'autunno.


            Questo ultimo lunedì, Luciana ed io siamo tornati al cinema, scegliendo una sala per intenditori, dove solitamente si proiettano soltanto vecchie pellicole d’autore. Dentro me stesso, anche in considerazione del regista di questo film, notoriamente un autore piuttosto difficile e poco spettacolare nelle sue realizzazioni, avevo già considerato di prestare il massimo dell’attenzione ad ogni scena, in maniera da poter degnamente sostenere in seguito l’immancabile conversazione sui nostri diversi pareri in cui sicuramente mi avrebbe trascinato Luciana una volta usciti dalla sala, tanto più che lei mi ha spiegato di provare da molto tempo un forte desiderio di vedere questo lavoro, del quale ovviamente aveva già letto in precedenza alcune recensioni, al contrario di me. Così ci siamo seduti in un ambiente piccolo e poco frequentato, almeno quella sera, e la pellicola ha preso a svolgersi mostrando con chiarezza nella prima parte un difficile rapporto tra una madre ed una figlia, tutto giocato su dialoghi concisi e scene piuttosto lente e scarne. Personalmente ho subito provato un vago senso di disagio per una trama in cui una madre viene disegnata come una persona che ha sempre vissuto per sé stessa, pretendendo amore dagli altri e senza mai contraccambiarlo. Così, nel buio del cinema, in considerazione anche della freddezza reciproca che i due attori principali parevano emanare nell’interpretare i loro ruoli, così diversi e distanti, mi è presa la voglia di avvicinarmi un po’ a Luciana, anche solo per sfiorarle una mano, o magari per appoggiare la mia spalla alla sua, rendendomi immediatamente conto che sarebbe stata la cosa più ridicola da fare, e che l’avrei solo distratta e infastidita mentre era totalmente immersa nella visione di questo vecchio lavoro.

Per questo motivo mi è venuto a mente, divagando un po’ rispetto all'attenzione completa per il film che mi ero prefissato di tenere, che lo stato mio e di Luciana, in questo momento, sembra proprio preda di uno stallo, tra me che non riesco a farmi avanti, e lei che non appare più, come sembrava agli inizi, una persona così incoraggiante. Poi, sulla pellicola, la figlia, spronata dai suoi parenti, suona il pianoforte, quasi a mostrare quali siano i suoi recenti progressi su quello strumento, e la madre, che è una nota concertista, le dà alla fine dei suggerimenti che appaiono subito con evidenza come delle critiche severe, tanto da mettersi al piano lei stessa ed interpretare daccapo la medesima sonata, naturalmente in una maniera adesso impeccabile. Quando loro due infine prendono una inevitabile ed accesa discussione sui torti e le mancanze reciproche del passato, la madre le chiede comunque di perdonarla, ma la figlia le risponde secca che non può. Non so cosa posso dire a Luciana di tutto questo, lei che ha perso la mamma, con cui ancora abitava, ormai diversi anni addietro, e che sicuramente ha una visione di questa storia piuttosto diversa dalla mia. Anche io ho perso i miei genitori, ma praticamente dopo un lungo periodo durante il quale avevo già deciso molto della mia vita e del mio lavoro, ed il distacco graduale che c’era stato all’epoca, mi aveva portato a sentirmi comunque sempre più distante dal loro modo di vedere le cose, al punto di considerarli, almeno in certi momenti, quasi un impiccio, con le loro immancabili opinioni sulle mie scelte.

Nell’ultima scena poi la figlia scrive una lettera alla madre, che intanto è partita con un treno, alleggerendo della propria presenza una situazione giunta molto al limite. Naturalmente le chiede perdono a sua volta per averla fatta soffrire, anche se con ogni evidenza la madre si è sentita ben felice di riprendere rapidamente la sua vita mondana di pianista famosa. Ovviamente una pellicola dove si mette in scena un vero dramma, e che va a scavare nei sentimenti più profondi dell’amore filiale. Ai titoli di coda poi mi sono voltato verso Luciana, mentre vedevo che si soffiava il naso; quindi, ci siamo alzati senza dirci niente, e siamo usciti con calma dalla sala. Lei sembrava perplessa, mi ha chiesto di portarla a bere qualcosa in un caffè, ma non mi pareva avesse molta voglia di parlare. <<In fondo era soltanto un film>>, volevo quasi dirle, ma mi sono trattenuto, immaginando che in lei si fossero risvegliate delle sensazioni che forse erano rimaste sopite da parecchio tempo. <<Forse era meglio uno spettacolo più leggero>>, ha detto lei alla fine sottovoce, ed io le ho sorriso. Mi ha guardato negli occhi, ha come raccolto le sue forze mentre sembrava tornare al presente da un lungo e difficile viaggio nel passato; <<mi dispiace>, ha sillabato alla fine; <<però dobbiamo anche attraversare certe prove se vogliamo veramente sentirci più vicini>>. Ho annuito, sicuramente ha ragione, sono le cose maggiormente intense quelle che formano i sodalizi più importanti. Forse vorrei conoscere già adesso verso dove ci porterà questa strana amicizia che si è innestata tra me e Luciana. Ma va bene così: abbiamo sicuramente molte cose da scambiarci.

 

Bruno Magnolfi  

mercoledì 5 ottobre 2022

Immeritato dispiacere.


            <<Sì, è vero; ero proprio io a venire a cercarti>>, mi ha detto Carla rispondendo alla mia telefonata. <<Devo parlarti con una certa urgenza, ma non lo posso fare assolutamente all’apparecchio; dobbiamo vederci>>, ha concluso quasi di fretta. <<Va bene>>, le ho risposto allungando invece ogni parola, quasi a prendermi un po’ di tempo per riflettere. <<Ci possiamo vedere alla birreria di Lorenzo: non è molto distante dall’agenzia immobiliare, e c’è anche una saletta riservata sul retro>>, le ho detto. <<D’accordo>>, ha stabilito subito lei, <<nel tardo pomeriggio per me va benissimo>>. Poi ci siamo salutati chiudendo in fretta la comunicazione. Sono molto contento di non aver messo tempo di mezzo per cercare di chiarire le cose che stanno sicuramente bollendo in pentola. Mi sento come se tutto intorno a me si stesse muovendo troppo rapidamente, senza darmi la possibilità neanche di pensare, ma non posso assolutamente permettere che delle semplici sciocchezze prendano il sopravvento su tutto il resto, e si dimostrino capaci di confondere ulteriormente le mie cose già sufficientemente complicate. Sicuramente il problema più grave deriva dal fatto di aver detto ad Elisabetta, per pura correttezza peraltro, la mia intenzione di dimettermi a breve da dipendente della sua agenzia immobiliare, ma considerata la sua evidente freddezza di fronte alle mie parole, non pensavo proprio che intendesse intralciare il mio passaggio ad un’altra agenzia. Forse non è neppure così, e magari Carla potrebbe portarmi un messaggio positivo da parte della sua amica, che in questo preciso momento magari non vuole apparire condizionata da nulla; però non saprei proprio.

            In ogni caso, appare del tutto inutile che continui a lambiccarmi il cervello, visto che tra non molto saprò tutto quello che probabilmente è già venuto fuori, senza che ancora non abbia nemmeno ufficializzato il mio distacco dal vecchio lavoro. Forse la cosa più semplice che mi sta succedendo, ed anche soltanto per questo assolutamente da salvare, tra tutte quelle che mi stanno sfiorando in questo momento, resta l’amicizia leale che sto intessendo giorno per giorno con Luciana, che mi ha dettagliato immediatamente i margini del percorso che desidera intraprendere insieme a me, senza che si possa innestare nessuna diversa aspettativa da parte di uno o dell’altra, almeno per un primo lungo periodo. Sono d’accordo con lei, comunque sia: le cose affrettate portano difficilmente verso traguardi positivi e duraturi, ed aver iniziato il nostro frequentarci in maniera dilatata, calma, e priva di fughe in avanti, lascia come depositare tra le cose importanti i nostri rispettivi pensieri, rendendoci pronti a rifletterci sopra e a meditare nel tempo ogni passaggio. Ma non posso confidarmi con lei, caricherei tutto questo di un peso gravoso che stonerebbe in mezzo al resto.

Comunque sia, mi riterrò soddisfatto e contento, in un caso o nell'altro, se questo incontro con Carla riuscirà a portare almeno un po’ di chiarimento nei miei rapporti con Elisabetta, soprattutto perché non vorrei mai lasciarle l'amarezza di un rapporto di lavoro chiuso male, senza tutta quella elasticità che serve per comprendere che le cose in fondo possono anche trasformarsi, prendere delle strade diverse, assumere i contorni di altri traguardi da intraprendere, ma possiamo però restare rispettosi delle nostre individualità, in grado o meno che siano di arrecare rispettivamente anche qualche dispiacere. In fondo resteremo comunque dei colleghi, esperti dello stesso settore, anche se soprattutto concorrenti; però il mercato immobiliare è così vasto che probabilmente non avremo nel futuro una reale possibilità di mostrarci veramente antagonisti, e nulla vieta anzi di lasciarci persino aiutare reciprocamente nel futuro le nostre differenti agenzie, magari scambiandoci qualche volta dei clienti e collaborando su certe richieste più particolari. Sono già pronto a chiarirlo questo aspetto, se soltanto il carattere chiuso ed introverso di Elisabetta me ne darà la minima possibilità. Non siamo mai stati amici noi due, anche se abbiamo condiviso tante giornate di lavoro insieme; in ogni caso non ci siamo mai contrapposti, ognuno ha sempre proseguito a svolgere quasi autonomamente il proprio ruolo, e quando qualche volta c’è stato da dare una mano l’uno all’altra, lo abbiamo fatto senza neppure la necessità di chiederlo, come qualcosa di perfettamente naturale, logico, normale.

Adesso passerò dalla birreria di Lorenzo, giusto per avvertirlo che probabilmente la prossima volta non arriverò da solo, e che avrò bisogno di un tavolo appartato dentro al suo locale, proprio per portare avanti quello spirito di chiarezza che intendo avere con tutti. A lui non ho ancora detto niente del progetto a cui sto lavorando, ma se me lo chiederà gli farò presente il mio cambio di azienda, magari senza entrare troppo in dei dettagli, che forse neppure apprezzerebbe. Già, perché anche lui conosce almeno di vista Elisabetta, e forse non sarà troppo d’accordo con me nel ritenere che metterla in difficoltà nel suo lavoro sia, come ho detto e pensato tante volte, esattamente quello che si merita.

 

Bruno Magnolfi    

lunedì 3 ottobre 2022

Dopo la sua telefonata.


            Il mio vicino di casa mi ha fermato mentre scendevo le scale del mio appartamento al terzo piano del condominio, e con cortesia mi ha ribadito quanto mi aveva già detto tempo fa, a proposito del gatto della signora Gina, inquilina del piano terra. <<Lei, che per mestiere si intende di appartamenti e di condomini, converrà con me che non è più possibile sopportare una situazione del genere in questo nostro palazzetto>>, mi ha detto subito. <<Siamo arrivati al punto che la signora, tramite un fermo, lascia uno spiraglio al portone condominiale anche durante la notte, per permettere al suo gatto di andare e venire come meglio desidera. Invece questo portone deve rimanere ben chiuso, almeno nelle ore notturne, sarà d’accordo con me anche lei, spero>>. Annuisco, non mi interessa niente di questa polemica che si trascina da tempo immemorabile, però non posso fare a meno di fingermi dalla parte di questo conoscente che ogni volta mi mette al corrente delle scarse novità. <<Dobbiamo fare senza dubbio una riunione di condominio su questo problema>>, dice ancora, <<e mettere ai voti senz’altro una risoluzione che non lasci alcuna possibilità di tolleranza, che in seguito naturalmente ci obbligherà a vigilare sull’applicazione di quanto stabilito>>. Gli dico subito che per me va anche bene, in fondo sono d’accordo sul fatto che il portone debba rimanere chiuso, altrimenti non vedo quale utilizzo possa avere, ma con una mano gli lancio il gesto di chi va di fretta, ed adesso purtroppo ha perso anche troppo del poco tempo disponibile.

            Mi lascia andare confabulando qualcosa tra sé, ma fatti due passi mi richiama, e dice che c’era una signorina che cercava di me un paio di giorni addietro. Mi paralizzo, cerco al volo di capire chi mai potesse essere questa benedetta donna che chiedeva del signor Landi, quindi me la lascio descrivere, anche se il mio vicino non ha fatto molto caso ai suoi lineamenti. Lo saluto, ma mentre ancora lo ringrazio mi sento quasi braccato da una situazione che fino a qualche settimana addietro non avrei mai immaginato. Mi interrogo con insistenza, ma convengo che potrebbe essere stata chiunque, tra le poche ragazze che conosco, ad avere necessità di venirmi a cercare. Sicuramente per parlarmi di persona, mi convinco, visto che al telefono è sempre difficile affrontare degli argomenti magari un po’ delicati. In ogni caso, pur applicandomi a fondo nel passare in rassegna le motivazioni che potessero spingere una delle tre o quattro persone capaci di conoscere il mio indirizzo di casa, mi trovo poco dopo già arreso nel constatare che c’è qualcosa che non so, e che quindi non mi permette di comprendere niente. Allungo il passo, sono in ritardo, rifletto, anche se nessun cliente si fa vivo in agenzia prima della tarda mattinata. In ogni caso non voglio mostrare ad Elisabetta che mi sto disinteressando del mio lavoro, anche se le ho preannunciato a breve le mie dimissioni. Forse è questa la chiave, penso di colpo. Ma subito dopo la escludo.

            Entro in ufficio sillabando un debole buongiorno verso la mia collega, lei mi risponde ma senza guardarmi, ed io mi siedo come sempre alla mia scrivania. Lei senza dubbio mi vede ogni giorno, se avesse qualcosa da dirmi non avrebbe motivo di venire fino a casa mia, considerato che siamo soltanto in due a lavorare in questa piccola agenzia immobiliare. Scorro sul terminale l’elenco degli appuntamenti del giorno, ma sono soltanto due, fissati ad un’ora di distanza per il primo pomeriggio, quindi posso prendermela comoda. Potrebbe esser stata Luciana a cercarmi, per una sorpresa, ma anche questo probabilmente è da escludere, considerata la sua personalità e soprattutto il fatto che mi ha detto già con molta chiarezza che non desidera affatto, almeno per il momento, recarsi a casa di un uomo, come me, che abita solo. Non ho spiegazioni, se non che il mio vicino di casa si sia sbagliato, o che abbia voluto farmi uno scherzo, oppure che sia un caso di omonimia. Prendo tempo, elaborando con precisione, come faccio sempre, le informazioni sugli appartamenti da vendere, evidenziando sul video le caratteristiche maggiormente spendibili con i presunti clienti, ed infine metto le carte che servono dentro la borsa ed esco dall’agenzia, giusto per fermarmi a mangiare un panino alla birreria di Lorenzo, prima di riprendere a lavorare.

Ma ecco, l’illuminazione che cercavo mi giunge mentre sono in strada: è stata Carla a cercarmi, e tutti i dubbi che avevo sul suo intercedere nei confronti della propria amica, vanno infine a segno. Vuole parlarmi, vuole forse darmi il suo parere su ciò che sta succedendo, vuole farsi spiegare da me quali siano le mie reali intenzioni, desidera conoscere bene quale sarà il prossimo futuro per la sua amica Elisabetta. Oppure c’è persino qualcos’altro che agita le acque già per me in piena tempesta. Devo saperlo, rifletto. Così prendo immediatamente il telefono, e compongo il suo numero, rimasto in memoria dopo la sua ultima già strana chiamata.

 

Bruno Magnolfi

domenica 2 ottobre 2022

Tramite me.


Nella sede della nuova agenzia immobiliare "F & A", i lavori sono già a buon punto, e le maestranze dell'impresa affidataria, circa il piano di ristrutturazione per gli spazi destinati agli uffici sul piano strada all'angolo tra via Cavour e via Mazzini, nel giro di un paio di settimane o poco più, sembrano proprio nelle condizioni di consegnare il cantiere praticamente completato come da progetto. Fernando, insieme all'architetto che ha seguito passo dopo passo ogni minimo dettaglio, lasciandosi sottoporre disegni e suggerimenti importanti per delle efficaci soluzioni, fino a questo momento ha comunque voluto sempre essere informato di qualsiasi particolare anche meno rilevante, immergendosi completamente nelle realizzazioni. Tra poco arriveranno gli arredatori e gli addetti per le ultime rifiniture, e a quel punto, quindi, non resterà altro che inaugurare finalmente quell'attività. Io sono passato da lì già qualche volta per cercare almeno di familiarizzare con il luogo dove tra breve inizierò a lavorare ogni giorno, ma tutto mi appare ancora così nebuloso che a volte stento a crederci. Ad Elisabetta ho già accennato che tra non molto darò le dimissioni, e lei però non ha battuto ciglio, trattando la faccenda come una delle normali possibilità che aveva considerato ormai da tempo. Sembra addirittura strano che lei riesca ad essere così in apparenza indifferente a qualcosa che con ogni evidenza sarà capace di cambiare diverse cose dell’azienda dove ho prestato le mie competenze per parecchi anni, tanto che mi sono chiesto fino a che punto lei sia nelle condizioni adatte per rendersi veramente conto di tutto quanto. Non che sia incapace di essere realista, quanto perché il suo orgoglio forse non le permette di comprendere che dovrà affrontare un periodo un po’ difficile.

Nel chiuso del mio appartamento ho già scritto, naturalmente tutto di getto, la mia lettera con la quale comunico ufficialmente a lei di andarmene, e di voler quindi recidere il mio rapporto di dipendente della sua agenzia, ma nel silenzio delle mie stanze, mentre vergavo le parole sulla carta, tutto a quel punto mi è subito apparso, nero su bianco, come il succo amaro di una vera e propria sofferenza. In ogni caso vado avanti, non posso fare altrimenti, e comunque ciò che mi attende fra qualche tempo sarà senz’altro qualcosa di impegnativo e di importante che segnerà per me un passaggio fondamentale verso un ruolo e un compito più alti. Fernando, il mio futuro socio, ha già fatto preparare gli atti che convalidano quello che sarà il mio nuovo mestiere di dirigente, e a questo punto, per quanto mi riguarda, non resta altro che apporre la firma che serve, naturalmente davanti ad un notaio, in fondo a qualche adeguato pezzo di carta. Ancora mi chiedo il motivo principale che lo ha portato a darmi questa notevole opportunità, però mi rendo conto che per uno come lui sono soltanto dei normali comportamenti di chi ha la necessità di investire una quantità di soldi, messi da parte durante anni di duro lavoro in Nuova Zelanda, verso qualche attività che si dimostri redditizia.

Vorrei tanto parlarne con qualcuno; anzi, avverto la necessità sempre più forte di confidarmi senza nascondere niente con chi mi conosce, ma se chiudo gli occhi un attimo mi pare che in fondo non debba succedere nulla di particolare tra poche settimane, o perlomeno, quello che mi attende è un passaggio che in molti, prima o dopo, si sono trovati normalmente ad affrontare. Sono andato al cinema con Luciana, il lunedì scorso, ma con tutti i pensieri che nel buio della sala mi attraversavano la mente, non sono stato capace di seguire molto la trama della pellicola che veniva proiettata. Così quando siamo usciti da là dentro sono stato vago sulle opinioni riguardo ciò a cui avevo assistito, tanto che lei si è accorta che la mia mente era presa da altre preoccupazioni. Però non ha insistito a farmi delle domande, ed ha semplicemente lasciato a me la possibilità, se proprio mi avesse fatto piacere, di rivelarle ciò che mi poteva crucciare in quel momento. Naturalmente non le ho detto niente, se non che avevo delle imprecisate difficoltà nel mio lavoro. Avrei grande piacere nello svegliarmi una mattina ad operazioni già concluse, senza proseguire con questo tormentoso lungo periodo di passaggio. Mi piacerebbe anche poter aiutare Elisabetta in maniera da non lasciarle un brutto ricordo di me e dei miei anni trascorsi alle sue dipendenze, ma è evidente che tutto ciò risulta impossibile, tanto più che lei ancora non sa che a breve la mia nuova agenzia inizierà a farle concorrenza addirittura nel medesimo quartiere di riferimento. Non so come potrò dirglielo, ma forse aspetterò che me lo chieda, o addirittura che lo scopra all’improvviso, magari non direttamente tramite me.

 

Bruno Magnolfi