mercoledì 31 agosto 2022

Così come va.


            Mi sento depresso. Proseguo ultimamente a fare tardi dietro a qualche sciocchezza, e mi ritrovo spesso incapace di tenere il passo di tutti gli impegni che ho. Addirittura, lascio che il mio orologio da polso, segnando regolarmente le ore, superi i momenti durante i quali ho deciso di fare qualcosa con puntualità, facendomi così risultare perennemente in ritardo. Per questo stesso motivo mi sono ridotto a pranzare e a cenare sempre più tardi, ad esempio, e frequentemente mi capita di giungere agli appuntamenti, che io stesso ho fissato con qualche cliente dell’agenzia immobiliare, trafelato e in ritardo. Mi sembra di provare ogni tanto un gusto particolare nell’accorgermi d’improvviso che qualcosa o qualcuno mi sta aspettando, anche se sono costretto ad inventare sempre nuove scuse, anche con me stesso, per giustificare il mio comportamento. Così ormai sono tra gli ultimi che si recano a mangiare la sera alla tavola calda “da Mauro”, e persino un paio di volte mi è capitato di trovare il locale già chiuso. Quando Luciana, che in genere mi serve qualche piatto riscaldato al momento, mi chiede scherzosamente il motivo del mio ritardo, io non so proprio che dirle, visto che i miei orari appaiono anche a me sempre più disarticolati.

            Stasera poi sono in assoluto l’ultimo cliente del giorno per questa rosticceria, e mentre mangio qualcosa al tavolino quando già hanno messo via tutto quanto dal loro bancone, Luciana improvvisamente viene da me e mi chiede se mi va di accompagnarla fino a casa, una volta terminato di cenare. <<Così puoi spiegarmi cosa c’è che va così a rotoli, nella tua giornata>>, mi dice ridendo ma con serietà. Annuisco, dopo tanto tempo che studio la maniera, senza mostrarmi troppo invadente, per invitarla ad uscire una volta con me, all’improvviso mi ritrovo ad essere sollecitato da lei per fare proprio quello che maggiormente desidero. Finisco, attendo cinque minuti, sento che lei dice qualcosa a suo padre sul retro dove stanno la cucina e i servizi, poi eccola, senza il solito grembiule e coi capelli ben ravviati. <<Abito poco lontano>>, mi fa subito; <<però a quest’ora non mi sento mai perfettamente tranquilla a camminare lungo queste strade, e mio padre stasera deve trattenersi al negozio>>. Sorrido, ho paura di apparirle impacciato, e in questo modo ci riesco sicuramente, ma forse non me ne importa neanche qualcosa, tutt’altro: mi sento felice di essere insieme a Luciana, di poterle parlare, stare da solo con lei.

            <<Stai lavorando un po’ troppo>>, mi chiede subito lei mentre mi appoggia una mano sul braccio, ed io non so che risponderle, visto che non è del tutto vero, mi occupo delle cose di sempre in agenzia, e non è affatto quello il mio vero problema. Così prendo del tempo, osservo qualcosa sul marciapiede, mi schiarisco la gola. <<La mia solitudine sta diventando sempre più insopportabile>>, le dico di colpo, meravigliandomi delle mie stesse parole. <<Mi perdo, allungo i tempi per fare qualsiasi stupida cosa, che sia una doccia oppure acquistare le sigarette, e così mi ritrovo sempre in ritardo. Ma di fatto cerco soltanto di non essere solo, per questo stasera sono felice che tu mi abbia chiesto di camminare con te>>. Luciana sorride, forse ha capito perfettamente quale sia il mio problema, e mi sta persino aiutando. <<Quando ti senti così solo però, potresti telefonarmi, magari fuori dall’orario in cui sono in rosticceria>>, mi dice sottovoce, quasi come mi stesse regalando una cosa preziosa, da accogliere in punta di piedi. <<D’accordo>>, le dico, ridendo di me per il leggero imbarazzo, ma anche per la promessa che le sto facendo. Poi arriviamo davanti casa sua, lei dice che adesso va via, ma dobbiamo parlare ancora di quell’argomento, il più presto possibile. Annuisco, la saluto, poi aspetto che entri dentro al portone del suo condominio.   

            Era facile, mi dico mentre guardo attorno la strada in questo momento così poco trafficata; mi sento d’improvviso addirittura un’altra persona, come fossi ancora, alla mia verde età, un ragazzino a cui accadono delle cose talmente piacevoli da restarne paralizzato, da sentirne nella pelle i brividi dell’emozione. È bello parlare, spiegare ciò che si sente, scambiare le proprie opinioni con qualcuno che ha ancora tempo e voglia per stare lì ad ascoltarti, ed è esattamente quello che oramai mi manca sempre di più, anche se cerco di essere del tutto indifferente a questo aspetto incallito della mia giornata. Perché, come a tutte le cose, si fa presto l’abitudine anche nel confrontarsi ogni volta soltanto con sé stessi, almeno fino a quando non si arriva a rendersi conto che non è esattamente così che dovrebbe succedere.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 29 agosto 2022

Emozioni nascoste.


            La settimana scorsa, in uno dei miei rari momenti in cui ero impegnato a riordinare le cartelle di archivio in agenzia, è arrivata da noi una vecchia amica di Elisabetta, forse addirittura una sua compagna di studi dei tempi del liceo, una persona che personalmente non avevo mai visto, ma della quale avevo sentito parlare qualche volta di sfuggita dalla mia collega, considerato che, a giudicare dal carattere scostante che lei si ritrova, penso non debba avere molte altre frequentazioni. Comunque sia, Elisabetta mi ha subito presentato questa Carla, una ragazzona di mezza età piuttosto sorridente, con un’espressione però piuttosto anonima, che mi ha chiesto subito a titolo di cortesia come mi andassero le cose, sottintendendo, forse per apparire spiritosa, la difficoltà di dover condividere ogni giorno il lavoro con una persona proprio come la sua amica. Inizialmente ho detto che a me tutto procedeva piuttosto bene, giocando sull’immediato a mostrare una certa indifferenza verso quegli aspetti spigolosi del carattere di Elisabetta, ma subito dopo mi è presa la voglia sincera di spiegarle per filo e per segno quanto fosse effettivamente difficile andare d’accordo con una persona come la mia collega di lavoro, tanto da trovarmi a passare delle ore intere in ufficio senza rivolgerle la parola pur di non ricevere da lei risposte secche e spiacevoli. Naturalmente si è formato immediatamente un attimo di imbarazzato silenzio, a cui la stessa Elisabetta ha però posto fine rivolgendosi a Carla con degli argomenti di cui non ero al corrente.     

            Poco dopo, comunque, sono uscite senza fretta dal nostro piccolo ufficio, probabilmente per andarsene in un caffè a parlare con più intimità tra di loro, ed io, rimasto solo, mi sono reso conto soltanto in quel momento di aver scatenato con ogni probabilità l’ira funesta di Elisabetta, che con ogni certezza, per come la conosco, da quel momento in avanti avrebbe reso l’aria della nostra piccola agenzia ancora più irrespirabile di quanto fosse mai stata. Invece è tornata da sola dopo una buona mezz’ora, con gli occhi bassi e la faccia un po’ afflitta. Si è seduta alla propria scrivania, ha ripreso a fare qualcosa al suo terminale, poi mi ha detto con voce bassa e contrita che le dispiaceva che per colpa sua le cose tra di noi non andassero bene. Non ho trovato niente da risponderle, anche perché forse le mie parole erano state un po’ troppo irruente e addirittura fuori luogo nel rivolgermi alla sua amica, però non avrei mai immaginato di andare a colpire in questa maniera la parte più fragile della sua sensibilità. Ho lasciato in aria una pausa, ma infine mi sono scusato, accampando a mia discolpa il nervosismo accumulato ultimamente per ragioni non di lavoro.

            A questo punto, per quello che potevo prevedere, le cose apparivano oramai quasi appianate, e probabilmente di quell’argomento non ne avremmo neppure parlato più. Tutt’altro. <<Forse, anche se lavoriamo insieme da anni, la nostra conoscenza reciproca è davvero rimasta molto superficiale>>, ha detto Elisabetta all’improvviso stupendomi. <<Magari si tratta soltanto di lasciare qualche volta il nostro lavoro dentro un cassetto della scrivania, e parlare tra di noi con maggiore schiettezza>>. Ho annuito, mi sentivo meravigliato e persino confuso di quello che stava uscendo fuori dalla sua bocca, ma non ho trovato assolutamente niente per cui oppormi a quei suoi propositi. Poco dopo dovevo uscire per un appuntamento con un cliente, così ho preso la mia borsa con dentro le carte, ho indossato la giacca, ed ho detto soltanto che sarei ripassato nel pomeriggio, e lei a quel punto mi ha guardato un momento, probabilmente sforzandosi, solo per dire: <<va bene, mi troverai qui, come sempre>>, usando una dolcezza di espressione di cui non credevo neppure potesse disporre. Così mi sono incamminato da solo sul marciapiede con la testa completamente confusa, anche perché riflettevo adesso che la nuova versione del comportamento di Elisabetta nei miei confronti, non poteva improvvisamente, con una semplice manciata di parole, annullare di colpo quell’avversione che al contrario in tante altre occasioni aveva manifestato.

            Poi mi sono guardato attorno, e in mezzo a tutto quel gran movimento di persone lungo le strade principali di una città come la nostra nell’ora di punta, ho intravisto tanta solitudine, anche se mi è parsa una riflessione di cui facilmente sorridere, tanto che all’improvviso mi è apparsa addirittura priva di qualsiasi senso. Forse Elisabetta ha tirato fuori in questo caso un lato della sua contorta sincerità, ho pensato; o magari ha soltanto riconosciuto finalmente la propria incapacità a trasmettere agli altri le proprie emozioni.

 

            Bruno Magnolfi  

 

domenica 28 agosto 2022

Soltanto lavoro.


            Ieri, mentre ero in agenzia per fare delle fotocopie, è arrivato improvvisamente Fernando, il fratello di Laura, la mia ex-moglie. In effetti qualche tempo fa gli avevo promesso che mi sarei interessato delle sue necessità abitative, però non l’ho fatto. Così ho accampato subito qualche scusa, ho spiegato, scorrendo l’elenco, che anche se non lo avevo chiamato, forse qualcosa di adatto alle sue esigenze lo avevo anche trovato, e che si trattava soltanto di avere un attimo di pazienza. Lui sorridendo non ha mostrato alcuna meraviglia, mi ha chiesto soltanto se fosse stato possibile andare a bere qualcosa nel caffè proprio di fronte per parlarne, e così dopo una lieve incertezza ho preso con calma la giacca, ho fatto un cenno veloce ad Elisabetta, impegnata come sempre al telefono, e sono uscito in strada con lui. Avevo quasi il terrore che per un motivo o per l’altro iniziasse a parlarmi di sua sorella. O che mi chiedesse delle spiegazioni per il nostro matrimonio fallito, ma Fernando si è limitato a farmi notare che se avessi avuto davvero un appartamento adatto alle sue esigenze, lui lo avrebbe preso subito, pagando addirittura in contanti. A quel punto, anche se non sono cose su cui in genere mi soffermo troppo, mi sono accorto di alcuni dettagli: del suo magnifico orologio d’oro, ad esempio, e anche del vestito di ottima fattura, e pure delle bellissime scarpe ai suoi piedi. <<A mia sorella sta andando bene>>, mi ha detto lui; <<la produzione del vino è in netta crescita, e la nostra prozia praticamente le ha lasciato completa gestione di tutta l’azienda>>. Avevo conosciuto quella anziana parente e la sua tenuta in occasione del nostro viaggio di matrimonio, e ricordavo le cantine enormi, i filari a perdita d’occhio, e i tanti macchinari per la trasformazione dell’uva, anche se non avevo molta voglia di ripensare a quelle cose lontane.

            <<Tu mi trovi la casa>>, diceva adesso Fernando, <<ed io ti faccio un regalo>>. Ci siamo presi il caffè senza neppure parlare d’altro, poi, tornando verso l’ufficio, gli ho detto che potevamo prendere un appuntamento già per il giorno seguente, e andare a visionare un appartamento che rimaneva poco distante dall’agenzia. <<Mi fido di te>>, ha detto lui, e senza neppure rientrare in agenzia mi ha stretto la mano con forza, e mi ha salutato senza aggiungere altro. Forse avrei preferito non avere niente a che fare con questo fratello perduto per decenni dall’altra parte del mondo, comunque dovevo comportarmi con lui come con qualsiasi altro cliente, ed una volta sistemate le sue faccende, dimenticarmi di tutto. Provavo un sottile fastidio pensando al fatto che Laura si fosse sistemata in Maremma, compiendo lo stesso percorso che la sua anziana prozia, senza alcun erede diretto, aveva chiesto di compiere proprio a noi due, novelli sposi. In ogni caso non erano certo cose che potevano destare in me interesse o curiosità: avevamo troncato ogni rapporto tra di noi separandoci, e non sarei certo stato io a rompere questo preciso e implicito accordo. Con Elisabetta, rientrando in ufficio, non era neppure il caso di parlarne neanche di sfuggita, così ho controllato il possesso delle chiavi dell’appartamento in questione, e poi mi sono occupato di altro.

            Oggi, Fernando è arrivato in agenzia all’ora pattuita, giusto con dieci minuti di ritardo, e senza aggiungere niente ai normali saluti, ha atteso paziente che prendessi con me quanto occorreva, per incamminarmi con lui verso la nostra destinazione. Mi sono reso conto soltanto uscendo dall’ufficio che ci stava un taxi ad attenderci, così sono salito sul mezzo senza comunque accampare rimostranze per la breve strada che ci separava dall’indirizzo verso cui eravamo diretti, e lui si è mostrato tranquillo e perfettamente a suo agio. L’appartamento, all’ultimo piano di un elegante palazzo, appare composto da quattro stanze con doppi servizi, secondo me forse un po’ troppo costoso rispetto alla metratura calpestabile, ma in ogni caso si mostra completamente arredato e con finiture abbastanza ricercate, compreso un salotto luminoso con una terrazza da cui si spazia con lo sguardo su buona parte della città. Lui in silenzio ha osservato ogni dettaglio, ha soppesato tutto quanto gli stavo facendo vedere, poi ha detto soltanto che gli sembrava adeguato, l’avrebbe preso insomma, chiedendomi di fissare il notaio e tutte le incombenze di cui non aveva alcuna dimestichezza.

Ci siamo lasciati una volta usciti dall'ascensore e dal portone generale, ed io, pieno di perplessità, sono rientrato da solo in agenzia. Elisabetta, intanto, mi aveva fissato un ulteriore appuntamento con una coppia di coniugi, sempre che non avessi avuto altri impegni, così sono tornato ad uscire, concedendomi appena il tempo di fare un paio di telefonate e andare un attimo in bagno. Tutto a posto, ho pensato subito tornando sulla strada: è il mio lavoro; niente di diverso.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 25 agosto 2022

Serata impegnata.


            <<Niente di nuovo>>, dico a Lorenzo mentre da dietro al bancone mi serve una birra alla spina. Lui non mi guarda, fa il suo mestiere, poi d’improvviso però sbotta: <<forse ogni tanto bisognerebbe darsi una spinta in avanti; cambiare almeno qualcosa>>. Lo guardo mentre già sta servendo un altro cliente, comunque non ho niente da chiedergli, è stato già chiaro così, sono io che sto cadendo in una depressione che non mi permette altro che ricalcare le medesime cose ogni giorno, evitando qualsiasi variazione. <<È difficile Lorenzo>>, vorrei quasi dirgli; ma non ha proprio alcun senso tentare di spiegare le proprie cose a qualcuno che in fondo conosco in maniera superficiale, e che forse mi dà corda soltanto perché anche queste parole che mi concede in qualche maniera fanno parte semplicemente del proprio mestiere. Perciò resto in silenzio, ascolto un momento due ragazzi ad un tavolo vicino che discutono di cose piuttosto sciocche, poi lascio i soldi sul banco e vado via. Fra non molto sarà l’ora di cena, ed ho pensato di andare come sempre alla tavola calda “da Mauro” a mangiare qualcosa, se c’è un tavolo libero, così posso scambiare magari qualche parola con Luciana, e sentirmi più positivo. Passo lentamente davanti a quel locale dove adesso c’è della gente al banco della rosticceria, così lo supero, senza neppure tentare di entrare dentro. Poi mi fermo sul marciapiede, ad osservare la vetrina di un negozio di abiti poco distante.

            Devo parlare con Luciana, rifletto; spiegarle che non sto bene, che ho bisogno di sapere qualcosa da lei, qualcosa che non posso chiederle mentre si sta occupando della sua clientela. Devo dirle che forse ci dobbiamo aiutare, io e lei, trovare la forma per tentare di rimuovere le nostre solitudini, darci una mano, scoprire insieme quella leggerezza che forse in tutt’e due sta venendo a mancare, mentre gli anni proseguono a correre. Le giornate non possono essere composte soltanto dalla serietà che serve per spingerle avanti, dobbiamo sgombrare la mente da qualche preoccupazione ogni tanto, e poi liberarci per un’ora o anche due dai nostri pensieri, e magari divertirci, stare bene, provare a ridere di qualche sciocchezza. Forse lei non aspetta nient’altro che io le dica qualcosa del genere, forse come me ha persino voglia di parlare delle sue piccole sofferenze, delle giornate che si assomigliano, della clientela opprimente alla rosticceria, sempre ogni volta la stessa, con le solite parole, le medesime espressioni ogni giorno. Aspetto, è ancora presto, qualcuno da dentro al negozio di vestiti mi osserva, forse sono già troppi minuti che sto fermo davanti a questa vetrina, perciò torno a muovermi, vado avanti, rifletto ancora sulle parole da dire a Luciana, poche e dirette, senza passare per uno che si intimidisce con facilità.

            La signora Corradini si ferma improvvisamente, proprio mentre cammina incontro a me, giusto per salutarmi un momento con un sorriso: <<che le succede, signor Landi, mi pare con la testa dentro le nuvole>>, mi fa. <<Ha ragione>>, le rispondo riprendendo in un attimo la piena padronanza di me stesso. <<Certe volte perdo la mente dietro a qualche pensiero che mi assilla>>, le faccio con sincerità. <<Si ricordi che quando ha bisogno vengo volentieri da lei a farle le pulizie di casa>>, mi dice mentre mi supera. <<D’accordo>>, rispondo, e intanto penso che le mie stanze avrebbero proprio bisogno di una bella riassettata generale. Sono i soldi che mancano, e non mi posso permettere una persona che svolge regolarmente questi servizi per me, come facevo una volta. Forse anche per questo trascorro sempre meno tempo tra le mie stanze in affitto, per evitare quel senso di colpa che spesso mi prende tra il letto da rifare e i vestiti in disordine. <<Signora Corradini>>, le dico di colpo a questa mia vicina di casa quando è già qualche metro dietro di me. <<La prossima settimana però un paio d’ore potrebbe dedicarle al mio appartamento; le lascio la chiave sotto allo zerbino, come sempre, durante la mattinata, quando le pare>>. <<Va bene>>, fa lei, <<verrò martedì o mercoledì, allora>>. La ringrazio e proseguo la mia passeggiata senza uno scopo, poi mi fermo all’incrocio, osservo qualcosa senza interesse e poi torno indietro.

            <<Luciana>>, dovrei dire; <<mi piace il tuo modo di ridere, di dire buonasera facendola sentire subito una serata speciale>>. Lei sorriderà, forse mi prenderà in giro mentre si asciuga le mani nel suo grembiule. <<Portami al cinema, domani sera, Adriano>>, potrebbe dirmi. <<Ci mettiamo in fondo alla sala e fingiamo di essere due fidanzati, alla nostra giovane età>>. Ha ragione, penso subito, con qualche anno di meno sarebbe stato tutto più semplice. Intanto giungo alla tavola calda, entro dentro, e vedo che c’è suo padre stasera a servire. <<Bentrovato>>, mi fa; <<Luciana non c’è, signor Landi>>, mi dice di fretta. <<Stasera aveva un impegno>>.

 

            Bruno Magnolfi 

martedì 23 agosto 2022

Valori irrinunciabili.


            La signorina Mannelli Lorena oggi è tornata all’improvviso nella nostra agenzia immobiliare, peraltro dopo che non aveva più dato notizie di sé nonostante le sue accorate e interessate promesse, spiegando che le cose per lei in brevissimo tempo erano rapidamente cambiate, che aveva conosciuto da poco una persona, e che il suo futuro probabilmente si stava modificando addirittura giorno dopo giorno, tanto che adesso cercava non più un piccolo appartamento adatto ad un solo residente, cioè lei, ma qualcosa di maggiormente spazioso e abitabile che fosse adatto a lei ed al suo nuovo compagno, cioè colui con cui ha dato vita ad una sua nuova relazione. Elisabetta, da dietro la propria scrivania, oltre ad avere debitamente pronunciato nei confronti della Mannelli un’ordinaria parola di saluto, non ha poi voluto interloquire neanche per un momento con questa cliente, lasciando a me, che peraltro avevo precedentemente trattato per lei l’acquisto di un bilocale, il compito di liquidarla piuttosto alla svelta, ad evitare di perdere tempo ulteriore, anche per quel vago senso di tradimento che mi è parso subito di provare.

Nei suoi confronti avevo come avvertito, ormai più di un mese addietro, un sentimento come di vicinanza nei confronti della sua situazione, e l’evidente simpatia che lei mi aveva trasmesso in quell’occasione era stata tale da farmi insistere parecchio al telefono con un venditore, al fine di accordarle uno sconto apprezzabile per quella casa che a lei interessava. Le sue promesse però erano subito andate vane, ed anche se era risultata sul momento entusiasta di quel piccolo appartamento che le avevo fatto visionare, in seguito con me non si era più fatta viva, né per l’acquisto, e neppure per la rinuncia. Adesso ovviamente temevo di cadere nella medesima situazione, così, pur facendola accomodare alla mia scrivania mentre già scorrevo sul terminale l’elenco degli appartamenti in vendita nella nostra agenzia, ho cercato naturalmente di trattarla con una certa freddezza, anche per il moto di fastidio che mi ha provocato immediatamente il suo comportamento poco rispettoso nei miei confronti, ed essersi dimostrata persona assolutamente umorale e dalla volontà facilmente variabile. Lei ha proseguito comunque a parlare con un certo entusiasmo di questo suo amore improvviso, non accorgendosi neppure così facendo di peggiorare le cose, ed anche per questo motivo le ho detto alla svelta e con un certo piacere che purtroppo al momento non avevo niente di adatto alle sue particolari esigenze, e quasi di fretta ho lasciato che cadesse qualsiasi ulteriore possibilità, accompagnandola perciò fino all’uscita dall’agenzia, pur promettendo, come si fa sempre, di telefonarle nel caso si fosse presentato qualcosa per lei.

Quando infine sono tornato a sedermi per riordinare i miei appunti, Elisabetta, rimasta seduta alla scrivania di fronte a me, mi ha gettato un lungo sguardo come di pungente rimprovero, che pur non necessitando di alcuna parola di supporto, ugualmente ha mostrato in lei qualcosa che mi ha ovviamente stupito. Non ho detto niente, evitando così qualsiasi commento, però mi è sembrato di cogliere un vago moto di gelosia nei miei confronti, come se la mia collega di sempre si mostrasse improvvisamente soddisfatta della mancata trattativa con una cliente dall’apparenza forse troppo piacevole. Sono rimasto perplesso, com’è del tutto naturale, considerato che i miei rapporti con Elisabetta sono sempre stati unicamente professionali e ridotti da molto tempo ai minimi termini, tanto da lasciarci evitare reciprocamente anche qualsiasi scambio di vedute sulle nostre separate attività. Comunque, ho proseguito a sistemare le mie cose alla scrivania mostrando nei confronti di ogni suo sguardo una legittima indifferenza, e quando infine ho indossato la giacca per uscire e recarmi ad un appuntamento per un sopralluogo, lei di colpo mi ha detto: <<hai fatto bene>>, evidenziando così qualcosa che non avrei mai sospettato. Ho sorriso, così come mi è parso normale, ma immediatamente dopo ho provato un debole moto di preoccupazione, come se fosse intervenuto, nel suo modo di comportarsi nei miei confronti, qualcosa di nuovo, quasi un interesse, o un’attrazione, forse uno squarcio nel suo essere sempre fredda e distaccata.

Uscendo ho provato addirittura il desiderio di cambiare mestiere, giusto per non dover affrontare magari proprio con Elisabetta un periodo fatto di sottili e tormentati tentativi da parte sua di strenuo avvicinamento verso la mia persona, ma una volta sul marciapiede mi sono sentito più forte di qualsiasi possibile adulazione, tanto da essere capace di tenere a distanza anche una collega dal carattere complicato come certo è lei. La mia raggiunta solitudine, ottenuta in vecchia data, e la distanza guadagnata nei confronti di ogni possibile pur superficiale legame, mi sono parsi improvvisamente valori irrinunciabili, degni di essere difesi addirittura a qualsiasi costo.

 

Bruno Magnolfi     

domenica 21 agosto 2022

Evitare ulteriori problemi.


            La mamma quella volta mi aveva incoraggiato ad uscire di casa, a raggiungere i miei amici che sicuramente secondo lei erano già sulla strada come sempre a scambiarsi le figurine o a tirare sassetti a qualcosa. Ma io mi ero limitato ad accostarmi alla finestra socchiusa, e dal piano terra dove abitavamo avevo subito visto Carlo e Sandro fermi di spalle sul marciapiede a parlare sottovoce di qualcosa. Avevo cercato di comprendere le loro parole senza farmi scorgere, e così all’improvviso mi era giunto all’orecchio proprio il mio nome. <<Però non ci si può mai fare affidamento>>, dicevano i due. <<È strano>>, sosteneva Carlo, <<io tante volte neppure lo capisco>>. Poi facevano una pausa, come per accordarsi su qualcosa mostrando una profonda riflessione. <<Però Adriano è uno di noi>>, concludevano, <<non possiamo metterlo fuori proprio adesso>>. Decisi di uscire per comprendere meglio quale fosse l’argomento che stavano affrontando, anche se mi sentivo quasi offeso di ciò che avevo ascoltato fino a quel momento. Loro mi salutarono come sempre, mentre quasi da fermi stavano assestando qualche pigro calcio ad un vecchio pallone ormai bucato e sgonfio. Ci appoggiammo tutti e tre al muro, con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni, osservando qualcosa dalla parte opposta della strada, poi Sandro disse che uno di quei pomeriggi ci sarebbe stato da scontrarsi con quelli di via Verdi. <<Sono in numero maggiore, perciò dobbiamo studiare una strategia>>, aggiunse. Annuii, nell’attesa di qualche altro chiarimento, ma loro sembravano non avessero altro da dirmi.  

            Lasciammo trascorrere una manciata di minuti così, come se il tempo non avesse valore, poi io provai un senso di estraneità a quei pensieri, qualcosa che mi portò di getto a dire ai miei due amici che adesso purtroppo dovevo proprio rientrare in casa, perché avevo promesso di aiutare la mamma a fare qualcosa che naturalmente inventai sul momento. Loro non dissero niente, però si guardarono un attimo, e senza cercare di trattenermi mi salutarono nella maniera più stringata possibile. Naturalmente non mi interpellarono più per i loro piccoli scontri tra bande, ed anche se nei mesi successivi sembravano ogni volta accettare la mia presenza sulla strada con loro, di fatto difficilmente mi parlavano in modo diretto, magari per spiegarmi qualcosa, oppure per pormi delle domande. Tutto questo a me non dispiacque neppure troppo, e per molti giorni pensai che ognuno in fondo a sé possedesse una propria precisa personalità, ed anche nei piccoli gesti di ogni giorno risultasse assolutamente capace di darne una chiara dimostrazione. A seguito di queste giornate, mio padre, con qualche sacrificio economico, riuscì a regalarmi una bicicletta, ed io scoprii in fretta che potevo spingermi alla scoperta di altre strade oltre quella dove abitavo.

            Iniziai col fermarmi, sempre però con qualche scusa plausibile, controllando qualcosa dei freni o della catena, ad esempio, davanti alla casa dove abitava una bambina quasi della mia stessa età, che certe volte incrociavo quando si entrava o si usciva da scuola. Cinzia, mi pare si chiamasse, e siccome si capiva subito da lontano che la sua principale caratteristica era la timidezza, questo fatto mi portò a sentirla vicina, affine a me, quasi simile. Lei certe volte stazionava davanti al proprio portone di casa a parlare con una sua amica, così quando io fermavo la mia bicicletta, subito l’altra, inventando qualcosa da fare, si allontanava, permettendo di avvicinarmi un po’ a Cinzia. Lei disse che mi vedeva certe volte quando usciva da scuola, ma purtroppo io ero quasi sempre circondato dai ragazzi più grandi, e lei per questo motivo non provava neppure a salutarmi. A queste frasi mi sentivo lusingato, ma non sapevo mai bene che cosa rispondere, così mi limitavo a sorridere e rimanere in silenzio, come per dare già quasi scontato il fatto che il suo comportamento fosse comunque ben calcolato, giusto, efficace, ma che in ogni caso avrebbe anche potuto farmi un piccolo cenno se ne avesse proprio avuta la voglia.

            <<Va bene, Adriano>>, mi disse allora di colpo lei come scherzando; <<però anche tu potresti salutarmi per primo>>. Poi si fece rossa sulle sue guance morbide, ed io per tranquillizzarla le dissi che ero assolutamente d’accordo, e che le cose avrebbero dovuto cambiare, sicuramente proprio nel modo che lei desiderava. Di fatto non so spiegarne neppure adesso il motivo, ma dopo questo scambio di idee smisi di andare in bicicletta lungo quella sua strada, e quando qualche volta incrociai lo sguardo di Cinzia sul largo piazzale antistante il nostro edificio scolastico, finsi decisamente di non vederla neppure, evitando così di affrontare qualsiasi ulteriore problema.   

 

            Bruno Magnolfi

venerdì 19 agosto 2022

Forte tentazione.


            Lorenzo mi ha detto che le cose avvengono soltanto se le si desidera, altrimenti sono delle combinazioni sulle quali è bene non fare neppure affidamento. Ho cercato di farmi spiegare meglio questo pensiero, però nella sua birreria in quel momento c’erano diversi clienti, e lui non ha potuto proseguire a parlare con me. Però ho riflettuto a lungo su queste parole, almeno per tutto il tempo che sono rimasto seduto al bancone a bere da solo, e mi sono reso conto che forse personalmente non ho mai voluto davvero qualcosa, ma ho come lasciato, praticamente in ogni periodo, che tutto scorresse per proprio conto. Così ho cercato di mettere a fuoco lo scopo più importante che potevo avere di fronte a me in questo preciso momento, ma non mi è venuto alla mente nulla che potesse essere eletto ad obiettivo finale di ogni mio sforzo. Per un attimo ho pensato anche a Luciana, ma in fondo per me lei è soltanto una donna simpatica, una con la quale vorrei senz’altro uscire qualche volta, una che mi piace insomma, ma oltre questo non ho mai proiettato nel futuro qualcosa di serio da fare con lei. Persino per quanto riguarda il mio lavoro all’agenzia immobiliare, forse potrei cercare un’impresa più grande, visto che dove sono considero per certo che non cambierà mai nulla, magari un’azienda dove trattare immobili importanti, dove girano molti soldoni, e forse così fare carriera, considerato che sono nel settore ormai da parecchi anni; però non è questo che mi interessa davvero, e tutto sommato, almeno per ora, mi basta quello che porto avanti ogni giorno.

            Così ho scoperto di non avere dei veri desideri, qualcosa che insomma riesca almeno a superare l’arco della giornata, e mi sono sentito spiazzato, privo di quella spinta propulsiva a fare le cose che forse tutti gli altri invece probabilmente posseggono. Ho pagato la mia birra e poi sono uscito, lasciando in aria un saluto a Lorenzo che ha soltanto alzato una mano, affrontando il piccolo trambusto serale lungo la strada nell’ora di punta. Tutti si stanno dirigendo verso qualcosa, ho pensato, mentre io al contrario di loro non ho una vera meta, e cerco soltanto degli espedienti poco impegnativi per non affrontare le solite cose di ogni giorno: tornare a casa, fronteggiare il disordine delle mie cose, pensare alla cena, decidere come trascorrere le ore che mi separano dal giusto orario per andarmene a letto. Sul portone ho incontrato un mio vicino di casa, una persona più anziana di me che conosco da parecchio tempo e con cui a volte scambio qualche parola generica per pura cortesia. <<Ti ho visto da Mauro>>, dice invece subito lui; <<stavo giungendo per comprare qualcosa nella sua rosticceria, e tu eri sul punto di uscire dal negozio, ci siamo scambiati per un momento e non mi hai neanche visto>>. Sorrido, <<è vero>>, gli dico, <<vado spesso da lui a farmi incartare qualcosa, anche ieri sera difatti; in fondo uno come me che vive da solo ha pochi stimoli a prepararsi qualcosa da mangiare>>. Lui sorride senza guardarmi, come trattenesse qualche notizia di cui non sa se parlarne oppure decidere di conservare per sé. <<Mi ha detto anche che ti fermi spesso con sua figlia a chiacchierare e a ridere>>.

            Mi paralizzo per un momento, non avevo considerato per nulla che il papà di Luciana, con la sua espressione profondamente seria, potesse vedere di buon occhio questa mia amicizia con sua figlia. <<E cos’altro ha detto>>, gli chiedo con titubanza, come se da quella risposta si decidesse il futuro dei miei comportamenti. <<Niente>>, fa lui, <<soltanto che tu sembra vada nel suo negozio più per parlare con Luciana che per comprare qualcosa>>. <<Ma questo a lui non dispiace>>, tiro fuori subito per far capire al mio vicino il nodo che sto cercando di sciogliere. <<Mi pare di no>>, dice lui con semplicità. <<In fondo anche sua figlia è già da qualche anno che non è più una ragazzina, e se si guarda attorno a Mauro torna del tutto normale>>. Resto in silenzio, osservo le chiavi di casa rimaste nella mia mano e poi in fretta saluto il mio vicino, che in questo momento non ricordo neppure come si chiama, poi prendo le scale e filo svelto nel mio appartamento. Non avevo considerato che improvvisamente potessi essere oggetto di interesse addirittura per il padre di Luciana, ma questo fatto, togliendo qualche libertà e stringendo i margini di manovra, mi provoca qualche piccolo fastidio. Forse ha ragione Lorenzo, rifletto, devo decidere che cosa voglio; il punto è che non so proprio quale risoluzione affrontare in questo momento, anche se la tentazione più forte che mi prende è semplicemente quella come sempre di evitare qualsiasi complicazione.

 

            Bruno Magnolfi      

mercoledì 17 agosto 2022

Discorsi da fare.


            Di quando ero bambino ricordo poco, se non una piccola casa in affitto al piano terra, con un giardinetto sul retro, dove abitavo con i miei genitori. Avevamo una gatta in quel periodo, ed io la osservavo a lungo in certi pomeriggi di sole, seduto su un gradino di pietra in fondo ad un’aiuola, dove in primavera nascevano dei fiorellini spontanei. Non avevo molti amici, forse perché ero un po’ schivo, in ogni caso non ne sentivo un grande bisogno, mi bastavano i pochi compagni di scuola che abitavano nella mia stessa strada, e coi quali mi incontravo a volte nel pomeriggio lungo quei marciapiedi edificati appena due o tre anni più indietro, quando fu deciso probabilmente dalle autorità cittadine di migliorare anche quel nostro quartiere periferico. Giocavamo a pallone, certe volte, proprio in mezzo alla via percorsa raramente da qualche macchina, oppure ci si metteva seduti sulla soglia di qualche porta, e si parlava dei nostri pensieri, delle buffe preoccupazioni, e di quello che avremmo voluto fare negli anni a venire. Ricordo che odiavamo la nostra maestra di scuola elementare, ma adesso non saprei dire per quale motivo. Eravamo diversi tra noi, ma all’epoca non ne avevamo troppa coscienza, e ci sembrava che stessimo tutti dalla stessa parte.

            In seguito ci sparpagliammo, ed ognuno, come in fondo era giusto, prese la propria strada, lasciando calcare le differenze tra di noi che forse c’erano sempre state, ma che magari fino ad allora non avevamo voluto vedere, e che mostrarono subito cosa volesse dire avere alle spalle una famiglia coi soldi oppure una perennemente senza quattrini, com’era purtroppo capitato a me. Proseguimmo a salutarci incontrandoci per la strada, ma non fummo più dei veri amici, anche se pur riflettendoci non riuscivo a spiegarne il fondamentale motivo. Adesso non saprei dire che cosa sia accaduto in seguito a quel paio di coetanei che frequentavo da piccolo, e forse in questo momento, se mi capitasse di incontrarli di nuovo, non saprei neppure riconoscerli. Quindi di fatto non ho adesso delle conoscenze di vecchia data, ma soltanto alcune persone con cui ho intrattenuto qualche rapporto, ma soltanto nel corso degli ultimi anni. A volte penso addirittura che se dovessi improvvisamente avere un grave malore, e magari essere ricoverato in un ospedale per qualche tempo, non saprei neppure a chi farlo presente, esclusa la mia collega di lavoro che incontro ogni giorno all’agenzia immobiliare. Di fatto in questo momento si può quasi dire sia lei la mia vera famiglia, visto che i miei genitori sono morti oramai da molti anni, anche se in fondo non andiamo troppo d’accordo, e ci vediamo soltanto per contratto.

            Poi c’è Luciana, la figlia di Mauro, il proprietario della rosticceria – tavola calda dove mi reco spesso, ma anche se c’è della simpatia indiscussa tra di noi, ancora non abbiamo neppure stabilito di vederci una volta al di fuori del locale di suo padre dove lei presta servizio. Provo però il terrore di rovinare tutto in un attimo, così anche se tengo ben riposto il suo numero di telefono che lei mi ha dettato, continuo a rimandare quella chiamata che devo pur fare, fingendo di essere pieno di impegni e di lavoro, tanto da non riuscire mai a decidermi. Forse dovrei andare alla rosticceria dopo aver bevuto qualche bicchierino di liquore per darmi coraggio, ma anche se questa potrebbe essere una buona soluzione, potrei però correre il rischio di apparire soltanto uno stupido ubriacone senza rispetto. Che io sia una persona solitaria lei ne ha piena certezza, visto che a volte mi fermo a mangiare da solo un piatto alla loro tavola calda, e anche quando mi faccio incartare qualcosa da asporto, è sempre in un’unica porzione, perché non ho nessuno per dividere la cena con me. Luciana mi piace, non ha mai fatto nessuna particolare battuta di spirito su di me oppure sui miei consueti comportamenti. Credo che comprenda benissimo la mia condizione ed il mio stato d’animo, e proprio per questo lascia che io prosegua a frequentare la rosticceria di suo padre come se fossi oramai un caro vecchio amico dell’esercizio in cui lavora.

            Un giorno di questi la inviterò a fare un giro con me sulla mia utilitaria, e fermandomi in qualche posto carino dove si possa bere qualcosa ad un tavolino appartato, le spiegherò esattamente quale sia la mia situazione, forse spingendomi a chiederle di frequentarci almeno una volta o due la settimana, magari per andarcene ad un cinema, o forse soltanto per passeggiare e parlare di noi.

 

            Bruno Magnolfi 

domenica 14 agosto 2022

Difficili cambiamenti.


            Lo so perfettamente che questa ragazza non potrebbe mai apprezzare uno come me. Anzi, probabilmente riesce a malapena a sopportare la mia presenza tutte le volte che siamo costretti a starcene da soli in agenzia, e a mandare avanti ognuno il proprio compito. Così quando so che avrei bisogno di chiederle un parere, considerando che in ogni caso Elisabetta è anche la titolare di questa piccola impresa per cui lavoro, ci penso sempre due volte, e spesso evito di rivolgerle qualsiasi domanda diretta. Lei poi, quando sto dietro alla mia scrivania del nostro piccolo ufficio, sembra costantemente persino ignorare la mia presenza, salvo ogni tanto porre in maniera impersonale qualche domanda che sembra messa su ad arte per mettermi sempre in difficoltà. Non so, non riesco a comprendere affatto il motivo per cui le nostre personalità si presentino così fortemente agli antipodi, però so che il nostro rapporto non potrebbe mai essere in un’altra maniera, tanto che persino sforzandoci non riusciremmo in nessun caso a migliorare le cose. Certe volte, tra una telefonata e l’altra, mi trovo addirittura a commentare qualcosa tra me a bassa voce, piuttosto che parlare con lei, tanto che Elisabetta in qualche caso mi getta un’occhiata di spregio, come stessi facendo qualcosa che dovrei assolutamente evitare. Non so, mantengo una certa distanza anche professionale da lei, però rimane ai miei occhi il tipo di persona che non frequenterei in nessun caso, neppure fosse una vicina di casa, oppure un’amica di mia sorella, casomai durante la vita ne avessi avuta una.

Quando esco dall'agenzia immobiliare per andare a fare visionare qualche appartamento che abbiamo in conto vendita, mi sento immediatamente più sereno, come se la pesantezza dell'ufficio fosse per me una condizione quasi insopportabile. Premesso tutto ciò, in qualche raro caso Elisabetta è stata capace persino di meravigliarmi, specialmente negli ultimi tempi, tirando fuori d'improvviso delle espressioni quasi carine verso di me, o riferendosi alla mia persona senza usare quei suoi soliti modi scostanti. E nell'occasione del giorno del mio compleanno, un paio di mesi fa, mi ha addirittura sorpreso, facendomi trovare sul piano della scrivania un pacchetto regalo con dentro una deliziosa penna stilografica. Non lo comprendo il suo comportamento, e in ogni caso forse preferirei quasi non subisse delle vere e proprie variazioni. Mi trovo quasi a disagio quando lei mi pone qualche domanda corretta, usando un modo semplice, normale, intorno ad argomenti assolutamente plausibili. Preferisco l’Elisabetta rude, nevrotica, persa sempre e soltanto tra le sue cose, mentre conserva sulla faccia la solita espressione burbera che conosco ormai da molti anni.

Per ringraziarla, il giorno in cui avevo ricevuto in regalo la penna stilografica, sono uscito dall’agenzia per raggiungere in fretta il caffè più vicino, tornando poco dopo con un vassoio di tramezzini e dei normali succhi di frutta. Lei però aveva già assunto di nuovo il suo comportamento distaccato, e tutto si è risolto in quel caso con un suo piccolo cenno di ringraziamento con la testa, mentre ormai stava dando corso ad una delle sue telefonate. Un paio di volte, precedentemente, avevamo anche provato ad andare insieme ad una tavola calda all’ora di pranzo, ma il risultato si era mostrato pressoché disastroso: non avevamo argomenti, ci guardavamo attorno alla ricerca di un salvataggio, e alla fine ripiegavamo semplicemente su degli accenni attorno a qualcosa del nostro lavoro. Così non abbiamo più insistito, cercando di non far coincidere quasi mai i nostri orari, occupandosi ognuno dei propri clienti, e senza mescolare le proprie rispettive inquietudini. A me dispiace che accada tutto questo, ma forse è anche un bene: tenersi a distanza quando si è costretti a condividere il medesimo ufficio, comporta un impegno maggiore in ciò di cui ci stiamo occupando, senz’altro privandoci quasi del tutto da qualche distrazione.

Lei trascorre comunque nell’agenzia immobiliare molte più ore di me, praticamente quasi tutta la giornata intera, mentre il mio compito principale resta quello di visionare e far visionare gli appartamenti e i magazzini, trascorrendo molte ore a giro per la città. Non mi passa mai per la mente di telefonarle mentre sto fuori, ed Elisabetta non mi chiama quasi mai per sapere se sto rientrando o cose del genere, anche se resta da sola per molto tempo davanti alla sua scrivania. È stato suo padre a cederle l’attività, e lei anche per un moto di orgoglio cerca sempre di dare il massimo in ciò che fa: forse vorrebbe da me che a mia volta mi impegnassi di più, però non si è mai azzardata a chiedermi qualcosa del genere, ed io non le ho mai fatto credere che avrei potuto davvero cambiare.

 

Bruno Magnolfi  

giovedì 11 agosto 2022

Tutto per il lavoro.


            Una ragazza dal nome di Mannelli Lorena, è venuta in agenzia in un momento in cui stranamente non c’era Elisabetta né nessun altro, per chiedere con timidezza se avevamo in vendita un piccolo appartamento, qualcosa di adatto ad una persona da sola. L’ho fatta subito accomodare, ho sfogliato con attenzione lo schedario, ed ho tirato fuori gli alloggi che rispondevano meglio alle sue semplici richieste. Lei ha detto che aveva appena ricevuto un piccola eredità, e che era intenzionata a risolvere al più presto il suo contratto di affitto tramite il quale abitava a condizioni parecchio sfavorevoli in una casa al terzo piano in un palazzo di quel quartiere. Insieme abbiamo controllato tutte le offerte che potevano avvicinarsi alle sue esigenze, valutando ogni dettaglio, fino a quando è rientrata Elisabetta in ufficio, facendo cambiare in un attimo il clima che fino ad allora si era instaurato. Comunque, non avendo trovato qualcosa che convincesse pienamente la ragazza, ho annotato i suoi dati con la promessa che l’avrei contattata immediatamente al momento in cui avessi trovato qualcosa di adatto per lei, di fatto stringendole la mano e accompagnandola fino alla porta. La mia collega mi stava osservando in quel preciso momento con espressione poco lusinghiera, anche se ha preferito non fare alcuna domanda e neppure tirar fuori come suo solito la propria immancabile opinione. Per un attimo ho avuto quasi l’impressione che un filo sottile di gelosia l’attraversasse, ma ho sorriso leggermente tra me ed ho subito scacciato quell’idea dalla mente. Poi ho trascritto nella mia agenda tutte le informazioni sulla Mannelli, e quando sono uscito dall’agenzia per andare a far visionare un appartamento ad un compratore, non ho lasciato in giro nessun pezzo di carta con quei dati, neppure nel cestino sotto la scrivania.

            La giornata ha proseguito in modo piuttosto simile a tutte le altre, e quando sono rientrato in ufficio Elisabetta comunque era lì, con un’espressione leggermente diversa dal solito, e la faccia di chi sta pensando qualcosa di inconfessabile, tanto da giungere a chiedermi, contrariamente a quanto fa sempre, com’erano andati i miei appuntamenti. Ho provato la voglia immediata di uscire al più presto dall’agenzia, però mi sono trattenuto ancora del tempo, giusto per dare corso a qualche telefonata di lavoro, ed il fatto che la mia collega non mi avesse più rivolto alcuna attenzione fino a quando non l’ho salutata per andarmene via, mi ha fatto sentire un po’ meglio, come se nessun argomento trattato con lei avesse potuto farmi sentire del tutto a mio agio. Il giorno seguente ho telefonato alla Mannelli Lorena, spiegandole che non avevo ancora trovato nessuna nuova soluzione per lei, ma comunque stavo lavorando attorno alla sua richiesta, ed avevo avuto notizia di un miglioramento delle condizioni di acquisto di un bilocale parzialmente da ristrutturare. Lei ha voluto fissare immediatamente un appuntamento per visionare la casa, ed io mi sono reso subito disponibile per il corso della settimana seguente. Ci siamo trovati davanti all’ingresso del dignitoso portone, ci siamo salutati con un certo trasporto, poi abbiamo salito le scale.

            Lo sconto finale accordato dal proprietario sul prezzo d’acquisto di quell’immobile per lei sembrava proprio ciò che attendeva da tempo, e nonostante il bagno attuale fosse da risistemare, la casa le è subito piaciuta, sia per la luminosità, che per la disposizione e l’ampiezza delle sue stanze. Ci siamo dilungati parecchio ad immaginare quei vani con della mobilia adeguata e dei lampadari migliori di quelli presenti, e la Mannelli ha subito detto che per lei era comunque piacevole cambiare le cose poco per volta, senza affrettare le sostituzioni. Ci siamo sorrisi parecchio nell’immaginare quei vani variare poco per volta, ed io le ho spiegato, alla fine del sopralluogo, che se voleva fissare l’acquisto avrebbe dovuto versare una caparra nel breve periodo, ma io mi impegnavo a non cederla ad altri per le prossime due settimane. Quando siamo tornati sul marciapiede lei sembrava davvero contenta, ed i suoi sentimenti sembravano così contagiosi nei miei confronti che le ho offerto un caffè in un locale poco lontano, anche per apprezzare ancora per dieci minuti la sua presenza. Alla fine ci siamo dovuti salutare, naturalmente, ma lei ha promesso di farsi sentire almeno per via telefonica al più presto possibile. Quando se ne è andata sono rimasto ad osservarla qualche minuto mentre si allontanava, ed ho pensato che forse avremmo potuto persino frequentarci io e lei qualche volta. Poi però sono stato presto riassorbito dal mio lavoro.

 

            Bruno Magnolfi    

martedì 9 agosto 2022

Modi di fare.


Mi sto rendendo conto sempre di più che mentre continuo a sentirmi ancora fermo e indeciso per tutto o quasi quello che mi riguarda, il resto di ciò che mi circonda prosegue rapidamente a cambiare e a trasformarsi, tanto da non permettermi spesso di riconoscere del tutto quello che sta effettivamente succedendo. Mi è sempre parso scontato che molte cose cristallizzino velocemente nella maniera esatta in cui sono nate, e quando invece mi accorgo che non è affatto così, mi sento tradito, come se qualcuno avesse tramato contro di me soltanto per il gusto di vedermi in difficoltà. I punti fermi delle mie giornate sono tali che non sono capace di accettare delle variazioni importanti, o almeno non senza grandi malesseri molto spalmati nell’arco di un tempo che non riuscirei neppure a definire. Se penso ai miei anni scolastici ad esempio, è come se tutti i miei compagni di classe di trent’anni addietro fossero a tutt’oggi rimasti esattamente quelli che erano, pronti persino a comportarsi nella stessa maniera di allora. Dal lontano periodo in cui ho conosciuto mia moglie Laura, mi pareva che in seguito niente avrebbe più potuto cambiare, e quando ancora vado a riguardare le fotografie scattate in quella manciata di anni in cui sono stato sposato con lei, mi pare di nuovo che niente o quasi da allora abbia potuto davvero variare. La percezione diretta del tempo che passa è qualcosa che non riesco quasi mai ad afferrare, e nelle mattine in cui mi rado le guance con calma davanti allo specchio, trovo improbabile che l’immagine che vedo di fronte sia effettivamente rispondente a quella che ricordavo di me fino al giorno prima.

Avevo degli amici, tempo fa, e certe volte ci vedevamo per andarcene al cinema o per farci qualche passeggiata conversando tra noi di tutto ciò che potevamo aver voglia di dire. Difficilmente parlavo di me, piuttosto cercavo sempre argomenti correnti e impersonali, su cui ognuno poteva esprimere la propria opinione. Se i miei amici non si trovavano d’accordo con ciò che mi ero ritrovato a sostenere, non insistevo quasi mai nel portare avanti i miei usuali pensieri, lasciando subito perdere qualsiasi eventuale polemica, e chiudendomi spesso in qualche minuto di silenzio meditativo. In fondo non ho mai avuto troppo interesse ad avere l’approvazione degli altri, piuttosto sono sempre stato disposto a mostrare soltanto una vaga volontà nel sostenere qualcosa. Mia moglie Laura, in quel periodo, si mostrava accigliata per il mio comportamento a suo parere troppo remissivo, ma io le dimostravo facilmente, una volta rimasti da soli, che l'opinione più giusta non ha mai bisogno di forza per essere spinta in avanti. Adesso certe volte mi chiedo dove mai siano andate a finire quelle idee sbandierate da tutti, e se quelle mie vecchie conoscenze abbiano ancora voglia di sostenere quelle opinioni per me ancora adesso inaccettabili.

<<Non ci sei andato oggi a lavorare, Adriano?>>, mi chiede a volte Lorenzo, quando mi presento al bancone della sua birreria un po' troppo presto rispetto al mio orario abituale. Sorrido, <<ho sempre meno voglia di stare là in agenzia>> gli spiego con onestà, e lui aziona subito la spina per riempire per me un bicchiere di rossa. <<Oggi avevo soltanto un paio di appuntamenti facili, e per il resto rinchiudermi in ufficio con Elisabetta che insiste con le sue telefonate aggressive verso i clienti, mi risulta sempre più insopportabile>>. Lui conosce la mia storia, ed anche se quel darmi un po' corda fa parte ovviamente del proprio mestiere, in ogni caso lo trovo sempre disposto ad ascoltare qualche lamentela da parte mia. Forse la sua curiosità si spegne subito dopo le prime frasi che gli rivolgo, ma io so trattenermi dal mostrarmi anche minimamente logorroico, affidando spesso ad una sola battuta di spirito tutto quello che tengo dentro di me. Lui prosegue con il suo lavoro, serve la birra o un panino a qualche altro cliente, poi però, quando mi ripassa davanti, sempre senza guardarmi, dice per sfottere che Elisabetta è esattamente il tipo di donna che ci vorrebbe per me anche nella vita privata. Rido, mi piacciono a volte i suoi scherzi, anche se spesso in tre parole riescono a mettere a fuoco realmente tutta la mia situazione. <<Certo>>, ribatto; <<uno di questi giorni le chiederò sicuramente la mano, col ginocchio a terra e l’anello pronto>>. A posto, non c’è altro da dire, sono contento che Lorenzo ci sia, forse non potrei sopportare davvero le mie giornate senza i suoi modi intelligenti di accompagnarle.

 

Bruno Magnolfi

domenica 7 agosto 2022

Soluzioni possibili.


Stasera mi sono fermato al bar di Lorenzo, una volta uscito dall’agenzia. Era presto, non avevo voglia di tornare subito a casa e sentirmi di nuovo e come sempre da solo tra le mie stanze in affitto, dove peraltro ci sarebbero mille cose da riassettare, da pulire, da mettere in ordine. Ormai ho imparato a gettarmi dietro le spalle tutto ciò che non ho alcuna voglia di fare, non tanto per la mancanza di una volontà specifica, quanto per quel senso di inutile che mi provoca avere un alloggio ben curato ma frequentato solo da me. Non è che faccio questo per una totale mancanza di rispetto verso la mia persona, quanto per una necessità personale di dare alle cose di uso quotidiano quella forma il più possibile aderente a ciò che ritengo il mio modo di essere, la mia personalità insomma. Mi devo sentire bene tra le mie cose disordinate, ed averle quasi tutte a portata di mano. Così mi sono seduto al lungo bancone di legno scuro, e mi sono fatto servire una birra, in quella perenne atmosfera, dentro al locale, di vapori di luppolo e di scarsa luce, tale da non lasciare mai comprendere se fuori sia ancora giorno oppure già sera. Un tizio che non conoscevo si è seduto vicino a me, ha ordinato un bicchiere di birra alla spina, poi, sempre senza distogliere lo sguardo, mi ha chiamato per nome. <<Adriano>>, mi ha detto, come se mi conoscesse. Ho osservato per un attimo il suo profilo che continuava a non suggerirmi un bel niente, quindi, visto che non c’era nessun altro vicino a noi, ho detto soltanto: <<sono io>>, nell’attesa di un qualche chiarimento, anche se quell’uomo è rimasto in silenzio, ed anzi  ha tracannato tranquillo un sorso della sua birra.

Dopo un minuto però, sempre senza guardarmi, ha iniziato col raccontare che tutte le cose qualche volta trovano un senso, e spesso lasciarsi andare a quanto suggerisce il caso apparente, porta ad avvicinarsi agli aspetti che maggiormente sono desiderabili. <<Ho girato in lungo e in largo sperando di trovare ciò che volevo>>, ha proseguito; <<fino a quando, disinteressandomi finalmente di tutto, mi sono ritrovato vicino a ciò che mi era più caro>>. Non osavo dire niente ascoltando queste parole, perché se questi discorsi da un lato mi parevano dettati da un certo buon senso, dall’altro parlare così ad un estraneo mi pareva qualcosa probabilmente elaborato da un matto, o da qualcuno che non riesce a rendersi conto di cosa voglia dire starsene al mondo. Ho sorriso leggermente, sperando che tutto quanto finalmente portasse da qualche parte, soprattutto nell’attesa di una spiegazione per essersi riferito a me usando il mio nome, ma quello è rimasto di nuovo in silenzio, forse aspettandosi da me una qualsiasi reazione. Infine, dopo altro tempo, ha ripreso col dire, sempre con tutta la calma possibile, che lui era semplicemente il fratello di quella che era stata un tempo mia moglie, anche se non lo avevo mai conosciuto fino ad oggi, considerato che si era trasferito fin da ragazzo in Nuova Zelanda, facendo perdere persino le proprie tracce.

Sull’immediato non ho trovato niente da ribattere, ed in considerazione del fatto che da molto tempo non avevo neppure più alcuna notizia di Laura, mi sono sentito estremamente sorpreso da tutto quanto, attendendo da lui qualche ulteriore spiegazione. <<Sono Fernando>>, ha detto invece lui come conclusione di tutta la sua chiacchierata, <<ti ho riconosciuto da qualche vecchia fotografia che mi aveva inviato mia sorella>>. Ho inghiottito un sorso di birra a mia volta, non trovando neppure adesso qualcosa da dire, ma lui ha detto soltanto che se volevo potevo aiutarlo a trovare un alloggio in città, visto che era a conoscenza del mio lavoro nel settore immobiliare, e che al momento aveva deciso di trasferirsi proprio qui, almeno per qualche tempo. Così ho risposto che non trattavo case in affitto, ma Fernando ha subito spiegato, stavolta voltandosi leggermente verso di me, che intendeva acquistare direttamente un modesto appartamento, considerato che era rimasto solo, e che oltre a del capitale, poteva contare su una piccola rendita frutto del suo lavoro trentennale in Nuova Zelanda. Gli ho detto che avrei controllato se c’era qualcosa di disponibile in agenzia, e gli avrei fatto sapere senz’altro eventuali soluzioni, e poi ho chiesto, con parole non troppo dirette, se sua sorella stesse ancora bene, in salute, e proseguisse a fare la maestra d’asilo. <<No, non sta più dove prima: nostra madre è morta ormai da qualche anno, e lei si è trasferita da una prozia che abitava in Maremma, dove adesso sta occupandosi della produzione di vino>>. Sono rimasto di stucco, naturalmente, e dopo avergli lasciato sul banco il mio biglietto con il numero a cui chiamarmi insieme ai soldi della bevuta, ho detto che avevo un impegno, e così sono uscito.

 

Bruno Magnolfi     

venerdì 5 agosto 2022

Ad un passo da noi.


Certe volte sogno di andarmene. Alzarmi al mattino come sempre, ma invece di recarmi al lavoro in agenzia, passare a prendere Luciana alla rosticceria “da Mauro” e spiegarle, dopo averla chiamata fuori un momento, come non sia più assolutamente il caso di proseguire così, con delle giornate che si assomigliano tutte, e che a ben guardare non hanno proprio alcun senso. Lo so, non sarebbe facile per lei accettare una risoluzione del genere buttata lì così all’improvviso, ma sono sicuro che dopo qualche lecito dubbio Luciana toglierebbe con calma il grembiule con cui normalmente lavora, e poi verrebbe con me. Mauro resterebbe di stucco di fronte ad una decisione del genere, ma nei giorni seguenti con ogni probabilità potrebbe trovare sicuramente del personale da assumere per sostituire sua figlia, e le cose nella sua rosticceria sicuramente non subirebbero neppure troppi sconquassi. Poi, una volta che Luciana avesse preso posto sulla mia utilitaria, le spiegherei guidando senza fretta tutte quante le idee del mio piano. <<Non possiamo restare ancora in questa città>>, direi con convinzione. <<Dobbiamo andarcene lontano, all’estero, dove non ci conosce nessuno, per costruire qualcosa di nuovo>>. Certo, non in Inghilterra che resta la centrale dell’impero e quindi del male, e neppure in Olanda, in Francia o in Portogallo, che sono stati da sempre spietati paesi colonialisti. Forse però su un’isola grande, magari in Grecia, dove tutto è stato pensato e messo in pratica ancora prima che in ogni altro luogo.

Certo, prendere una decisione del genere non sarebbe una cosa facile, però credo potrebbe essere l’unica maniera per dare una svolta concreta a tutto quanto, e per spezzare definitivamente e alla svelta questa monotonia di cui non ci accorgiamo neppure più. Luciana sarebbe felice, ne sono sicuro, e approverebbe in pieno la mia idea. Intanto però non sono ancora riuscito neppure ad uscire una volta con lei per fare due passi e mangiare insieme un gelato; però tutti questi preliminari si possono ritenere scontati, come dei passaggi obbligati di cui è persino inutile parlare. Qualcuno mi ha detto una volta che non si può vivere di sogni, ed io in quel caso ho subito annuito: certo, alla lunga un progetto del genere potrebbe addirittura diventare un peso, qualcosa che nel momento in cui non trovasse rapidamente una giusta applicazione, potrebbe mostrarsi come un bagaglio inerte del quale non si sa più in quale maniera sbarazzarsi. Ma io se ci penso immagino subito l’isola di Creta, o anche di Rodi, oppure Cipro, con le loro acque meravigliose attorno, ed una vita calma, leggera, senza finzioni o parole di troppo, con la mia Luciana sorridente e gentile con me.

Suo padre mi odierebbe, lo so, almeno in un primo tempo; ma in seguito la sua riflessione lo porterebbe ad accettare la nostra scelta, lui che ha dedicato la vita a delle teglie unte e ad un bancone col termostato da riempire ogni mattina delle solite cose, per servire ogni giorno sempre le stesse persone. <<Mauro>>, gli scriverei al fondo di una lettera di sua figlia. <<Non si può tirare avanti così senza provare qualcosa di diverso. Noi abbiamo quel briciolo di entusiasmo che serve per fare un salto del genere, e saremmo dei vigliacchi se non lo tentassimo>>. Potremmo sistemarci in una casetta in affitto sul mare, e poi cercare di aprire un piccolo chiosco, un locale di legno dove fare panini, servire le bibite, amalgamare poco per volta il nostro esercizio alla vita del luogo. Nei primi tempi potrei anche dare una mano a qualche pescatore che cala le reti nel mare Egeo, ed imparare ad alzarmi dal letto di notte per salpare con lui alle prime luci dell’alba. Porterei a casa del pesce fresco, qualcosa di meraviglioso, quasi inimmaginabile. Le cose si sistemerebbero in fretta, non ci sono mai dei veri problemi per chi non si spaventa di fronte a qualche difficoltà.

Però ho ancora da parlarne con la Luciana, e ancora devo chiederle di uscire con me, spiegarle qualcosa sulla solitudine, e su quanto possono cambiare tutte le prospettive quando siamo in due a desiderare fortemente qualcosa. Lei è il tipo di persona che può davvero capirmi, continuo a pensare, ed anche se i miei per adesso sono soltanto dei sogni, lei sarebbe capace facilmente di renderli realizzabili, ne sono sicuro. Così passo dalla rosticceria anche stasera a prendere qualcosa per la mia cena. Luciana mi guarda, forse già immagina quello che passa nella mia mente, e quando infine mi sorride mentre mette dentro una busta qualche fetta di arrosto ed una verdura, forse già sa che il nostro futuro è tra un attimo, è qui, appena ad un passo da noi.

 

Bruno Magnolfi

 

mercoledì 3 agosto 2022

Saluti frettolosi.


Ci sono dei giorni in cui sono allegro. Mi sento positivo, ho voglia di parlare con chiunque, di spiegare a tutti che le mie cose, non so neppure come, vanno comunque tutte bene, che non ci sono grandi preoccupazioni, e che se pure c’è qualcosa di storto all’orizzonte presto troverà sicuramente un’adeguata soluzione. Non dura molto, è naturale, e già dopo l’aggiornamento in agenda degli appuntamenti per l’agenzia, mi sembra che qualcosa inizi rapidamente a scricchiolare, come se la costruzione delle illusioni messa su fino ad allora mostrasse subito dopo ampie zone di cedimento. In giornate del genere vorrei non dover rispondere ad alcun obbligo, ed andarmene in giro in piena libertà. Invece devo far visionare degli appartamenti a certi individui che appaiono scontrosi, pieni di dubbi, privi di qualsiasi fiducia verso chiunque. Uno di questi mi dice che la casa in cui ci troviamo potrebbe anche andargli bene, ma il prezzo è troppo alto, e lui non intende certo sobbarcarsi un debito del genere per i prossimi quindici o vent’anni. Annuisco, gli spiego in due parole che abbiamo in vendita degli alloggi più piccoli, meno costosi, non ci sono problemi nel fargli vedere qualcos’altro. Ma quello mi guarda con espressione accigliata, come se avessi tutta la colpa dei suoi problemi, e sgarbatamente mi dice che per una casa più piccola può restare tranquillamente dove abita adesso. Sollevo le spalle, non so proprio come aiutarlo, in ogni caso non vedo l’ora che se ne vada e mi liberi lo sguardo dalla sua presenza.

Ma tutto a quel punto sembra lavorare contro di me, ed il tizio inizia a parlare di sconti sulla cifra finale, di dilazioni di pagamento, di possibilità per avere allo stesso prezzo anche una rimessa per la macchina non certo prevista. Cerco di convincerlo che nessuna di queste richieste può andare in porto, e che il prezzo che gli ho proposto è il minimo possibile. Sembra infuriarsi, dice che non si è mai sentito dire in giro di una cifra così non trattabile, che è addirittura mio dovere preciso andargli incontro accordandogli condizioni migliori. <<Mi dispiace>>, dico alla fine proprio per chiudere quella discussione sterile, e allora lui tira fuori che mi ha già visto qualche volta a bere in un locale di quella stessa zona, e che addirittura sa bene quale sia la mia utilitaria, come se questo dettaglio fosse già una specie di minaccia. <<Va bene>>, gli faccio, <<ma questo non cambia di una virgola le cose, tanto più che io sono soltanto un impiegato dell’agenzia immobiliare, e non posso mai superare per nessun motivo i margini di trattativa che mi vengono imposti. Alla fine quello decide finalmente di smetterla e andarsene, così io richiudo alle mie spalle l’appartamento, ma mentre scendo le scale quello mi dice che in ogni caso ci sarà l’occasione per rivederci, in maniera ancora minacciosa. Vorrei reagire in modo violento, ma mi trattengo.

Quando infine siamo in strada, un attimo prima di salutarmi, l’uomo inizia a dire che la sua è una situazione difficile, che la sua figlia maggiore adesso è in stato interessante, ma non si sa chi sia il padre, e quindi ci sarà una bocca in più da sfamare nella sua famiglia. Lo guardo dritto negli occhi per un momento, poi metto via le mie cose e muovo il passo per andarmene, ma quello mi trattiene per un braccio, dice che avrebbe bisogno di un aiuto, ma io gli sposto la mano e me ne vado. Arrivo a passo rapido fino alla fermata degli autobus, e quando passa il primo mezzo salgo subito sopra, anche se non è della linea che mi serve. Fallani, si chiama quell’uomo che ho appena lasciato, ed adesso che ci penso con un po’ di calma, anche a me pare di averlo già visto da qualche parte. Cambio autobus alla fermata successiva, e dopo poco riesco a rientrare nell’agenzia, visto che quello era l’ultimo appuntamento che avevo. Elisabetta, dopo un momento, mi dice che ha telefonato da poco un signore lamentandosi delle maniere sgarbate che avrei mostrato nei suoi confronti. Naturalmente a lei dico subito la verità di come sono andati realmente i fatti, ma Elisabetta mi guarda strano, come se ci fosse qualcosa adesso che non le torna. <<Forse potevi telefonarmi mentre trattavi>>, mi dice. <<Magari avrei trovato una soluzione con questo signor Fallani. Oppure ti avrei indicato al contrario la maniera migliore per liberartene in fretta>>. Mi sento preda di un attacco di nervi; ma non mi va di darlo a vedere, così mi rinchiudo nelle mie cose da fare; poi, senza dire un’altra parola, saluto di fretta e me ne vado.

 

Bruno Magnolfi  

lunedì 1 agosto 2022

Pronto alla fuga.


Tempo fa, in estate, durante il periodo di chiusura dell'agenzia immobiliare per cui lavoro, decisi di approfittare di quel periodo di vacanza e fare un giro verso qualche luogo di mare. Misi alcune cose personali dentro una sacca, accesi il motore della mia utilitaria, e poi puntai diritto verso la costa. Nel pomeriggio, stufo di guidare, mi fermai dalle parti di Talamone, in Maremma, e così affittai una casetta di legno minuscola in un campeggio ben organizzato di quelle parti. Attorno a me c'erano quasi soltanto delle famiglie con dei bambini, e alcune di loro arrivavano da paesi stranieri, ma a me interessava soltanto fare qualche nuotata nell'acqua e leggere qualche pagina del libro che mi ero portato tra i pochi bagagli. Così mi piazzai sulla spiaggia con l’asciugamano a godermi il bel tempo ed il mare calmo. Alla sera, passeggiando sul piccolo porto turistico, mi accordai con un tizio per noleggiare il giorno seguente un piccolo gommone a motore accogliente e abbastanza veloce. Volevo soltanto farmi un giro lungo i promontori poco distanti, e rendermi conto dal mare come si sviluppava la parte rocciosa di quella località, anche per fare un bagno in solitaria vicino a degli scogli non accessibili da terra. Così, la mattina successiva, mentre spaziavo all’interno dello specchio d’acqua pieno di tavole a vela, mi accorsi rapidamente di una piccola imbarcazione che pareva scaricare delle casse sopra un minuscolo molo isolato, nella parte del golfo opposta alla cittadina di Talamone, in una zona dove non si vedeva alcuna costruzione. Cercai di avvicinarmi, tanto per curiosare, ma mi accorsi che c’erano diversi uomini in divisa a supervisionare le operazioni, e forse qualcuno di loro mi stava già osservando con un binocolo.

Virai verso altre zone, e trovai dei punti magnifici sia sotto la Rocca Aldobrandesca che dalle parti di Capo d’Uomo, dove c’erano diverse grosse imbarcazioni ancorate a godersi la giornata. Quando riconsegnai il gommone mi sentivo soddisfatto della mia gita, e mentre pagavo chiesi all’incaricato che cosa fosse quel luogo dove si potevano notare dei militari in azione. <<Scaricano munizioni>>, mi fu spiegato. <<Quello è un luogo deputato per l’approvvigionamento di materiale bellico per le basi qua attorno, e avvicinandosi troppo mentre sono in atto degli scarichi, si rischia di essere fermati e addirittura identificati>>. Mi parve una stranezza quella di svolgere operazioni pericolose poco lontano da un luogo così bello e turistico, ma mi ritenni immediatamente soddisfatto della spiegazione, ed in considerazione della materia, non mi parve il caso di porre nessun’altra domanda. Però nella notte, nella mia capanna di legno da cui si immaginavano piacevolmente le piccole onde di mare vicine, spinte dalla brezza di terra, sognai una situazione in cui venivo costretto a sbarcare con il mio barchino leggero, e che dei soldati minacciosi e poco gentili, mitra alla mano, mi chiudevano i polsi con dei ferri dietro la schiena, portandomi chissà dove, da solo, gettato nel cassone posteriore della loro camionetta scomodissima. Alle mie spalle intanto sentivo rombare dei colpi forse di mortaio e di fucile, e qualche grossa bomba saltava in aria distruggendo probabilmente il piccolo molo e anche le loro imbarcazioni.

Difficile sarebbe stato trovare delle giustificazioni personali che chiarissero la mia posizione, e mentre pensavo che da lì a poco avrei subito senz’altro un interrogatorio terribile, forse accompagnato da qualche forma di tortura, cercavo, con la poca razionalità che mi rimaneva, una qualche via di fuga possibile da quella situazione. La camionetta si fermava, a un certo punto, e da dove mi trovavo sentivo delle voci concitate che forse spiegavano ad altri chi fossi e quanto stava accadendo. Trovavo, sul fondo della camionetta, la leva che apriva il gancio di chiusura della ribalta da dove mi avevano fatto salire là sopra, e in un attimo, fortunatamente senza provocare rumore, saltavo giù e me la filavo rapidamente all’interno del bosco da cui eravamo circondati in quel momento. Correvo a perdifiato, con le mani però ancora serrate dietro la schiena, ma dopo poche centinaia di metri ritrovavo la mia utilitaria parcheggiata in una radura, e poco lontano l’uomo che si occupava del noleggio delle imbarcazioni, il quale, come si fosse stati d’accordo, mi toglieva immediatamente quei ferri dai polsi con delle sue appropriate ed enormi tronchese, ed io mi ritrovavo poco dopo davanti all’agenzia immobiliare dove svolgo normalmente le mie giornate di lavoro, quasi incredulo di aver potuto risolvere tutto quanto in così poco tempo.    

Il giorno seguente tornavo veramente in città, ma il viaggio di ritorno mi parve lunghissimo, quasi un tormento, soffrendo per tutta la strada come se avessi avuto veramente qualcuno alle spalle, pronto a raggiungermi con determinazione, e a farmi pagare ogni mia presunta attività.

 

Bruno Magnolfi