domenica 26 novembre 2017

Svendita di opinioni.



Lo guardo, mentre sta rientrando in casa da fuori e compie nel piccolo ingresso i suoi soliti gesti di sempre, quando mancano ormai appena pochi minuti all’ora di cena, mettendo a fuoco i suoi modi con tutta calma, nella stessa esatta maniera con cui si segue con gli occhi, restando sopra la riva, lo scorrere di un piccolo placido fiume, naturalmente per ciò che riesco a malapena a vedere dallo spiraglio di questa porta rimasta nel pomeriggio quasi sempre socchiusa, preparandomi senza alcuna furia ad alzarmi dalla sedia della mia cameretta per andare a salutarlo come faccio ogni sera, pronto a mantenere comunque davanti a lui la mia solita espressione essenziale. Lo studio, qualche volta ne scruto persino i più minuti gesti che compie, per riuscire a capire magari che cosa dirà, quando forse vorrà dire qualcosa, o quali espressioni vorrà conservare nel suo consueto contegno, in quel rigido personale perenne silenzio leggermente venato in qualche momento da chissà quali pensieri.
Sono curioso di lui, dei suoi atteggiamenti, e mi piace quando la mamma lo saluta per prima andandogli incontro con un leggero sorriso, mentre lui guardandola appare sempre un po’ goffo, quasi mancante delle espressioni più adatte, ricacciandosi immediatamente nelle abitudini più che assodate. Come va, chiede spesso in modo generico, toccandosi le mani che avrà bisogno di lavare energicamente nel bagno tra un attimo, guardandosi attorno, come a cercare qualcosa che prima non c’era, forse una novità che per lui sarebbe più che apprezzabile, magari anche una semplice variante al solito normale andamento che regna per casa. Ecco, è proprio questo il momento in cui, come una chiocciola negli attimi in cui sta proprio iniziando a piovigginare, io lentamente esco fuori dal mio consueto rifugio, apro per bene la porta e però lì mi fermo, soltanto per lasciare che le cose in qualche maniera vadano avanti da sé.
Anna, dice lui qualche volta, questo ragazzo mi sembra sempre più chiuso dentro se stesso, e poi mi guarda, come se avesse parlato di chissà quale scoperta sensazionale. La mamma allora mi viene in soccorso: ma che dici Corrado, gli fa, ha preso un ottimo giudizio anche oggi dall’insegnante di lettere. Perciò gli argomenti più utili per mandare avanti in qualche modo la cena, in questo modo sono già vagamente delineati, e poi non resta che qualche ulteriore preliminare prima di andare a sedersi intorno al solito tavolo.   
La radio ci viene all’improvviso in soccorso come sempre capita in queste serate, e con sommo studio mio padre, piuttosto che ritrovarsi ad espandere le proprie riflessioni nel rispondere a dovere alle domande di Anna che vanno un po’ a curiosare sulla sua giornata lavorativa, commenta con impeto qualche notizia politica o di costume del notiziario, soffermandosi su certi dettagli generici che forse alla fine non interessano quasi per niente almeno noi di questa famiglia. Tutto a posto, finirà poi per dire come sempre Corrado, lasciando che ognuno nella propria testa si formi un’opinione diversa da quella di lui appena svenduta.


Bruno Magnolfi

giovedì 23 novembre 2017

Aiuti collaborativi.

            

Certi giorni sembra sia difficile persino stare fermi e seduti alla solita scrivania, a compilare i modelli e le schede di sempre, mentre sullo schermo ci scorrono davanti agli occhi colonne di nomi che a malapena riusciamo ancora a distinguere, inseriti nel tempo per ordine alfabetico, per tipo di polizza, per scadenza, per forma di pagamento, per puntualità, per abitudini, per inclinazione, e chissà ancora per quanti altri motivi, visto che sul programma restano ancora decine di campi del tutto vuoti, ma che potremmo rendere attivi se solo riuscissimo ad avere delle altre informazioni ancora più personali sui clienti che abbiamo. Sono Torrini, e come ogni giorno inserisco con diligenza quanto sta nel mio dovere di impiegato ordinario, ma in certi casi non so nemmeno dove trovare tutte quelle forze che servono, oppure quel briciolo di entusiasmo che sempre ci vuole per mandare ancora avanti le cose.
Lo stipendio è fermo da vari anni, non si è mai vista nessuna possibilità per fare carriera, e qualsiasi idea migliorativa sul lavoro spiegata da noi che ci occupiamo di certe cose ai nostri dirigenti, viene regolarmente abortita con qualche risata o peggio con un’indifferenza umiliante, salvo ritrovarne più avanti, in mezzo alle cose di sempre, una qualche camuffata variante. Tra gli ufficetti coi vetri ed i lunghi corridoi della nostra sede, sembra che il tempo ogni giorno si prenda quasi una sosta, per poi lasciarci ritrovare regolarmente con i colleghi davanti alle macchinette per il caffè, a ridere spesso con evidenza di qualcosa di sciocco, ma certe volte più velatamente anche di qualcuno che magari sta proprio lì in mezzo a noi, e che sembra il bersaglio di turno perfetto per tutti gli sfoghi che servono.
Non c’è mai stata una vera solidarietà tra gli impiegati in questo settore, salvo mostrarsi del tutto finti trattenendo l’invidia di fatto evidente quando qualcuno di noi va in pensione, oppure al momento in cui facciamo ampio uso delle solite identiche parole di sempre quando a qualcuno arriva un lutto in famiglia. Qualche volta ci guardiamo in cagnesco l’un l’altro, ma anche questo atteggiamento alla fine dura ben poco: troppa fatica stare contro qualcuno, perlopiù è sufficiente limitarsi a qualche battuta sagace quando l’occasione ne fornisce la possibilità, ma altrimenti va bene anche niente. Si lascia scorrere il tempo, misurandolo generalmente con il metro delle varie stagioni che qui si rincorrono, e per il resto naturalmente si tenta sempre di essere più furbi degli altri, ed approfittare immediatamente di qualche situazione favorevole quando raramente questa ha la grazia di presentarsi.
Corrado Renai, il mio collega diretto, riesce ciclicamente ad inguaiarsi in qualcosa, che poi tradotto in concreto vuol dire soltanto per lui bisogno immediato di soldi, piccole cifre generalmente, ma che lo portano a divenire arrendevole e mansueto con tutti i suoi collaboratori almeno in quei momenti, tanto da lasciarsi tranquillamente fregare con dei piccoli prestiti che paga ad un prezzo degno quasi dello strozzinaggio. Non è colpa di nessuno se lui è così, certi incasinamenti sembra proprio che se li vada a cercare, ma in ogni caso è sicuramente una fortuna per il Renai avere alle spalle dei colleghi che in certi casi lo sanno aiutare; ed in certe giornate lo trattano proprio quasi fosse un amico.


Bruno Magnolfi

lunedì 20 novembre 2017

Senza delusioni.

            

Certe volte sono distratta; non so per quale motivo questo succeda, ma in questi casi è come se fossi da sola dentro un’altra stanza, e quindi le cose che magari inevitabilmente possono accadere proprio davanti alla mia persona non mi arrivassero per niente, o al massimo in un modo molto più attenuato di quanto sarebbe prevedibile. La mia giornata scorre quasi sempre in maniera estremamente abituale, lasciandomi soffermare solo su pochi elementi che generalmente la caratterizzano, quelli più importanti ed evidenti: forse sono una persona estremamente semplice, una che probabilmente non vuole mai vedere completamente la realtà con i propri occhi, però in tutti i casi credo che ognuno di noi debba essere sempre sincero con se stesso, e lasciare che gli avvenimenti anche vicini scorrano con la propria normalità.
Penso spesso comunque che tutto vada bene, e che le piccole increspature che a volte si formano sopra ad un mare calmo non indichino necessariamente l’arrivo impellente di una tempesta che qualche pessimista forse ha subito previsto. Mi piace camminare per la strada mentre penso alle mie cose, e non credo ci sia quasi niente di cui per forza ci si debba preoccupare veramente. Sono sicura che tutto sia di per sé già fin troppo complicato e spiacevole per pretendere di intorcinarsi la testa con idee e paure ancora più complesse di quanto tutto il resto sembra spesso costellato. Mio figlio Francesco è l’elemento essenziale rispetto a qualsiasi sforzo mi trovi ad affrontare, ed il suo percorso di crescita, almeno fino ad oggi, assieme anche ai suoi risultati scolastici, mi riempiono di piacere e di grande soddisfazione.
Mia madre quando ero giovane spesso mi diceva: Anna, non fidarti mai degli uomini; ma io adesso non credo fosse un avvertimento valido per qualsiasi donna. Sono tranquilla, le cose mi pare vadano avanti senza grandi intoppi: conservo il mio piccolo lavoretto al mattino che mi permette ogni tanto anche qualche spesa superflua, e di Corrado non mi pare neppure il caso di lamentarmi troppo, anche se il suo tempo appare tutto assorbito dalla sua occupazione in ufficio e dai suoi amici. La mia amica Chiara dice certe volte che forse dovrei sognare di più, cioè puntare più in alto per migliorare davvero la mia quotidianità, ma a me quando ascolto queste sue parole viene semplicemente da sorridere: se tutto si mantiene in questo modo, le dico, io sono contenta, non mi pare proprio di aver bisogno d’altro oltre quello che mi ritrovo già. Non ho pena o grande dispiacere per coloro che continuano perennemente a lamentarsi, ognuno logicamente può comportarsi sempre come gli pare meglio; però credo che certe persone dovrebbero guardare con attenzione e magari anche più a fondo in tutto ciò che già tengono stretto dentro le proprie mani. Forse io non ho grandi aspettative, questo può darsi; però credo che chi ne ha persino troppe finisca prima o dopo per vivere delle grandi delusioni.


Bruno Magnolfi

domenica 12 novembre 2017

Giornate difficili.

     

Non mi interessa niente di quello che possono pensare dei miei comportamenti questi colleghi di lavoro quando parlano nei corridoi davanti alle macchinette del caffè. So che personalmente devo soltanto seguire un percorso ormai più che tracciato dai fatti, e ormai lo faccio, vado avanti senza guardarmi troppo attorno, senza neppure pensare che forse ci potrebbero essere anche delle altre possibilità. Da qualche giorno giro a piedi, prendo soltanto un mezzo pubblico quando esco di casa al mattino per arrivare fino in ufficio, ma poi al ritorno percorro con le scarpe tutti i marciapiedi che mi trovo davanti, e non mi fermo più in nessun locale: risparmio, è chiaro, evito in tutti i modi persino la tentazione di mettere le mani dentro le tasche. Impiego circa un’ora in questo modo per tornarmene fino a casa, ma questo non avrebbe poi molta importanza, se non mi rendessi conto che il lato più triste della faccenda è che immediatamente comprendo come sia ancora troppo presto quando mi trovo a salire le scale di questo palazzo, e che mi sento subito nervoso quando arrivo ad aprire la porta del mio appartamento, avvertendo forte dentro di me la sensazione di non riuscire a sopportare nessuno, tantomeno mia moglie e mio figlio che aspettano il mio ritorno come ogni giorno.
Mi sento solo, distante dalla mia famiglia, come se mancasse sempre di più nelle mie giornate un vero legame con questa casa. Mi cambio d’abito in camera da letto, vado in bagno, prendo tempo fingendo di essere ancora immerso nei miei problemi di lavoro. Anna mi chiama, dice Corrado sorridendo, poi mi fa delle domande leggere, ma io rispondo a monosillabi e in certi casi appena con un grugnito; finirà che non avrò più niente da dire, e la mia scelta finale sarà il silenzio, giusto per troncare ogni possibile dialogo.
Prendo tempo, penso ancora alle mie cose, infine è ora di cena finalmente, non c'è molto di nuovo da mangiare, ma andrà tutto benissimo. Francesco ha sistemato le stoviglie sopra la tavola, c’è del pollo con le verdure che ha preparato la mia Anna, mi siedo, prendo una fetta di pane, mi concentro sul primo boccone che ingurgito, poi sul secondo, infine mi verso del vino dentro il bicchiere. Andiamo avanti quasi di fretta, nessuno di noi sembra abbia qualcosa da dire agli altri due, e il notiziario che esce dalla radio accesa con il volume al minimo parla delle cose di sempre, riempiendo fortunatamente quel vuoto evidente.
Si passa rapidamente alla frutta, quindi al caffè, ed infine abbiamo già terminato, penso con sollievo, anche se la serata sembra però ancora lunga, quasi infinita. Devo uscire, dico come parlando tra me, nessuno ha delle obiezioni, così mi alzo, mi cambio, mi pettino i capelli ed infine indosso il mio giaccone, poi saluto tutti ed esco di casa. Quando sono in strada tiro un profondo respiro di sollievo, non so neppure io il perché, poi prendo lungo il marciapiede senza neppure riflettere verso quale direzione sia meglio andare. Se guardo intorno tutto qua fuori sembra uguale, mi sento vagamente angosciato mentre attraverso la via ad un passaggio pedonale. Infine torno a salire le scale di casa, lo faccio con calma, poi giro la chiave, ognuno sembra immerso completamente nei fatti propri: devo andare a dormire penso, domani sarà un’altra giornata difficile.

Bruno Magnolfi


martedì 7 novembre 2017

Alleati, se non altro.

            

Io resto in classe, come spesso mi accade, seduto dietro al mio banco, anche se sono questi i soli minuti di pausa intermedia delle lezioni in cui possiamo alzarci e girare un po’ per sgranchirci le gambe. Gli altri ragazzi difatti sono quasi tutti nel corridoio per parlare con maggiore scioltezza a voce alta e ridere spesso sguaiatamente, mentre molti di loro sbocconcellano le varie merende che si sono portati da casa. Carlo Pieri, per parlare soltanto del più accanito, mi tormenta ormai da qualche giorno perfino più del solito, per questo cerco di evitarlo con gli scarsi mezzi di cui dispongo. Lui ha sempre bisogno del pubblico intorno a sé prima di dirti qualcosa di sgradevole oppure di ridere in modo cattivo per qualcosa che sei o che stai facendo, così tende a spingermi sempre di più verso il mio isolamento di cui persino gli insegnanti ogni tanto mi chiedono conto, quasi fosse qualcosa di cui non avessi già una piena e precisa consapevolezza.
So perfettamente, al contrario, che in tempi piuttosto brevi devo trovare all’interno della mia classe almeno un alleato per la mia strenua difesa dagli altri; non è soltanto puro egoismo di sopravvivenza il motivo delle mie conclusioni, è anche il fatto che avverto profondamente il bisogno per il benestare completo della stessa aula in cui trascorriamo insieme tantissime ore del giorno, di rendere maggiormente fluida e socializzante la mia figura all’interno del gruppo, considerando il mio innaturale isolamento oramai un problema quasi per tutti.
Ci sono due o tre fra i miei compagni che ogni tanto mi vengono vicino per chiedere qualcosa, spesso giusto per farmi conversare, per ricordarsi come sia la mia voce, ma nessuno di loro mi pare adatto a quello che ho in mente. Poi ci sono quelli che mi ignorano completamente, come se non ci fossi per niente nella stessa stanza con loro, probabilmente per evitare qualsiasi contatto con una personalità che sentono completamente diversa da quella che sanno di avere. Certe volte li guardo, ci sono dei tipi differenti tra questi, con caratteristiche varie, ma uno di loro è il Neri, persona forte seria e scontrosa, tenuto di conto praticamente da tutti.
È lui quello che adesso mi serve, non ho dubbi in proposito, così esco nel corridoio, lo avvicino, gli chiedo se posso parlargli da solo. Lui si apparta leggermente dagli altri, ed io gli chiedo diretto se gli andrebbe qualche volta di fingere di essermi amico. Lui mi guarda con serietà corrucciando la fronte, quindi tira fuori una mano di tasca per spostare lo sguardo su quella. Vedi Francesco, mi fa, a me non piace mai fingere, non è nel mio stile, se è questo che chiedi; però non ho difficoltà a parlare con te, magari sapere davvero chi sei, che cos’hai nella testa, come mai te ne stai sempre da solo.
Lo guardo: va bene, gli dico, non so neppure io come mai sono finito in un ruolo che non sento più come mio, però ormai è così, anche se da un po’ di tempo tutto questo mi pesa. Tu hai la possibilità di tirarmi fuori da guai anche peggiori, visto che anche i nostri prof stanno iniziando a tenermi sott’occhio. Va bene, fa lui, da adesso sei mio amico, mi piace tirare fuori dai guai qualcuno che se lo merita. Mi dà il cinque ridendo di fronte a tutti, mi stringe alla vita considerando che lui è robusto ed io mingherlino: tutti gli altri ci guardano, forse sta davvero cambiando qualcosa.


Bruno Magnolfi