lunedì 27 maggio 2019

Rappresentazione onirica.


            

            Sono deluso, forse potrebbe essere del tutto inutile anche parlarne. Certe volte giro per strada senza una meta, ed incontro quasi sempre delle persone che probabilmente mi assomigliano, perché se non altro hanno le mie stesse caratteristiche, e magari alla vista del particolare modo che possiedo di camminare lungo questi marciapiedi, mi lanciano pure un saluto, perché sanno perfettamente chi sono, mi riconoscono, e sono anche del tutto consapevoli di quello che significa resistere in questo piccolo mondo costituito dal gruppo storico di famiglie che ha sempre abitato tutto questo quartiere. Che me ne frega, penso tra me, sono soltanto degli sciocchi, solo dei tizi che vogliono vedere nelle mie vesti un personaggio pieno di notorietà, uno che ha avuto la fortuna di essere stato prescelto tra tutti quelli che aspirano a farsi strada in questa semplice realtà senza stile, utile soltanto alle persone prive di scrupoli.  
            Sorrido, qualche volta, e mi chiedo se ci sia un briciolo di serietà nel mandare avanti le cose in questa maniera. Siamo noi penso, coloro a cui è demandato un compito che forse in altra sede parrebbe del tutto inconcepibile, ma rispetto al quale, fingendo grande superiorità, riusciamo facilmente a mostrarci assolutamente all’altezza, tanto da racimolare con pochi sforzi la fiducia di tutti, fino a spiegare delle volte che forse siamo nati assolutamente per questo, per assolvere un compito che ad altri non sarebbe mai risultato naturale. In questa porzione di città ci sono io, sembro spiegare giusto passando davanti ad ogni cittadino che vedo, a preoccuparmi soprattutto per voi, ad adempiere a tutti quei compiti che ad altri sicuramente risultano ostici.
            Però alla lunga tutte le cose mostrano di logorarsi. Sembra persino impossibile che si possa continuare in questa stessa maniera all’infinito, così prende la voglia di voltarsi da tutt’altra parte, almeno in qualche occasione, e disinteressarsi di quanto a chiunque forse pare ancora del tutto necessario. Il punto è che a me non importa un bel niente di come possono andare avanti le cose alle persone che continuano a tifare per me. Lo so, per loro sono un simbolo, il punto di arrivo di un processo a cui aspirano tutti, ma per quanto mi riguarda oramai è soltanto un percorso noioso a cui devo quasi obbligatoriamente dare seguito, anche se non ne avrei più alcuna voglia. Certo, ci sono stati momenti del passato in cui ho faticato molto per arrivare ad essere quello che sono; ma adesso non è che per darsi una spinta ulteriore si debba per forza tornare con la mente ai periodi più difficili di tutto il percorso. Adesso è così, e questo deve bastare.    
            Però non riesco a mandare ancora avanti le cose nella stessa maniera di sempre: sorrido per mostrare ancora piacere rispetto ai complimenti che mi vengono rivolti, e poi faccio finta di impegnarmi davvero sui casi che qualcuno mi viene a presentare per avere al più presto una positiva soluzione. Di fatto non mi interessa più nulla, sono fatti loro le complicazioni in cui tutti si vanno a cacciare ogni giorno: si respira una fase del mondo in cui è l’individuo ad essere al disopra di tutto, non posso certo essere io ad invertire questa tendenza. Il potere che sono riuscito poco per volta a cucirmi addosso ormai è mio, non c’è più alcun bisogno che metta ancora in discussione la mia persona per mostrare quanto questo sia vero. Quindi basta, non devo più farmi vedere da queste parti: qualcuno penserà che non sto bene, o che mi sto impegnando in qualcosa che sta al di sopra della fantasia più comune. Invece mi prenderò una lunga vacanza, e mi godrò appieno quello che mi sono meritato, lontano da qui, da qualche parte splendente, dove non ci sia chi voglia ancora guardare con interesse la mia espressione, per riconoscere nei miei lineamenti, semplicemente, colui che gli sempre apparso come il rappresentante di tanti tra tutti i suoi sogni.

            Bruno Magnolfi 

mercoledì 22 maggio 2019

Indietro fino là.



La giornata stamattina sembra fresca, ed il cielo appare solo parzialmente annuvolato, mentre guido la mia macchina verso la piscina sportiva dove mi reco tre volte alla settimana prima di andare al lavoro. È presto, nel bagagliaio ho inserito la sacca con dentro l'accappatoio e le altre cose che mi servono, e con calma percorro le strade che portano al quartiere cittadino dello sport. Forse non avrei neppure troppa voglia di togliermi i vestiti ed infilarmi nell'acqua trasparente al sapore di cloro, però è un impegno che ho preso con me stesso e devo rispettarlo.
Davanti all’ingresso dell’edificio allungato ho un ripensamento: spengo il motore dell’auto e resto immobile a guardare cosa avviene attorno a me. Giungono in pochi minuti altre due macchine, e gli autisti appena parcheggiato scendono in fretta con le loro sacche per andare ad infilarsi subito negli spogliatoi. Forse c’è qualcosa che stride in tutto questo, rifletto. Attendo ancora, la giornata si fa leggermente più luminosa, e nei giardinetti qui accanto qualche merlo becca in terra in mezzo all’erba. Forse potrei farmi una passeggiata, invece di spogliarmi ed entrare nell'acqua, anche se non cambierebbe molto il risultato.
Perciò esco dall'auto, aspetto con calma la prima persona che passa da queste parti e poi le chiedo se le andrebbe di farmi compagnia. È una signora con il suo cagnolino, e dapprima mi guarda in maniera storta, poi però mi dice che posso stare con lei mentre accudisce e porta in giro il suo cane. Mi spiega che ogni mattina loro due fanno più o meno il solito giretto, perché il suo cane è un abitudinario, così lei ormai conosce praticamente tutti gli alberi della zona. Annuisco, poi dico che mi pare triste fare sempre le medesime cose: “anche io difatti dovevo andare in piscina”, le spiego meglio, “ma all'improvviso mi sono sentito soltanto uno sciocco”.
La signora ed il suo cane ascoltano in silenzio le mie considerazioni, e poco dopo mi salutano per attraversare la strada, ed io resto da solo mentre adesso si avvicina inesorabilmente l’ora in cui devo recarmi sul posto di lavoro. Vorrei proprio trovare qualcosa che mi impedisse di andarci, e non perché ci stia poi tanto male, quanto per l’improvviso bisogno che provo di riflettere meglio e pacatamente su questa faccenda delle abitudini che adesso mi opprimono. Mi siedo sopra una panchina, e poco dopo arriva un tizio che apparentemente non ha molto da fare, se non tirare fuori con calma il suo giornale e mettersi a leggerlo proprio accanto a me. Non gli dico niente, mi basta seguire i suoi gesti ed interpretare l’attenzione che impiega nel seguire gli articoli. Quindi mi alzo e torno lentamente verso la mia macchina.
Quindi telefono al mio capufficio, gli spiego che non mi sento molto bene, e che perciò non posso proprio raggiungerlo in questo momento. Salgo di nuovo sulla mia macchina, potrei tornare a casa penso, ma forse quest’aria di libertà che sto provando terminerebbe troppo in fretta. Perciò metto in moto ed esco dal parcheggio, percorro il viale accanto allo stadio e poco lontano dai campi da tennis, quindi imbocco la strada verso la periferia ed alla fine mi ritrovo velocemente fuori dal caseggiato: ecco, forse qua da qualche parte ci può essere qualcosa che fa per me penso; probabilmente devo soltanto raggiungere il paese più vicino, visitarlo, concentrarmi sui dettagli delle viuzze e delle case più vecchie. Poi a quel punto forse mi sentirò più pronto per tornare davvero sui miei passi.


Bruno Magnolfi  



domenica 19 maggio 2019

Esigue minoranze.




Oggi non posso uscire di casa, sarebbe proprio un vero suicidio, mi prenderebbero subito per rinchiudermi chissà in quale galera: ci sono i militari dappertutto con le camionette e gli autoblindo carichi di munizioni lungo le strade cittadine, e sono tutti pronti anche a sparare a mitraglia su chiunque come me si faccia minimamente vedere in giro. Però attendo che si faccia notte fonda, quando le ronde saranno molto più allentate, ed allora col favore del buio e con le scarpe dalla suola di gomma, farò una corsa disperata fino all'abitazione della mia Rosina. Signorina, le hanno intimato l'ultima volta che si è fatta vedere in giro; lei deve stare a casa sua, occuparsi della sua famiglia, abbassare lo sguardo davanti a suo padre quando le spiega come sarà il futuro, e dare retta ai suoi insegnamenti, perché lui probabilmente è un uomo saggio, non ci ha mai dato problemi, e forse sa bene come si evolveranno le cose prossimamente.
Ed invece suo padre ha fatto una dichiarazione pubblica, ad una radio locale, in cui ha sostenuto che le cose da ora in avanti dovranno per forza cambiare, e che non è più possibile restare immobili davanti a qualcosa che ci porta soltanto indietro nel tempo. Così gli hanno dato subito gli arresti domiciliari, e tutta la sua famiglia si è trovata a vivere una specie di incubo, in cui sembra impossibile anche poter ritrovare i semplici valori di un tempo. Naturalmente anche io sono stato messo sotto controllo, ed è per questo che le uniche cose che posso fare in questo periodo sono quelle di recarmi al lavoro e poi fermarmi nel negozio accanto a casa per acquistare dei generi alimentari. I militari controllano che io esegua questi ordini, e non intendono essere tolleranti se soltanto provo ad omettere quanto mi è stato intimato.
Rosina è una persona positiva, e nonostante i nostri telefoni siano naturalmente sotto controllo, è riuscita a farmi avere un piccolo biglietto di carta portatomi di nascosto da un conoscente con una scusa. Così le ho potuto comunicare, affidando allo stesso conoscente una risposta scritta, che andrò da lei stanotte, a qualunque costo, e che probabilmente insieme dovremo prendere il volo, racimolare le cose essenziali che ci possono servire, ed allontanarci alla svelta da questo paese. Fuori dal centro abitato abbiamo ambedue la possibilità di farci aiutare, e poi i militari non pattugliano le strade minori, almeno così mi hanno detto, e quindi potremo facilmente raggiungere una casa di campagna disabitata della quale possiedo le chiavi, ed intraprendere da lì una sorta di resistenza a quanto ci sta succedendo.  
Mi sembra impossibile si possa essere arrivati così in fretta fino ad un punto del genere, e soprattutto trovo incredibile che nessuno sostanzialmente se ne interessi. Tutte le persone che conosco sembra abbiano abbassato la testa mentre fingono di non sapere niente di niente: ognuno pare preoccuparsi soltanto di sé, delle strette cose personali, e se fino adesso a nessuno di loro sono state imposte delle restrizioni, probabilmente immaginano che a chi al contrario è già capitato, se le sia come andate a cercare. Per cui non è possibile aspirare alla solidarietà o anche ad un semplice aiuto, se non proprio da chi almeno in parte riesce a mettersi nei panni di chi soffre per la propria libertà. Ed alla fine sono comunque una stretta minoranza, quelli che più di tutti forse meriterebbero un elogio.

Bruno Magnolfi

giovedì 16 maggio 2019

Prova di resistenza.


          

            Non sono del tutto disperato, anche se qualche volta mi sento davvero giù di corda. Il fatto di dormire in un palazzo occupato dove ci sono quasi soltanto degli immigrati di colore, non significa affatto che io abbia perso completamente la fiducia nella mia capacità di rimettermi in piedi e ricominciare tutto daccapo. Mi sono andate male diverse cose negli ultimi anni, ma questo in fondo non significa un bel niente. Un vero lavoro credo non me lo darà mai nessuno alla mia età e presentandomi così malridotto. Però riesco sempre a rimediare qualche spicciolo dando una mano alle persone che mi conoscono per portare avanti qualche piccolo trasloco, mettere in giro nelle cassette della posta o sotto ai tergicristallo delle macchine ferme qualche pieghevole della pubblicità, o anche portare a domicilio la spesa di qualche vecchietta per un piccolo supermercato di questo quartiere. Sono cose semplici e pure legali, che non prevedono per me dei grandi rischi.
Quando torno ad infilarmi tra le mie coperte nella stanza dove ho sistemato tutte le mie cose, ritrovo per un attimo la persona che sono sempre stata fin da quando ero un ragazzo. È una sensazione bellissima ripensare per qualche attimo a tutte le possibilità che sono riuscito ad avere durante questo lungo lasso di tempo: ciò che ho conosciuto, quello che ho fatto, le cose che ho scansato, le persone che mi hanno voluto un po’ di bene, quelle a cui in un modo o nell’altro sono stato più vicino. È un percorso completo, ed in fondo soltanto io potrei averlo davvero intrapreso, con tutte le mie colpe ed anche i miei difetti. Dura poco il momento di queste riflessioni, poi cado subito nel sono profondo di chi trascina dentro di sé una stanchezza che dura ormai da mesi, se non di più. Quando torno a svegliarmi non vorrei per niente al mondo riaprire veramente gli occhi: però ci sono ancora i miei pensieri, l’elaborazione continua di tutti i miei ricordi, la voglia profonda di essere ancora una persona, non un rottame della vita come sono per davvero.
Giro per la città, saluto chi mi saluta, chiedo sempre una mano a coloro che incontro, ma non a tutti, soltanto a quelli che non mostrano la faccia da avversario, che non hanno l’espressione di disgusto per uno come me. Li riconosci subito quando li vedi: sono persone che forse vorrebbero avere intorno soltanto individui del tutto identici a loro, nati nello stesso luogo, con i medesimi pensieri, vestiti più o meno in modo simile, la solita corporatura, gli stessi discorsi da portare avanti. Non importa, penso con tolleranza; in fondo ognuno è libero di sentirsi come vuole, non può certo essere uno come me a rimarcare delle differenze: tutte le persone hanno una storia, ognuna di loro ha qualcosa da insegnare. Ci si aiuta tra di noi, quelli che vivono ai margini di questa civiltà.
Ognuno è libero di intraprendere la strada che più preferisce, alcuni si vanno ad infilare nel mondo della droga, altri progettano rapine con in mano coltelli da cucina o taglierini per incutere paura. A me non interessa, mi pare a volte di vivere soltanto per quei cinque minuti quando sono da solo, prima di dormire; e tutto quanto ciò che sono, e sono stato, improvvisamente mi viene incontro, e mi dice ogni volta qualcosa di nuovo, di diverso, e che forse tutto quanto anche per me potrà essere migliore, magari già domani. Per il resto accetto quello che mi è dato, e quando vado a mangiare alla mensa dei poveri, ringrazio sempre chi mi serve, perché so che quella è ancora una possibilità che mi viene data, un tentativo per mandare le cose avanti, affinché tutti i miei sforzi per arrivare fino qui non risultino mai del tutto vani. E poi perché alla fine ci sarà magari pure un senso alla sofferenza estrema che mi ha messo così alla prova per tutto questo tempo. 

Bruno Magnolfi

lunedì 13 maggio 2019

Rivoluzione interna.


         

            Ci sono spesso delle persone che si muovono proprio in mezzo alle cose che penso, come se loro, che perlopiù sono individui che neppure conosco, la sapessero molto più lunga di me e di tutte le mie riflessioni, tanto da giocare a mettersi ogni volta di traverso, e continuare con tranquillità a prendermi in giro. Me ne vado gironzolando con le mani in tasca, ed intanto mi ritrovo a fare i conti con questa gente che continua imperterrita ad accompagnarmi, come se nessuno di loro avesse proprio altro da fare che stare a materializzarsi dentro la mia mente, e poi farsi portare a spasso da me con completa indifferenza. Mi fermo, osservo una scritta sopra un muro accanto al marciapiede, poi riprendo la passeggiata, e tutti quanti ancora insieme a me, come se la mia testa fosse la migliore carrozza per andare in giro. Forse c’è troppa solitudine dentro ai miei vestiti, medito in silenzio, ma loro ridono di un pensiero come questo, perché sanno che non è del tutto vero: sono qui apposta per tenermi compagnia, dicono, per stare con me, in qualsiasi luogo decida di recarmi.
            Entro allora in un locale dove c’è della gente che sorseggia caffè liquore e aperitivi, così mi piazzo da una parte mentre sento nelle orecchie una grande confusione di persone che scalpitano per parlare e dire qualcosa a tutti gli altri. Mi faccio servire un bicchierino mentre mi metto comodo ad un tavolino libero, poi ascolto le conversazioni delle persone che mi sono accanto. Sono i soliti argomenti, quelli comuni a tutti, ed a me pare che non avvenga niente di importante, così mi astraggo leggermente e mi godo con calma il leggero riposo del viaggiatore. Ma loro no: dicono irritati da dentro la mia testa che devo obbligatoriamente trovare qualcuno con cui fare della conversazione, perché non si può stare in un luogo del genere senza mettersi in mezzo come tutti e scambiare con tranquillità almeno quattro chiacchiere di circostanza. Così dico a voce alta che la serata è bella, riferendomi soprattutto ad un signore che sta seduto vicino a me. Quello annuisce, poi chiede se io venga spesso in questo caffè. Sorrido, dico che è la prima volta, e lui continua ad annuire, come se già sapesse qualcosa in più sull’argomento.
Poi affermo che a me generalmente non serve neppure stare troppo in compagnia, anzi trovo che la conversazione abituale tra le persone sia soltanto una perdita di tempo, un modo sciocco per non decidersi a provare il nobile sentimento della solitudine. "Forse", fa lui, "in ogni caso molti fatti probabilmente non si verrebbero mai a sapere se non ci si comportasse in questo modo". "Ha ragione", dico io, "e per questo probabilmente è meglio non saperle molte di quelle cose, se sono soltanto informazioni dozzinali e comuni a tutti quanti". "È un punto di vista interessante", fa questo signore, "non avrei mai immaginato fosse negativo avere delle conoscenze interpersonali". "E invece si", fo io, "perché si perde tutto di se stessi cercando di assomigliare a tutti gli altri". Poi butto giù l'ultimo sorso del mio bicchierino, saluto il mio interlocutore, pago al cameriere ed esco, mentre dentro la mia testa tutti quanti scalpitano quasi come ci fosse una rivoluzione.
Riprendo a camminare mentre inevitabilmente sento arrivare nella mia mente mille domande a cui non so neanche rispondere. Tutti i personaggi che albergano notoriamente nella mia testa adesso si sono alzati in piedi, e cercano di far valere ognuno il proprio parere, visto che su questo argomento sicuramente ne sanno molto. Vorrei dormire penso, in modo da trovare una maggiore tranquillità, anche se so che non è il modo giusto di affrontare le questioni. Ripercorro a ritroso quasi senza sceglierlo il mio stesso cammino, e ripasso così davanti al muro di prima con la scritta che per me non vuole dire niente: non mi interessa, decido nuovamente mentre procedo in avanti; in fondo sono soltanto alcuni particolari di un probabile dialogo che a me non appartiene; e che forse si potrebbe addirittura cancellare con una semplice mano di vernice.

Bruno Magnolfi