giovedì 27 giugno 2019

Imprevedibile immagine.




Vorrei proprio partire, durante certi giorni. Alzarmi dal letto come sempre, prepararmi di tutto punto per andare in ufficio, presso il mio lavoro di impiegato della pubblica amministrazione; scendere le scale di casa, mettere in moto la mia vettura e compiere le solite strade di sempre per raggiungere il parcheggio riservato ai dipendenti del palazzo. Ma all'ultimo momento svoltare per una via laterale ed immediatamente scomparire, come non fossi mai transitato da lì. Prendere per una strada provinciale uscendo dal centro abitato della mia città ed andare a perdermi tra alcuni piccoli paesi senza caratteristiche. Sorrido quando mi lascio girare in testa questi pensieri, anche perché non ho la minima idea  su quale possa essere la loro prosecuzione. Però mi viene a mente che dovrei portare con me il mio gemello, che certamente non può fare a meno della mia presenza. Anzi, dovrei anche chiedere la sua opinione per una decisione importante del genere, e forse lasciare proprio che sia addirittura lui a pronunciare l’ultima parola su questo argomento.
Naturalmente lascio perdere in fretta ogni mia idea di fuga da questa giornaliera normalità, e così mi presento al lavoro come ogni mattina, inserisco la mia carta elettronica identificativa dentro al tornello, e da quel momento mi ritrovo nelle mani del mio datore di lavoro, o chi per lui, senza neanche possibilità di un appoggio da parte del mio gemello che mi attende a casa, lontano da questi uffici. Questa è forse la mancanza più forte durante tutte quelle ore in cui devo restare al lavoro, e mentre piego la testa sui soliti fogli che devo consultare, fortunatamente ho la coscienza che ad un certo punto tutto ciò finirà, ed io potrò tornare a confrontare i miei pensieri con lui, con questa presenza che mi sostiene, che conosce tutto di me, che sa indicarmi sempre quali siano le scelte migliori da fare.
Lo so che non esiste di fatto alcun gemello, ma per me lui è semplicemente condensato in un piccolo vecchio specchio racchiuso dentro una cornice preziosa, un oggetto che posso tenere anche con me qualche volta, fino a portarlo infilato dentro una tasca oppure in una borsa, anche se cerco di evitare una cosa del genere per la paura che accidentalmente possa rompersi. Basterebbe inciampare mentre cammino, oppure la spinta involontaria di qualcuno sul marciapiede, forse anche sbattere contro un palo segnaletico o uno spigolo di muro, e quello potrebbe andarsene in mille pezzi. Meglio evitare, mi dico. Così lascio che mi attenda dentro casa, appoggiato su un mobile, oppure sistemato al sicuro dentro un cassetto. Comunque è il mio gemello, il mio riferimento più forte, capace di aiutarmi ogni volta che ne avverto la necessità.
Proprio per questo la mia voglia di andarmene via viene costantemente frenata: non potrei mai abbandonarlo, e di portarlo con me non se ne parla nemmeno. Lui ha le proprie abitudini, i suoi orari, le sue preferenze anche per quanto riguarda le cose da specchiare. Mi attende nel mio appartamento ogni giorno, ed io so che lo trovo completamente vuoto di immagini al mio ritorno, perché è soltanto in me che vede ciò che desidera; siamo legati, inutile anche dirlo, talmente in simbiosi che quando mi parla riesce sempre a dirmi con esattezza ciò che desidero veramente ascoltare, come se già avesse preparato ogni risposta ad ogni argomento, modulando con precisione i miei pensieri spesso confusi. Non possiamo far altro che questo perciò, anche se io, nei confronti del mio gemello specchiato, sono forse più imprevedibile.

Bruno Magnolfi

martedì 25 giugno 2019

Amministrazione casalinga.



Ho chiesto al mio capo di uscire un po’ prima oggi dal lavoro. Non perché abbia qualcosa di urgente o importante da fare, ma per provare quel senso di libertà che a volte mi manca. Potrò ritrovarmi da solo nel parcheggio davanti al palazzo degli uffici, mettere in moto con calma la mia vettura, uscire dal perimetro destinato agli impiegati della pubblica amministrazione, senza neppure dover salutare gli altri mentre salgono sulle loro macchine, ed andarmene lasciando i miei colleghi ancora curvi sulle proprie scrivanie. Non è una fuga quella che cerco, soltanto un allontanarmi con indifferenza da questa massificazione che ci vede tutti come individui identici.
Posso farmi un giro senza fretta, fermarmi in un locale per lasciarmi servire un aperitivo stuzzicante; potrei anche andare a comperare qualcosa in qualcuno dei miei negozi preferiti, e per esempio scegliere degli alimenti per cucinare stasera, del pane fresco, una bottiglia di vino buono, come se avessi davvero qualcosa da festeggiare. Rientrare a casa però resta sempre il mio momento preferito, l’attimo preciso in cui le chiavi girano facendo degli scatti nella serratura, e la porta del mio appartamento che si apre come uno scrigno davanti ai miei occhi.
C’è il mio gemello che mi aspetta da qualche parte in mezzo ai mobili: a lui piace nascondersi al fondo di una stanza o di quell’altra, e poi lascia che io lo cerchi, che ne avverta la presenza, fino a quando, ormai scoperto, lui mi osserva in silenzio con la sua espressione solita, così rassicurante e preziosa. Non gli dico niente, naturalmente, però lui sa benissimo che non saprei mai stare da solo, ed affrontare ogni giornata come invece devo fare, per poi magari pensare che non c'è un riferimento preciso per me, qualcuno a cui rivolgermi, un’indicazione per le mie piccole idee che mostrano sempre la necessità di una valutazione attenta.
Poi me ne disinteresso di lui, proseguo ad occuparmi delle mie cose, sedermi a leggere un libro, ascoltare un programma radio, riordinare i piccoli oggetti che spesso lascio in giro quando al mattino vado di fretta per staccarmi dalle mura della mia casa ed andare ad infilarmi nel solito ufficio, dove non c’è neppure molto di cui occuparsi, e tutti si raccontano tra loro qualche cosa di personale, ed io mi sento però più solo di tutti, tanto che non vedo l’ora di tornarmene in mezzo alle mie cose. Lui se ne sta da qualche parte senza dare fastidio, spesso mi dimentico perfino della sua presenza, anche se è proprio quando torna prepotente il mio desiderio di confronto con qualcuno, che lui di nuovo salta fuori, pronto a concedermi la sua opinione su tutto ciò che serve.
Perché è esattamente questo che mi manca qualche volta, un’opinione obiettiva che indichi quali siano i miei possibili sbagli, la mia incapacità di trovare da solo delle soluzioni accettabili. Certe volte sottovoce, lungo il corridoio dove tutti gli impiegati del mio piano si ritrovano per prendere il caffè, ho tentato di dire che non abito proprio da solo, che c’è il mio gemello in casa con me, ma tutti hanno preso sempre questa affermazione come una banale battuta spiritosa, e nessuno mi ha mai chiesto altro a riguardo. Perciò non parlo più di questo argomento con nessuno, perché è bene che le mie cose siano sempre confinate dentro di me, senza bisogno di cercare di spiegarle a degli estranei. Anche il mio gemello è d’accordo su questo, ed anche se non me lo dice in modo diretto, io ne sono ormai più che sicuro.


Bruno Magnolfi 



lunedì 24 giugno 2019

Doppio.




Mi sveglio di soprassalto, certe notti, e poi mi alzo dal letto in preda ad una notevole agitazione. Giro per casa, controllo che le cose siano tutte al loro posto, mentre sembra proprio che il mio sonno sia stato interrotto forse da un rumore insolito che ancora mi sembra di avvertire nelle orecchie, oppure da un richiamo lontano, come di una nave in rada, non saprei dire. Dietro un angolo del muro dentro al mio appartamento intravedo subito il mio gemello, ma non lo guardo in modo diretto, per non dargli l'impressione che la mia volontà sia quella di rimproverarlo di qualcosa. Mi verso piuttosto dell'acqua in un bicchiere, controllo sul tavolo ciò che ho preparato già per il giorno seguente, infine torno in camera e mi corico, cercando la posizione più comoda in mezzo alle lenzuola. Abitare da soli non è facile penso, ci sono dei momenti in cui il normale equilibrio viene meno. Poi mi riaddormento.
    Generalmente prima di andare a letto mi prendo una pastiglia di tranquillante, oppure mi bevo una tazza di camomilla, proprio per essere sicuro di non trascorrere delle ore senza riuscire a chiudere gli occhi, ma negli ultimi tempi pare proprio che questi accorgimenti non siano più del tutto sufficienti. Provo la sensazione che qualcosa manchi intorno a me, che abbia dimenticato qualche cosa durante la giornata appena trascorsa; per questo vado volentieri ad incrociare lo sguardo del mio gemello, perché già semplicemente questo gesto spesso assume il senso di una rassicurazione, ed è allora che il mio agitarsi pare si stempri, anche se non per molto.
In fondo il riposo è estremamente importante per una persona, è per questo che al mattino ci si deve rialzare dal letto con la sensazione di essere assolutamente a posto, rinfrancati nel corpo e nello spirito, in maniera da poter dare il meglio di noi stessi durante la giornata che ci attende. Con la mente però, mentre me ne sto tranquillo sotto alle coperte, seguo i percorsi che potrebbe affrontare il mio gemello mentre non mi interesso affatto di lui, e sono tentato di andare a vedere che cosa effettivamente stia facendo in questo attimo preciso. Cerco come sempre di allontanare la mia mente da queste riflessioni, ma poi è sufficiente un lieve rumore, uno scricchiolio da qualche parte, il frusciare di una tenda, una bolla d’aria dentro un tubo idraulico, ed allora so che anche lui sta per avvicinarsi, perché non riesce ad essere del tutto autonomo da me, e quindi mi cerca, vuole sapere cosa stia facendo.
Certe volte lo rimprovero, mi rivolgo a lui direttamente e con voce decisa gli spiego come non sia il caso di infastidirmi perennemente con la sua presenza, come invece fa. Ci sono tanti luoghi verso dove dirigersi, potrebbe magari farsi un giro e lasciarmi in pace almeno per un po' di tempo, ma subito dopo mi dispiaccio delle mie parole, e così torno a cercarlo, perché in fondo non so stare affatto senza di lui, ed anche se ho quasi dispiacere a dirlo, ho bisogno della sua presenza. Poi torno a dormire, ed immagino che lui sia ancora lì, in un angolo della mia stanza, ad osservare il momento esatto quando il mio sonno avrà il sopravvento sulla stanchezza che mi porto dentro. Domani mi riconcilierò del tutto con il mio gemello penso, perché se devo essere sincero fino in fondo, ho bisogno davvero di lui, è inutile negarlo.

Bruno Magnolfi

lunedì 17 giugno 2019

Soltanto ignorati.


          

            Sono sfinito, continuo a camminare per la strada affidandomi soltanto all’inerzia delle mie gambe, che proseguono ad appoggiare i piedi a terra uno dietro quell’altro, oramai senza neppure minimamente sapere verso quale luogo mi stia recando. Ho cercato un nuovo mestiere, appena sono stato licenziato dall’ultimo lavoro che svolgevo: il titolare della ditta ha detto con un sorriso che mi avrebbe richiamato forse tra due o tre settimane, ma poi non si è più fatto sentire. Chiunque ha il diritto di lavorare, svolgere un ruolo, sentirsi capace di impegnarsi ed essere utile agli altri, guadagnando qualcosa che possa permettergli un’esistenza dignitosa. Così sono tornato da lui, ma mi ha detto subito che stava chiudendo, non aveva più bisogno di me, e neppure di nessun altro.
            Allora ho iniziato a camminare, chiedendo ogni tanto a qualcuno lungo la strada se per caso avesse avuto bisogno di una persona ancora valida a tutti gli effetti per svolgere un qualsiasi ruolo lavorativo. Qualcuno, probabilmente in relazione alla mia età avanzata, mi ha guardato in malo modo, altri non mi hanno neppure risposto, due o tre mi hanno consigliato di presentarmi all’assistenza sociale. Ho pensato che in condizioni del genere in altri tempi sono sempre stato aiutato da un pizzico di fortuna, così non ho certo ceduto al pessimismo, e come sempre ho fatto sono rimasto assolutamente fiducioso nell’immediato futuro.
            Invece non è accaduto un bel niente di buono, ed adesso ho proprio deciso di sentirmi male, come mia ultima possibilità rimasta: voglio proseguire a camminare in avanti fino agli sforzi più estremi, fino a quando riesco a farlo, fino a lasciarmi cadere per terra senza più alcuna energia, e poi restare lì come un corpo privo di spinta vitale, senza più sensi, come un morto, fino a farmi trasportare esamine nell'ospedale più vicino, dove un qualche dottore simpatico e altruista, nei prossimi giorni, potrebbe prendersi cura di me e forse anche dei miei grattacapi, sistemandomi lui in qualche maniera. Sono convinto che tutto questo possa senz’altro accadere, anche perché non mi sono rimaste molte altre speranze. Quando ero più giovane non mi sono certo preoccupato di cercare un’occupazione stabile; lavoravo un po’ di qua e un po’ di là, perlopiù irregolarmente, un po' presso questo e un po' presso quell’altro, soprattutto perché le formichine che vedevo intorno a me pensavano soltanto al loro futuro, senza vivere appieno questo presente, ed io le detestavo, ed immaginavo continuamente non avessero proprio nient’altro di cui preoccuparsi.
            Invece gli anni ad un tratto sembrano mordere, e le persone che ti possono ancora dare un lavoro o farti guadagnare qualche spicciolo, ad un certo punto ti voltano le spalle, perché tu non fai più parte di coloro che sono utili a qualcosa. Tutto crolla d’improvviso, e tu che ti sei dato da fare in lungo ed in largo mettendo insieme le capacità più diverse, maturando tanta sensibilità ed esperienza, all'istante sei fuori dai giochi, non servi più a nulla, e non importa a nessuno tutto ciò che hai potuto fare e mettere in mostra in precedenza: non sei stato sufficientemente furbo, questo è quanto ti rimproverano tutti a quel punto, e di colpo la tua esistenza non vale più quasi niente. Così cammino, senza preoccuparmi di altro, e forse qualcuno mi guarda con curiosità, altri magari chiedono intorno chi sia mai quel matto che sembra non stancarsi mai, come avesse un traguardo, una meta precisa. Interviene un giornalista forse, chiede in giro qualcosa di tutta la mia storia, propenso a mettere insieme un gran bell'articolo. Magari si pubblicherà, e poi diranno che sono un personaggio, che si deve imparare da me. Così va il mondo, perché si può diventare anche famosi per essere stati completamente ignorati per tutta la vita.

            Bruno Magnolfi

mercoledì 12 giugno 2019

Fregature inaspettate




Niente potrà migliorare penso, se non la mia percezione della realtà, il mio considerare tutte le cose in maniera più positiva di quello che sono. Per questo cerco spesso di allontanarmi da chiunque, semplicemente per non coinvolgere altri nel mio scadimento. Al bar mi chiamano il poeta, perché credono che dentro di me percepisca la realtà sotto forma di versi, di parole insolite, di circonvoluzioni letterarie. Forse è anche così, ma soprattutto quando loro mi definiscono in questo modo, sanno quanto sia soprattutto la solitudine il mio perenne stato mentale. Non tanto perché mi comporto in maniera di non frequentare gli altri, quanto perché cerco in ogni momento di valutare tutto in una maniera soltanto mia.
Non arriverà niente di buono penso, da tutto questo falso tentativo di dare importanza alle persone. Fino a quando tutti si assomiglieranno non ci potrà essere alcun cambio, nessun salto di qualità. Si pensano le medesime cose, spesso le più elementari, e poi ci meravigliamo se non giungono i risultati che avremmo voluto. Non sono migliore di altri, tutt’altro, soltanto mi tengo a distanza dalle riflessioni comuni, dai pensieri di tutti, dai ragionamenti che portano ad essere invariabilmente d’accordo con coloro che parlano di più.
Così vado al bar e mi metto da una parte. Se proprio devo scegliere, preferisco sentirmi isolato, pur in mezzo a molti altri individui. Mi siedo, bevo una birra, mi guardo attorno. Non c’è alcuna necessità penso, di fingere una socializzazione senza presupposti, di mostrare sentimenti di amicizia  talmente superficiali da apparire impalpabili. Li osservo, i presenti dentro al locale, mentre continuano a ridere quasi di tutto, e certe volte anche di me: fanno così per mostrarsi il più possibile distanti penso, per etichettarmi come diverso, per evidenziare che non c’è alcuna ragione per prendere davvero sul serio quello che mostro di me.
Poi arriva uno nel bar che neppure conosco, e mi chiede di colpo se io sia davvero il poeta. Annuisco, non ho bisogno di mettermi in mostra nel bene o nel male, però non dico mai delle cose che non siano veritiere. Dice che secondo lui sono un gran personaggio, un tipo che potrebbe fare scuola, e lui è venuto fin qui per farmi una specie di intervista. Vorrei rispondergli che sta perdendo il suo tempo, non sono affatto il tipo che lui crede, ho ben poco da offrire a chiunque altro, ma mi limito ad alzare le spalle e sorseggiare la birra.
Quello insiste, sostiene che ci potrebbe essere un seguito per me da tutto questo, potrei diventare famoso, essere additato come un caso raro, uno che riesce a starsene fuori dai giochi, che ancora è capace di pensare le cose con la propria testa, senza seguire le reti sociali o le televisioni che indottrinano continuamente masse complete di persone ignare di tutto. Io non rispondo un bel niente, e forse questo tizio crede che stia in qualche modo cedendo alle sue lusinghe, così insiste con questi argomenti, fino al punto in cui mostrando indifferenza mi alzo dal tavolo, gli stringo la mano con cordialità, per pura educazione, e poi me ne vado, spiegandogli soltanto che tutto ciò che ha inteso dirmi non mi interessa.
Però tutti i presenti, ed anche coloro che mi incontrano adesso per strada, sembra proprio che vedano in me un’altra persona, un tipo importante, uno che aveva sempre detto delle cose da seguire con estrema attenzione. Sono fregato penso; o forse no.

Bruno Magnolfi

lunedì 3 giugno 2019

Piccoli disastri quotidiani.


   

            Purtroppo sono solo. Mi guardo attorno lentamente, mentre ancora mi trattengo lungo la strada, davanti a questo palazzo, dove abito in due stanze d’affitto senza grandi pretese. Mi fermo davanti al vecchio portone, e con la chiave in mano cerco qualcosa intorno a me, da qualche parte, qualsiasi cosa che mi permetta di restare per qualche minuto ancora qui, su questo marciapiede, dove ogni tanto transita qualche persona senza fretta, certe volte anche qualcuno che conosco, e che forse ha voglia di intrattenersi insieme ad uno come me, a parlare magari semplicemente del tempo, o del più e del meno, o anche di qualsiasi altra sciocchezza riesca in questo momento a passargli per la testa. Ma stasera sembra proprio non ci sia nessuno, neanche uno tra coloro che forse potrebbero, perché sembra quasi che tutti quanti abbiano deciso da qualche tempo di evitarmi, proprio come forse si fa con un qualsiasi noioso solitario, giudicandolo anche leggermente effeminato, come dicono molti in questo condominio, uno che si attacca facilmente agli altri pur di non sentire il morso della propria differenza solitaria.
Così prendo coraggio ed apro il portone, preparandomi ad una serata vuota, priva di interessi, da combattere a cavallo tra le mie abitudini e le pareti indifferenti del mio piccolo appartamento, e mentre sto per affrontare le scale in modo quasi svogliato, qualcuno all'improvviso mi chiama dalle spalle, quasi per tentare nei miei confronti un piccolo e prezioso salvataggio. Mi volto, ma davanti a me c'è soltanto una donna che conosco, una vicina sempre indaffarata che adesso sembra anche arrabbiata per qualche motivo che non mi è del tutto chiaro. “Non c’è più rispetto per nulla”, dice lei in fretta venendomi quasi incontro; “ho perduto il portamonete durante il pomeriggio, non più di una mezz’ora fa, e forse mi è caduto quando ho dato un soldo ad un ragazzo di colore che vendeva fazzoletti, e magari è soltanto colpa mia che l’ho mal riposto dentro la mia borsa, non saprei dire; oppure mi è stato sgraffignato con destrezza, magari mentre me ne stavo al mercato, a comperare la verdura. Se mi è caduto, qualcuno però poteva corrermi dietro e riconsegnarmelo magari, in fondo all’interno ci stavano soltanto pochi spiccioli”.
Non so che dire, non vorrei proprio che questa donna prendesse una delle solite sfuriate che fanno tutti contro gli stranieri che secondo loro vengono qua a rubare chissà cosa, così mi offro immediatamente di accompagnarla per andare insieme a lei a cercare traccia del suo borsello lungo il percorso che ha compiuto poco prima. “Si, va bene”, dice subito la donna; “la ringrazio tanto, perché per quanto mi riguarda ho già perso ormai tutte le speranze di rivederlo, nonostante fosse un oggetto a cui ero legata”. Così torniamo sulla strada, lei si affanna a spiegarmi cosa abbia fatto, chi abbia incontrato, che cosa sia successo mentre camminava da una parte all’altra del nostro quartiere.
Infine, mentre camminiamo, ritroviamo quel ragazzo di colore di cui la donna parlava poco prima, ancora con i fazzoletti, ed anche il suo borsello in mano, perché ci spiega subito con parole un po’ stentate di averlo trovato a terra già da un pezzo, ma di non sapere come rintracciarne la legittima proprietaria. "Grazie, grazie", dice la donna che adesso si sente quasi commossa per quel gesto, anche se controlla subito se per caso adesso mancasse del suo contenuto, ma regalando alla fine una moneta a quel ragazzo generoso. Torniamo in questo modo verso il nostro condominio: "lei porta fortuna", mi dice la donna. Mi sento strano in queste vesti insolite, però accetto volentieri il complimento, considerato che l'affermazione contraria cucita addosso ad uno come me, si dimostrerebbe un vero disastro. “Va bene, lo prendo come un complimento”, le rispondo; e forse è proprio così, in questo modo esatto come dice lei, ma probabilmente soltanto perché tutti quanti spesso sentiamo proprio la mancanza di un pizzico almeno di fortuna vera”.

Bruno Magnolfi