martedì 30 ottobre 2018

Domani, se vuoi.



Non mi interessa, ho ben altre cose sulle quali impegnare la mente, non sono questi gli argomenti a cui ho bisogno di tener dietro adesso. La motocicletta romba veloce sopra l’asfalto, le facciate delle case fuggono via ai lati di queste strade, quasi come se niente di tutto il centro abitato meritasse di stare un attimo in più davanti ai suoi occhi. Non mi riguarda neppure tutta questa cosa che improvvisamente sembra assumere tanta importanza, pensa Renato tra sé: lei è una ragazza come tante, forse una che non riesce neppure a valorizzare davvero chi le si para di fronte; una che probabilmente esce col primo che sa mettere assieme la battuta di spirito maggiormente efficace, senza preoccuparsi di altro. Mi pareva diversa, mi pareva capace di valutare meglio le situazioni, ma forse sbagliavo, a niente è servito cercarla, invitarla ad uscire da quella solitudine in cui pareva ancorata.
Ma tutto questo comunque non ha neppure troppa importanza in questo momento, quello che mi dispiace maggiormente è soltanto la figura che mi ha fatto fare davanti ai miei amici, anche se loro a quest'ora avranno sicuramente già dimenticato ogni cosa. Però mi dispiace davvero, se ci penso ancora un momento. Vorrei avere la possibilità di recuperare la situazione, farmi spiegare proprio da Clara il motivo per cui mi ha lasciato lì, con gli altri ragazzi, senza nemmeno provare a darmi una spiegazione qualsiasi. Non ho più voglia di passare davanti al negozio dove lavora, senz’altro non lo farò più a questo punto, però so dove abita, e aspettando pazientemente l’ora in cui termina il suo orario e se ne torna come ogni sera a casa sua, potrei andarle dietro, o addirittura aspettarla davanti alla sua abitazione.
Potrei farmi trovare proprio là davanti, da solo, con le mani dentro le tasche, e chiederle con semplicità se ha giusto un momento per parlare con me. Certo, potrebbe rispondermi, e forse aggiungere subito con gli occhi bassi che le è dispiaciuto parecchio essersi comportata in quella maniera con me, anche se è riuscita a rendersene conto soltanto più tardi. Non importa, potrei dirle io, avevo capito benissimo che è stato un gesto senza cattiveria, che non ti era passato neppure per la testa di volerti comportare in modo scostante con me. Certo, è più che evidente. Tutto parlandone si chiarisce con facilità, tra persone che si vogliono bene.
Poi penso che potrei passarci subito da casa sua, senza aspettare un attimo in più, fiondarmi lì con la mia motocicletta, e magari attendere sotto a un lampione che tutto si svolga in modo tranquillo, senza neppure un’ombra di risentimento. Basta un momento, tiro le marce lungo le curve e sono lì. Le luci a casa sua sono già tutte accese, forse Clara è arrivata, anche se non vedo la sua auto al parcheggio. Attendo un momento con la moto ancora che romba nel silenzio di quel piccolo gruppo di case, poi arrivano due fari dietro di me, si fermano, è lei, va tutto bene, mi dico, va tutto proprio come pensavo. Ciao, mi dice soltanto appena spento il motore; se attendi me purtroppo adesso non ho proprio tempo. Però ci possiamo vedere alle solite panchine, insieme ai ragazzi, davanti al bar Soldini; anche domani se vuoi.


Bruno Magnolfi   



giovedì 25 ottobre 2018

Percezioni perdute.




Sto bene, continuo a ripetermi. Non ho ulteriormente bisogno di intravedere la mia immagine riflessa nel vetro della finestra per sapere che sono qui, nel mio giardinetto davanti la casa, praticamente come ogni giorno. Cerco di lavorare, di trovarmi delle cose da fare, di occupare le mani per non lasciare alla testa troppo tempo per insistere a pensare. Eppure, nonostante la leggera preoccupazione che provo,  una parte di me continua a volersi sentire contenta, ad apprezzare in qualche modo quanto sta succedendo. È come se la perdita di controllo sulle cose che ho attorno, adesso non mi spaventasse più come faceva un tempo.
Marisa, sento chiamare con voce bassa e calma di là dalla staccionata con cui confina il giardino. Mi volto subito, alzo una mano per salutare, poi mi accosto pacatamente dalla parte dove sta sorridendo dolcemente il mio vicino. Mi chiedevo se ti andasse di prendere un caffè insieme a me, ma vedo che sei troppo impegnata, mi fa. Sono sciocchezze quelle di cui mi sto occupando, gli dico mentre tolgo i guanti da lavoro; anzi, una piccola pausa in questo momento è proprio ciò di cui sento maggiormente bisogno.
Mi piace il mio vicino, mi piace parlare con lui, scambiare i nostri differenti punti di vista, ascoltare le sue parole sempre rassicuranti, che spesso riescono a sminuire di colpo tutte le mie preoccupazioni. Persino quando poi resto in silenzio, una volta terminato di spiegargli qualcosa, o quando lui non ha più niente da dire o da aggiungere, e se ne sta lì soltanto a guardarmi, senza neppure cercare di rompere quella quiete che all’improvviso sembra più forte di qualsiasi altra cosa, non ho mai la sensazione di avere di fronte degli spazi vuoti che dobbiamo sforzarci di colmare al più presto. La sua presenza mi pare già un elemento che sussurra le cose che a me piace ascoltare, come se le parole fossero in qualche modo quasi superflue.
Dai allora, fa lui sorridendo, sto già aspettando il momento di mettermi seduto di fronte a te. Mi sciacquo le mani alla fontanella, mi asciugo al grembiule con naturalezza, mi tocco i capelli con un gesto femminile che fino ad adesso non ha mai fatto parte dei miei comportamenti usuali, poi esco dal cancello senza affrettarmi, per entrare nella sua proprietà. Speravo tanto mi venisse a chiamare come effettivamente lui ha fatto, quasi rispondendo ad un mio richiamo. Mi manca la sua persona quando non sono con lui, e se fino a pochissimo tempo fa mi sarebbe sembrato impossibile quello che mi sta succedendo, adesso poco per volta inizio come a lasciare che le cose vadano avanti per conto proprio.
Ho voglia di fare qualcosa con te, gli dico sincera mentre entro nella sua casa. Non montarti la testa, aggiungo subito, non è niente di strano; è soltanto che vorrei andare in giro con te, visitare qualcosa, sentire il tuo parere su tutto ciò che guardiamo. Anche se la nostra età non è più giovanile, in ogni caso sento forte la possibilità di aiutarci, di aspirare ad una nostra complicità, e ritrovare insieme quegli aspetti da cui siamo stati costantemente circondati in tutto questo tempo, ma che probabilmente da troppo abbiamo oscurato nelle nostre percezioni.

Bruno Magnolfi

sabato 20 ottobre 2018

Partecipazione.

       

            15 ottobre
            Sto trascorrendo oramai tutto il giorno dentro al negozio. La signora Martini resta soltanto un’ora per stare alla cassa o dire buongiorno ai clienti, ma per quello che fa potrebbe anche smettere del tutto di venire in merceria. Si affida a me, completamente. Ho iniziato a prendere appunti sulle richieste che mi esprimono le persone che entrano, le loro aspettative, i loro gusti, le scelte che fanno, e tra qualche tempo inizierò a tirare le somme di tutto quanto. Per quanto riguarda l’apprendista di cui avevamo parlato con la signora Martini, forse ci sarebbe un ragazzino di cui lei mi ha accennato stamani, e che conoscerò probabilmente nei prossimi giorni. 
            16 ottobre
            Mi sono portata a casa tutti i cataloghi degli articoli che sono riuscita a mettere insieme. Altri, scorrendo alcune riviste specializzate, li ho richiesti per posta, e non vedo l’ora di confrontare tutto quello che offre il mercato per rinnovare almeno una parte del nostro campionario. Devo studiare ogni cosa, mettermi ad analizzare i dati con calma, magari lo farò durante le domeniche prossime quando non devo andare al negozio, per cercare di tirare fuori il massimo possibile da quello che offre la produzione. Ho anche iniziato a pensare di modificare qualcosa nell’insegna esterna della merceria, ma ancora non ho delle idee buone. Appena chiuderemo per ferie, comunque, farò ridipingere gli infissi delle vetrine e cambierò la tappezzeria delle vetrine stesse. Anche all’interno credo che vadano rinnovati i camerini di prova e anche qualcosa degli scaffali. Dovrò comperare al più presto possibile dei nuovi manichini, ed anche il bancone avrebbe bisogno di qualcosa di nuovo. Forse è anche troppo, e probabilmente troppo di fretta, però non voglio che vada calando in qualche modo questo mio trascinante entusiasmo.
            17 ottobre
            Da quando abbiamo fissato con la signora Martini la data per la spartizione legale tra me e lei della piccola società del negozio, mia madre pare guardarmi con uno sguardo diverso. Forse questa crescita repentina di sua figlia le sta procurando un cambio di atteggiamento nei miei confronti. In ogni caso per ora niente di sostanziale è avvenuto. Continua a rivolgersi a me con il suo tono brusco, lasciando in aria per il resto dei profondi e lunghi silenzi.
18 ottobre
Stasera ho chiuso il negozio subito dopo l’uscita degli ultimi clienti. Mi sono fermata dai ragazzi delle panchine davanti al bar Soldini, e stavo quasi per andarmene quando è apparso un tipo che non conoscevo. Tommaso si chiama, ed ha detto alcune cose importanti nei riguardi della assemblea che si sarebbe tenuta più tardi nella sala interna del bar. Si parla di futuro, là dentro, e forse non è un argomento sbagliato in un momento come quello attuale. Proprio per questo ho deciso di partecipare anche io, così ho telefonato a mia madre, poi mi sono mangiata un panino da sola dentro allo stesso locale, e quindi mi sono seduta in mezzo alla sala sul retro. Tommaso, senza dare importanza alla cosa, è apparso d’improvviso nella sedia accanto alla mia, e questo mi ha procurato un grande piacere. Ha detto che era contento di trovarmi lì, e che gli sembrava che le nostre idee fossero affini. Forse si, ho detto io, in ogni caso mi sento sempre felice quando finalmente accade qualcosa in questo nostro borgo incantato.

Bruno Magnolfi

            

giovedì 18 ottobre 2018

Autolesionismo.




Sono stufo, dico a voce alta. Qui non c'è mai niente che cambi, ci si comporta perennemente nella stessa maniera di sempre, e si danno le colpe a qualcosa o qualcuno che non è neanche tra noi, qualcuno che da lontano pare ci possa manovrare e che ci vuole esattamente così come siamo. Non è in questo modo che riusciremo ad uscire da questo torpore, proseguo. La colpa è solo nostra se siamo così, ecco quello che penso. Poi spengo la registrazione, esco dalla mia piccola auto e mi dirigo a piedi verso la piazza dove si apre il bar Soldini. Sono pronto per intervenire alla riunione che si terrà questa sera sul tema: - prospettive per il futuro -, nella sala più interna di questo locale. In diversi si sono iscritti a parlare, ma anche io voglio dire la mia, e vorrei tanto riuscire a far comprendere ai presenti tutte le nostre responsabilità.
Seduti sulle panchine ci sono i soliti ragazzi che conosco, così mi avvicino camminando lentamente, come privo di precise intenzioni, e cerco di ascoltare quello che dicono tanto per comprendere meglio il clima che si respira. C’è una ragazza tra loro, quella che lavora al negozio di merceria, e questa forse è l’unica novità che riesco ad annotare. Tutti dicono che bisogna andarsene da questo paese, che qui non c’è niente, ma la ragazza, Clara si chiama, non è per niente d’accordo, anche se esprime sull’argomento giusto un paio di parole sottovoce e poi basta.
Ciao Tommaso, mi dice uno che conosco meglio di altri, mentre mi fermo a due o tre metri dal gruppo. Immagino tu sia qui per la riunione, mi fa. Certo, dico io, come anche voi, credo. Qualcuno ride, uno si alza dalla panchina come per andarsene proprio, tutti mi guardano con espressioni di scherno e di indifferenza. Non vogliono neppure entrare, dice la ragazza senza guardarmi, con il suo tono basso di voce. Eppure stasera si parlerà proprio di voi, di ciò che servirà nel futuro di questa cittadina per darsi almeno una prospettiva.
Sono perplesso, i ragazzi mostrano indifferenza, incredulità, rassegnazione, ma forse è soltanto una posa la loro, una maniera per non prendersi mai delle vere responsabilità, per sputare su tutto fingendo che tutto vada sempre nella stessa maniera, e che sia inutile impegnarsi per una variazione di direzione. Clara non è d’accordo, ma invece di dire con chiarezza le sue ragioni, assume un atteggiamento di tolleranza, come se l’opinione disfattista di alcuni, equivalesse a quella costruttiva di altri.
Lascio i ragazzi ed entro nella saletta del bar; alcuni hanno già preso posto, conosco due o tre persone, mi guardano, mi inviano un saluto. Non voglio candidarmi a sindaco o cercare un posto nella politica. Secondo me, anzi, la politica non c’entra proprio in questa serata: si tratta di noi, di mostrare che ancora possiamo contare, che non dobbiamo arrendersi ad un corso delle cose così disfattista. Possiamo avere ragione del clima così negativo che sembra regnare tra noi cittadini: ma basta con l’autolesionismo, non sarà mai questo a farci ancora sognare.

Bruno Magnolfi     

martedì 16 ottobre 2018

Basta volere.


       

            In certi giorni mi fermo ad osservare, naturalmente senza essere visto, la signora Marisa. Abito nella casa di fianco alla sua, e come tutti coloro che hanno l’abitazione qua attorno, ho un giardino da curare e dove trascorrere un po’ del mio tempo, specialmente quando la stagione è buona e si sta bene fuori ad occuparci delle piante e dei fiori. Lei, quando certe volte la incontro sul marciapiede che costeggia la strada, mi saluta come sempre ha fatto, anche quando era ancora in vita suo marito, senza mutare l’espressione del viso, soltanto marcando bene e in modo netto la parola che pronuncia per ossequiarmi. Non si è mai fermata con me a parlare di qualcosa, salvo i rari casi in cui se ne è presentata una effettiva necessità, neppure quando ci siamo ritrovati uno accanto all’altra presso la staccionata che divide i nostri rispettivi giardini.
            Inizialmente la temevo, credevo fosse una persona estremamente burbera, scostante, capace di montare su tutte le furie per delle semplici sciocchezze. In seguito mi sono reso conto anche osservando i suoi gesti, che non è assolutamente così, e che forse lei con i suoi modi forti cerca soltanto di tenere a bada o di nascondere una timidezza ed una paura mai superata verso tutti gli altri. Per questo mi piace, perché da quando mi sono reso conto del suo carattere effettivo, ho capito che è come siamo quasi tutti: una persona sola, arroccata in se stessa, con la fortuna di avere ancora una figlia grande che abita con lei, ma con la quale non sembra neppure andare molto d’accordo. 
            Così qualche volta mi fermo di nuovo a guardarla e contemporaneamente a cercare il coraggio, che per adesso non ho mai trovato, per dirle con naturalezza che vorrei essere un suo amico, piuttosto che un qualsiasi vicino di casa. Non ci sarebbe niente di male penso, nella mia richiesta. A me basterebbe che la signora Marisa venisse da me qualche volta a prendere un caffè, visitare i nostri rispettivi giardini, o durante qualche mattinata più grigia ritrovarsi per parlare delle nostre vite solitarie, e scambiarsi qualche sensazione, alleggerire in modo semplice i nostri rispettivi pesi da portare, con l’uso sempre efficace delle parole, che riescono talvolta anche ad alleviare il cuore di tutti.  Con lei mi piacerebbe girare qualche volta attraverso la nostra cittadina, farci vedere a passeggio, ed infilarci magari in un locale per passare un’ora ad un tavolino, bevendo qualcosa e mostrando a tutti l’aria rilassata di due vecchi conoscenti.
            Non ci vedrei niente di strano in tutto questo, in fondo è sempre possibile per persone come siamo noi, che hanno raggiunto ormai l’età per essere giudicati degli anziani, sentirsi un po’ solidali, uniti, ed affrontare le amarezze quotidiane con il massimo possibile di leggerezza, o almeno senza la gravità costante della solitudine. Così la guardo, e a volte quando al mattino mi sveglio mi sembra di aver sognato di lei,  di averla avuta qui, insieme a me, e già soltanto questo mi fa sentire meglio, più rilassato. Forse succede anche a lei la medesima cosa, io non lo so, però so per certo che devo farmi avanti uno di questi giorni, e dirle qualcosa di diverso dal solito saluto generico che adoperiamo da sempre tra noi due. In fondo basterebbe trovare la parola giusta, quella che facilmente sa aprire le porte delle persone, ed in questo modo spiegarle magari con un semplice cenno aggiuntivo ed un’espressione sincera e sorridente, che le cose per noi due possono cambiare con rapidità, ed essere migliori di come sembriamo; basterebbe volerlo, credo.

            Bruno Magnolfi

domenica 14 ottobre 2018

Stretto necessario.




Qualcuno dice che al mattino dopo la sveglia si riesca a dare il meglio di se stessi: la mente è più fresca, le idee maggiormente brillanti, c’è più entusiasmo per mandare avanti le cose. Ma io preferisco senz’altro la luce calda del pomeriggio, quando la giornata si è distesa ed oramai ha assunto un suo significato più definito, quando tutte le cose attorno sono più mature per lasciarti decidere che cosa salvare di tutto quello che ti sei ritrovato, e l’opinione che ne può scaturire è di fatto più fluida, più naturale, più vera.
Non mi interesso mai dell’opinione degli altri, generalmente resto ritirato dentro al mio guscio, come direbbero tutti, così se posso evito addirittura di parlare, mi limito ad ascoltare gli altri, e quando qualcuno si riferisce direttamente a me mi limito a sorridergli, perché ritengo che la mia sia un’espressione naturale, che non ha mai fatto male a nessuno. Lavoro con mio padre da diversi anni, agli inizi mi limitavo ad osservare i suoi gesti e a passargli gli attrezzi di cui aveva bisogno. In seguito tutto invece è diventato per me un’abitudine, ed adesso frequentemente non ho neanche bisogno di pensare per portare avanti le attività che affrontiamo. Mio padre mi ha detto tante volte che secondo il suo parere questo non è il mestiere adatto per me, ma io non saprei fare nient’altro, non mi sono mai interessato di altro, e della scuola quando ero ragazzo non me ne è mai importato un bel niente. Aiuto mio padre, lo seguo in tutto, lascio comunque che sia lui a sviluppare le cose, preparare i preventivi, decidere le soluzioni, tenere i rapporti con i clienti. A me basta arrivare in qualche modo all’ora in cui terminiamo, lavarmi le mani, cambiarmi la camicia, dimenticarmi completamente del lavoro e di tutto ciò che comporta, per raggiungere in fretta gli altri ragazzi davanti al bar Soldini.
Mi prendo una birra, mi siedo sopra le assi delle solite panchine, scherzo con i ragazzi cancellando dalla mente tutto quello del giorno che sopporto di meno. Non mi piace quando qualcuno si mette a parlare del nostro futuro, come fosse qualcosa per cui sviluppare già adesso chissà quale strategia. Non c’è futuro penso; soltanto qualcosa che andrà avanti così, senza grandi sussulti, e con il minimo delle preoccupazioni possibili. Mio padre dice che qualche volta dovrei pensare seriamente a farmi una famiglia, ma a me sembrano tutte cose prive di qualsiasi interesse, elementi forse ancorati alla vita delle generazioni passate, che adesso oramai non fanno più sognare nessuno.
Certe volte davanti al bar Soldini si parla delle ragazze, ma non è la stessa cosa: certo, si può andare con loro in qualche locale, farsi una birra insieme e poi magari con una o con l’altra magari può uscirne fuori qualcosa di più impegnativo. Ma il giorno seguente io torno a lavorare con mio padre, e tutto è tranquillo, mia madre mi porta il caffè per svegliarmi, ed il resto mi sembra lontano, forse da lasciar perdere subito, ed anche se qualcuna delle ragazze mi telefona per sapere se può rivedermi, io mi limito a sorridere alla cornetta. Può darsi, dico, ma non ce n’è uno stretto bisogno; le cose possono capitare, ma qualche volta è anche bene evitarle.

Bruno Magnolfi

venerdì 5 ottobre 2018

Differenze.




2 ottobre
Mi sento strana. È come se provassi qualcosa di simile all’ansia che si sente prima di superare un ostacolo, come se avessi di fronte un giorno particolarmente importante, o qualcosa in cui dovermi cimentare, anche se in realtà oggi non vedo niente di tutto questo nel mio futuro.
3 ottobre
Stamani ho cercato di riordinare la mia stanza. Ci sono cose che indubbiamente non mi servono più ma che mi fa ancora piacere avere con me; altre però che devo sistemare al fondo di qualche cassetto nel tentativo deciso di dimenticarle. Poi sento la necessità di gettare via degli oggetti che ritengo oramai del tutto inutili, anche se non mi piace affatto fare cose del genere, perché in fondo rappresentano sempre dei dettagli che forse fanno parte ancora di me, della mia vita, della mia formazione, pur ritenendole momentaneamente del tutto inservibili. Così ho un’intera collezione di giochi e di pupazzi di quando ero bambina, ad esempio, per non parlare di un paio di bambole secondo il mio parere ancora bellissime, e da cui sono certa non mi separerò mai. Poi ho trovato delle cose che tanto tempo fa mi ha regalato mio padre, oggetti a cui sono particolarmente legata, ma non posso farne dei veri cimeli, perché non è possibile venerare delle cianfrusaglie soltanto perché ti legano ad un periodo in cui c’era ancora il mio papà insieme con noi. Devo essere forte, mettere assieme tutto quanto e riporlo con cura dentro al baule del corridoio, dove sono sicura non andrò più a guardare per chissà quanti anni.
4 ottobre
Oggi mi sono innervosita con una cliente del nostro negozio, che mi ha fatto perdere un sacco di tempo senza decidersi a comprare un bel niente. Non è da me comportarmi in modo sconveniente, perciò sono riuscita a contenere la mia agitazione anche se dentro stavo quasi per scoppiare di brutto. Devo cercare di essere più indifferente a queste situazioni, trovare il modo di fortificarmi e magari usare un po’ di ironia nel trattare con certe persone. In tutti i casi devo lasciare che tutto avvenga senza pensare di poter mettermi in mezzo a dirigere le cose che possono o non possono succedere. La realtà è questa, devo prenderne atto, nient’altro.
5 ottobre
Sono preoccupata. Quando sono da sola penso delle cose di cui mi è persino naturale essere convinta. Quando sono con gli altri invece perdo facilmente ogni certezza, ed inizio a mescolare le mie idee con quelle che credo verrebbero più facilmente accettate da coloro che mi trovo davanti. Questo meccanismo mi torna così consueto che mi sono accorta di esserne succube soltanto da poco, riflettendo con attenzione sulle piccole cose che compongono la mia giornata, tanto da trovare una divisione netta tra i miei momenti di solitudine da tutti gli altri.


            Bruno Magnolfi


giovedì 4 ottobre 2018

Probabilmente lontano.



A me non interessa niente. Guardo le persone che vengono dentro questo locale in due o tre per volta, si bevono un caffè, prendono una birra, oppure chiedono un gelato, e tutti che si guardano attorno, e intanto cercano di gustarsi il momento, la chiacchiera amichevole, lo scherzo, la battuta di spirito, e poi via, fuori da qui, per ritornarci magari più tardi, o forse soltanto domani. Sono sempre gli stessi, perlopiù. Mi dicono qualcosa ammiccando, oppure mi chiedono un parere, un pensiero che sia di loro sostegno, ma io sono neutrale, non parteggio mai per nessuno, resto estraneo alle logiche di coloro che analizzano la realtà sulla base del numero dei bicchierini di grappa, o anche dei caffè corretti al liquore, che poi vengono consumati indifferentemente sia dall’uno che anche dall’altro. Non mi riguarda, penso, sono qui soltanto ad asciugare le tazzine e i bicchieri, e a mettere sul banco quanto mi viene richiesto, senza commenti. A volte mi dispiace persino chiamarmi con lo stesso nome del bar, ma è stato mio padre a volere così, pace all’anima sua, non posso fare niente.
Avrei dovuto andarmene da questo paese quando ne avevo ancora la possibilità, e trovare un posto lontano per non guardarmi più addietro neppure per sbaglio; ma si è deboli a volte, e non ci si rende conto che sotto le apparenze di una scelta accettata, c’è soltanto l’assoggettamento ad un futuro che non lo sappiamo ma è già stabilito, dove tutto scorre come un treno sopra il binario, e non porta più variazioni, nessuna differenza tra un giorno e il seguente: le stesse persone, i medesimi discorsi, i soliti sciocchi e annoiati argomenti. Saluto sempre tutti coloro che entrano qui, ma è una clientela che non chiede molto, gente che viene qua dentro a cercare una pausa, un’oasi, una specie di zona franca, dove sentirsi più liberi e ancora capaci di qualche pensiero sganciato dalla logica delle loro famiglie o dal mestiere che svolgono. Siamo tutti uguali qua dentro, sostengono talvolta quei loro sguardi, ed io li faccio sentire sempre appagati, lasciandoli navigare nel loro oblio.
Forse non sono neppure io troppo diverso tra tutti quelli che vedo di fronte a me; mi ritraggo nel ruolo che ho assunto come una lumaca dentro al suo guscio, e lascio con gusto che il grande specchio su cui troneggiano le bottiglie di cento marche diverse, rifletta soltanto i miei gesti visti di schiena. A volte ho sognato per questa nostra cittadina annoiata un locale diverso, un luogo dove scambiare davvero qualcosa: qualcuno che suonasse una musica, delle canzoni più o meno impegnate, dei disgraziati che leggessero le proprie poesie, ma sono sempre riuscito alla fine a sorridere di una scommessa del genere, ancor prima di renderla davvero effettiva. Non ho mai trovato nessun presupposto, nessun sostegno da parte di alcuno, se non al contrario lo scatenarsi gratuito e definitivo di chi avrebbe detto immediatamente che sarei stato soltanto uno stupido a cercare qualcosa che non potrà mai essere minimamente diverso. Così ad ogni sera abbasso la serranda su tutti questi sogni svaniti, esattamente come il vapore della macchina con cui si fanno i caffè, quando forse rimane nell’aria soltanto l’aroma di qualcosa che sa di lontano, ma non si sa bene neppure da dove e per quale motivo sia davvero arrivato qua dentro.


Bruno Magnolfi


martedì 2 ottobre 2018

Ottimismo sciocco.




Mi piace starmene da solo. Esco da casa e costeggio quasi sempre una piccola via deserta che conosco bene, fino ad arrivare ad un muretto oltre il quale si vede soltanto la campagna, e poi mi siedo sopra quelle vecchie pietre, e resto lì anche a lungo, fino a quando la luce calda del pomeriggio si fa persino troppo obliqua, e mi spinge a tornarmene indietro.
Gli altri mi dicono che tutto prima o dopo deve cambiare, che la cosa più importante di tutte è restare sempre se stessi, indifferenti a quanto succede, oppure a quanto non succede mai, proprio per niente. Non lo so, forse hanno ragione, soltanto vorrei che qualcuno da dentro riuscisse a togliermi questa piccola angoscia perenne, questa sensazione di inutilità che provo praticamente ogni giorno.
Al mattino davanti alla corriera siamo in otto ragazzi che ci ritroviamo per andare fino al liceo, cercando durante la mattinata di non farsi mai prendere dal sonno che è sempre presente in coloro come noi che si alzano anche troppo presto dal loro letto. C'è quasi rassegnazione nel silenzio con cui si continua a seguire ogni lenta ora di lezione, ed anche quando l’ultima campanella ci libera dall’oppressione di seguire qualcosa che in seguito immaginiamo ci servirà a ben poco, difficilmente riusciamo ad essere davvero contenti di qualcosa.
I miei compagni poi si ritrovano nel pomeriggio tutti davanti al bar Soldini, magari per trovare qualcosa da dirsi, per fingere che la giornata abbia anche un senso, ma a me generalmente non interessa, preferisco starmene a casa piuttosto, a studiare, a leggere qualcosa, a perdermi semplicemente nel guardare a lungo quella prospettiva di abitazioni gialle che riesco a vedere dalla mia finestra. Non trovo un vero e proprio stimolo che mi procuri entusiasmo, ma penso che ciò non significhi che sia lecito rinunciare a cercarlo.
Quando sto seduto al mio muretto immagino il mio futuro come qualcosa che non sia mai privo di possibilità, e per questo motivo cerco di essere curioso, e tentare spesso di mettermi nei panni di tutti gli altri, in modo almeno da comprendere qualcosa dei comportamenti che riesco a vedere in chi mi passa più vicino. Il mio riflettere parecchio su tutte le cose che vedo attorno a me credo che mi sarà sempre di aiuto, anche quando dovrò andarmene da qui ed arrangiarmi in posti nuovi dove forse non ci saranno per me dei punti fermi.
Per adesso mi guardo attorno, cerco di stare solo anche per avere un po’ più libertà mentale, ed evito di ricopiare gli atteggiamenti che noto nei miei compagni di scuola o negli amici del paese che sembrano assumere sempre più una medesima visione delle cose. Mi piacerebbe avere una ragazza, scambiare con lei tutte le idee che mi porto dentro, ma non mi metto mai in mostra, e per questo motivo ritengo di non avere troppe possibilità. Vado avanti, comunque, ed ogni volta che ci penso credo di avere sempre una grande fiducia nelle opportunità che si potranno presentare. Non so perché, forse soltanto per uno sciocco ottimismo.


Bruno Magnolfi