sabato 29 febbraio 2020

Genio e furbizia.

          

            Osservo questi quattro tizi che ancora stanno attorno a me, e so per certo che da loro non mi arriverà mai niente di buono. “Siete delle nullità”, dico a tutti con voce non particolarmente alta, giusto per vedere se alla mia provocazione qualcuno abbia voglia davvero di reagire. Invece si mantengono tutti zitti, anche se proseguono a guardarmi, e a tenere le mani sprofondate nelle tasche, mentre sotto a questi lampioni sembrano persino in numero maggiore di quelli che realmente mi rimangono di fronte, come se le ombre che si sono formate dietro di loro riuscissero a moltiplicarne in qualche modo la presenza. Non hanno timore di nulla, mi guardano, sanno benissimo che è sufficiente allontanare lo sguardo che tengono sopra di me per farmi ripiombare immediatamente nel buio, lasciarmi isolato, completamente inascoltato, senza alcuna sponda. Non sono certo loro a farmi andare avanti, penso con determinazione; "non mi importa niente di voi", dico poi per sfida. Uno si muove, forse vuol dire qualcosa, ma cambia solamente posizione, senza fare altro, né dire alcunché. La situazione è estenuante, ma nello stesso momento in cui non avviene nulla, sono quasi contento che tutto in fondo resti così, ed io possa proseguire a mettere assieme le mie cose, senza alcuna influenza esterna.
            Poi fo il gesto di andarmene, anche perché sono un po’ stufo di tutta questa faccenda, ma loro adesso si mettono lentamente in movimento, come per seguirmi, quasi gli importasse veramente della mia condizione e dei miei prossimi indirizzi. “Ho avuto già molta pazienza con voi”, dico senza convinzione. Ed in fondo è vero, la cosa bella di tutto quanto è che io posso procedere così finché avrò fiato, senza nessuno che mi dia anche soltanto una minima relazione. "Sono parole", dico adesso per spiegare; "solo parole, che non hanno peso, non durano nulla, non hanno neanche un prezzo e forse neppure un vero valore". Uno dice sottovoce che a lui non interessa, gli va bene anche in questo modo, crede che ci sia comunque qualcosa di buono sotto, e prima o dopo verrà fuori. Gli sorrido: "sono proprio convinto di no", gli dico secco.
Quindi volto le spalle a tutti in modo definitivo; "me ne vado", gli fo a tutt'e quattro. "Comunque non vi dovete preoccupare, su quello che mi avete visto fare fino ad ora potete sempre contarci, anche nel prossimo futuro". In due fanno il tentativo di battere le mani, ma non per ironia, solo perché hanno compreso la mia indole, il mio modo di pormi, le mie parole, anche se ho cercato in tutte le maniere di riuscire a scoraggiarli. Esco dalla stanza, nessuno mi segue, adesso in fondo è molto più facile dire che non c'era alcun valore in tutto ciò che è stato fatto o detto: soltanto sciocchezze, si può affermare con facilità, e in questo modo seppellire in una sola volta qualsiasi sforzo. Già, perché qualsiasi artigiano se si impegna a fondo lascia una traccia di sé, di ciò che ha davvero desiderato fare, di quello che ha pensato, di tutto quanto avrebbe voluto spiegare alla fine con l'opera semplice delle sue mani.
Che cosa mi interessa, penso mentre sono ormai da solo lungo la strada che mi porta via; non sono loro che mi spiegheranno l'importanza di ciò a cui mi sono dedicato. Nessuno potrà dire che il mio è stato un approfittarsi di qualche situazione facile, un lavorare intorno a qualcosa che piacesse a tutti, a quello che oggigiorno va per la maggiore, e di cui forse adesso si potrebbe già dire che proprio l'individuo prodigatosi in tutto quel lavoro, sapesse bene adoperare al meglio il genio della furbizia, perché sono questi i termini che adesso vanno di più, e non la schiettezza.


Bruno Magnolfi
        

          

martedì 25 febbraio 2020

Dentro l'edificio.

          

            Vado avanti lungo questo corridoio poco illuminato senza neanche sapere dove porta, anche perché arrivato a questo punto non posso proprio fare nient’altro. Non ricordo neppure in quale maniera io sia entrato dentro questo edificio, e soprattutto non conosco affatto il motivo che mi ha portato in questi ambienti, però tutte le porte che ho incontrato fino adesso durante il percorso sono risultate tutte chiuse ermeticamente. Arriva intanto di fronte a me un tizio strampalato con una sigaretta spenta in bocca: "forse me la può accendere", mi fa prima che possa dirgli qualcosa d’altro, ed io per riflesso condizionato rovisto subito nelle mie tasche fino a quando trovo dei fiammiferi. Mentre lui si serve della fiammella, gli chiedo se per caso ci sia un'uscita da quella parte, e lui mi fa subito cenno di si: "certamente", dice in un attimo, anzi, se vuole posso anche accompagnarla, che tanto non ho niente di importante da fare".
            Accetto, naturalmente, e così ci mettiamo a camminare in maniera molto calma, visto che lui sembra proprio non avere alcuna fretta, e dopo circa una ventina di metri o forse di più, viene spalancata di colpo una porta metallica di tipo tagliafuoco, ed ambedue ci ritroviamo in un attimo all’interno di un parcheggio all'aperto non proprio enorme, però abbastanza pieno di macchine ferme, in questa specie di terrazza scoperta che resta ad un'altezza di diversi metri dal piano della strada sottostante, all’apparenza del tutto deserta. Lui continua a fumare, e comunque si ferma, forse per farmi ammirare il grigio e piatto panorama che si vede da lì, mentre io intravedo la rampa di accesso a quel piazzale e quindi mi sento parzialmente tranquillizzato.
            "Potremmo farci un bicchierino", mi fa lui sempre con i suoi modi strani di gesticolare e di guardarsi attorno. Annuisco, in fondo non ho da recarmi in nessun luogo particolare, e così rientriamo nel labirinto dei corridoi, fino a ritrovarsi subito dopo in un minuscolo locale praticamente costituito soltanto dal bancone, dove a dire la verità c'è soltanto il barista, ed in questo momento nessun altro cliente, se non giusto noi due. Ci facciamo servire subito qualcosa, ed il tizio insieme a me dice al barista, come fosse una cosa di cui ridere, che "questo signore non riusciva neppure a trovare l'uscita". “Ha bisogno di un sostegno”, dice l’altro, quasi a sottintendere che io non sia del tutto in condizioni di girare da solo in questo edificio. Non replico, mi basta sapere che tra poco potrò andarmene, e lasciare alle spalle questa strana situazione. Il tizio mi lascia pagare, poi torniamo nel dedalo dei corridoi, ma lui mi chiede di aspettarlo un momento, sparendo dietro una porta lucida dove c’è scritto soltanto ‘direzione’.
            Attendo, mi accosto alla porta ma non avverto all’interno alcun rumore, quindi dopo qualche minuto busso con leggerezza, poi aspetto ancora, quindi mi decido a socchiudere l’uscio e a dare un’occhiata all’interno. Ci sono diverse persone sedute attorno ad un tavolo, tutte sotto a delle lampade che proiettano una luce bianca quasi sfolgorante, così richiudo la porta temendo di aver interrotto qualcosa di fondamentale. Credo nessuno mi abbia notato, così dopo qualche altro momento torno ad aprire e a chiedere notizie di una persona entrata là dentro da poco. Tutti adesso mi guardano con un certo sospetto, il tizio di prima non è tra di loro, nessuno si decide a rispondermi o a darmi qualche indicazione. Alla fine uno dice soltanto: "adesso non è proprio il momento”, così torno a chiudere la porta e a ritrovarmi semplicemente da solo.


            Bruno Magnolfi
          
           

lunedì 24 febbraio 2020

Sostituzione di componenti.

    

            "Sono stanca", dico quasi con indifferenza alla mia amica di sempre. Lei ride, è una persona solare, piena d'entusiasmo, positiva, difficile farle immaginare degli stati d’animo diversi dai suoi. “Non capisco di cosa”, dice lei alla fine. Entriamo nel centro commerciale senza avere niente di particolare da acquistare, e difatti, dopo un breve giretto nel lungo corridoio coperto dove si aprono svariati negozi, individuiamo i tavolini di una sala da tè e ci mettiamo sedute. “Non so”, fo io, “mi pare che tutto si stia risolvendo in una monotonia sconcertante: lavorare, tornare a casa, occuparsi delle solite cose, i medesimi gesti da compiere, identici praticamente ogni giorno. Un continuo ripetersi di ogni azione, insomma”. Lei mi ascolta, adesso sembra seria, naturalmente comprende che c’è qualcosa di importante in quello che dico. “Va bene”, mi fa; “però se non si può trovare una soluzione a cose del genere, tanto vale accettarle”.
            Dopo poco si accosta al nostro tavolo una coppia di persone che conoscono la mia amica, quindi la salutano, le dicono qualcosa di carino, mi stringono la mano quando vengo presentata. Ci spiegano che venire in posti come questo serve soltanto a perdere momentaneamente la propria personalità, e a sentirsi come tutti, quasi senza differenze. "In parte è vero", dico con tono tranquillo, "ma per certi versi stare in mezzo a tanta gente ti fa forse sentire più sola che mai". Si annuisce cercando una battuta qualsiasi per chiudere l'argomento, e così loro due un attimo dopo ci salutano e quindi se ne vanno, affermando di essere pronti per fare una nuova immersione tra facce sconosciute. La mia amica adesso sostiene che loro sono simpatici, li conosce da diversi anni anche se non li ha mai frequentati come dei veri e propri amici. "Sono conoscenze", aggiunge, "persone con cui scambi qualche parola e poi basta".
            Finisco il mio caffè, pago la nostra consumazione, poi ci alziamo e si riprende la passeggiata tra i tanti negozi. Infine usciamo senza essere state attirate da nulla di particolare, così risaliamo in macchina e ci avviamo verso le nostre abitazioni. "Posso anche dirti la verità", fa la mia amica ad un tratto. “Per un periodo di tempo piuttosto breve sono stata l'amante del tizio che ti ho prima presentato, senza che sua moglie abbia mai sospettato un bel niente". Io osservo la strada, accosto al marciapiede nei pressi di casa sua, e senza fingere meraviglia dico semplicemente che lui è un bell'uomo, per cui alla fine non ci trovo neppure niente di strano. "Forse è anche questa la maniera per non annoiarsi troppo in certe giornate", fa lei. La guardo, cerco le parole per esprimere il mio pensiero più vero, ma non trovandole, dico soltanto: "può darsi". Ma subito dopo avverto un'insufficienza grave in quello che ho detto, per cui proprio mentre la mia amica apre il suo sportello per scendere, le dico di fretta: "però se deve essere questa la maniera per ridare fiducia nella vita, ed anche un po’ gioia di vivere, magari è meglio cercare qualcosa di meno superficiale”. Lei mi guarda, riflette, poi fa: “tutto avviene in superficie, se ci pensi bene; il resto è composto soltanto da preoccupazioni profonde e spesso pesanti, che normalmente prendiamo in esame soltanto per sostituire quello che manca”.


            Bruno Magnolfi
       

         

sabato 22 febbraio 2020

Illustre sconosciuto.

           

            Mi sento completamente  demoralizzato. Così mi infilo in questo caffè-libreria dove ho saputo che oggi presentano una raccolta poetica, ed un tizio senza microfono dice a cinque persone che ha di fronte, che lui ha capito tutto, e che qualcosa dovrà pur succedere. Mi siedo ed ascolto distratto degli elogi e molti complimenti da parte di ognuno per tutti gli altri, poi mi sposto al bancone del bar dove mi faccio versare un bicchierino tanto per rimettermi in po'. “Una vera bomba innescata”, sento dire alle mie spalle da qualcuno che sicuramente se ne intende di certi argomenti, mentre intanto esco da lì senza avere nessuna idea di cos'altro fare. Sulla porta però incontro una donna che conosco di vista, e così la saluto, mentre fingo di essere arrivato anche io in quel momento. "Ho fatto tardi", fa lei, ed entra dentro con un grande sorriso, mentre le tengo la porta vetrata. "Ci sono ancora dei posti liberi", dico io quasi per ironia, e visto che non ho niente da fare l'accompagno nella saletta dove parlano adesso di grande letteratura.
            Ci sediamo vicini, e lei dice che in seguito vuole acquistare dei libri di narrativa, per cui avrà bisogno da me di qualche mio personale parere. Mi metto buono ad ascoltare qualcosa, e fortunatamente tutto si sbriga abbastanza velocemente, risolvendosi al momento in cui questo poeta che ha parlato fino adesso, firma le copie del volume che ha presentato, ed infine tutto il gruppo si scioglie. "Anche io scrivo qualche poesia", fa lei sottovoce mentre scorriamo qualche scaffale, ed io naturalmente mostro stupore. "Ci vuole sensibilità", le dico subito, "e poi molta attenzione ad ogni dettaglio". Lei sorride, prende in mano un volume qualsiasi da un ripiano e mi chiede una mia opinione. Improvviso una critica velata su un autore che naturalmente non ho mai letto, e lei mi ascolta e forse finge di credermi. Alla fine sceglie due libri e ci avviamo alla cassa.
            Quando usciamo da lì, lei dice subito che deve andarsene non so dove, così mi pianta sul marciapiede da solo, ed il mio sconforto naturalmente si fa ancora più pesante di prima. Così rientro nella libreria, vado dall’autore della raccolta poetica, impegnato adesso a rimettere a posto le sue molte cose, e gli faccio qualche domanda abbastanza generica, mentre prendo alcuni appunti su uno dei miei taccuini, spiegando che forse farò un articolo su di lui. Perciò parliamo abbondantemente, e poi mi lascio pagare da lui un bicchierino al bancone del bar. In sostanza il poeta dice le solite cose che conoscono tutti, sull’editoria marcia, sull’inutilità di scrivere, sull’angoscia che prende quando nessuno si accorge di te, nonostante tu abbia inviato in giro tutti i segnali possibili. Butto giù un sorso di grappa scadente, ed annuisco con grande naturalezza. Infine mi regala il suo libro autografato, ed io lo ringrazio di tutto, poi alla fine lo saluto.
            Quando esco ritrovo la tizia di prima, e subito lei dice con entusiasmo che mi stava appunto cercando. Mi fa gli elogi per aver acquistato quella raccolta poetica che ho ancora in mano, e poi spiega che possiamo tranquillamente andarcene a casa sua a parlare, che tanto non rimane molto distante da dove ci troviamo. Accetto, in fondo ho la giornata praticamente libera, e così mi metto a raccontarle della finta intervista che ho fatto all’autore, delle risposte che lui ha dato, ed anche di altre sciocchezze del genere. “Benissimo”, fa lei; “così adesso potrai spiegarmi qualcosa di quelle frasi così difficili, da cui non so mai tirarci fuori un bel niente". Naturalmente il fatto che io abbia già pubblicato diversi libri di racconti lo continuo a tenere assolutamente nascosto, sia a lei che a tutti gli altri; perché poi, tutto sommato, è parecchio meglio così.


Bruno Magnolfi
        

mercoledì 19 febbraio 2020

Complotto inesistente.

           

            “Lasciami perdere”, gli fo subito quando apro l’uscio. Poi mi giro lasciando socchiusa la porta, ed il mio vicino di casa con l’espressione più seria che riesce ad assumere, mi segue nel mio piccolo appartamento in affitto. Così prendo due birre dal frigo, una l’appoggio sul tavolo, e subito dopo apro la mia; lui si serve senza dire niente. “Ho avuto una giornata pesante oggi, ti concedo soltanto dieci minuti e poi basta”, gli dico mentre mi siedo. Lui non fiata, mi guarda per un attimo, butta giù dopo un secondo un bel sorso della sua birra, poi si alza e fa un giro, come fosse nervoso. E’ chiaro che deve dirmi qualcosa, però forse non sa da che parte iniziare, e poi non riesce a rendersi conto se parlarne può tornargli utile oppure no. Infine affronta l’argomento che gli sta a cuore, e fa: "le ho dato un appuntamento preciso, e lei mi ha detto che andava bene; ma poi non si è neanche fatta vedere”. Lascio andare una bella risata, ma dopo un momento mi freno, perché può sembrare un comportamento offensivo. “Prova di nuovo”, gli fo con indifferenza.
            Lui attacca come sempre che non sa più che pesci pigliare, che non vuole piegarsi ai capricci di una ragazzina di quarant’anni, che forse sta sbagliando persona a cui dare corda, e così via. Lo fermo, gli dico che fino a quando non avrà le idee chiare nessuno potrà essergli davvero di aiuto. Lui abbassa la testa e torna a sedersi: si mostra sconfitto, dice che gli pareva stavolta di essere davvero sulla strada più giusta, di sentirsi in grado di affrontare una vera relazione, non una cosa tanto per fare. “Va bene”, gli fo; “fai trascorrere qualche giorno, almeno un paio di settimane, senza fare un bel niente, e vedrai che qualcosa succede”. Lui annuisce, butta giù un altro sorso della sua birra, poi appoggia la bottiglia vuota sul tavolo e dice che va via, ed io immagino che probabilmente farà proprio quello che gli ho suggerito. Lo guardo andarsene senza girarsi e poi chiudere la porta alle sue spalle, mentre io rimango fermo dove mi trovo, stanco ed anche affamato. 
            Mi alzo, apprezzo il silenzio, trovo nell’armadietto sopra ai fornelli un pezzo di pane ancora non del tutto indurito, così lo apro in due fette e mi faccio un panino con del salame che tiro fuori dal frigo. Mi accosto alla finestra per dare un’occhiata al cortile di sotto. Lo vedo uscire dalla porta sul retro e attraversare lo spiazzo. Poi alzo il telefono, mi risponde lei con una voce svagata. Le chiedo se le pare il caso di tenere sulla corda la gente, ma lei ride, dice che si sta solamente divertendo un pochino. Mi chiede se per caso non abbia voglia di farla salire da me, ma io le dico che sono stanco, ho voglia solamente di starmene da solo e riposarmi. Riattacco, finisco la birra, chiudo un attimo gli occhi. Poi sento bussare alla porta, apro svogliatamente: è di nuovo lui.
            "C'è qualcun altro dietro a questa faccenda", mi fa. Sbuffo, gli dico semplicemente che non può pretendere di trovare una ragazza immacolata per farci coppia fissa, ma lui è agitato, dice che non le sembrava una così, si sente soltanto preso in giro. “Ma lei è soltanto una che ha avuto le sue belle esperienze, è già stata sposata, non puoi comportarti come se fosse una di sedici anni”. Lui si siede, dice che adesso ha deciso. Ora vuole soltanto togliersela dalla testa al più presto, “tanto non potrà masi essere una relazione tranquilla, e finirà solo per rendermi matto”. Mi sdraio sul mio divano con le molle sfondate, e poi chiudo gli occhi. “Se hai deciso così è ancora più facile”, dico. Lui mi guarda mentre io mi metto seduto ed allargo le braccia, come per dimostrargli che non ho più energie neppure per starlo a sentire. “Tu sai qualcosa”, mi fa. Lo guardo, respiro, mi rimetto in piedi. “Sei un amico”, gli dico; “non potrei mai tirare una fregatura ad uno come te. Devi stare soltanto tranquillo, e smetterla di immaginarti dei complotti da tutte le parti”.


            Bruno Magnolfi 
            
         

lunedì 17 febbraio 2020

Finta libertà.


            
            Le giornate scorrono identiche. Entro senza entusiasmo in un piccolo supermercato del mio quartiere all'ora di chiusura, giusto per acquistare qualcosa da mangiare a casa più tardi, ma non so neanche decidere di che cosa avrei davvero voglia. Scorro gli scaffali ed alla fine prendo solo una confezione di birre, del pane e del formaggio, considerato che non ho alcuna intenzione di cucinare. Abitare da soli ha il grande vantaggio di non dover dare spiegazioni a nessuno, anche se è facile così perdere il senso di molte cose. “Soltanto questo” dico alla ragazza seduta alla cassa, mostrando i miei acquisti. Lei mi guarda, non c’è nessun altro dopo di me, perciò se la prende comoda, digita qualcosa svogliatamente, e così appare sul video il conto finale. “Serata fiacca”, fo io tanto per dire una stupidaggine. “Tra un attimo chiudiamo”, fa lei, “ma io sono qui da stamani”. Intanto metto le mie cose con calma in un sacco di carta, e prendo lo scontrino che lei adesso mi porge.
            “Se vuoi ti aspetto”, le dico senza neppure riflettere di che cosa sto parlando, però lei subito sorride, poi guarda in basso, ed infine mi fa: “perché no; tanto non ho altro da fare”. Penso di colpo che se le andasse potrei anche acquistare qualcosa di più appetitoso là dentro il negozio, ed improvvisare in questo modo una cenetta appetitosa a casa mia. Ma infine le dico: “possiamo mangiare qualcosa insieme in una tavola calda; non ce la faccio più a passare le serate da solo”. La ragazza annuisce, forse anche per lei le cose girano nella stessa maniera: tornarsene a casa da soli è per chiunque di una tristezza terribile. Le dico che l’aspetto subito fuori dall’entrata del supermercato, e poi esco. Mi piazzo dentro la mia utilitaria ed attendo, e dopo un quarto d’ora lei esce, mostrando che senza quella divisa così anonima sembra proprio un’altra persona.    
            Penso che adesso questa ragazza sicuramente mi racconterà la storia della sua vita, e della maniera in cui sia finita purtroppo a lavorare in un posto del genere, dopo aver preso per anni lezioni di canto o magari di recitazione, o dopo aver fatto la ballerina per qualche tempo in dei locali senza futuro. Avrà quasi una ventina d’anni meno di me, rifletto, ma questo adesso poco importa, perché probabilmente siamo accumunati da qualcosa che ci brucia all’interno, e non ci lascia alcuno scampo, nonostante sia una specie di sofferenza inspiegabile. Mi dice ciao, entrando in macchina, ed io le sorrido: “c’è un posto dove vado a volte”, le dico; “per me va benissimo”, mi fa, “basta liberarmi la testa da tutti i clienti che chiedono sempre le medesime cose”. Si chiama Clara, mi dice, ma non vuole spiegarmi altro di sé, forse soltanto perché la sua storia è talmente consueta da non portare alcun beneficio alle cose di cui vuole parlare.
            “Questo quartiere è uno schifo”, mi fa senza premesse, ed io mi mostro d’accordo, perché in fondo anche io la penso nella stessa maniera, anche se mi sono ormai abituato a viverci dentro. “Certe volte le cose è difficile sceglierle”, dico. Lei abita a sette o otto fermate di tram dal supermercato, ma non le piace neanche lì: “sono tutti impiccioni i miei vicini di casa; controllano quello che faccio ed anche i miei orari”. Annuisco, penso che sia triste accorgersi giorno per giorno che invece di un briciolo di solidarietà, spesso troviamo intorno a noi soltanto chi ti fa la morale, e magari ti guarda con un giudizio già definito su quello che sei. Arriviamo, arresto la macchina, si entra in questo posto che non avevo mai calcolato così triste come lo vedo adesso, però ci sediamo ad un tavolo, ordiniamo qualcosa, e ci guardiamo negli occhi. Siamo esseri di confine penso, creature nate per tirare avanti alla meglio, arrabattarsi, scegliere delle scorciatoie per ogni scopo, e tenersi sempre ai margini di tutto, perché alla fine non ci sentiamo parte di niente. “Prendi pure quello che vuoi, Clara”, le fo. “Qui sono conosciuto, mi fanno credito”. Lei sorride; è bello essere insieme a qualcuno certe volte, mi ritrovo a pensare; anche se in questo momento insieme a questa ragazza mi sento come sempre dentro alla solita gabbia, da cui probabilmente non riusciremo in nessun caso a tirarci fuori, né io e neppure lei; e poi finiremo soltanto per fingere di essere liberi.

            Bruno Magnolfi

giovedì 13 febbraio 2020

Cantante improvvisa.

          

            "Mi sarebbe sempre piaciuto cantare", dico io quasi in un sussurro. Poi ruoto leggermente la testa ed il dorso, per osservare se dietro di me qualcuno per caso avesse ascoltato con curiosità le mie parole, mentre io, con la mia amica di sempre, proseguiamo a fare la fila alla biglietteria di questa sala cinematografica, per assistere tra poco ad una pellicola appena messa in programmazione. Sorrido, in fondo non c'è niente di cui intimidirsi. "Il canto è la voce dell'anima", dico a lei con voce ancora più bassa. Qualcuno improvvisamente ride forte dietro di noi, e per un attimo immagino che ciò sia dovuto alle mie confessioni, anche se poi mi rendo conto che non c’è alcuna relazione tra le due cose. Con il mio spirito vorrei mettermi a cantare proprio qui, davanti a tutti, improvvisando senza musica un’aria che ricordo di più, lasciando a tutti la possibilità di gradire o meno le mie doti, anche se poi sorrido di nuovo dei miei pensieri assurdi, considerando comunque che anche questa rimane sempre una possibilità.
            Una volta, da bambina, ricordo di aver cantato una canzone infantile davanti a tutti i parenti e gli amici accorsi al mio settimo compleanno, e di essere stata bene per quei due o tre minuti, magnificamente. Appena intonata la prima frase, allora si era come dissolta la nebbia che mi avvolgeva fino ad un attimo prima, ed il resto aveva poi seguito come per una magia quell’inizio così inaspettato. La timidezza era subito scomparsa, e le parole intonate mi erano giunte alla bocca una dietro quell’altra, con gli attacchi giusti, la timbrica definita e anche decisa. Poi avevo chiuso con destrezza sul finale della canzoncina, ricevendo subito un sacco di applausi, anche se nessuno della mia famiglia mi aveva incoraggiato in seguito a prendere lezioni di canto, neppure quando ero diventata più grande, e lo avevo chiesto espressamente. 
            “Ci vuole soprattutto personalità”, le fo adesso alla mia amica. “Tirarsi fuori, mettere il meglio che ci riesce di dare in quelle note, e poi far trasparire la passione, il trasporto, la gioia, nel fare una cosa del genere”. La biglietteria di quel cinema prosegue a dispensare biglietti con il doppio strappo, e tra un attimo è il nostro turno, ormai ci sono soltanto due persone davanti. Infine noi due paghiamo e poi scorriamo subito su un lato, presentandoci all’inserviente di turno che ci lascia immettere dentro la sala, subito di là da una spessa tenda scura. Le poltroncine in file regolari sono fiocamente illuminate, e lo schermo bianco non mostra in questo momento alcuna immagine, nell’attesa dell’orario previsto, tra dieci minuti, per iniziare la proiezione.
            Scegliamo il posto e poi ci sediamo, ma subito dopo torno ad alzarmi in piedi mentre molte persone sono già comodamente sistemate e parlano quasi tutte tra loro a bassa voce. In quel momento inchinandomi un attimo dico soltanto alla mia amica: “scusami”; e poi senza altre incertezze inizio a cantare, un’aria ben nota, e con voce alta a sufficienza, qualcosa che probabilmente conoscono tutti, spianando la mia piena vocalità in questa grande sala. Avverto un silenzio profondo nelle pause della canzone, ma non mi fermo, non tremo, vado avanti decisa, so che questi spettatori riusciranno ad apprezzare il mio sforzo, questo coraggio che mi è preso stasera, lo stesso che mi aveva accompagnato quella volta quando ero piccola, a distanza di quarant'anni. Adesso mi guardo attorno con un mezzo sorriso, mi appoggio con fermezza sulle vocali, le allungo, scandisco al meglio le parole del brano, e poi canto, continuo a cantare, lascio ascoltare a chiunque la mia canzone; perché forse è proprio questa la cosa migliore che io abbia mai fatto, mi rendo conto improvvisamente: quella di essere fino in fondo me stessa.


            Bruno Magnolfi     
            

         

lunedì 10 febbraio 2020

Risposte indefinibili.


                     

            "Ho bisogno di aiuto. Forse anche soltanto per comprendere la mia situazione, visto che non so neppure spiegarmi come sono capitato qui in mezzo a voi", dico a questo amico che ho appena conosciuto; "però mi sono reso conto che se qualcuno non mi dà una mano, presto per me finirà sicuramente poco bene". Lui mi guarda con sospetto, cerca di alleggerire le mie parole con un sorrisetto che gli si forma con naturalezza sopra la faccia, poi, guardando altrove, mi fa: "non capisco da cosa o da chi dovresti essere protetto, in questa fase". Ed io: "non lo so neppure io di preciso, però ho come una sensazione, quasi il sospetto di un pericolo che mi sta sovrastando, ecco, proprio una vera minaccia, ed è probabilmente quella che mi spinge a parlare anche adesso". Poi mi siedo ad un tavolino, vicino ai giochi elettronici del bar, dove in diversi stanno buttando i loro soldi. Nessuno si accorge di me, e probabilmente anche questo amico, mi rendo conto, vorrebbe sganciarsi in fretta dai miei discorsi, per andarsene al più presto per i fatti propri.
            In fondo tutti hanno ragione ad assumere un comportamento normale tra di loro, ed essere più sospettosi soltanto con chi non conoscono, in modo da inserire una certa distanza nei comportamenti. Però non può essere neppure una colpa quella di non conoscere nessuno e non poter confidare in una qualche persona per comprendere appieno le cose giuste da compiere. Restare nell’ambiguità è come galleggiare a malapena in un mare burrascoso: prima o dopo qualche sorso d’acqua finirà nella bocca, e forse anche dentro ai polmoni. Mi guardo attorno soltanto per rendermi conto che se non sostengo da solo la mia situazione, nessuno verrà mai a preoccuparsi di me. Passa l’amico di prima: “potresti magari indicarmi a chi posso rivolgermi”, gli fo; “forse indicarmi un nome, un indirizzo, un numero di telefono”. Lui mi guarda; percepisco nei suoi occhi una distanza che difficilmente comprendo, ma che mi fa capire quanto a volte ci sia di non definito tra le persone, tanto da portare chiunque verso l’isolamento.
            Lascio perdere: non c’è niente di cui spiegarsi; la realtà è in questo modo, non posso certo io arrivare qui e pretendere di cambiarla. Poi vado per strada, giro a lungo nella tarda serata di questo paese dove sono capitato per caso, e dopo aver percorso le vie principali, torno dentro al locale di prima. Sono tutti ancora lì, dietro alle macchinette che mangiano soldi, e nessuno di loro si è preoccupato minimamente di qualcosa d’altro. “Siete persone senza spina dorsale”, dico a voce alta; “individui che si adagiano facilmente in una situazione attualmente favorevole, dimenticando del tutto i problemi che da qualche tempo hanno già superato, lasciandosi alle spalle qualcuno che si trova ad affrontare adesso le loro stesse condizioni di pochissimi mesi addietro”. Qualcuno si volta, mi guarda, sulla faccia l’espressione cattiva di chi vuole conservare quel poco che è riuscito ad ottenere, senza affrontare nessun nuovo sacrificio, specialmente per aiutare qualcun altro.
            Torno a sedermi ad un tavolino, ed adesso si siede con me anche l’amico di prima, con il solito sorrisetto stampato sopra la faccia. “Non siamo tutti uguali”, mi fa, “questo è bene che tu lo capisca. Però devi anche comprendere che ci sono delle regole da rispettare: si tratta di priorità che persistono, comportamenti che devono essere adottati da tutti, rispetto per coloro che hanno dovuto affrontare prima di te i tuoi stessi problemi. Si capisce che tu non possa arrivare qui come ultimo e pretendere la comprensione immediata del tuo caso; o addirittura che gli altri prestino piena attenzione ai tuoi problemi, Ci vorrà tempo, dedizione, pazienza, poi qualche cosa inizierà poco per volta a sbloccarsi. Ed anche tu a quel punto imparerai, con molta calma, come si possono affrontare certi argomenti, ed avere infine tutte le risposte che cerchi”.

            Bruno Magnolfi    

        

giovedì 6 febbraio 2020

Ovazione commossa.


      

            “Basta insomma, dobbiamo finirla”, dico io con voce alta e rabbiosa, senza avere neanche un vero motivo per fare così l’irritato. Il fatto è che stasera voglio mettermi in mostra con quelli che mi conoscono, far vedere che ho anche una forte personalità, delle caratteristiche spiccate, capaci di farmi tenere testa a chiunque mi si para davanti, figuriamoci poi a questa combriccola di scellerati che frequentano da sempre il circolo sociale. Difatti fanno subito tutti un completo silenzio, aspettando che io continui con quel mio discorso, perché intendono proprio lasciarmi esprimere appieno il mio pensiero, anche se purtroppo non mi pare di avere qualcosa di importante da dire. Perciò li guardo mentre tutti mi guardano, e decido di improvvisare qualche frase, qualcosa che invento così su due piedi, senza starci neppure troppo a pensare, e quindi riprendo il filo del mio discorso, con voce alta e roboante ma facendo delle ampie pause, e dico sostanzialmente che è l’ora di affrontare le novità che stanno bussando alle porte, e di smetterla con questa flemma insensata.
            “Ci sono cose importanti che ci chiamano all’opera”, fo quasi senza riflettere su quello che dico. “Raccogliere il nostro amor proprio e tirarci fuori da qui, magari andare per strada, fermarci a parlare con tutti, far sentire ai nostri concittadini che siamo stufi di trascorrere la giornata dietro un bicchiere chiacchierando delle solite cose”. Prosegue nell’ampio locale il silenzio, tanto che ne ho quasi paura. Forse qualcuno tra questi che mi sono davanti stanno abboccando davvero a quello che dico e sostengo, perché credono veramente che sia giunto un momento del genere, e forse riflettono questo per la prima volta, giusto perché qualcuno si è preso la briga di dirglielo. Uno timidamente alza persino la mano per chiedere a me la parola, ma la faccenda mi pare così ridicola che volto le spalle a tutti quanti e vado fuori da lì, a fumarmi una sigaretta all'aperto. Nessuno mi viene dietro, rimangono tutti a parlare sottovoce tra loro, come complottando qualcosa.
            Quando rientro stanno ancora parlando tra loro, ed in molti adesso mi guardano con espressione quasi incredula, ed uno mi si avvicina soltanto per dirmi che ho pienamente ragione, è giunta anche per lui l'ora di darci un taglio definitivo. Mi chiedo che cosa abbia portato questi tizi a credere in questo modo alle mie vuote parole, perciò vorrei quasi fare, sul muso di tutti quanti, una bella e fragorosa risata, e cancellare con un colpo di spugna tutti i discorsi precedenti, ma poi mi trattengo. "Sono deluso", fo ritrovando d’un tratto il piglio di prima. "Ci sono individui che trascinano i piedi per noia, e vengono qui soltanto perché non saprebbero dove altro andare. È una vera scelta invece, quella che si compie ogni giorno", dico con foga; "inutile fingere di non dare importanza ad una cosa del genere". Adesso qualcuno mi applaude, ed il cameriere arriva con un bicchiere di birra sopra un vassoio; "offre la casa", mi fa, ed io resto sempre più stupito di tutto.
            Mi invitano con grandi gesti a sedermi ad un tavolo, poi tolgono di mezzo le carte da gioco e i bicchieri vuoti dal piano, e dicono che devo mettere per iscritto quello che ho appena detto, e poi farne un manifesto solenne che volentieri firmeranno tutti quelli presenti per mostrare a chiunque il loro consenso. Sento puzza di imbroglio dietro questo comportamento, e per questo motivo mi rifiuto di scrivere qualsiasi cosa, ma uno là in mezzo, con mano ferma ed un foglio di carta provvidenziale, si mette a tradurre in bella calligrafia quello che ho spiegato poc’anzi, mostrando anche una buona memoria. Ci vuole niente a tirarsi dietro un branco di sciocchi rifletto; basta alzare la voce, dire quello che tutti si aspettano di sentire, ed il gioco è già fatto. “Voi siete il futuro di questo circolo per annoiati”, dico con voce robusta; e parte immediatamente un applauso scrosciante, una dimostrazione di affetto e di gratitudine, quasi un’ovazione, addirittura.

            Bruno Magnolfi

martedì 4 febbraio 2020

Animale da preda.


           

            Mi chiedo il motivo per cui dovrei uscire dalla mia tana. Sto qui senza dar fastidio a nessuno, e quando proprio mi va, guardo la gente che passa fuori da questo piccolo vetro che mi protegge da tutto. Non ho scelto io di starmene qui, mi ci hanno costretto quando qualcuno ha iniziato a dire che era meglio se sparivo per un po' dalla circolazione, come se fossi stato un impresentabile, ed io ho accettato la mia parte. Adesso poi si desidera tutto il contrario, soltanto perché è venuto fuori da qualche ficcanaso di turno, che non è giusto tenere relegata una persona dentro ad una cuccia per cani, nonostante io stia bene qua dentro, e che dal mio punto di vista non mi manchi praticamente proprio nulla. Ma a loro non interessa niente della mia opinione, e vanno avanti mettendomi in bocca quello che vogliono, interpretando persino i miei pensieri e la mia volontà, come a loro torna più comodo. Uno di questi giorni poi, diranno magari che sono impazzito per la troppa solitudine, e che purtroppo non possono fare più niente per me, così mi infileranno in una clinica odiosa, e questa diventerà per tutti la mia adeguata prossima tomba.
            A me non fanno né caldo né freddo tutte le congetture che vengono ritagliate attorno a me ed alla mia persona, vorrei soltanto che non venisse usata la mia vicenda semplice e umana per far giungere dei vantaggi a qualcuno. Perché di questo evidentemente si tratta: fare bella figura alle mie spalle, con le autorità locali, i giornalisti di paese, la gente che affolla i circoli ricreativi, coloro che credono a tutto, ed io questo ormai l'ho capito benissimo. Perciò non voglio più prestarmi a queste faccende, perché so che qualcuno pur di avere consenso potrebbe inventarsi qualsiasi cosa alla faccia di uno come sono io. Mi piacerebbe al contrario assumere un basso profilo e che nessuno parlasse di me, mi si ignorasse addirittura, ed essere in questo modo dimenticato da tutti nel giro del minor tempo possibile, proprio come non fossi neppure esistito.
            Va da sé che ci si può benissimo chiedere che cosa abbia mai fatto inizialmente per essere stato infilato in questo tugurio a trascinare le mie giornate una dietro quell’altra. Ecco, proprio questo è il punto, perché qui dentro ci sono venuto a vivere di mia spontanea volontà, senza attendere che qualcuno prendesse l’iniziativa, ai loro occhi sicuramente caritatevole, di dare un tetto ed un riparo ad un fuoriuscito come posso essere io. Ma subito dopo, una volta scoperto il mio rifugio, ecco che hanno subito iniziato a parlarne nei termini che definivano un disgraziato che nessuno vuole più avere tra i piedi: un reietto, un rifiuto, uno che non conosce le regole della collettività, e quindi che non può essere lasciato circolare come tutti, perciò deve essere per forza rinchiuso. E così mi sono ritrovato ad essere un caso sulla bocca di tutti, fin quando qualcuno ha cominciato a sbandierare la pietà per coloro che si ritrovano nelle mie condizioni.
            Qualcuno ultimamente ha cominciato a portarmi delle riviste e dei libri da leggere, roba interessante, pagine su pagine che trattano di situazioni proprio come la mia. Ed io in questo periodo mi sto preparando. Già, perché visto che nel bene o nel male mi hanno fatto diventare un personaggio famoso, preparo un bel discorso da fare a tutti quanti, una volta che mi verranno ad intervistare. Ed a quel punto, considerato che a differenza di tutti gli altri, per qualcuno sono una mente libera, mi presenterò alle prossime elezioni, così vedremo da quale parte si potranno schierare tutti coloro che hanno trattato di me come di un indegno, quasi uno stupido animale.

            Bruno Magnolfi