lunedì 27 luglio 2020

Segreti quasi svelati.



Poco tempo fa ho ereditato una piccola scatola di legno. O meglio, mio nonno d'improvviso ha avuto l'idea di farmi un regalo poco prima di morire, cosa avvenuta pochi giorni dopo, senza peraltro che lui avesse dato dei segni particolari di malessere prima della notte in cui, mentre placidamente dormiva, se n'è andato. Il dono che mi ha fatto, oltre la precisa e quasi inquietante scelta di tempo, potrebbe forse apparire una stranezza, soprattutto perché questa scatola di legno, al momento in cui è giunta nelle mie mani, era assolutamente vuota, tanto che mi sono subito sentito in dovere di metterci dentro qualche stupidaggine di mia proprietà prima di appoggiarla su uno scaffale della mia cameretta; però considerando che questo è un oggetto che per qualche ragione lui ha sempre portato con sé nell’arco di quasi tutta la sua esistenza, ecco che adesso ha assunto in questo modo un valore affettivo del tutto particolare per me.
Un contenitore di aria, ecco cosa rappresenta ai miei occhi; e se forse sembra un po’ poco, in realtà basta essere muniti di fantasia per immaginarci dentro tutto ciò che si vuole. Così ho pensato di riporvi all’interno delle fotografie, magari proprio quelle poche di mio nonno che mi sono rimaste: lui ritratto in bella posa da giovane, vestito da soldato, poi quando si è sposato con mia nonna, e ancora prima, mentre lavora, un bracciante in mezzo a tanti come lui a quell’epoca, però con uno sguardo particolare, una luce negli occhi che a me adesso appare del tutto diversa da quella degli altri. Mi sono chiesto che cosa durante tutti quegli anni avesse mai riposto mio nonno dentro quella scatola, che appare ancora ruvida, di legno duro, con delle cerniere anche un po’ arrugginite, e tracce di vernice verde che si è quasi tutta scrostata con l’andare degli anni. Forse i pochi soldi che aveva, forse i suoi risparmi da giovane, come un piccolo tesoro da custodire in qualche luogo nascosto.
Poi l’ho lasciata lì, come un soprammobile qualsiasi, e non ci ho più pensato. Ma oggi mi è venuta la voglia di guardarci ancora dentro, e come seguendo un’ispirazione, mi sono accorto che il fondo all’interno è costituito da un foglio sottile di legno della stessa esatta misura della scatola, ma semplicemente appoggiato alla base. Aiutandomi con una lama, usando grande cautela e non senza difficoltà, sono alla fine riuscito a sollevare quel rettangolo semplice, e sotto ho scoperto un foglio di carta piegato, una lettera, ho pensato subito, qualcosa di talmente prezioso da essere stato tenuto per chissà quanti anni nascosto là dentro. La scrittura diceva così:
“Cara Maria, mi sento disperato; ormai non posso più fare diversamente che seguire la strada che ho intrapreso da subito. Però adesso non ne sono affatto contento, soprattutto perché non potrò rivederti per chissà quanto tempo, e quando poi infine giungerà quel momento, chissà quante cose nel frattempo saranno cambiate”.
Mia nonna si chiamava Ada, quindi non era scritta per lei, e poi quella lettera non era mai stata spedita, visto che era rimasta nelle mani di mio nonno. Doveva essere stato qualcosa di veramente importante a spingere lui nello scrivere quelle parole, anche se poi forse non aveva avuto il coraggio di consegnare la lettera o di spedirla. Comunque quello doveva essere stato il segreto della sua vita, visto che lo aveva sepolto dentro la scatola, anche se mio nonno aveva sempre saputo le parole ed il messaggio che quella conteneva. Naturalmente ho subito rimesso il foglio di carta al suo posto, e ripristinato la scatola esattamente com’era, orgoglioso comunque di essere stato messo al corrente di un segreto lungo quanto un’intera esistenza.


Bruno Magnolfi



mercoledì 22 luglio 2020

Semplici opinioni.


          

            “Non preoccupatevi per me”, dico ogni tanto per avvertire gli altri quando sembrano agitati. “Sto bene; i movimenti che compio corrispondono davvero a quello che penso”. Certo, non si può pretendere molto di più da chi si tiene continuamente al margine di tutto ciò che accade, e che sembra costantemente defilarsi rispetto ad alcuni luoghi troppo frequentati durante il succedersi della giornata. Ma lo sanno tutti che non è colpa di nessuno se non credo alla volontà collettiva, al gesto generalizzato, all’insieme delle tante persone che si sperticano cercando di dare il proprio contributo ad un’idea che poi spesso nessuno di loro minimamente ha nella testa. Trovo debole la riflessione per cui si dice che l’insieme faccia la forza, o perlomeno credo si debba indagare meglio su ciò che tiene realmente incollati questi individui.
            Giro per strada quasi sempre a tarda ora, lungo direttrici un po’ fuori mano, fermandomi a bere un bicchierino soltanto in certi locali perlopiù deserti, dove a nessuno in genere viene mai a mente di chiederti qualcosa. Mi sento a posto, non ho bisogno di sposare una causa o di legarmi ad una cordata per sentirmi davvero utile. Ho un amico che non vedo e non sento da anni, però credo che vada bene così, nessuno di noi due sente la necessità di scambiarsi opinioni frivole oppure degli aggiornamenti su quello che rispettivamente ci accade nel corso di questo tempo imperturbabile. Esistono dei legami per i quali non ha alcuna importanza dare dimostrazione di sé ogni poco.
            Naturalmente non sono un individualista, uno che prosegue ad accentrare ogni riflessione possibile sopra di sé e con questo filtro osservi tutto il resto. Sono soltanto uno che se ne sta fuori dalla mischia, e crede che molti al contrario ci sguazzino all’interno soltanto perché non possiedono una propria personalità, ed è così che si fanno scudo di pensieri presi a prestito, andando avanti senza avere mai troppe cose proprie da dare a chi sta loro intorno. Per questo sono malvisto, e più tendo ad isolarmi più mi isolano. Eppure con superficialità tornano in tanti a chiedermi come mi vadano le cose, se stia davvero bene, se abbia deciso qualcosa per il mio futuro oppure no. “Tutto a posto”, dico senza astio. “Davvero, non ho bisogno di nulla”.
            Infine incontro questa tizia che parla con grande naturalezza della sua solitudine, e di come viva male il fatto di essere giudicata come una persona strana. “Mi pare non ci sia niente di cui preoccuparsi”, le fo. “Oggi tutti stanno assieme per sorreggersi l’un l’altro; avere dei sostegni propri è già una gran fortuna”. Lei mi guarda, sorride, probabilmente pensa cose diverse dalle mie, però le piace il mio modo di porre la questione. Decidiamo di entrare in un posto dove si beve birra senza impegno, così ci sediamo e lei inizia a raccontarmi qualcosa di sé, tanto per fare conoscenza. Dopo un attimo mi pare già una grande noia questa sfilza di fatti che srotola con calma. “Sai”, le fo tanto per interrompere le sue parole. “Credo che dovresti lavorare maggiormente sulla spontaneità; evitare modi risaputi, espressioni troppo usuali, spiegare tutto come si fosse dentro ad una videoconferenza”.  Lei adesso mi guarda con una smorfia un po’ da offesa, però non ribatte niente, lascia correre, forse soltanto sta pensando meglio a quello che le ho detto.
            Usciamo, adesso va trovata la maniera per salutarci senza essere esageratamente bruschi nel farlo, così le dico che posso fare la sua strada almeno per un pezzo, ma lei dice che ha la macchina e che possiamo separarci anche in questo preciso attimo. “Va bene”, le dico, “come vuoi; non vorrei averti deteriorato un’idea di me che ti eri fatta”. Lei ci pensa. “No, tutt’altro”, mi fa. “Anzi, ti ringrazio, quello che mi hai detto mi è molto utile, devo soltanto pensarci con più calma”. “Va bene”, fo io; allora ti aspetterò dentro la birreria una di queste prossime sere, tanto per sapere se le mie sciocchezze ti sono state utili davvero”.

            Bruno Magnolfi

mercoledì 15 luglio 2020

Insolitamente.


           

            Mi sono vergognato, ecco tutto il punto della questione. Mi sono vergognato spesso di non essere riuscito ad avere fino ad oggi un’esistenza intensa ed interessante come avrei voluto da sempre, e come d’altronde sarebbe stato giusto che avessi, fin dagli inizi; ed anche di non essere stato capace, magari con un pizzico di fortuna in più, di portare a compimento tutte quelle iniziative che mi vanto di aver sempre avuto, durante tutto questo tempo. Non è però vergogna nei confronti degli altri, o di chi mi conosce. E’ un dispiacere che reputo tutto mio, visto che non ho mai cercato la fama o il successo. Questione di personalità, cosa che non ho mai coltivato in maniera adeguata, molto probabilmente. Difatti, tutto quello di cui oggi torno ad occuparmi con più assiduità, è soltanto ciò che fa parte dei miei interessi privati, niente che possa attirare altri appetiti, nulla che in qualche modo riguardi altra gente, altre persone, differenti individui. Tutto nasce e muore dentro di me, senza tentativi di coinvolgimento di amici o di conoscenti.
            Perciò oggi reputo strano, forse proprio perché del tutto lontano da ogni mia abitudine, questo improvviso interesse di molti per la mia persona: gente che mi ferma per strada, altri che mi salutano senza che io ricordi di averli mai visti, altri ancora che mi cercano tramite messaggi postali o telefonici, complimentandosi spesso per qualcosa di cui neppure ricordo di essermi mai occupato, tanto che spesso ho dovuto considerare, in mezzo alla mia meraviglia, la possibilità effettiva per uno scambio di persona piuttosto evidente, forse una somiglianza con chissà chi, magari un sosia, nelle fattezze o nei gesti, forse persino nel nome, capace di prestarmi una notorietà peraltro ingiustificata. “Ma no”, mi ha invece detto qualcuno per strada ridendo; “è proprio lei: esattamente quello di cui sappiamo il valore, e del quale ci onoriamo di essere semplici concittadini”.   
            Perciò ho lasciato perdere qualsiasi dubbio rimasto, anche perché sarei apparso fuori di senno, e pur continuando a svolgere la mia vita di sempre, ho acconsentito al fatto che queste benedette persone proseguissero ad ammirare nella mia soggettività qualcosa che stento parecchio nel riconoscere io stesso. Niente di male, ho riflettuto, se qualcuno si è accorto alla fine che dentro di me soggiorna una vera persona. Purtroppo però ci si abitua in fretta a certe novità, e quanto è iniziato ad accadere non è stato, come avrei potuto pensare, del tutto privo di inconvenienti. Ho iniziato a riflettere maggiormente sulle iniziative di cui mi stavo occupando, ponendomi continuamente il dubbio che queste fossero davvero all’altezza di quanto tutti si sarebbero attesi da me, fino ad interrogarmi se non fosse il caso di lasciar perdere alcune cose. Brevemente è intervenuta così una paralisi quasi completa nell'occuparmi dei miei interessi, tanto da indurmi a restare immobile per la maggior parte della giornata, piuttosto che combinare dei guai.
Mi sento triste adesso, fermo come sono, nell'attesa di non so neppure io cosa, e quando iniziano a girarmi delle idee dentro la testa, immediatamente i dubbi che in modo inevitabile arrivano subito dopo, paiono subito aggredirle, tanto da lasciarmi spossato e privo della volontà di decidermi a smuovere almeno qualcosa. Continuo a ricevere complimenti e congratulazioni, specialmente via posta, al punto che sono quasi sommerso dai messaggi di una messe di sconosciuti entusiasti per aver avuto in qualche maniera la possibilità di farsi vivi con una persona della mia specie, tanto che da ogni parte proseguono a dirsi addirittura onorati di potermi così contattare. Naturalmente non ho mai risposto a nessuno, almeno fino adesso, forse anche per timidezza; ma da qualche giorno ho iniziato persino a pensare che forse è proprio questo che mi rende così particolare agli occhi di molti; un individuo insolito, magari un po’ strano, però indubbiamente diverso da tutti.   

Bruno Magnolfi

martedì 7 luglio 2020

Direzione definita.


         

            Le mie mani tremano mentre osservo il mio amico assopito in un letto d’ospedale, con le macchine perennemente in azione a prolungarne il corpo in molte delle proprie funzioni, ed io, al di qua di una vetrata a tenuta d’aria che mi permette solamente una vista fredda e distante da lui, mentre cerco di immedesimarmi nelle sue condizioni e di provare il senso di quanto realmente gli sta succedendo, riesco soltanto a provare con forza la sensazione della paura, anche se non sono capace di immaginare bene neppure di cosa. L’aria sembra ferma attorno a me, ed anche il tempo pare abbia subito un forte rallentamento; le luci vibrano leggermente nel perenne gioco artificiale di gettare il loro sguardo proprio su tutto, tra i letti, i corpi, i mobili, le attrezzature, fin nei minimi angoli maggiormente remoti di queste stanze, ed i sanitari percorrono il largo corridoio accanto a questo mio premuroso non ingombrarli, camminando in completo silenzio, quasi scivolando sui pavimenti, pur carichi delle loro professionalità indiscutibili.  
            Magari poter davvero essere utili, riuscire a mostrarsi precisi, puntuali, capaci, almeno con la domanda giusta in testa da porre adesso al medico di turno, oppure all’infermiera che si occupa costantemente di lui, in modo da comprendere meglio tutto ciò che succede, e rendere ogni dettaglio inseribile in un contesto più chiaro e già collaudato in mezzo ai molti pensieri. Invece che proseguire a starsene qui come sciocche comparse di una pellicola scialba, le mani dentro le mani, lo sguardo perennemente alla ricerca di qualcosa su cui soffermarsi, senza alcuna possibile azione, neanche una qualsiasi, privi di scelte che non siano già state fatte, e di possibilità differenti all’inerzia. Tanto vale andarsene, penso. Eppure resto, perché sono queste mie mani tremanti alla fine che mostrano il mio stato d’animo, pur nude e capaci soltanto di sfiorare questa cornice d’alluminio che sembra immortalare in un’unica immagine la condizione umana, tutta quanta.
            I ricordi, le risate, le tante giornate trascorse senza alcun dettaglio, e poi invece le frasi azzeccate, il gesto memorabile, la parola più adatta; un insieme di tante piccole cose gettate adesso come alla rinfusa dentro una di queste sacche di plasma, oppure in mezzo alle gocce di viva sostanza che tengono in piedi ogni funzione, assieme al respiro cadenzato provocato da un mantice plastico, puramente meccanico, privo di qualsiasi umanità eppure essenziale, come tutto del resto. La massa dei tanti pensieri si riduce alla fine ad un pugno di pochi elementi, e ad un esile filo che li tiene legati tra loro, e poi la pesantezza insopportabile che preme proprio sul cuore, immaginando semplicemente la possibilità di poter essere stato diverso, almeno in questi ultimi tempi: più vicino, più attento, forse più disponibile, come se questo da solo riuscisse a cambiare qualcosa del risultato.
            Lo sguardo gettato attorno, mentre si distillano lunghi minuti, pare un faro che in un attimo illumini debolmente lo spazio ma senza vedere, come incapace di rendersi conto davvero di ciò che il cammino lascia talvolta lungo la strada, quasi vergognandosi adesso delle ore piacevoli, divertenti, incantate, trascorse senza bisogno di niente, di altro, se non di quelle personalità ormai cambiate per sempre, in contrasto al dolore, alla sofferenza, al dispiacere. Nulla, amico mio, dico soprattutto a me stesso, non posso nutrire rimpianti di fronte alla tua battaglia in atto in questo momento; soltanto sostenerla idealmente, accoglierla dentro di me come mia, nella sicurezza che niente sarà mai tanto diverso qualsiasi risultato si ponga dopo questa prova tremenda. Rimarremo gli stessi difatti, lo so, ne sono certo, perché un inciampo durante la via è sempre previsto, ma non può in nessuna maniera riuscire a cambiarci davvero la direzione.

            Bruno Magnolfi     

mercoledì 1 luglio 2020

Forse va bene così.


          

            Va bene, non ci sono problemi, faccio esattamente quello che mi dite di fare, così non c’è la possibilità di sbagliarsi. Eppure, se ci penso un po’ meglio, qualcosa non mi torna. Perché mai dovrei assomigliare a qualcuno di vostra conoscenza, agire come un individuo quasi senza personalità, e poi fingere di essere contento di come vanno le cose? Guido senza fretta lungo una strada che dovrebbe portarmi proprio lì, nel locale dove si svolge il solito raduno, uno di quelli dove si possono trovare solo degli amici sorridenti, e dove tutti sicuramente mostreranno all’esagerazione di essere contenti di esserci e di ritrovare le vecchie conoscenze, e anche altre cose del genere. Non sono il tipo per frequentare queste baracconate, però mi hanno spiegato che è proprio questo il mio problema: starmene troppo isolato, e fare della riservatezza un valore quasi assoluto.
            Va bene, dico allora a qualcuno sul mio diario elettronico, ci sarò, se è quello che mi consigliate di fare, e mi metterò in bella mostra, magari con un cappello elegante, tanto da far chiedere a qualcuno in sala dietro di me, chi sia mai questo tizio che sembra quasi essere uno dei grandi. Sorrido mentre proseguo a guidare, perché non è timidezza la mia, ma proprio incredulità sul buon fine di una pubblicità così spudorata. Mettere in mostra se stessi sperando che questo porti al proprio ego ed alla propria immagine un beneficio assoluto. Non sono convinto, però sono curioso, e questo aspetto è forse quello che mi caratterizza di più. In fondo tutti al giorno d’oggi mettono in mostra se stessi, sperando di ottenere in qualche maniera una controparte apprezzabile che lasci alle spalle rapidamente qualsiasi compromesso o sacrificio.
            Va bene, proseguo a dire, però c’è anche in ballo una questione d’onore, con cui si può tenere fede ai propri ideali, ed una di coerenza personale che ovviamente deriva da quella. Accosto con la macchina al margine della strada per riflettere meglio su questo aspetto, ma sono sicuro che qualcosa mi sfugga, tipo essere dichiarato pubblicamente poco furbo e soprattutto imbambolato su degli aspetti ormai fuori moda. Ascolto alla radio un notiziario lontano e antipatico, così prendo un foglietto e una penna e mi annoto: Sveglio o Imbecille, quasi come fosse il sunto più significativo e divertente di tutto un ragionamento che adesso però vorrei quasi spazzare via come si fa con il fumo di una candela nell’aria. Poi riprendo a guidare, non c’è molta strada fino al Punto di Raccolta, come lo chiamo io, e la preoccupazione di tutti coloro che saranno presenti naturalmente sarà trovare alla svelta un parcheggio il più vicino possibile.
            Va bene, confesso a voce alta; ho sempre sbagliato ad esprimermi nel modo come mi pareva più adatto alla mia personalità, anche se questa pare adesso soltanto una spudorata ironia; però non ho neppure richiesto di avere un seguito, o che a qualcuno piacesse il mio modo di affrontare le cose, e poi addirittura guadagnarmi una piccola fama, che per qualcuno appare direi fondamentale, è soltanto una cosa che se mai succedesse provocherebbe in me solamente un profondo disagio. Perciò vado avanti, ma quasi per inerzia sostanziale, riflettendo in questo preciso momento che oramai quel che deve accadere è bene che accada. Guido svogliatamente quasi fino al posto dove sono diretto, il mio navigatore lo segnala già nell’angolo in alto; poi provo una specie di attacco di panico: non posso scendere così a compromessi con tutti, anche se della mia integrità non interessa a nessuno. Continuo a percorrere la strada, supero allegramente il segnalino di arrivo e me ne vado, senza che nessuno mi abbia notato. Non va bene, dico in questo esatto momento a me stesso, mentre mi allontano: anche se nel profondo di me sono convinto che vada benissimo.

            Bruno Magnolfi