La mamma ha
detto che mio padre è stato trattenuto in Germania per delle ragioni
amministrative. Non ho domandato niente, non mi è proprio parso il caso di
chiederle altro, anche perché mi è sembrato già tutto chiaro, pur non comprendendo
completamente quelle parole, fidandomi a naso del suo tono di voce rassicurante.
Un paio di volte mi è capitato di entrare all’interno del rimorchio vuoto dell’autocarro
di mio padre, e mi è parso assolutamente enorme, ho pensato perfino che si
sarebbe quasi potuto giocare là dentro una partita al pallone, in quattro o
cinque. Lui mi ha detto che veniva riempito ogni volta di ogni genere di
pianali di merci e di scatoloni, e poi toccava alle sue capacità di guida
portare tutta quella roba in giro per il mondo. Mi è sempre apparso incredibile
che una persona da sola riuscisse a far spostare e a far marciare
quell’enormità, ma poi ho visto qualche volta mio padre che faceva delle piccole
manovre con il suo autocarro, e alla fine tutto mi è sembrato quasi normale,
anche se ovviamente difficilissimo. Infine, lui è tornato a casa, ha detto a me
e alla mamma che erano state trovate delle persone dentro al cassone del suo
autocarro, e che lui era stato incolpato di traffico dell’emigrazione
clandestina, che non so bene cosa possa significare, anche se mio padre in ogni
caso è riuscito a dimostrare di non sapere nulla di quella gente.
I miei
compagni di classe hanno iniziato in questi giorni a darsi di gomito soltanto
nel vedermi arrivare, e a nessuno di loro comunque è presa più la voglia di
ridere in mia presenza, come certe volte era accaduto, forse perché
all’improvviso, quanto successo a mio padre, pur innocente, ha proiettato la
nostra famiglia in un mondo del malaffare da cui resta doveroso prendere le
distanze. Ma più che scansarmi, i compagni hanno iniziato ad avere per me una
specie di strano rispetto, quasi che fossi stato riconosciuto, una volta per
tutte, come uno che sa stare al mondo, e che non ha paura di superare le regole
del normale comportarsi. Non mi sono dato delle arie per questo, ed ho
continuato a tenere il comportamento di sempre, anche perché tutta questa fase
non è durata neppure molto tempo. Mio padre poi ha ripreso a trasportare le
merci con il suo autocarro, proprio come aveva fatto da sempre, ed io mi sono
chiesto diverse volte in che maniera fosse possibile per gli emigranti farsi
portare in giro per tutte quelle strade infinite, rannicchiato tra degli
scatoloni fetenti dentro un rimorchio. Mi sono svegliato di soprassalto nel
sonno con un senso di claustrofobia, certe volte, ed ho iniziato ad apprezzare ancora
di più l’aria libera da essere respirata.
Adesso, mentre vado a prendere
servizio come sempre nell’albergo dove lavoro, mi pare che la mia famiglia non
abbia detto quella volta tutta la verità. Forse c’era stata della connivenza da
parte di mio padre nel far varcare il confine a quei clandestini, o forse lui a
quell’epoca era stato costretto da qualcuno, magari da qualche forza oscura, a nascondere
quella gente dentro al suo rimorchio. Mio padre ora non c’è più da molti anni
per poter discolparsi, e mia madre sta dentro ad una casa di riposo, avendo
perso del tutto la propria memoria. Il dubbio perciò mi rimane, anche se mi
sembra abbastanza normale che al giorno d’oggi si possa vivere persino sul
confine della legalità. Il mio presente, invece, forse proprio per questo, è
fatto di nulla, ed io che sono già stato una volta e a lungo in prigione, non
posso commettere degli altri errori; perciò, mi accontento di quello che ho,
senza pretendere altro. Quando è stato il mio momento, anche io ho cercato di
mettere assieme un po’ di soldi, senza guardare in faccia chi mi stesse attorno:
ma in seguito ho pensato che quella non fosse per nessuno una strada minimamente
corretta, restando comunque un modo di vivere alle spalle degli altri.
Quando sono stato in galera, ho conosciuto da
vicino dei veri clandestini che nella loro vita hanno anche attraversato delle
frontiere e delle nazioni nel tentativo di migliorare la propria esistenza, la
maggior parte delle volte non riuscendo affatto nell’impresa. A nessuno ho mai
detto ciò di cui era stato incolpato mio padre tanti anni prima, ma questo
senso di colpa nei loro confronti è sempre rimasto dentro di me, anche se
riconosco quanto mio padre probabilmente non avesse avuto un vero ruolo attivo
nella faccenda. Nell’albergo dove lavoro da anni come portiere di notte, giungono
spesso dei turisti stranieri, e a me capita di guardarli in qualche caso anche con
un certo sospetto, come fossero un insieme di individui fortunati, capaci di
girare in qualsiasi paese del mondo senza dover dare conto a nessuno dei loro
spostamenti. Le tante popolazioni delle nazioni, rifletto a volte, sono divise
in molti settori diversi, chiaramente, ed essere nati e vissuti nella parte più
fortunata, è senz’altro qualcosa che pone facilmente su un piano di privilegio,
anche se non si può certo disprezzare obbligatoriamente chi non sta dalla parte
più avvantaggiata.
Bruno Magnolfi
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